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Il viaggio letterario si ferma a Winchester/Camelot, davanti alla tavola rotonda

Ed eccomi giunta alla penultima tappa di questo fantasmagorico viaggio letterario Sulle tracce delle grandi scrittrici. Lasciamo Salisbury al rintocco dell’orologio più antico del mondo e ci spostiamo a Winchester, altra meta centrale nella storia britannica. Dal Wiltshire all’Hampshire. Dalla città in campagna all’ex capitale d’Inghilterra fino al 1066, quando Guglielmo il Conquistatore, sempre lui, decise di spostarla a Londra. Ci sono almeno tre motivi per visitarla: la cattedrale, una delle più antiche del Regno Unito; il Castello con la sua Great Hall, dove è conservata una copia della tavola rotonda, e la tomba di una ben nota conoscenza per noi che amiamo i libri e la lettura.

La Cattedrale

E’ uno degli edifici più importanti della Gran Bretagna, tanto che ha sempre ricevuto donazioni importanti. D’altra parte, prima di spostarsi a Londra la famiglia reale aveva stabilito qui la propria residenza ed era proprio dentro la cattedrale che i re venivano incoronati. L’ingresso costa 8 sterline e comprende una visita guidata in inglese molto accurata. Realizzata in stile gotico, la cattedrale si sviluppa in lunghezza (è una delle più lunghe d’Europa) e dopo aver percorso la navata non è difficile immaginare i re mentre ricevevano l’investitura ufficiale. Mentre camminiamo, 20170822_121224ahimè senza ricevere nessuna corona, la guida ci fa notare la sovrapposizione di stili,  il magnifico coro dietro l’altare, uno dei più antichi e meglio conservati d’Inghilterra e la tomba, con statua a ricordo, del palombaro William Walker. Questo coraggioso piccolo uomo dal 1906 al 1911 rischiò la vita tuffandosi nell’acqua che invadeva il sottosuolo della cattedrale, per sostituire le fondamenta normanne di legno con altre in cemento. Se la cattedrale oggi è ancora in piedi lo dobbiamo a lui. Dentro c’è anche la tomba del cardinale Beaufort, che mandò al rogo Giovanna d’Arco, ma questo la guida evita accuratamente di dirlo, e fa bene. Dopo aver richiamato la nostra attenzione sui simboli religiosi e non che incontriamo, e sulla vetrata che occupa l’intera facciata, la gentile signora che ci accompagna si ferma sull’attrattiva che sicuramente richiama più turisti in assoluto. 

La tomba di Jane Austen 

20170822_114427Zia Jane è sepolta qui, pur avendo vissuto gli anni della giovinezza a Bath. In un tentativo disperato di salvarla, la famiglia decise di trasferirla da Chawton a Winchester farla visitare da un medico illustre, ma purtroppo le cure si rivelarono inutili. Jane si spense il 18 luglio 1817 a 41 anni. L’area dedicata alla scrittrice è solenne e curata, gli inglesi hanno rispetto per la memoria e si vede. Fu seppellita nella Cattedrale, sotto il pavimento della navata nord, perché era un edificio che le piaceva immensamente. Il suo funerale, molto modesto, ebbe luogo di mattina presto, prima iniziassero le messe, e parteciparono solo quattro persone.  L’iscrizione della lapide parla solo delle sue qualità personali e non cita la scrittura. La fama di Jane come scrittrice è cresciuta nel tempo, ma lei è morta prima di raggiungerla. Nel 1870, suo nipote Edward scrisse un saggio sulla zia e usò i proventi per erigere una placca d’ottone sul muro accanto alla sua tomba. Stavolta, è la sua dote di scrittrice a essere in primo piano: “Jane Austen, conosciuta da molti per i suoi scritti…” Entro il 1900, era abbastanza famosa da “meritare” una targa pubblica in suo ricordo. 

La Bibbia

La guida ci lascia davanti alla tomba di Jane, liberi di proseguire la visita. C’è ancora una cosa importante da vedere: l’esposizione del 21° libro della Bibbia, che è conservata per intero nella biblioteca della cattedrale. Fu scritta tra il 1160 circa e il 1180, probabilmente sotto il patronato di Enrico di Blois, vescovo di Winchester per oltre 40 anni. Fu scritta in latino da un solo scriba, mentre sei artisti, reclutati tra i migliori dell’epoca, lavoravano alle lettere maiuscole decorate in oro e lapislazzuli e un illustratore alla copertina. Posso solo immaginare quanto questi amanuensi abbiano lavorato: per realizzarla, furono usati 468 fogli di pergamena di pelle di vitello, costellata da 54 iniziali complete o parzialmente complete. I fogli furono piegati al centro, per far diventare le pagine 936 in tutto. Considerate che le 936 pagine sono l’equivalente di circa 250 vitelli. L’unico scriba usò una piuma d’oca mentre un secondo amanuense, il correttore di bozze come lo chiameremmo oggi, controllava il lavoro e annotava le correzioni ai margini. Ogni pagina veniva regolata in anticipo, per garantire che le righe fossero sempre 54. Prima dell’inizio dell’opera d’arte principale, le lettere iniziali colorate, che raccontavano ognuna una storia, vennero disegnate all’inizio e alla fine di ogni capitolo utilizzando inchiostro rosso, verde e blu. Tutta la Bibbia era originariamente rilegata in due volumi, ma sarebbe stata troppo pesante da spostare. Così, ora è composta da quattro volumi. Solo 48 lettere iniziali sono state finite. Segno che quest’opera monumentale era talmente costosa che il committente probabilmente non ebbe la forza economica per terminarla. 

Purtroppo non consentono di fotografare le pagine esposte, perché giustamente si usurerebbero, e nella teca fanno entrare poche persone per volta. In quel momento, eravamo io e un padre tedesco con il figlio. Il religioso che l’ha illustrata ci ha tenuto a sottolineare che “per avere un buon lavoro, era necessario assumere i migliori artisti“. Ci ho tenuto a sottolineare che “anche oggi dovrebbe essere così“, ma mentre il signore tedesco ha apprezzato la battuta, il religioso è rimasto perplesso. Fine dell’illustrazione 🙂 

 Il giardino

20170822_124733Il giardino che circonda la cattedrale è, neanche a dirlo, delizioso, così come il punto di ristoro, dove deve essere piacevolissimo sostare, e lo shopping centre. Qui mi rivolgo soprattutto alle signore: attenzione alla borsa. Non perché ci siano ladri, ma perché rischierete seriamente di uscire con il portafogli vuoto. Poi non dite che non vi avevo avvisato! 

Camelot, Great Hall e la tavola di re Artù 

20170822_141246Avevo già incontrato Re Artù a Tintagel, ma stavolta ho l’occasione di ammirare quella che si dice sia la tavola rotonda, attorno alla quale lui e i suoi cavalieri si riunivano per decidere le strategie di battaglia. Potrò illudermi che sia vero fino a domani, quando un’incauta donna mi dirà la verità. Si arriva attraversando una stradina di ciottoli tipica del medioevo e già questo mi basta per capire come mai Winchester sia stata identificata con Camelot. L’accostamento più famoso è rintracciabile nel romanzoLa morte di Arturo” di Thomas Malory, uno scrittore inglese del 1400. L’autore è abbastanza misterioso, di lui si sa molto poco tranne che debba avere avuto una vita abbastanza tumultuosa. Sembra che in questo parallelo probabilmente sia stato ispirato proprio dalla tavola rotonda, che all’epoca pensavano fosse quella autentica e non una copia.  Arrivata nei pressi del castello, mi rendo conto che già dall’esterno posso intuire come doveva essere nel suo pieno splendore, quando era residenza reale, ma soprattutto prima che venisse raso al suolo da Oliver Cromwell al termine della Guerra Civile Inglese. Oggi rimane solo la grande sala duecentesca, la Great Hall appunto. L’attrattiva principale è proprio la tavola rotonda, che domina la parete di destra. Appesa così al muro, mi ricorda più un bersagio gigante per 20170822_141040freccette che un tavolo solenne per re e cavalieri, ma forse se l’avessero lasciata in mezzo alla sala mi avrebbe fatto un altro effetto. Anche la sala merita di essere girata perché ci sono diversi elementi decorativi di pregio, Soprattutto vicino alle finestre, e l’albero genealogico dei regnanti dove fare un veloce ripassino di storia. Come in molti dei musei che ho girato, anche qui non manca l’attività ludica: abiti e travestimenti sono a disposizione dei serissimi turisti per essere incoronati, oppure per tagliare la testa al re di turno con la ghigliottina splatter, dotata anche di sangue finto. A un certo punto, dopo aver finito di giocare, noto un portone di ferro, sinceramente un po’ bruttino. Addirittura la tavola rotonda, che prima era lì, è stata spostata sulla parete opposta per fargli spazio. Il portone è stato creato per celebrare il matrimonio di Carlo e Diana nel 1983. Improvvisamente, ti spieghi perché certe unioni nascano sotto un cattivo auspicio…

Winchester mi è piaciuta molto, sono contenta di averla visitata. Ma ora è tempo di ripartire. Devo rendere omaggio a un grande artista, una presenza fondamentale nella mia vita. Nella prossima puntata vi dirò di chi si tratta e quali forti emozioni ho provato nel salutarlo…

(continua)

Seven Sisters, esperienza mistica su scogliere da cinema

Se qualcuno può mi smentisca, tuttavia sono convinta che le scogliere creino dipendenza fisica e mentale. Almeno, a me è successo. Dovendo decidere una delle ultime tappe del viaggio letterario Sulle tracce delle grandi scrittrici, la scelta non poteva che cadere sulle Seven Sisters. Pur essendo partiti presto da Salisbury, arriviamo abbastanza tardi rispetto alla tabella di marcia, perché anche se distanti non più di due ore non sono così ben segnalate come pensavamo. Sbagliamo un paio di volte strada e alla fine arriviamo in un minuscolo parcheggio. Capiamo di essere nel posto giusto solo perché c’è un cartello che indica il nome. Insomma, tutto meno turistico e grandioso di come ce lo aspettassimo.

Sembra un parco

Dopo aver lasciato la macchina, e aver ringraziato un inglese che con estrema gentilezza ci ha lasciato il suo tagliando, cosa per niente scontata da queste parti, ci incamminiamo per il sentiero indicato dalle frecce. Nella prima mezz’ora sono ancora perplessa. Le Seven Sisters mi sembrano nient’altro che un parco pubblico, con i bambini che girano in bicicletta e i sir con la coppola che portano a spasso i cani.

bianche dunePoi, improvvisamente il sentiero si apre e ci ritroviamo su una spiaggia, con le altissime scogliere che si stagliano su di noi, bianchissime e imponenti. I sette promontori a picco sul Canale della Manica sono separati da valli. Sia le sorelle maggiori sia le valli hanno ognuna un nome proprio o un aggettivo che le identifica. Avete presente il film del 1944 “Le bianche scogliere di Dover” con Irene Dunne e Alan Marshal? Ecco, quando un film è ambientato a Dover, in realtà viene girato alle Seven Sisters, perché sono più bianche, più alte e scenograficamente migliori. Eppure, siamo in piena estate e ci sono solo gruppetti sparuti a godersi la vista e la passeggiata! Nessuna costruzione, nessun punto di ristoro, niente di niente. Solo un centro di assistenti bagnanti per il salvataggio in acqua.

IMG_6528Ci arrampichiamo sulle scogliere, con un po’ di difficoltà perché la salita è ripida e di nuovo torna l’ormai nota sensazione di essere in pace con il mondo, con il vento che ti attraversa dappertutto alla ricerca dei tuoi segreti e la testa che si svuota dei pensieri e diventa leggera. Lo sguardo abbraccia l’orizzonte e la natura, di nuovo, emerge in tutta la sua grandiosità. E’ una sensazione straordinaria, mi sento in pace con il mondo e con me stessa, eppure così piccola di fronte all’universo. Se vi è mai capitato, sapete di cosa sto parlando. Ci perdiamo a zonzo per le scogliere, facendo attenzione a non cadere giù. I richiami alla sicurezza sono dappertutto, perché le rocce sono di origine calcarea, fragili e soggette a cedimenti improvvisi del tutto naturali. Un cartello ammonisce chiaramente: “siete responsabili della vostra sicurezza. Nessuno può sorvegliarvi meglio”. O qualcosa del genere.

IMG_6536Guardando il panorama dall’alto, ci rendiamo ben presto conto di aver commesso un errore strategico. Volendo ammirare leSeven Sisters dall’alto, avremmo dovuto scegliere l’altro versante del parco. Invece, siamo esattamente nel punto che chi si trova nel punto di osservazione migliore sta guardando! Decidiamo di scendere di nuovo in spiaggia e aspettare che la bassa marea apra un passaggio per passare dall’altra parte. I due versanti del parco, infatti, sono divisi da un canale che inizia praticamente nel cancello di entrata al parco. Ciò significa che se la bassa marea non aprirà un varco, saremo costretti a rifare tutta la strada dell’andata, attraversare un ponte e poi tornare indietro!

Cosa pensate che sia successo? Dopo ore di attesa, la bassa marea non ha aperto varchi. La voglia di ammirare le Seven Sisters, però, era troppo forte e allora abbiamo sacrificato i piedi per rifare due volte il tragitto. Che dirvi, ne valeva assolutamente la pena. A pomeriggio inoltrato, c’eravamo solo noi e tre ragazze coreane che facevano le prove di salto mentre le altre fotografavano. Il punto di osservazione è allestito con due panchine di legno, un cartello che indica il punto di osservazione e null’altro. Un’altra esperienza mistica, con le Sette Sorelle di fronte a noi, schierate, a fronteggiare la furia delle correnti e del vento con il loro bianco splendente.

Cenni di storia

Nel 1900 la compagnia britannica dei telefoni realizzò una linea sottomarina che collegava la Gran Bretagna alla Francia. Questa linea, requisita dall’esercito durante la guerra, venne fortificata per paura di attacchi via mare e utilizzata con un sistema di luci che avevano lo scopo di disorientare i piloti nemici. L’intera area è stata successivamente acquistata da un privato. Nel 2014, la zona è stata gravemente danneggiata dal maltempo, ma in questi tre anni è stata riportata totalmente allo stato originario, grazie anche ai donatori che hanno effettuato versamenti volontari per la ricostruzione.

Il rientro a Salisbury

Rientrando a Salisbury, ci accorgiamo di non aver mangiato, presi com’eravamo dallo stupore. Allora, ci fermiamo in uno dei pochi ristoranti che fa le ore piccole, perché sono le nove di sera e nella città di campagna è già tutto praticamente chiuso. All’interno del King’s Head Inn ho trovato un’altra sorpresa, degna di un viaggio letterario che si rispetti: una sala allestita come una biblioteca, stupenda! Nella sala, dominano i ritratti del poeta William Wordsworth, autore dei poemi “The Salisbury Plain” e dello scrittore Wilkie Collins, che apparteneva a una famiglia in vista di Salisbury.
Quante cose ho imparato in un solo viaggio! E non è ancora finita. Domani sarò a Winchester, dove è sepolta indovinate chi? Continuate a seguire le mie avventure inglesi per scoprirlo.

(continua)

Salisbury: la Magna Charta e l’orologio più antico del mondo

Dai porti selvaggi della Cornovaglia alla “città in campagna”, così viene chiamata Salisbury. Mi trovo nella contea del Wiltshire, sulle rive del fiume Avon, come Bath. Stavolta con l’alloggio siamo sfortunati, i due che ci ospitano sembrano studenti poco puliti. Ci tengono però a precisare che sono lavoratori, anche se hanno appena perso il lavoro. Lo stato della casa non depone certo a loro favore come impiegati zelanti, però è troppo tardi per cercare un’altra sistemazione e in fondo passeremo qui solo due notti. Il resto del tempo abbiamo cercato di stare il più possibile fuori di casa. Questo per darvi un’idea dell’ambiente. Le uniche cose positive, il prezzo e la posizione, a ridosso del centro.

Città in campagna mi sembra un nome azzeccato. Basta spostarsi di poche centinaia di metri dal nucleo abitativo per ritrovarsi in aperta campagna ed è probabile che debba a questa ubicazione la sua fortuna. Visitiamo per prima la cattedrale, che è anche il motivo principale per cui abbiamo scelto Salisbury come tappa. L’edificio è considerato uno dei maggiori esempi del primo gotico inglese e fu costruito tra il 1220 e il 1258 per sostituire la cattedrale di Old Sarum.

La cattedrale 

L’esterno è imponente, con una guglia visitabile di ben 123 metri e un chiostro di oltre 32 ettari, rispettivamente la più alta e il più esteso della Gran Bretagna. Oltre che imponente, è anche insospettabilmente tranquillo, per essere  così famosa. Vi suggerisco di fare come noi. Trovatevi lì al mattino prima dell’apertura, così potrete girare con calma il chiostro e scattare foto da una buona prospettiva. Non per giocare con i costumi da carcerato e la ghigliottina a disposizione di tutti, sia chiaro!

La Magna Charta 

All’interno, la Magna Charta e l’orologio più antico del mondo mi hanno colpito particolarmente. La prima è una carta del 1215 redatta dall’Arcivescovo di Canterbury per raggiungere la pace tra l’impopolare re Giovanni d’Inghilterra e un gruppo di baroni ribelli. Nelle intenzioni, doveva garantire la tutela dei diritti della chiesa, la protezione ai baroni dalla detenzione illegale, la garanzia di una giustizia rapida e la limitazione sui pagamenti feudali alla corona. Nonostante sia stata più volte modificata da leggi parlamentari, possiamo considerarla ancora oggi una sorta di costituzione della monarchia britannica. A Salisbury sono esposte alcune pagine di una delle uniche quattro copie esistenti al mondo, che secoli fa furono scritte in pelle di pecora, motivo per cui si sono conservate fino a oggi. I fogli vennero scritti con penna d’oca e latino medievale abbreviato e ciascuna copia venne marcata con il grande sigillo reale, realizzato in cera d’api e ceralacca. Pochissimi sono sopravvissuti e a Salisbury abbiamo potuto vedere anche il sigillo.

Il sigillo

IMG_6496Una cortese signora addetta di sala, appena mi ha visto aprire il cassetto in cui sono conservati questi cimeli e soffermarmi per un po’, si è avvicinata e mi ha detto che il sigillo reca su un lato King John (per intenderci, quello di Robin Hood ma lei questo non l’ha detto) sul trono e sull’altro sempre Re Giovanni a cavallo. I fogli sono fitti fitti di contenuti, perché la carta costava molto ed era necessario occuparne tutto lo spazio possibile prima di girare pagina. Lo stesso sistema che secoli dopo userà anche Jane Austen per scrivere lettere all’amata sorella.

L’orologio più antico del mondo

IMG_6507Sempre all’interno della cattedrale, ho potuto ammirare l’orologio funzionante più antico del mondo. Completamente diverso da come me l’aspettavo, è un meccanismo “grezzo”, senza quadrante perché al suo posto c’era la campana che suonava i rintocchi. Mi è molto dispiaciuto non aver potuto ascoltarne i rintocchi, perché oggi viene utilizzata solo in determinate occasioni. O almeno così recita il cartello alla base dell’orologio. Dietro l’orologio, c’è una bella fonte battesimale e proprio quando sono passata io stava finendo un battesimo.

Dal portone di uscita, ho girato a destra quasi per caso, perché in lontananza ho visto una stradina pittoresca e una porta in fondo. In realtà, ci siamo ritrovati nel Cathedral Close, la via del Sarum college, con le targhe sulla strada in ricordo delle personalità di spicco che hanno vissuto e lavorato a Salisbury. Tra le altre, ci sono quelle di William Golding, premio Nobel per la letteratura nel 1983 maestro di scuola elementare, e Charlotte Cradock, la moglie di Henry Fielding. La donna ispirò il personaggio Sophia Western nel romanzo del marito, “Tom Jones”.

La via dei negozi

Dopo aver varcato il portone, girando a sinistra, ci siamo ritrovati in Market street, la via principale della cittadina, molto vivace e piena di negozietti. Peccato che purtroppo la domenica siano in gran parte chiusi. Abbiamo fatto solo una breve sosta da Reed, una panetteria sulla piazza che sforna pane di ottima qualità a lievitazione naturale e ci siamo seduti a mangiare un panino indubbiamente più buono di quelli pronti. Sotto a…un monumento. A mia parziale discolpa, giuro di non aver capito di trovarmi dentro un monumento, credevo fossero semplici panchine.

In realtà, ho pranzato all’interno del Poultry Cross, che originariamente delimitava l’inizio dell’antico mercato. Costruito nel 14° secolo e modificato nel 18°, si trova all’incrocio tra Silver e Minster Street ed è l’unico rimanente degli originali quattro “cantoni”. Dopo questo sacrilegio, e considerando che è ancora presto, decidiamo di raggiungere  a piedi l’Old Sarum, il sito su cui originariamente era stata edificata la cattedrale poi abbandonata.

L’Old Sarum

E’ una bella passeggiata di 3 o 4 km, che attraversa il Victoria park per poi inoltrarsi sulle colline che circondano Salisbury. Vi consiglio di farla perché offre una vista diversa della città. Sicuramente non battuta dalla maggior parte dei turisti, vi farà capire perché la chiamano la città in campagna. Arrivati lì, abbiamo trovato una sorpresa. La tariffa consigliata per visitare il vecchio castello (old castle) è piuttosto alta e il sito stava per chiudere. Abbiamo quindi preferito girare per l’area verde antistante, dove si trovano invece i resti dell’antica cattedrale. Di quest’ultima è ben riconoscibile la pianta e l’ho trovato un posto di grande pace. Se avete abbastanza spazio passateci perché merita.

Il rientro

Al ritorno, ci siamo quasi persi nei campi perché io che sono fissata e voglio sempre accorciare provando strade nuove. Perciò ho importunato un “villico” nel suo garage pur di estorcergli l’informazione che mi serviva. “Dimmi ti prego che non ci siamo persi e che non dovrò tornare indietro e riattraversare i campi”. Anche perché ha anche cominciato a piovere e di sprofondare nel fango proprio non ne ho voglia.

Finalmente, grazie alle sue indicazioni di britannico scettico convinto che gli stranieri che vaganomper i campi finiranno per perdersi, siamo riusciti a trovare Devizes Road. Che è un buon punto per parcheggiare se non pernottate o per cercare un b&b se vi fermate più di un giorno. Sempre facendo attenzione a quello che prenotate, mi raccomando.

Domani, per calmare la nostalgia canaglia che mi attanaglia, hanno promesso di portarmi di nuovo sulle scogliere. Non quelle della Cornovaglia, ma sette sorellone che vale proprio la pena di vedere…

(continua)

Jamaica Inn: leggende, fantasmi, navi pirata e l’incontro con la quinta scrittrice

Dopo un sonno ristoratore, cullati dal vento forte che a tratti ci è sembrato potesse far crollare la fattoria, ci siamo alzati la mattina di buonumore e in preda a una fame pazzesca. Dopo il cornish cream tea che la padrona di casa ci aveva gentilmente offerto la sera prima, infatti, non ce la siamo sentita di cenare. Scelte che ovviamente si pagano il giorno dopo. La colazione ci è stata servita nella sala da pranzo della fattoria, dove ci siamo ritrovati a banchettare con una full english breakfast vista oceano. Una meraviglia per gli occhi e per lo stomaco: caffè, tè, uova strapazzate, bacon, yogurt e panini fatti in casa, fragole, frutta secca, burro, miele, cereali e biscotti, con la signora che faceva avanti e indietro continuamente per assicurarsi che non fosse poco. Poco??? Sembrava un pranzo nuziale! Siamo grati per aver incontrato sulla nostra strada gente autenticamente ospitale, che ha voluto condividere con noi anche i segreti della cucina. Appena ho chiesto alla mia ospite come avesse fatto i panini, ha tirato fuori il libro di cucina e mi ha invitato a fotografare la ricetta, ha preso dalla cucina una ciotola con l’impasto in lievitazione per farmi vedere come deve venire, mi ha regalato una bustina del lievito secco che usa lei per provarci e mi ha anche chiesto di spedirle la foto dei panini per farle vedere come sono venuti. Con una certa rassegnazione, e tanti saluti festosi da entrambe le parti, ci siamo salutati e abbiamo ripreso il nostro viaggio, a pancia piena e mente leggera.

Direzione

Jamaica Inn stands today, hospitable and kindly, a temperance house on the twenty-mile road between Bodmin and Launceston.

Oggi il Jamaica Inn è una locanda che non vende alcolici e sorge, ospitale e accogliente, lungo la strada dche va da Bodmin a Launceston.

Così Daphne Du Maurier nel 1935 descriveva il pub verso cui siamo diretti nell’introduzione all’omonimo romanzo. Ed è proprio per lei che sto venendo qui, perché è un posto in cui la scrittrice, che visse a lungo in Cornovaglia, amava soggiornare e che le ha dato l’ispirazione per realizzare uno dei suoi romanzi di maggior successo, successivamente trasposto al cinema da Alfred Hitchcock in un film di grande successo.

Non è un posto di passaggio, per arrivare fin qui bisogna essere intenzionati a vederlo e, dopo averci passato qualche ora, leggere il romanzo assumerà tutto un altro sapore. Ora vi racconto perbene (spero). Siamo arrivati più o meno all’ora di pranzo in questa landa desolata, dove praticamente c’è solo questa locanda. E’ subito chiaro come e perché questa costruzione avesse assunto un ruolo centrale come snodo del contrabbando subito dopo la sua costruzione, nel 1750. Formalmente locanda per viaggiatori di passaggio, in realtà veniva utilizzata per nascondere i prodotti di contrabbando che arrivavano via mare. Pare che circa la metà del brandy e un quarto 20170819_122748_LLSdi tutto il tè che veniva contrabbandato nel Regno Unito sbarcasse lungo le coste della Cornovaglia e del Devon. Il Jamaica Inn, in particolare, si trovava in un luogo remoto e isolato, quindi ideale per fermarsi sulla strada prima di continuare verso il Devon e oltre. Nel 1778 fu anche allargato, per includere una stazione per le carrozze, scuderie e una selleria, facendo assumere all’edificio l’aspetto a L che vediamo ancora oggi. Adesso è più banalmente una tappa folcloristica, dove si può dormire, mangiare, bere birra e visitare il museo dei contrabbandieri. La taverna si chiama così non perché nascondesse il rum di contrabbando importato dalla Giamaica, ma prende il nome dalla più importante famiglia di proprietari terrieri locali, i Trelawney, in omaggio al fatto che due suoi membri furono governatori della Giamaica nel XVIII secolo. Secondo gli storici, all’epoca sulla costa della Cornovaglia abbondavano delle gang che attiravano le navi sugli scogli proiettando luci che gli armatori scambiavano per quella dei fari, per poi razziare barche e navi appena queste andavano a infrangersi sugli scogli e loro stessi venivano incaricati di disincagliarle.

Daphne Du Maurier al Jamaica Inn

La storia dei contrabbandieri è molto interessante e avevo già fatto la loro conoscenza a Polperro, Mullion, Lizard Point, Tintagel e Boscastle, ma non è questo il motivo per cui mi sono avventurata fin qui. Sono qui per la quinta delle scrittrici che sono venuta a trovare in questo viaggio letterario. Dopo Agatha Christie, Jane Austen, Virginia Woolf e Rosamunde Pilcher, stavolta voglio incontrare Daphne Du Maurier.

Il Jamaica Inn, infatti, è così famoso perché la scrittrice nel 1936 pubblicò un romanzo di grande successo incentrato proprio sulla storia IMG_6460di una giovane che, alla morte della madre, va a stabilirsi dagli zii, locandieri del Jamaica Inn, senza sapere in quali traffici loschi si troverà invischiata. La stessa autrice ha raccontato di avere avuto l’ispirazione dopo che lei e un amico nel 1930 si persero nella nebbia mentre cavalcavano e si fermarono nella notte nella locanda perché troppo pericoloso proseguire. Durante il tempo trascorso nella taverna, si dice che il parroco locale l’abbia divertita con storie di fantasmi e racconti di contrabbando. Più tardi, Daphne du Maurier continuò a trascorrere lunghi periodi presso l’Inn, parlando apertamente a più riprese del suo amore per la località. Il romanzo è poi diventato un film diretto da Alfred Hitchcock nel 1939, che l’anno successivo diresse anche Rebecca la prima moglie, altro titolo della scrittrice, e qualche anno più tardi il più famoso Gli uccelli.

Il Museo

Abbiamo visitato il museo, soffermandoci in particolare sull’ala dedicata proprio a Daphne. In sua 30memoria, i proprietari del Jamaica Inn hanno ricreato il suo studio, con la scrivania e la macchina da scrivere, insieme a un pacchetto di sigarette “Du Maurier”, chiamate così in onore del padre, famoso attore britannico, e un piatto di  mentine, le sue caramelle preferite. Ci sono poi una serie di oggetti appartenenti all’era del contrabbando e un video che ricostruisce la storia della locanda, che si dice sia infestata dai fantasmi. Secondo la credenza popolare, infatti, nelle notti più fredde, al chiaro di luna si ode il rumore dei cavalli al galoppo e delle ruote, voci che parlano in una lingua sconosciuta, cornico antico?, si scorgono delle IMG_6464ombre che sfrecciano e un uomo che appare e scompare tra le porte in abiti ottocenteschi. E cosa dire della storia più terribile? Molti anni fa uno sconosciuto sedeva al bar bevendo birra. Dopo essere stato chiamato fuori, lasciò la birra e uscì nella notte. Quella fu l’ultima volta che venne visto vivo. La mattina seguente, il suo cadavere fu trovato nella brughiera, ma le cause della morte e l’identità del suo aggressore rimangono ancora un mistero. la cosa strana, fu che in molti l’avevano visto seduto su un muretto. I padroni di casa, sentendo dei passi di notte lungo il passaggio che conduce al bar, credevano fosse lo spirito dell’uomo morto che tornava per finire la sua birra. Nel 1911, suscitò sconcerto nella stampa la notizia di uno strano uomo che era stato visto da molte persone seduto sul muro fuori dall’Inn. Non parlava, né si muoveva, né rispondeva a un saluto, ma il suo aspetto era simile a quello dello straniero assassinato. Potrebbe essere il fantasma del morto? E quale strano obbligo lo porta a ritornare così spesso al Jamaica Inn?

Ci sono davvero i fantasmi?

Vi ho spaventato? No, vero? Infatti anch’io mi sono fatta due risate. Ora però dovete avere pazienza e leggere cosa mi è successo appena uscita dal museo. Ho chiesto al ragazzo del bar di darmi una birra “leggera”. Mi sono alzata da tavola ondeggiando, in qualche modo sono arrivata al bagno e il cellulare mi è caduto nella tazza. Mentre asciugavo il cellulare sotto l’aria calda, mi è sembrato di sentire l’eco di una risata. Un contrabbandiere si è forse divertito con me?

Arrivederci Cornovaglia

Apatica e muta, tipo lo straniero assassinato, vi devo dire che la mia esperienza favolosa in Cornovaglia finisce qui. Il mio è un arrivederci, ne sono sicura, e il viaggio letterario va avanti. Lasciatemelo però affermare con il cuore in mano: la Cornovaglia è un luogo dell’anima, e se ci ho convinto a fare un viaggio come il mio che comprende delle tappe in altre regioni del Regno Unito, datemi ascolto, lasciatela per ultima. Perché dopo essere stati rapiti e ammaliati da questa terra magica, il resto vi sembrerà niente. O quasi. Domani vi racconterò di Salisbury, della Magna Charta e dell’orologio più antico del mondo.

(continua)

Leggi anche: 

Daphne Du Maurier, il lato oscuro di una scrittrice di successo

Tintagel e Boscastle, atmosfera mistica e magia

Di mattina presto, lasciamo Mullion con grande rimpianto e ci dirigiamo verso il nord della Cornovaglia. In due ore siamo arrivati a Tintagel, dove secondo la leggenda vedremo i resti del castello di Re Artù.

Il villaggio

Il villaggio è pittoresco, come tutti quelli visitati fin qui. Stavolta, abbiamo lasciato la macchina in un parcheggio a prezzo fisso, 2 sterline per l’intera giornata, evitando quelli comunali a tariffa più alta. Sulla strada per il castello abbiamo visto il King Arthur’s Great Halls e l’Old Post Office. La prima è una mostra permanente su Re Artù, ospitata dal 1933 in un edificio di granito rosa e ardesia. I visitatori possono vedere la riproduzione del trono e della tavola rotonda, nonché ben 72 vetrate su cui viene riprodotta per intero la leggenda arturiana. Il vecchio ufficio postale, invece, non è altro che un edificio del 14° secolo  che nel 19° assunse transitoriamente la funzione di centro di smistamento della posta in arrivo e in uscita da Tintagel. L’edificio è stato acquistato dal National Trust nel 1903 che ne ha fatto un museo aperto al pubblico.

Il castello di Re Artù

Entrambi sono frequentatissimi dai turisti di tutto il mondo, ma io ho preferito concentrare le mie energie sul castello e non me ne sono affatto pentita, anche perché c’è talmente tanto da vedere e da fare che volendo ci si potrebbe passare l’intera giornata. Ai resti siamo arrivati percorrendo un sentiero in discesa abbastanza lungo; A pagamento avremmo potuto evitarlo salendo su jeep messe a disposizione  dalla struttura. Noi abbiamo optato per la camminata che, se non avete problemi di deambulazione, vi consiglio fortemente.

Come salire

Dopo aver fatto il biglietto, si può salire in due modi: scalando la roccia a sinistra, oppure attraversando il ponticello a destra per poi affrontare la ripida scalinata che porta sull’isola di roccia. La seconda opzione mi è sembrata, e forse lo era, più facile, ma vi assicuro che quando il vento tira così forte come quel IMG_6418 (2)giorno e tra te e lo strapiombo c’è soltanto un esile corrimano d’acciaio, salire quei gradini è una prova di coraggio. Soprattutto per quelli come me che soffrono di vertigini. Comunque, in qualche modo sono riuscita a varcare il portone di legno d’entrata e a mettermi relativamente al sicuro.

Un luogo di meditazione

Prima di andare, qualcuno mi aveva detto che Tintagel è un luogo di meditazione. Appena arrivata in cima, mi sono accorta che è vero. Un po’ lo è tutta la Cornovaglia, perché panorami così mozzafiato non possono non costringerti a riflettere sulla presenza dell’uomo nel mondo, e anche sulla tua misera vita, più banalmente. Su queste alture, viene spontaneo sedersi su uno dei resti e riflettere, volgendo lo sguardo all’immensità dell’orizzonte. Il panorama è unico e girando per le “stanze”, in realtà ora solo dei resti ricostruiti su mappa, viene voglia di girare ogni angolazione e fermarsi stupiti a rimirare colori che non hanno bisogno di ritocchi da photoshop, mentre il vento soffia così prepotentemente che ti entra dappertutto e ti rende instabile anche mentre cammini al sicuro. L’aria di mito e leggenda si respira su ogni masso, è 20170818_140331incredibile.

La statua di Re Artù

All’improvviso, quando eravamo in alto, abbiamo fatto la conoscenza di Re Artù in persona. Sì, proprio lui! Secondo la leggenda, infatti, Re Artù nacque a Tingagel e Merlino lo nascose nel castello per allevarlo in gran segreto. Se c’è bassa marea, si può scendere sulla costa per arrivare alla grotta di Merlino, oppure, come ho preferito fare io che sono arrivata durante l’alta marea, lasciare il castello alla propria destra e incamminarsi sulla scogliera di Gleve per raggiungere, lentamente e godendosi il panorama a ogni passo, la chiesa di S. Materiana.

La chiesa di S. Materiana

Improvvisamente, ho pensato di essere finita nel bel mezzo di un film sul medioevo. La chiesa, infatti, è risalente all’11° o 12° secolo e non ha subito cambiamenti di rilievo da allora, se si escludono il rifacimento del tetto e delle finestre. E’ di fattura normanna, piccolina, e ispira un grande senso di pace e di quiete. Forse perché circondata di tombe antiche nel minuscolo cimitero annesso. In questo luogo dedicato all’eterno riposo, ho portato un saluto e un pensiero sulla tomba di Domenico Catanese, un quattordicenne napoletano che nel 1893 perì nel naufragio della sua nave sulle scogliere. Una croce di legno e un salvagente lo ricordano ai passanti. Dalla chiesa, una strada collinare, purtroppo asfaltata, senza marciapiede e molto stretta, porta in discesa verso il villaggio, al punto di partenza. Quell’unica stradina per arrivare alla chiesa, è anche la via con cui le persone non autosufficienti possono godere di un parcheggio riservato e di una bella vista sul castello, pur non potendo accedere a quest’ultimo perché oggettivamente proibitivo per chi non goda di buona salute.

Boscastle

Ammaliati da questo tripudio di bellezza in ogni senso e in ogni angolo, ci siamo spostati IMG_6426verso Boscastle, un villaggio a circa dieci minuti di macchina, che volendo si può raggiungere anche a piedi attraverso il coastal path. Qui hanno girato diverse scene del film L’erba di Grace. Tenete sempre presente, però, che nei villaggi cornici dopo le 5 del pomeriggio troverete tutto chiuso, anche in piena estate, e che il tempo cambia radicalmente, virando spesso a pioggia o a vento impetuoso.

Il villaggio di Boscastle

A Boscastle, infatti, siamo arrivati sul filo di lana, appena prima che l’intero villaggio si preparasse per la cena. Noi volevamo solo scaldarci con un cornish tea e abbiamo trovato una sola locanda disposta a prepararcelo. Rinfrancati, abbiamo passeggiato per questa bella cittadina, fiabesca nella sua atmosfera quasi notturna, arrivando fino al porto, dove nel frattempo il vento era diventato così potente da spostarci leggermente mentre camminavamo.

Libri a offerta libera

A Boscastle ho visto un’iniziativa molto carina dell’ufficio turistico: un capannone-biblioteca, con libri usati che si possono lasciare come una sorta di offerta libera e comprare con prezzo stabilito dai gestori. Solo che per pagare bisogna trasferirsi nell’edificio principale dell’ufficio turistico, quello dove si comprano mappe e souvenir. Insomma, tutto è lasciato all’onestà dei lettori, che in autonomia prendono e lasciano libri pagando il dovuto. Cosa che anch’io ho puntualmente fatto: ti pare che non possa trovare un libro interessante in un angolo sperduto della Cornovaglia?

La fattoria

Salutata Boscastle, è il momento di andare nella nostra nuova “casa”. Una fattoria, esperienza sensazionale assolutamente da provare almeno una volta. Dopo avere in qualche modo affrontato con successo una stradina minuscola che sfida qualsiasi legge di circolazione a un senso e che loro considerano a due sensi, non capirò mai come facciano, siamo arrivati in cima a una collina e siamo stati accolti dalla fattora e dalle sue mucche con grande ospitalità. Non oso 20170818_205552_LLSimmaginare che capigliatura alla medusa dovessi avere, perché lei molto carinamente ha deciso che “con tutto quel vento” avessi diritto a un bel…cornish tea! Grandissima, ovviamente non abbiamo confessato di averne appena preso uno a Boscastle e abbiamo fatto bene, perché poco dopo lei si è ripresentata con scones, clotted cream e marmellata fatta in casa. Una goduria divina. Senza contare il panorama dalla finestra della camera, che vi faccio vedere in questa foto naturale, senza l’utilizzo di filtri. Non sembrano anche a voi colori pazzeschi?

Arrivederci

Un’altra giornata fitta fitta di emozioni sta finendo. Domani lascerò definitivamente la Cornovaglia e al solo pensiero mi si spezza il cuore. Ho ancora un’ultima scrittrice che mi aspetta, al Jamaica Inn. Poi, dovrò mormorare un arrivederci a questa terra meravigliosa. (continua)

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