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David Foster Wallace e Una cosa che si suppone divertente che non farò mai più

David Foster Wallace dice in apertura che per questo reportage la rivista Harper’s Magazine gli ha dato tremila dollari a scatola chiusa. Un sogno, come per tanti è un sogno la crociera. Come mai questo tipo di viaggio si trasforma in un’esperienza da fare una volta nella vita? David Foster Wallace cercherà di scoprirlo durante le sue “sette notti ai Caraibi” sulla Zenith che promettono faville. Ma sarà proprio tutto vero? Scopriamolo insieme. 

Trama

Un reportage su una settimana di crociera ai Caraibi, commissionato a David Foster Wallace dalla rivista Harper’s Magazine e pubblicato nel 1996 col titolo Shipping Out, che diventa un saggio. Il reportage è caratterizzato dalla sua estensione a tutto campo: Wallace spazia liberamente da un’analisi sociologica dei viaggiatori e dell’equipaggio, passando per una ricostruzione dell’industria delle crociere extra-lusso, fino a giungere a un’analisi introspettiva, con una disamina delle multiformi reazioni dello scrittore di fronte al fenomeno crociera.

Un quadro sociologico

Dopo quasi 25 anni, questo reportage ha quasi dell’incredibile. Solo una penna come quella di David Foster Wallace può trasformare un racconto di viaggio in un quadro sociologico così accurato. Toccando temi come emigrazione, disuguaglianza sociale, razzismo, diversità, partendo da commenti apparentemente banali sul cibo, l’architettura della nave, i comportamenti dell’equipaggio e dei turisti in crociera, le attività organizzate. In più occasioni scappa una risata, ma è la risata contrita di chi assiste a uno spettacolo comico intelligente, che ti mette di fronte a vizi e virtù della categoria umana.

Umano, troppo umano

Anche se la categoria osservata, e in qualche modo stigmatizzata, è quella di turisti americani benestanti o facoltosi, il quadro finale riguarda la categoria umana nel suo complesso e, a mio parere, è questo a rendere il reportage una lettura godibile ancora oggi. Vi segnalo a) che consiglio la lettura e b) che potete trovare l’audiolibro gratis sulla piattaforma Raiplaysound. Quindi, niente scuse. 😉 Fatemi sapere nei commenti che ne pensate!

Ognuno tiene ben stretta la sua tessera numerata neanche fossero i suoi documenti al Check point CharlieIn questa ansiosa attesa di massa, c’è un clima da Ellis Island pre Auschwitz, ma è con disagio che faccio questa analogia. Tante delle persone che aspettano, nonostante la tenuta caraibica, mi sembrano ebree e mi vergogno di sorprendermi a pensare di poter stabilire se uno è ebreo dall’aspetto. Secondo me i luoghi pubblici della East coast sono pieni di questi brevi momenti malvagi di osservazioni razziste e rinculi interiori politicamente corretti.

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I vacanzieri – Emma Straub

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La crociera imprevista – Marie-Anne Desmarest

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Yachaejeon 야채전, il pancake coreano

Oggi vi parlo delle yachaejeon coreane. La parola Jeon (ciòn) indica genericamente le frittelle. Un po’ come i nostri “fritti misti”, anche se all’apparenza sembra più una frittata, che prende nomi diversi a seconda dell’ingrediente fritto nella pastella. Nei ristoranti coreani in Italia troverete spesso la versione con frutti di mare, Haemul Pajeon. Vi ho già raccontato che appena arrivata a Chuncheon, mi sono imbattuta in questa “sagra del jeon”, con i proprietari dei banchetti che facevano a gara per farmi avvicinare e assaggiare. Vi assicuro, ho dato soddisfazione a tutti. Ma proprio a tutti. Ne avrò assaggiati una trentina, di ogni ingrediente e colore, fiori edibili compresi. Stupendi. Accompagnati da Makgeolli, sempre offerto da loro. Stupendi già l’ho detto? Allora lo ripeto. Ho provato poi a rifarli a casa, con discreto successo, devo dire. Oggi vi presento la versione vegetariana, il yachaejeon, da yachae (iacé) verdura e jeon. Sono facilissimi da fare: se avete finito le uova, ma volete svuotare il frigorifero, questa è la ricetta che fa per voi.

Ingredienti 

  • cipolle;
  • cipollotti verdi;
  • verdura mista, tagliata fina;
  • sale e pepe, q.b.
  • farina, acqua e olio di sesamo (o vegetale) per la pastella.

Procedimento

Negli ingredienti, contrariamente al solito, non ho messo quantità precise. Questo perché la preparazione dipende essenzialmente da quello che avete a disposizione. Vanno bene zucchine, funghi, patate, ma anche spinaci, melanzane, tutto quello che avete. I cipollotti sono essenziali per dare quel gusto tipico delle preparazioni asiatiche. In una ciotola, unite le verdure a disposizione, sarebbe meglio almeno tre, tagliate fine. Se la verdura non è già condita, aggiustate di sale e pepe. La pastella è simile a quella che usiamo noi per i fritti. Farina per tutti gli usi e acqua, fino a formare una pastella densa e non troppo liquida, che scivola dal cucchiaio, ma senza eccessiva velocità. Versate la pastella nella ciotola e girate, fino ad assorbire tutte le verdure. Scaldate l’olio in una padella e, quando è caldo, versate in un colpo solo le verdure. Appiattite e distribuite fino a renderla uguale a una frittata e seguite lo stesso procedimento per girarla quando sotto si sarà abbrustolita, dopo circa 5 minuti. Quando entrambe le parti saranno brunite, fate scivolare su un piatto da portata.

La salsa di accompagnamento 

A me non piace, quindi non la preparo mai. Se volete, però, rispettare l’usanza asiatica, la yachaejeon andrebbe accompagnata con questa salsa, preparata e fatta riposare prima di iniziare a preparare la frittata: 

  • salsa di soia, 1 cucchiaio
  • aceto bianco,  2 cucchiaini 
  • semi di sesamo tostati, 1 cucchiaino 
  • peperoncino, facoltativo

Cosa ve ne pare? Facile, no? Se avete verdure da finire e un antipasto sfizioso da presentare,  la yachaejeon vi aspetta! Fatemi sapere come viene e se vi è piaciuta, mi raccomando! 

Viaggio in Corea del Sud: Winter Sonata a Chuncheon

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Perdersi a New York tra libri, tramonti e gospel

New York. Dicono che per ritrovarsi bisogna perdersi. E dove farlo se non in una Grande Mela? Vedo e sento troppe persone preoccupate di “cosa fare” a New York. Io vi dico: il problema non si pone! Perdetevi e lasciatevi trasportare da questa megalopoli così viva ed entusiasmante. Qui vi do solo qualche cenno di quello che potreste fare. Prendete spunto, però ricordatevi: in posti come questo, programmare il meno possibile e perdersi tra le vie, è l’unico modo per assaggiare, perché il tempo è troppo, troppo poco. Non vi parlerò delle mete classiche, quelle le scoprirete da soli. Vi racconto alcune chicche che ho scoperto mentre cercavo di perdermi. Alcune, vi assicuro, sono imperdibili. Altre, come il Tour di Sex and the City, indimenticabili. New York è una città senza mezze misure: o si ama o si odia. Inutile dirvi io da quale parte sto. Buon viaggio!

A piedi nudi nel parco

Central Park
John Lennon

Impossibile andare a New  York e non passare per questo parco. Vi consiglio una bella e lunga passeggiata all’interno. Io sono entrata dalla parte dello Strawberry Fields Memorial, dedicato alla memoria di John Lennon. Il nome si ispira naturalmente alla canzone Strawberry Fields Forever dei Beatles. Indirizzo: W 72nd St. In realtà si tratta di un mosaico posato a terra che si trova nei pressi del Dakota Building, il palazzo in cui il cantante viveva a New York con la moglie Yoko Ono e all’entrata del quale venne ucciso nel 1980. Il mosaico si trova vicino all’entrata e lo riconoscerete perché c’è un menestrello che canta le canzoni dei Beatles, quasi sempre seguito in coro dai fan che lasciano un fiore o fanno foto ricordo. Curiosità: sempre da quell’entrata, se guardate le panchine ne vedrete una dedicata a Bruce Paltrow, regista e padre di Gwineth.  

Loeb Boathouse 

Da lì, potete spostarvi in diverse direzioni, le possibilità sono infinite. Per esempio, potreste finire nei presi della Loeb Boathouse, soprattutto se siete a caccia di un posto unico per pranzare. Si affaccia su un laghetto all’interno di Central Park ed è il ristorante in cui Carrie e Mr. Big di Sex & the City si incontrano a pranzo dopo la fine del matrimonio di lui  e della relazione di lei con Aidan,  ma cadono entrambi nell’acqua per l’imbarazzo di salutarsi. E’ molto scenografico e si presta per belle foto ricordo, anche perché sicuramente l’avrete visto in mille film.

Jacqueline Kennedy Onassis Reservoir

Oppure, per un colpo d’occhio senza pari, potreste avvicinarvi al Jacqueline Kennedy Onassis Reservoir, in origine un bacino idrico per la distribuzione dell’acqua ormai in disuso. Se vi piace correre, è il posto che fa per voi, perché qui c’è un anello di circa 2,5 km intorno a cui allenarsi. E’ stato dedicato a Jacqueline Kennedy perché era una sua abitudine correre intorno al laghetto e perché poteva vederlo da casa sua, sulla Fifth Avenue. Lasciamo da parte l’invidia per un momento e andiamoci anche noi a gustare, nel nostro piccolo, questo gioellino di ingegneria. 

The Mall & Literary Walk

Non c’è neanche da dirlo, ma ve lo dico lo stesso. Qui ci dovete assolutamente passare, direi che è obbligatorio. Intanto, per la scenografia degli immensi olmi americani che costeggiano la passeggiata, la Promenade, come la chiamano i newyorchesi. Ma soprattutto, per l’atmosfera che si respira, di chiacchiericcio, passeggiate senza fretta, sport, vita all’aria aperta, flora e fauna spettacolare, sopratuttto con i colori autunnali. Il tutto, condito dai richiami letterari delle statue che osservano tutto questo viavai senza battere ciglio. Viavai che dura da secoli, perché in origine questo era l’unico tratto rettilineo del parco ed era stato pensato per conserire all’élite cittadina di scendere dalle carrozze e passeggiare a piedi fino a raggiungere la Bethesda Terrace, dove i cocchieri andavano a riprenderli. Se affittate una carrozza, potreste rivivere un po’ di questa magia.

Bethesda Terrace

Anche questa tappa è imprescindibile. Bethesda Terrace è il cuore pulsante del parco, perché qui si incrociano le strade e i sentieri. La terrazza è strutturata su due livelli, una piazza circolare con una fontana al centro,  Bethesda Fountain, collegata a una terrazza tramite due scalinate. Dalla terrazza si gode di un bel panorama sul lago e le barche a remi, che chiunque può affittare e che solcano pigramente le acque.

Bryant Park

E’ il parco pubblico più centrale di New York. Se passate da New York prima di Natale (da autunno inoltrato) troverete un villaggio molto carino, pista di pattinaggio inclusa. Anche se piccolino rispetto agli altri, è il mio preferito, anche perché si trova a due passi dalla New York Public Library, LA biblioteca di cui vi ho già parlato e di cui vi riparlo sotto. Infatti ci sono sempre molti studenti che sfacchinano sui libri. Ovviamente, proprio perché così vicino al tempio della lettura pubblica, non potevano non esserci richiami letterari. Il parco, infatti, si chiama così perché è intitolato al poeta e giornalista William Cullen Bryant (1794-1878). All’interno,oltre a una statua eretta in suo onore, ci sono anche i busti di Goethe e Gertrude Stein. Passateci, anche solo per un caffè.

Washington Square Park

Il motivo per cui adoro New York? La gente. Come il signore che mi ha fermato in questo parco per scambiare due chiacchiere e raccontarmi cose interessanti. Per esempio, che negli anni ’50 Jimi Hendrix veniva a suonare qui. Che negli anni ’90 Washington Square Park è diventato il centro del rap e che, vicino alla fontana, in certe sere possono esserci anche venti gruppi che suonano nello stesso momento. E che qui sarebbe nato il frisbee. Prendo tutto con le molle, sarebbero informazioni da verificare, ma capite che fortuna poter bere notizie da guide improvvisate incontrate per caso? Se sapete di più su questi fatti, scrivetemi nei commenti, mi raccomando! 

Messa gospel

Harlem

La messa gospel è un’esperienza da fare, se rimanete in città abbastanza per vivere una domenica diversa dal solito. Ci sono diversi tour che la propongono. Io ho scelto quello del mio albergo, che mi ha portato prima a vedere la Columbia University e poi a fare una passeggiata per Harlem, partendo dall’Apollo teather, un monumento per chi ama la musica. Da qui, siamo arrivati alla Memorial Baptist Church. Devo dire che mi aspettavo un’esperienza completamente diversa, più “turistica” diciamo. Invece, mi sono ritrovata all’interno di una messa vera, guidata da un pastore donna (giuro che non lo sapevo!) che i fedeli sentono completamente, fino quasi a cadere in tranche. Le scene sono ancora vivide, come lo sguardo della parrocchiana che mi ha guardato malissimo perché ho solo azzardato il gesto di tirare su la macchina fotografica. Vi diranno, infatti, che fotografare è proibito, come è proibito mescolarsi alla folla che assiste alla messa, i turisti rimangono infatti in un’area riservata, e che è possibile assistere solo alla prima parte della funzione. I fedeli rimarranno lì tutto il giorno e mangeranno insieme. Peccato, mi sarebbe piaciuto rimanere fino alla fine. Quando siamo risaliti sul pullman, una delle bambine che ha partecipato al tour era visibilmente turbata. Tenetelo presente se viaggiate con minori, chiedete informazioni precise agli organizzatori del tour.

Fare due tiri

Madison Square Garden

A me il basket non piace, mi direte. Male 😉 A parte gli scherzi, non è importante che siate appassionati di sport. Vi consiglio comunque di comprare un biglietto e andare a vedere una partita. Perché lo spettacolo non è in campo, ma fuori, tra gli spettatori e le attività che vengono organizzate per intrattenerli. Passare la domenica a vedere una partita, infatti, è un’attività pensata per tutta la famiglia, non come in Europa, dove spesso è un piacere solitario. Negli Stati Uniti diventa, né più né meno, come una gita fuori porta. Quindi, l’evento è pensato in funzione di questo, con diversi momenti di pausa, una durata più lunga di quella cui siamo abituati, e tanti spettacolini per divertire il pubblico. Non potete farvi mancare un’esperienza del genere, comprate il biglietto, acquistate il primo (di tanti) hotdog e mettetevi seduti. Divertimento assicurato.

Barclays Center di Brooklyn

Se al Madison Square Garden non c’è posto, o se nel vostro giro fate tappa a Brooklyn, per la serata sport potreste optare per il Barclays Center di Brooklyn, che io ho visto solo da fuori, anche se sono sicura che dentro ci sia il mondo. Un pomeridiano con i Brooklyn Nets e poi via, a guardare il tramonto. 

Guardare il tramonto

Brooklyn Heights Promenade

Se andate a New York con l’intenzione di dichiararvi, questo è il posto che fa per voi. Romantico? E’ dire poco. Se mi avete dato ascolto e avete camminato sul ponte di Brooklyn e poi vi siete fatti una passeggiata per il quartiere, magari arrivando a Dumbo (vedi sotto), cercate di calcolare bene i tempi per trovarvi qui subito prima del tramonto. Potrete gustarvi coppie, modelli o studenti che fanno fotografie, potrete sorseggiare un bell’aperitivo e perdere oziosamente tempo osservando i fotografi che sistemano i cavalletti e fanno prove di scatto. Cos’ha di speciale questo posto? Da qui potrete godere di una vista magnifica della parte sud di Manhattan e dello skyline. Il sole tramonterà dietro la Statua della Libertà e, da quel momento in poi, cominceranno ad accendersi le luci dei grattacieli, una dopo l’altra, fino a formare un reticolato di luci sfavillanti. Se amate la fotografia, potrete scattare una serie di foto via via che l’illuminazione artificiale e il buio naturale salgono. E’ molto suggestivo, fidatevi. E pieno di baretti dove ordinare una birra, o quello che volete, prima di rimettervi in marcia. Andateci e poi scrivetemi nei commenti se ne è valsa la pena, ci conto!

Andare per mercatini

Chelsea

Per il mio ultimo viaggio a New York, ho scelto come quartiere-base Chelsea, che secondo me unisce uno spirito vivace e fresco a un buon rapporto qualità-prezzo per gli alloggi, con una prevalenza di case basse a mattoni rossi che io adoro e che fanno molto vecchia New York. Chelsea Market si trovava a due passi dal b&b in cui ho dormito e riposato e sono riuscita ad andarci un paio di volte. Il Mercato sorge sull’antica fabbrica della Nabisco (National biscuits company), che ha tra i marchi Oreo, Oro Saiwa e Ritz, per citare i più conosciuti, che aveva stabilito qui il suo stabilimento nell’Ottocento per approfittare dello strutto di maiale. All’epoca, infatti, i treni della High Line servivano i macellai all’ingrosso che fiancheggiavano le strade sotto i binari e raffreddavano le loro provviste con blocchi di ghiaccio del fiume Hudson. L’architettura odierna richiama il passato e si armonizza perfettamente con gli edifici circostanti. Vale la pena di farci un salto, magari per pranzo, c’è una scelta varia, non solo di cibo, e i negozi sono tutti piacevolmente allestiti. L’atmosfera glamour è garantita anche dai visitatori, che magari si mettono a disegnare nella hall o a leggere il giornale seduti davanti a un caffè. 

Soho

Il SOHO Market si trova al 435 di Broadway ed è come i mercati che sono di moda anche in Europa. Vestiti, cosmetici,  attrezzature per la rasatura e di tutto un po’. Potrete trovare qualche souvenir originale da portare a casa, o semplicemente divertirvi a girare tra i banchi e i rivenditori.

Cadman Plaza e Columbus Park

Tra Cadman Plaza e Columbus Park c’è un mercato di frutta e verdura a prezzi più che ragionevoli. Se dopo qualche giorno vi sentite stanchi di mangiare schifezze super lussuriose, affacciatevi. Scoprirete che mangiare sano a New York non è poi così difficile. Potrete poi proseguire la passeggiata dentro il Columbus Park, uno dei preferiti dalle coppie per le foto di fidanzamento. Oltre alla riva del fiume, naturalmente. 

A caccia di libri

Strand

E’ la mia libreria preferita, senza alcun dubbio. Quegli scaffali esterni dove potenzialmente trovare di tutto, sono una droga. E’ molto fornita anche all’interno, ma spulciare i libri all’esterno, con la gente che ti passa accanto frettolosa, non ha prezzo, anche perché le gemme a poco prezzo è qui che si trovano. Sul marciapiede, ho trovato una copia di Anna di Tetti verdi e di Fragments di Marilyn Monroe a un prezzo ridicolo. Consigliatissima.

Public Library

La New York Public Librarnon è una biblioteca. E’ LA biblioteca. Non solo per l’immensità dell’edificio, che comunque colpisce, ma anche per la vastità dei titoli che si possono trovare. E’ un servizio che veramente mi fa invidiare i cittadini newyorchesi. Avete presente i film in cui il protagonista si mette a fare ricerche per conto suo? Ecco, se mi capitasse un fatto del genere è proprio lì che vorrei andare. Se ci passate, e ve lo consiglio caldamente, fermatevi davanti a un computer e digitate un titolo a caso, non serve iscrizione. Lo troverete.

biblioteca ny entrata logo

Books are magic

Se passate dalle parti di Brooklyn, e lo farete se seguirete il consiglio che vi ho dato sopra sul tramonto, date un’occhiata alla libreria di Emma Straub Books are magic, che sembra molto carina e attiva! Chi è Emma Straub? E’ la figlia del più famoso Peter Straub, che tutti gli amanti di letture horror conoscono molto bene, e anche la scrittrice di un romanzo che ho commentato qualche tempo fa, I vacanzieri

Scene da film

Katz Deli (Harry ti presento Sally)

Sono passati 33 anni dall’uscita di Harry ti presento Sally e quella scena è ancora nella mente e negli occhi di tutti gli appassionati di commedie romantiche. E’ assolutamente obbligatorio fare una capatina da Katz Deli e sperare che il tavolo di Sally e Harry sia libero. Perché chi riesce a rifare la scena dell’orgasmo messa in piedi da Meg Ryan, mentre Billy Crystal la guarda sconsolato, e “raggiunge” la stessa intensità 🙂 vince un applauso! Ma cosa aveva preso Sally? Un semplice panino col tacchino. Dice il proprietario che se avesse scelto il panino col pastrami non avrebbe finto…haha! Io ci sono stata e ho preso proprio il panino col pastrami. Non ho avuto reazioni eccessive, ma che merita è vero. Quindi, passateci. Indirizzo: Katz Deli, 205 East Houston Street (angolo Ludlow St)

Dumbo

Se state pensando all’elefantino Disney, siete fuori strada. In realtà si dovrebbe scrivere D.u.m.b.o., perché è l’acronimo di Down Under Manhattan Bridge Overpass, cioè Giù sotto il cavalcavia del ponte di Manhattan. Se siete fan di Noodles e di C’era una volta in America, siete “costretti” ad ammassarvi in mezzo alla strada,  all’incrocio tra Washington St. e Water St., come decine di altre persone, per catturare in una foto la famosissima locandina del film di Sergio Leone. Sperando che qualcuno attraversi improvvisamente la strada con falcata decisa. 

CUVIA__

A parte il film che l’ha reso celebre, Dumbo è una buona tappa per mille motivi. Innanzitutto, per la sua architettura, composta prevalentemente di ex fabbriche e magazzini che ne denunciano l’origine come quartiere industriale. E poi per le piccole gallerie d’arte e negozietti che lo caratterizzano. Tornando ai film, qui gli appassionati di boxe troveranno anche la Gleason’s Gym, la palestra fondata nel 1937 in cui si sono allenati praticamente tutti i campioni mondiali di questo sport, tra cui Mohammed Alì, Jake LaMotta, il «Toro Scatenato» sempre di Robert De Niro, Mike Tyson, Roberto  Duran, Larry Holmes, Hector Camacho, Julio Chavez, Tommy Hearns. 

Se ci andate nel pomeriggio, verrebbe bene l’accoppiata Dumbo e Brooklyn Heights Promenade (vedi sopra “Guardare il tramonto”).

Daily Bugle Building

I fan avranno già capito: Spiderman. New York è un set vivente, camminando e guardandovi intorno, penserete a ogni incrocio, ogni parco, ogni semaforo e ogni palazzo, “questo l’ho già visto”. E sicuramente l’avrete visto in qualche film o serie. Questa per me è stata una foto e una scoperta casuale, mi piaceva il panorama e ho scattato. Solo dopo ho capito cosa mi aveva attirato: è l‘edificio utilizzato per gli uffici del Daily Bugle nei film di SpiderMan. In realtà, si chiama Flatiron e si trova nel Flatiron District. E’ stato costruito all’inizio del XX secolo e completato nel 1902.

Broadway

Una cosa divertente che rifarò, come NON farebbe David Foster Wallace, è presentarmi al bottheghino last minute in Times Square per un musical, fare la fila e vedermi chiudere la serranda in faccia “sorry, stiamo chiudendo”…con la gente in fila! Poco male, un po’ più avanti mi ha avvicinato un bagarino e, dopo una serrata trattativa, ho strappato un prezzo più che accettabile per Il fantasma dell’Opera di Andrew Lloyd Webber per la sera stessa. Che dirvi, un musical a Broadway va visto almeno una volta nella vita, c’è l’imbarazzo della scelta. Se poi non avete tempo, non vi piace, non parlate inglese abbastanza bene da seguire uno spettacolo, c’è questo delizioso ristorante, sempre a Times Square, dove i camerieri sono cantanti/ballerini e intrattengono le persone sedute al tavolo in maniera scherzosa e piacevolissima. Oltre a essere molto bravi, è quasi inutile specificarlo. Si chiama Ellen’s Stardust Diner ed è arredato in stile anni ’50. Infatti, quando ci sono stata io, la coppia di camerieri ha intonato una canzone di Grease. Divertente, ve lo consiglio. Lì vicino, c’è anche Junior’s, dove fanno un’ottima New York Cheesecake. Loro dicono la migliore, ma chi non lo direbbe? Se siete girandole e non avete proprio tempo di fermarvi a mangiare qualcosa seduti, c’è sempre Gray’s Papaya, l’hotdog più buono di New York

Exit & The City

Coney Island

In autunno a Coney Island c’è il deserto. Ed è proprio per questo che ve la consiglio. Se vi capita una giornata di sole, fatevi lasciare dalla metropolitana nell’ultima fermata utile (ci vorrà circa 1 ora per arrivare) e concedetevi una bella passeggiata rilassante su una spiaggia immensa e completamente libera. I divertimenti sono lasciati in pausa e potrebbero mettere anche una sorta di malinconia, un po’ come descrive Loredana Bertè nella sua “Il mare d’inverno”, ma l’effetto relax è garantito. Quando ci sono andata io, ho potuto contare le persone sulle dita di una mano, due o tre hanno approfittato per sdraiarsi a prendere il sole, gli altri a passeggio sulla battigia. Vi consiglio questa breve fuga se rimanete abbastanza giorni per allontanarvi da Manhattan o se non è la prima volta che visitate New York.

Wave Hill

Questa è una gita fuoriporta inusuale, ma se vi piacciono i giardini e avete in programma, che so, di visitare il Bronx o lo Yankee Stadium, potreste allungarvi per un po’ e andare a visitare questa tenuta. Io ho scelto un giorno pessimo, pioggia a catinelle, ma mi è piaciuto lo stesso. Anzi, forse l’acqua ha dato quel qualcosa in più all’atmosfera. Wave Hill offre una vista magnifica sul fiume Hudson dal belvedere, un bell’edificio in pietra, in passato affittato per l’estate da gente come Roosevelt, Mark Twain, Arturo Toscanini, un giardino botanico con specie rare, un museo privato, un caffè che vende prodotti biologici, un piccolo negozio per portare a casa semi come souvenir. Una bella passeggiata nella natura, se il tempo a disposizione lo consente. Magari prima di una partita di baseball.

Staten Island

Il traghetto per Staten Island è una delle furbate di chi non vuole perdere troppo tempo per salire sopra la Statua della Libertà, ma vuole comunque fotografarla da una buona prospettiva, cioè dal traghetto gratis che fa la spola a tutte le ore del giorno e, parzialmente, della notte. Già che c’ero, ho approfittato per allungare il giro e arrivare al Museo di Meucci e Garibaldi, che nel periodo americano hanno coabitato in questa casa, si può dire sperduta? Ancora oggi, arrivarci non è proprio facilissimo, tanto che per trovarlo mi sono dovuta affidare all’autista dell’autobus, che mi ha detto “forse ho capito dov’è”. Dopo mezz’ora e più di tornanti e signore di colore curiosissime che m’invitavano a sedermi accanto a loro ridendo, per sapere dove caspita stessi andando con la mia macchina fotografica al collo e l’aria smarrita, bè, ammetto di avere avuto seri dubbi. E invece, l’autista sapeva il fatto suo e mi ha scaricato davanti al Museo…chiuso per riposo settimanale! Nooo, non potevo crederci, così mi sono attaccata al campanello. Incredibile, mi hanno aperto, tutti felici che qualcuno cercasse il museo e sì, insomma, è il giorno del riposo settimanale, ma ormai è arrivata fin qui…è per momenti come questi che amo New York. I cimeli non sono tantissimi, ma d’altra parte non sono molti neanche al Museo della Repubblica romana di Roma, quindi che pretendere? E’ comunque una visita interessante per i trascorsi dei due. L’entrata è libera, con offerta, sempre libera. Se volete mantenerlo in vita, fateci un salto.

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Il giardino d’inverno di Bomarzo

Il giardino di Bomarzo è sacro o mostruoso? Questo è il dilemma che affligge da anni i visitatori di questo museo così particolare. E’ proprio il caso di ribadire che tutto dipende da come guardi il mondo. Il perché ve lo spiego subito, venite con me a scoprire Bomarzo e i suoi misteri, ideali per una breve scappatella invernale.

Voi che per il mondo andate errando…

Voi che pel mondo gite errando vaghi di veder meraviglie alte et stupende venite qua dove son faccie horrende, elefanti, leoni, orsi, orche et draghi” è la frase che accoglie chi visita il Parco dei Mostri di Bomarzo. A leggerla oggi, la frase suona ironica. Caro Vicino Orsini, è proprio perché non posso errare per il mondo che sono giunta fino a te! La strada per arrivare al parco era immersa nella nebbia e un tantino lugubre. All’ingresso, hanno anche controllato il greenpass, pur essendo un luogo completamente all’aperto e che favorisce il distanziamento naturale. “E’ perché siamo considerati museo”, mi spiegano alla cassa. E anche un tantino esoso come museo: 13 euro che dovrebbero, e sottolineo dovrebbero, servire a manutenere il giardino in ottimo stato. 

Sacro o dei mostri?

Finite le critiche, ora vi racconto la passeggiata, che è stata molto piacevole. Vi dicevo all’inizio che la “critica” si spacca in due. Chi lo considera mostruoso, chi lo considera sacro. Da che dipende? Dipende dalla prospettiva con cui osserviamo la costruzione. Se il visitatore è religioso, troverà ispirazione religiosa, se si fa prendere dall’atmosfera esoterica, lo troverà “mostruoso”. In realtà, la tesi più accreditata oggi è che gli elementi del parco siano null’altro che dipendenti dalla volontà del suo possessore e che rappresentino, visti nel complesso, una sorta di “autobiografia” per immagini. Il che, se ci pensate, è un’idea affascinante: secoli dopo, noi giriamo per il bosco, cercando di farci un’idea del suo ideatore.

Chi era Vicino Orsini?

Pier Francesco Orsini, detto Vicino come vezzeggiativo familiare, era il figlio di Giancorrado e della seconda moglie, Clarice Orsini, che però si allontanò da casa quando i figli erano ancora piccoli. Vicino sposa Giulia Farnese e subito dopo il matrimonio si dedica alla carriera militare fino al 1557, quando si ritira a vita privata nel suo palazzo di Bomarzo, dopo aver girato in lungo e largo per l’Europa. E’ in questo momento della sua vita che decide di progettare il Sacro bosco, progetto che riceve nuova spinta dalla morte della moglie e dalla delusione per le vicende politiche in cui si era ritrovato come militare. E’ un po’ come se il bosco fosse per Vicino un suo buen retiro dalla società e dalla vita pubblica. Complice anche la contemporanea costruzione del cugino ricco, Alessandro Farnese con la sua sfarzosa dimora di Caprarola, Vicino probabilmente volle un luogo seminascosto da cui osservare dal basso gli opulenti possedimenti di quel ramo della famiglia. 

Arte o inganno? 

Tratteggiare, anche velocemente, la personalità di Vicino è fondamentale per cercare di capire quello cui ci troviamo di fronte. Forse ci sta prendendo in giro? All’ingresso, una sfinge reca questa scritta: “Tu ch’entri qua pon mente / parte a parte /e dimmi se tante /maraviglie / sien fatte per inganno / o pur per arte”. Dove finisce l’inganno e inizia l’arte? Pensateci, di solito è un tema che emerge quando si discute di arte moderna. In questo caso, il tempo ha dato risposta? Me lo direte voi. Per quanto mi riguarda, direi di aver trovato la mia risposta. Il bosco è un’allegoria della vita e delle esperienze di Vicino, niente di più e niente di meno. La compagnia e il nascondiglio che il nobile ha riservato ai suoi ultimi anni di vita. Un po’ come fa uno scrittore quando scrive un libro, trasfigura le sue esperienze e dà loro forma. Vicino l’ha fatto con la natura e creazioni dell’uomo, dando vita a un unicum nel suo genere. Se osservate statue, animali e costruzioni in quest’ottica, potrete idealmente vedere Vicino passeggiare accanto a voi. E forse ridere di qualche espressione sconcertata.

L’itinerario

Il percorso all’interno del Bosco sacro di Bomarzo non è obbligato, ma abbastanza indirizzato dalla mappa che consegnano alla cassa. Ci sono 40 elementi e ora vi darò una rapida panoramica di quelli che mi hanno colpito di più. Poi sarete voi nei commenti a dirmi quali vi sono rimasti impressi e perché.

Il fier gigante

Un gigante anche nelle dimensioni, ritratto mentre sbatacchia a terra un avversario. Vicino in una sua lettera lo chiama Orlando, facendo presupporre con ragionevole certezza che abbia tratto ispirazione proprio dai versi dell’Ariosto: “Ma quel (Orlando) nei piedi, ché non vuol che viva, / lo piglia… / e quanto più sbarrar puote le braccia, /le sbarra sì, ch’in duo pezzi lo straccia”.

La casa pendente 

Potrebbe sembrare il frutto di una stravaganza architettonica di Orsini. Invece, un po’ come è successo alla Torre di Pisa, la pendenza è semplicemente frutto di un cedimento del terreno, nessuna ipotesi fantasiosa è concessa. Quale avrebbe dovuto essere la funzione di una casetta così ridotta, è invece ancora oggi un mistero. Forse, un luogo di riposo o di svago per gli ospiti del giardino, o per il padrone stesso. Comunque, è possibile entrarci, ma attenzione perché se soffrite di vertigini si faranno sentire.

L’orco

L’orco è abbastanza impressionante, tanto più che con quella bocca spalancata e gli occhi vuoti, ti invita a salire le scalette per entrare all’interno. E tu lo farai, certo che lo farai. Gli studiosi hanno pensato per anni che fosse un riferimento all’Inferno di Dante. Invece no, oggi sembra più rifarsi alle maschere tragiche della classicità, o a quelle etrusche della zona di Cerveteri, poco distante dal viterbese (anch’io ho una collana da qualche parte). Una volta dentro, vi troverete in una stanza con una tavola al centro e i sedili scolpiti nella pietra. “Ogni pensier vola“, la scritta incisa sul labbro superiore, mi ha fatto pensare a un posto dove perdersi, senza pensare a niente. Magari con una bottiglia di vino, da qui la necessità di un tavolo. Ma sono solo mie fantasticherie, nulla più.

Cerere, Nettuno e la ninfa dormiente 

Su questo trittico, altro che il pensiero vola. Ho proprio creato un romance. Allora, in una piazza quadrata si trovano Nettuno a capotavola, Cerere all’altro capo, spostata su un angolo, e la ninfa dormiente fuori dalla piazza, nei pressi di Nettuno ma seminascosta, con un cane a farle compagnia e da guardia. Ovviamente, con la fantasia galoppante che mi ritrovo, per quanto mi riguarda rappresentano Vicino, la moglie Giulia e la giovane amante di Vicino, che esisteva veramente e gli fu accanto dopo la morte della moglie. Oppure, potrebbe essere Adriana dalla Roza, una giovane romana conosciuta a Venezia in gioventù e di cui si era innamorato. Chissà. Che ne pensate di questa libera interpretazione delle tre statue?

Vi piace l’idea di visitare il Bosco di Bomarzo? Conoscete altri giardini o boschi interessanti da visitare? Datemi suggerimenti nei commenti!

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Buda e il bar dove si rifugiava Sissi

State guardando Sissi, la miniserie su Canale 5? In sintesi, la serie racconta gli anni dell’adolescenza della futura imperatrice. La giovane e spensierata duchessa Elisabetta, “Sissi“, in Baviera si innamora di Franz Joseph I D’Austria e lo sposa. È elogiata come la donna più bella d’Europa, ma si sente sempre più sola e rinchiusa alla corte imperiale di Vienna. E cosa faceva Sissi quando si sentiva persa e sola? Vi stupirà sapere che faceva quello che fanno milioni di donne in tutto il mondo! Continuate a leggere e vi racconterò questa storia semisconosciuta su una delle nobili più iconizzate della storia cinematografica.

Il castello reale di Gödöllœ

Nel mio ultimo viaggio a Budapest, Viaggio nei caffè letterari di Budapest, sono tornata a Buda, che è indubbiamente il mio posto preferito nella capitale magiara, perché guardare il tramonto dall’alto, con i colori arancio-rosa del cielo che si riflettono e si fondono con il castello, i ponti e il Danubio, per me è qualcosa di unico e andrebbe visto almeno una volta nella vita.

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Ma non divaghiamo e torniamo a Sissi. Proprio a Buda si trova il castello reale di Gödöllœ, il più grande e sfarzoso edificio barocco d’Ungheria, dono d’incoronazione del popolo ungherese ai sovrani d’Asburgo. Anche conosciuto come la “Versailles ungherese”, anche se personalmente odio non poco questi paragoni, era la residenza estiva dei sovrani e la preferita di Sissi. Gravemente danneggiata durante la seconda guerra mondiale, è stata restaurata e aperta al pubblico alla fine degli anni novanta. Sissi e la famiglia vi trascorrevano diversi mesi all’anno e, col tempo, Gödöllœ diviene il rifugio di Sissi. Se state seguendo la fiction, saprete che Sissi soffriva terribilmente le imposizioni di corte. Qui, invece, era lasciata più libera. 

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Ruszwurm cukrászda

Ma dove andava l’imperatrice quando non ne poteva più? Si rifugiava nel Ruszwurm cukrászda, o Confetteria Ruszwurm, per mangiarsi in santa pace un pezzo di torta, accompagnato da una cioccolata calda.

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Proprio così donne, Sissi una di noi. Si dice che a volte sparisse e qualcuno della corte andasse a cercarla lì, per riportarla indietro, costringendola a lunghe sedute di ginnastica per rimettersi in forma. Altre storie, meno edificanti, dicono che Sissi soffrisse di problemi alimentari e che fosse lei stessa a punirsi, o che avesse un amante e comprasse dolci per lui.

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Perché sceglieva proprio questa caffetteria? L’ambiente è più spartano rispetto agli altri caffè di moda di cui vi ho parlato nel post precedente, come potete vedere nelle foto. Forse, Elisabetta sceglieva questa confetteria perché più riservata, ma famosa per le sue leggendarie paste alla crema. Che secondo me comprava per se stessa, solo per riprendere fiato da una vita stressante. Chi di noi ogni tanto non prova questa sensazione di soffocamento? Un angoletto per se stessi spesso è la soluzione agognata.

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Voi che ne pensate? Vi convince come teoria? Sia come sia, vi consiglio di passarci e giudicare voi stessi se le paste meritano o no 😉

SiSi Day 4

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