I 100 presepi, sempre a proposito di tradizioni, sono ormai una certezza nel periodo di Natale. Quest’anno il Vaticano ospita la quinta edizione della mostra, 100 presepi provenienti da ogni parte d’Italia e del mondo, che si “sfidano” a colpi di originalità e sapienza, per essere decretati “il più bello” dai visitatori che ogni anno affollano il colonnato per ammirarli. Ma vediamo qualche foto. E sbrigatevi: avete tempo solo fino all’otto gennaio, altrimenti dovrete aspettare l’anno prossimo!
Il presepe Atac
Parto dal mio preferito: il presepe Atac. L’autista che porta nel suo autobus una sorta di Arca di Noè umana e non, antico romano compreso, mi è sembrato molto significativo come messaggio. Anche se l’azienda di trasporti ci fa impazzire nella vita di tutti i giorni, e infatti l’antico romano sembra inveire contro qualcuno…hahaha, nella creazione di questo manufatto hanno fatto veramente un bel lavoro.
La guerra
Non può mancare un riferimento alla guerra in Ucraina, con un presepe tematico che rappresenta distruzione e soldati invece del tipico villaggio con abitanti.
Rappresentanza estera
Nutrita la rappresentanza estera quest’anno. Hanno inviato i loro presepi Taiwan, Malta, Croazia, Slovenia, Slovacchia, Ungheria, Ucraina, Venezuela, Guatemala.
Informazioni pratiche
La mostra è allestita presso il Colonnato di Piazza San Pietro dal 9 dicembre 2022 al 8 gennaio 2023. E’ aperta tutti i giorni dalle ore 10:00 alle ore 19:30, con ingresso gratuito e consentito fino a 15 minuti prima dell’orario di chiusura.
Joseph Conrad rappresenta un caso più unico che raro nel panorama letterario mondiale. Dentro vi spiegherò perché. Intanto, vi dico che sono tornata a leggere libri sul treno! Quanto tempo è passato dall’ultima volta che ho letto un romanzo tra andata e ritorno? Troppo. Stavolta è stato più facile. Cuore di tenebra di Joseph Conrad è un racconto intenso. Vola via, come le ore di viaggio…
Trama
Marlowe racconta di aver avuto l’incarico di sostituire un capitano fluviale ucciso dagli indigeni nell’Africa centrale. Si imbarca su una nave e, giunto alla stazione della compagnia, vede come gli indigeni muoiano di stenti e di sfruttamento. Dopo un lungo viaggio di duecento miglia sul fiume rintraccia Kurtz, un leggendario agente capace di procurare più avorio di ogni altro. In realtà Kurtz, uomo solo e ormai folle, è quasi morente. Sul battello che lo trasporta, pronuncia un discorso che non può nascondere “la tenebra del suo cuore”.
Un caso più unico che raro
Vi ho detto in premessa che Joseph Conrad rappresenta un caso più unico che raro. Il perché è presto detto: ha scritto dei capolavori in inglese pur non essendo di madrelingua inglese! Incredibile. Joseph Conrad nasce, infatti, in Polonia ed emigra in Gran Bretagna da adulto. Altra nota biografica per comprendere Cuore di tenebra, si arruola in marina. Quello che racconta, è probabilmente quello che ha visto.
La tenebra del colonialismo
E veniamo proprio a Cuore di tenebra. Joseph Conrad non nomina mai il Paese e il fiume in cui si svolge la narrazione, ma sappiamo che è il Congo. Il protagonista, Charles Marlowe, racconta di questa esperienza mentre si trova su una nave ancorata nel Tamigi, a Londra. Sappiamo già in partenza, quindi, che dalla sua avventura è tornato. Ma non sappiamo se la sua ossessione per Kurtz, un agente di commercio specializzato in avorio, abbia trovato sfogo nell’incontro con quest’uomo. In realtà, Kurtz è il trait d’union tra l’imperialista Europa e il continente africano e Joseph Conrad vuole farci vedere quanto non ci sia grande differenza tra le due realtà. Sì, la foresta è più fitta e sconosciuta, gli uomini parlano un’altra lingua, ma non sono aggressivi, hanno solo fame. E Kurtz, questo mito, è solo un uomo con le sue miserie, anche se venerato come un dio.
Appassionante e vivido
Il racconto è appassionante e vivido. A un certo punto mi è sembrato di essere lì con Marlowe e di attraversare questa foresta buia e pericolosa, di sfidare l’ignoto, di poter morire di febbre come gli avventurieri. Sul finale, ho qualche perplessità. L’incontro con Kurtz fa salire il pathos e le parole che l’uomo pronuncia, e che vi lascerò scoprire per non togliervi il gusto della lettura, sono le parole che chiunque di noi potrebbe pronunciare, soprattutto in questo momento. Eppure, Joseph Conrad decide di non chiudere così, ma di aggiungere una parte che…dovrebbe rasserenarci? Chissà. Comunque, racconto super consigliato. Soprattutto a chi cerca ispirazione per letture adatte a ragazzi e adolescenti. Per altri consigli librosi, cliccate sul link in basso.
E poi ditemi: conoscete Joseph Conrad? Qual è il suo romanzo che preferite?
“È impossibile comunicare la sensazione della vita di un qualsiasi momento della propria esistenza, ciò che rende la sua verità, il suo significato, la sua essenza sottile e penetrante. È impossibile. Viviamo come sogniamo: soli“.
Il bosco di Manziana. O meglio, una casa dei libri nel bosco delle fiabe di Manziana. L’autunno per me è il periodo dei parchi. Mi piacciono i colori, il silenzio, il freddo pungente e il conforto di una buona cioccolata calda. Quest’anno al freddo ho ormai rinunciato, e di conseguenza alla cioccolata calda, ma ai parchi no. Stavolta vi parlo del bosco delle fiabe di Manziana, dove una casetta di legno è diventata la casa dei libri di Cappuccetto rosso, dei cerri secolari la tomba della fata turchina di Pinocchio e una solfatara che sembra quella dei ragazzi dello zoo di Berlino…venite che vi racconto tutto.
La casa dei libri di Cappuccetto rosso
Più avanti vi parlerò degli itinerari in cui è suddiviso il bosco di Manziana. Ora però vorrei iniziare dalla casa dei libri, che fa la sua comparsa dalla strada, ancora prima di entrare. Sarà stato il silenzio, l’aria fresca di un sabato pomeriggio di novembre, ma la visione di questa casetta e di quella accanto, con un venditore di castagne e miele, mi ha fatto subito pensare a Cappuccetto rosso e alla sua passeggiata nel bosco. Niente lupi in vista. Solo due pareti e un tetto, a ospitare una stazione di bookcrossing. Lasci un libro, ne prendi un altro. I libri sono parecchi, suddivisi ordinatamente negli scaffali. Non avevo portato con me un libro, e quindi non ho potuto prenderne nessuno, però ho visto diversi titoli interessanti. Segno che chi li lascia è intenzionato veramente a fare bookcrossing e non a disfarsi dei libri. Peccato soltanto che la costruzione non sia dotata di luci come il venditore lì accanto, perché al buio sarebbe ancora più suggestiva.
La passeggiata
A parte i libri, che lo sapete per me sono sempre fonte di attrazione, il bosco di Manziana è un posto perfetto dove concedersi una passeggiata a tutto relax. Mi ha stupito vederlo quasi vuoto, abitassi nei dintorni ci passerei le giornate. Fossi il Comune, o l’Università agraria che lo gestisce, renderei le entrate ancora più visibili, mi sono fermata perché ho visto la casetta, ma non avevo capito di essere arrivata. A parte noi, c’era qualche passeggino, qualcuno che giocava a pallone, un signore col cane, un altro in bici e nessun altro. Eppure, ha tutto per essere considerato godibile: sentieri tematici, di cui fra poco vi parlo, un’area picnic con tavoli e barbecue, panchine e fontanella, i cavalli, una biodiversità che lo fa luogo eccellente per le scuole. Cosa volere di più?
Itinerario nel bosco di Manziana
Il bosco di Manziana è suddiviso in 4 percorsi: Sentiero Alberi monumentali «A» – Colore verde, Sentiero dei Fontanili «B» – Colore giallo, Sentiero del Cinema «C»– Colore azzurro, Sentiero del Bologno «D» – Colore rosso. A volerlo percorrere tutto, si tratterebbe di più di 20 km. Io sono riuscita a farne una buona parte, arrivando anche alla solfatara.
Sentiero Alberi monumentali «A» – Colore verde
E’ il sentiero che parte dal punto da cui sono entrata, quello dove c’è la casetta dei libri. La lunghezza del percorso è più di 6 km, molto facile da percorrere, tutto pianeggiante e senza curve. Se volete fare il barbecue, è il posto giusto. Se invece di inoltrarvi nel bosco girate subito alla sinistra della casetta, dopo poco troverete la solfatara. Ovunque viene descritto un geyser che io non ho visto, però l’atmosfera “lunare” mi ha ricordato I ragazzi dello zoo di Berlino e una frase che mi accompagna da tutta la vita. Non a caso, qui hanno girato Amore tossico, un film del 1983 proprio su un gruppo di ragazzi tossicodipendenti. Sicuramente il regista aveva in testa la stessa frase!
“Noi ci immaginiamo di comprarci la cava di calce quando non verrà più sfruttata. E lì sotto ci vogliamo costruire delle case di legno con un enorme giardino pieno di animali e con tutto quello di cui uno ha bisogno per vivere. L’unica strada che c’è per arrivare alla cava la vogliamo chiudere. Non avremmo comunque più alcuna voglia di ritornare su.”
Sentiero dei Fontanili «B» – Colore giallo
E’ facile anche questo, e leggermente più lungo del sentiero A, circa 7,5 km. E’ il punto con la maggiore biodiversità e si chiama dei fontanili perché qui sono collocati i punti acqua per gli animali. Per loro esclusivo utilizzo, non è possibile bere l’acqua dei fontanili.
Sentiero del Cinema «C»– Colore azzurro
E’ il più breve, quasi 3 km, e sempre facile. E’ anche il più interessante per chi, come me, ama visitare le location dei film e delle serie tv. Si chiama del cinema, infatti, perché in questo tratto sono state girate diverse scene di film e serie televisive di successo: Distretto di Polizia nel 2000, La Freccia Nera nel 2006, Romanzo Criminale nel 2008. Questa zona è stata anche location per molti western all’italiana, tra cui Django di Sergio Corbucci del 1966 e Oggi a me… domani a te! di Tonino Cervi del 1968. Qui hanno anche girato delle scene di Pinocchio di Roberto Benigni nel 2019. Per esempio, la scena in cui Pinocchio scopre che la fata turchina è deceduta. L’allestimento è stato fatto nei pressi del fontanile testa di Bovo, chiamato così perché la testiera ricorda le corna di un bovino. Guardate il video della scena e la foto. Lo riconoscete? 🙂
Sentiero del Bologno «D» – Colore rosso
E’ l’unico tratto impegnativo, lungo circa 4,5 km. Qui pascolano bovini, equini e asinini allo stato brado.
Che ne dite? Vi è piaciuta la passeggiata? Conoscevate già questo bosco fatato?
Bonus track
Se poi vi viene fame, in Via degli Scaloni, proprio all’entrata con la casetta dei libri, c’è un forno superlativo, Baldassarini, lo vedrete facilmente. Portatevi qualche biscotto a casa, servirà a ritemprarvi dalla fatica della passeggiata! :p
L’antica Monterano si trova a circa 50 km da Roma, praticamente nel mezzo del nulla. Eppure, è stata set di film molto famosi e indubbiamente ha il fascino di un passato che solo i borghi fantasma riescono a evocare in modo così suggestivo. Oggi è una riserva naturale e meta di turismo locale e voglio darvi qualche suggerimento per una gita in questo borgo laziale.
Un po’ di storia
Sembra che sia stata abitata sin dall’età del Bronzo (XI secolo a.C.), per passare poi agli etruschi a partire dal VII secolo a.C. e, ovviamente, ai romani dal 390 a.C. Infatti, tracce di un mausoleo romano e le sepolture scavate nella parete tufacea ci dicono che sopravvisse come piccolo borgo per tutta l’età romana. Divenne poi sede vescovile tra il VI e il VII secolo d.C. Insomma, una storia travagliata. Che non finisce qui. Ben presto, infatti, si trasformò in un feudo che passava di mano alle famiglie nobili che dominavano l’area: Anguillara, Colonna, Della Rovere, Cybo. Sempre loro. Finché, eccoli, l’acquistano gli Orsini nel 1492. Quasi 200 anni dopo passa di nuovo di mano e viene acquistata da Papa Clemente X, cioè dalla famiglia Altieri. E’ di questo periodo la costruzione dell’acquedotto e della chiesa e convento di San Bonaventura, uno dei motivi principali per visitare oggi l’antica Monterano. Il borgo diventa una zolfatara, ma la malaria causa lo spopolamento progressivo. Nel 1798 le truppe francesi entrano a Roma e proclamano la Repubblica romana, deponendo il papa. Per vendetta, bruciano questo borgo papale e gli abitanti sono costretti a rifugiarsi lì vicino, dove sorge l’attuale comune di Canale Monterano.
Storia interessante, vero?
Cosa vedere a Canale Monterano
Le rovine dell’acquedotto e la fontana
E’ la prima cosa che vedrete entrando nel sito e già da una prima occhiata complessiva, vi renderete conto del perché questo posto sia così amato dal cinema. Dell’acquedotto cinquecentesco rimangono oggi le arcate. Fu costruito per portare l’acqua dalla confinante Oriolo, utilizzando anche le opere degli etruschi. Pensate che ancora oggi l’acqua segue lo stesso percorso e viene trasportata fino a Civitavecchia.
Le rovine del Castello Orsini-Altieri
Il castello nacque molto probabilmente come roccaforte nel secolo VIII, quando Monterano era sede vescovile. Teoricamente avrebbe dovuto essere usato come abitazione del principe Altieri, ma praticamente non lo sfruttò mai, preferendo risiedere a Oriolo, più comodo per gli spostamenti. Anche gli Orsini non lo avevano mai abitato, quindi possiamo considerarlo una specie di cattedrale nel deserto ante litteram. Anche se non utilizzato, evidentemente il principe Altieri aveva soldi da spendere, visto che nel 1679 affidò al Bernini la ristrutturazione del castello, dopo avergli fatto costruire la chiesa di S. Bonaventura. Con la solita maestria, il Bernini riuscì ad accentuare la prospettiva sfalsando le le aperture ad arco del porticato rispetto alle aperture del fabbricato preesistente. In questo modo, l’osservatore che avesse guardato il castello dal dal basso della piazza avrebbe avuto l’impressione di uno spazio dilatato.
La cattedrale di Santa Maria Assunta
La chiesa di San Rocco
La chiesa e il convento di San Bonaventura e il fico “più antico del mondo”
I resti della chiesa e del convento di San Bonaventura sono quelli che danno più atmosfera a tutto il sito, a mio parere. Anche perché si è conservata abbastanza bene da poter essere girata anche all’interno. Entrambi, chiesa e convento, sono stati costruiti su progetto di Lorenzo Bernini. Di fronte al sagrato c’era una fontana ottagonale che oggi è sulla Piazza del Comune, mentre davanti al rudere c’è una copia. All’interno sorge un mastodontico e secolare albero di fico, che quest’anno ha rischiato di perire per cause naturali, ma per fortuna è stato recuperato.
Le cascate della Diosilla
Set cinematografico
Tutti abbiamo visto l’antica Monterano in televisione o al cinema. Compare nel film Guardie e Ladri (1951) di Mario Monicelli e Steno, Ben Hur (1959) con Charlton Heston, Brancaleone alle Crociate(1970) con Vittorio Gassman nel 1970 e ne Il Marchese del Grillo con Alberto Sordi nel 1981, entrambi sempre di Mario Monicelli.
Pensate che l’unico buco della serratura da cui spiare Roma sia sull’Aventino? Inauguro oggi la nuova rubrica Romancè segreta per romancèrs curiosi. Questo è il primo contributo: due sentieri in piena città, per farvi scoprire o riscoprire la capitale da una prospettiva diversa. Soprattutto perché tra illusioni ottiche e uditive vedrete Roma come non l’avete mai vista! Quindi, allacciamo le scarpe e partiamo. Oggi andiamo alla scoperta di Farnesina e Monte Mario, due trafficatissimi colli della parte nord di Roma, conosciuti più per la presenza del Ministero degli Esteri, stadio e osservatorio astronomico che per l’aspetto naturalistico e storico. In realtà, in passato erano un crocevia molto frequentato e anche ora, inerpicandosi all’interno, è possibile quasi sentire i passi degli antenati. Che non sarebbero contentissimi di come li gestiamo, ma questo ve lo racconto all’interno.
Sentiero Colli della Farnesina
Gli ingressi sono due: si può entrare da via dei Colli della Farnesina, come ho fatto io, o da via dei Casali di Santo Spirito, accanto al cimitero militare francese. Il percorso è ad anello, quindi sostanzialmente non cambia nulla, dipende solo da quale giro preferite fare. Entrando da via dei Colli della Farnesina, il primo pezzo è in salita e vi consiglio di fare attenzione. Il parco, infatti, è ciclabile con mountain bike e la strada è stretta, quindi è facile incontrare dei pazzi lanciati a tutta birra che non prendono in considerazione gente che sale a piedi. C’è da dire che il parco non è frequentatissimo, almeno in determinati orari, quindi è probabile che la maggior parte delle volte i ciclisti riescano a fare i loro allenamenti senza incontrare anima viva. E anche che le guide dicono di fare il giro in senso orario, ma io non le ho lette e ovviamente l’ho fatto in senso antiorario 😉
Cimitero militare dei Francesi
Orario o antiorario che sia, mi sono ritrovata dentro un bosco, che finisce in via dei Casali di Santo Spirito, davanti al Cimitero militare dei Francesi. Il cimitero era chiuso, ma anche da fuori è possibile avere una prospettiva del luogo in cui riposano 1888 militari deceduti tra il 1943 e il 1944 in guerra. Un altro monumento dedicato ai soldati francesi caduti in battaglia, stavolta contro la Repubblica Romana del 1849, si trova al Gianicolo.
Lo Stadio Olimpico
Accanto al cimitero, parte il secondo pezzo di sentiero, quello che porta a una specie di terrazzo panoramico, allestito con panchine spartane, presumo dai frequentatori, essenzialmente padroni dei cani che qui circolano liberamente. Da qui, il panorama comprende lo Stadio Olimpico, il Foro italico e il Tevere dal centro alla sinistra e Monte Mario con Villa Madama a destra. Qui è fantastica l’illusione ottica, perché Stadio e Foro Italico sembrano vicinissimi e molto grandi, quando in realtà sono abbastanza distanti! Prima che costruissero la copertura dell’Olimpico, infatti, i tifosi senza biglietto si radunavano qui per seguire la squadra del cuore anche da lontano.
Il rientro
Il giro sostanzialmente finisce qui, a meno che non vogliate allungare verso la Valle di Farneto, dove io però non sono arrivata. Non resta che tornare indietro e ripercorrere l’anello in direzione contraria. Verso la fine, un’altra sorpresa “illusionistica”, stavolta uditiva. Alla fine dell’anello, proprio nei pressi del cancello di via dei Colli della Farnesina, il frastuono delle macchine che percorrono la trafficata Tangenziale est sottostante, mi dicono che sono arrivata. Ma girando per l’ultima discesa prima dell’uscita, miracolosamente i rumori cessano e torna il silenzio del bosco!
Riserva di Monte Mario: la collina dell’osservatorio
Questo percorso è di circa 1 chilometro e dura 40 minuti. È possibile entrare da Viale del Parco Mellini o da piazzale Maresciallo Giardino, come ho fatto io. Il sentiero della riserva di Monte Marioè percorribile tutto l’anno, perché rispetto all’altro è meno “selvaggio” e quasi tutto asfaltato, ma salite e discese sono ripide, perché raggiunge i 139 metri di altezza. Anche se viene chiamato Monte, è in realtà un colle, che al tempo degli antichi romani ospitava le ville residenziali di poeti e nobili, che qui trovavano refrigerio dall’umidità del fiume sottostante. Era anche attraversato dagli eserciti di ritorno dalle campagne militari. La stessa strada che più tardi percorsero i pellegrini che si recavano a Roma, perché questo è di fatto l’ultimo tratto della via Francigena, con l’arrivo a San Pietro.
Tornanti e scalette
Entrando ci sono due possibilità: o affrontare i tornanti, o abbreviare salendo le scalette che portano in cima. Dipende dal tempo che avete: io ho fatto i tornanti all’andata e mi sono affrettata per le scalette al rientro, perché i cartelli di avviso del pericolo cinghiali e il buio incombente mi hanno spinto ad accelerare il passo! Comunque di cinghiali, o altri animali, neanche l’ombra. Anche se il sito viene segnalato per le caratteristiche uniche del territorio e per la sua particolare flora e fauna. Sembra, infatti, che Monte Mario custodisca tracce di epoca preistorica e quindi segni di insediamenti umani fino all’epoca romana, dove svolse ruolo di avamposto commerciale. Diventato terra di coltivazione nel medioevo, durante il Rinascimento è oggetto di diversi interventi edilizi, fino al quasi abbandono dei giorni nostri.
Villa Mazzanti
Fu costruita alla fine del XIX secolo dall’ingegnere Luigi Mazzanti su un preesistente edificio appartenuto alla famiglia Barberini. Espropriata nel 1967, è diventata parco pubblico di quartiere. Originariamente, il parco della villa si estendeva fino a viale Angelico, dove c’era un vivaio, Piazzale Maresciallo Giardino e via Gomenizza, dove c’era una zona coltivata a orto. Lo stile è quello di un parco all’inglese con roccaglie, ripidi vialetti e fontane rustiche a scogliera di tufo. Quando fu costruita, c’era la moda di imitare le ville storiche nobiliari e questo è chiaramente visibile fin dagli esterni. Da un punto di vista architettonico, infatti, la villa non è grandissima ma fondeelementi dell’architettura rinascimentale e classica con temi fantasiosi, simbolici o dal sapore esotico. Una bella copia, insomma.
Villa Mellini
Si trova quasi alla sommità del parco ed è una delle poche ville quattrocentesche superstiti. Fu fatta costruire dal cancelliere perpetuo del ComuneMario Mellinidurante il pontificato di Sisto IV (1471-1484). Sembra che Wolfgang Goethe amasse passeggiare nel parco Mellini e descriverne le bellezze naturali. Come Wordsworth, che gli dedicò il sonetto “The Pine of Monte Mario at Rome”:
I saw far off the dark top of a Pine Look like a cloud—a slender stem the tie That bound it to its native earth—poised high ‘Mid evening hues, along the horizon line, Striving in peace each other to outshine. But when I learned the Tree was living there, Saved from the sordid axe by Beaumont’s care, Oh, what a gush of tenderness was mine! The rescued Pine-tree, with its sky so bright And cloud-like beauty, rich in thoughts of home, Death-parted friends, and days too swift in flight, Supplanted the whole majesty of Rome (Then first apparent from the Pincian Height) Crowned with St Peter’s everlasting Dome.
I pini domestici e la vista su Roma dovevano piacere moltissimo agli artisti, se anche William Turner fece un disegno intitolato “Stone Pines on Monte Mario, with a View of Rome from near the Villa Mellini”.
Nel 1935 la villa divenne sede dell’Osservatorio Astronomico di Monte Mario e del Museo Astronomico e Copernicano: il primo comprende due cupole principali dove si trovano gli equatoriali per l’osservazione degli astri e una Torre Solare entrata in funzione nel 1958. L’Osservatorio è rimasto in funzione fino al 2000, poi l’attività di osservazione si è trasferita a Monte Porzio Catone. Oggi, è sede della dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF).
La Terrazza dello Zodiaco e il Vialetto degli innamorati
Questo è il mio grande dispiacere. Avrebbe dovuto essere il punto d’arrivo della camminata, quello più romantico, al tramonto, mentre le luci si abbassavano su una vista spettacolare. E invece, la vista spettacolare più o meno c’è, ma che peccato vedere incuria e abbandono dove un tempo c’erano vita e coccole! Il ristorante Lo Zodiaco, famosissimo, e il bar adiacente sono infatti chiusi da due anni per fallimento e, da allora, tra crollo alberi e mancata manutenzione, direi che di romantico è rimasto ben poco. Vale comunque la pena di arrivare fin quassù per il panorama che si apre sul Tevere, quando le luci della città si abbassano e restano quelle di lampioni, macchine e case. Il momento è sicuramente suggestivo e so che vi piacerà. Attenzione però! Sbrigatevi a scendere prima che faccia buio per tornare indietro, perché quando calano le luci il parco diventa la casa dei cinghiali!
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