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I biscotti più buoni di Bridgerton, parola di Lady Whistledown

Se avete  letto i libri della serie Bridgerton, o se state guardando la serie tv Netflix, sapete già che a Lady Whistledown i biscotti piacciono moltissimo. Ma come erano fatti i biscotti nel 1800? Venite che vi racconto qualche curiosità e vi lascio una ricetta facile facile. Se volete passare direttamente alla videoricetta con tutti i passaggi, la lascio qui.

La rivoluzione dello zucchero

Ai tempi dei Bridgerton, lo zucchero iniziò a essere accessibile come prezzo e a essere usato in cucina come normale ingrediente. Prima, quindi, era rarissimo vederlo sulle tavole. E’ così che nascono i biscotti quasi come li intendiamo oggi. Ed è così che nasce il rito del tè delle cinque che ci piace moltissimo quasi trecento anni dopo!

Savoiardi e amaretti 

E’ molto probabile che i biscotti di cui è golosa Lady Whistledown fossero savoiardi, molto simili a come li conosciamo oggi, e gli amaretti. Oggi vi lascio la ricetta dei primi, ma non è detto che non vi lasci anche la ricetta dei secondi per la puntata finale di questa stagione! 

La ricetta dei savoiardi di Lady Whistledown

Troverete molte ricette in giro, alcune col lievito, altre con farina raffinata. Quelli che ho fatto io sono più simili a quelli che Lady Whistledown trovava sulla sua tavola, dato che difficilmente avrebbe potuto esserci farina raffinata o impastatrici. Naturalmente, potete semplificarvi il lavoro e utilizzare l’attrezzatura che avete in casa, verranno anche meglio. E con Lady Whistledown manterrò il segreto :-#

Ingredienti
  • 3 uova;
  • zucchero a velo, 100 gr;
  • farina di avena, 90 gr;
  • farina di riso, 30 gr;
  • sale, un pizzico;
  • aroma di vaniglia, 5 gocce (facoltativo).
Procedimento

Aprite le uova e separate i bianchi dai rossi. Nella ciotola dei rossi versate metà zucchero setacciato, circa 50 grammi, e iniziate a sbattere energicamente. Dovrete arrivare a una crema gialla con consistenza soda. Nella ciotola dei bianchi, versate l’altra metà dello zucchero setacciato, lasciando qualcosa per spolverizzare i biscotti prima della cottura e alla fine, e fate la stessa cosa, sbattete energicamente. Dovrete fermarvi quando i bianchi saranno fermi e lucidi. A questo punto, versate i bianchi nei rossi e mescolate delicatamente con una spatola, dal basso verso l’alto per non smontarli. Quando saranno perfettamente amalgamati, versate la fatina setacciata nella crema in tre tempi e amalgamate bene ogni volta, sempre dal basso verso l’alto. Prendete una teglia e un cucchiaio largo e spalmate una striscia di impasto per volta. Questi diventeranno i vostri savoiardi.  Spolverate i biscotti di zucchero a velo per due volte. Poi, in forno a 200-210. dipende dal vostro forno, lasciando lo sportello semichiuso, per 8-9 minuti circa. Sono pronti quando li vedete asciutti e leggermente dorati. Mettete su un ottimo tè e il vostro spuntino delle 5 può partire. 

Note
  • se volete essere più precisi, usate una sac a poche per fare le strisce d’impasto.
  • avendoli preparati con la farina di avena, non sono cresciuti. Se volete un aspetto più simile a quelli acquistati per il tiramisù, potete usare la comune farina per dolci.
  • troverete molte ricette con il lievito. Serve per farli crescere e renderli più appetitosi alla vista, ma i biscotti non hanno bisogno di lievito e vi assicuro che anche piatti spariranno in un secondo!
  • sono più buoni il giorno dopo, se resistete alla tentazione.
  • finalmente avrete dei biscotti per il tiramisù che non si spappolano solo con lo sguardo.
Curiosità 

Nella prima serie dei Bridgerton appaiono anche i Bath Oliver biscuits. Nella prima puntata, quando Lord Berbrooke va a fare visita ai Bridgerton per fidanzarsi con Daphne, lui entra in stanza e Lady Bridgerton gli chiede di servirsi liberamente dei “biscotti appena sfornati”. Lui ne prende uno in mano e, se guardate attentamente, vedrete che è proprio un biscotto di Bath, località dove è ambientata la serie.

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Come si prepara il Cornish cream tea 

 

 

 

 

 

L’isola delle farfalle – Corina Bomann

Sapete che da un po’ di tempo mi sento orfana e sto cercando tra le autrici contemporanee una degna sostituta di Rosamunde Pilcher. Ho letto troppo poco per affermare con certezza che Corina Bomann possa in qualche modo assolvere questa fondamentale funzione nella mia vita. Posso però dire con sicurezza che L’isola delle farfalle mi ha tenuto incollata fino all’ultima pagina…

Trama

È un triste risveglio per l’avvocatessa berlinese Diana Wagenbach. Solo la sera precedente, infatti, ha scoperto che suo marito l’ha tradita. Come se non bastasse, una telefonata dall’Inghilterra la informa che la cara zia Emmely ha le ore contate e vorrebbe vederla un’ultima volta. Non le resta che fare i bagagli e prendere il primo volo verso l’antica dimora di Tremayne House, dove i suoi avi hanno vissuto per generazioni. Diana non può sapere che cosa l’attende. Non sa che in punto di morte zia Emmely le sta per consegnare un terribile segreto di famiglia, custodito gelosamente per anni. Come in un rebus, con pochi, enigmatici indizi a disposizione, a Diana è affidato il difficile compito di portare alla luce che cosa accadde tanti anni prima, nel lontano Oriente, a Ceylon, l’incantevole isola del tè e delle farfalle. Qualcosa che inciderà profondamente anche sul suo destino…

Quattro indizi per un mistero

Nel suo romanzo d’esordio, Corina Bomann mescola sapientemente gli ingredienti del mistero per confezionare una saga familiare che si muove tra passato e presente, svelando piano piano tutte le sue carte. Una foto ingiallita che ritrae una bellissima donna di fronte a una casa tra le palme, una foglia incisa in caratteri misteriosi, una bustina di tè, una vecchia guida turistica: questi sono gli unici elementi di partenza che la zia Emmely affida alla nipote Diana. Da qui, la donna dovrà fare un salto indietro nel tempo, per riconciliare i suoi avi e guardare serenamente al suo futuro. Non sa bene cosa cercare, sa solo che la sua vita ha bisogno di una scossa, di togliersi di mezzo un matrimonio infelice. Scoprirà il segreto della famiglia, l’amore e anche che in lei scorre sangue tamil.

Un altro mondo e un’epoca lontana per sognare

Se ancora non conoscete Corina Bomann, ve la consiglio. Trovo la sua scrittura un tantino superiore a quella di Lucinda Riley, che insieme a lei viene citata come una delle migliori del genere, insieme a Kate Morton. La storia è piacevole, perfetta per i consigli da ombrellone che vi sto dando. Il finale, con quel colpo di scena imprevisto, mi ha commosso. L’isola delle farfalle promossa a pieni voti, senza dubbio. Se proprio devo trovargli un difetto, direi che avrei bilanciato meglio passato e presente, dando più spazio al secondo. Anche il significato della foglia non è propriamente centrato e, chissà perché, Diana dimentica il suo amico tedesco che sta indagando sul contenuto delle foglie. Chissà cosa c’era scritto alla fine? Sono comunque dettagli, il romanzo merita il vostro tempo e vi trasporterà in un altro mondo e in un’epoca lontana. Cosa c’è di meglio per sognare un po’?

Cornish cream tea

In Cornovaglia il rito del tè è una cosa seria, serissima. Non è difficile da comprendere, in una regione dove il freddo penetra nelle ossa e più o meno alle 17, 18 massimo in estate, tutti gli esercizi commerciali chiudono.
Il Cornish cream tea è un’istituzione; è la prima specialità dopo il cornish pasty che il turista assaggia ed è una vera e propria coccola, o auto indulgenza come la chiamano loro.
Il tè, preparato considerando una quantità di almeno due tazze per ogni ospite, arriva in tavola accompagnato da morbidi scones torreggianti, un coltello, e due farciture, clotted cream e marmellata, usualmente di fragole o mirtilli.
Il commensale prende il coltello, divide in due lo scone e, su ogni metà, spalma uno strato di marmellata e uno di clotted cream. In Cornovaglia l’ordine delle creme è rigorosamente questo. Altrimenti, se fate il contrario, state optando per il Devon tea.
Fate attenzione, perché tra Cornovaglia e Devon la guerra sulla paternità di questa delizia è ancora in corso e potrebbero non perdonarvi l’errore. La prima battaglia è stata vinta proprio dalla Cornovaglia, perché a ricevere il bollino DOP dell’Unione Europea è stata proprio la Cornish Clotted Cream DOP, una crema cotta derivante dal latte di mucca non pastorizzato e con almeno il 55% di grassi. Ora capite perché si tratta di auto indulgenza? 🙂

Ingredienti per 8 scones:

  • farina 00, 115 gr. Io Molino Gatti
  • sale, un pizzico
  • bicarbonato, la punta di un cucchiaio
  • scorza grattugiata di un limone
  • zucchero, 1 cucchiaio raso
  • burro, 50 gr
  • lievito madre (anche non rinfrescato), 240 gr
  • latte, 3 cucchiai

Procedimento:

Scaldate il forno a 200°. In una ciotola capiente, mettete farina, sale, bicarbonato, scorza di limone grattugiata, zucchero e amalgamate gli ingredienti con un cucchiaio. Tagliate a dadini il burro freddo di frigorifero e aggiungetelo al resto con la punta delle dita, velocemente, senza scaldare la pasta per evitare che il burro si sciolga. Deve risultare un composto sbriciolato, come un crumble. A questo punto, aggiungete il lievito madre ( o di birra, usate le tabelle di conversione) e il latte. Impastate leggermente, giusto il tempo di rendere il tutto omogeneo. Rovesciate il composto sulla spianatoia e dividetelo in otto pezzi della stessa grandezza. Procedete poi con la formatura, a torretta tonda. Lasciateli riposare per circa un’ora su una teglia. Se avete gli stampini a forma di cono usateli, cresceranno in altezza e non in larghezza come i miei. Se non avete nulla non importa, verranno bene lo stesso. Subito prima di informare, spennellateli con latte o con un uovo sbattuto se li preferite più coloriti. Infornate gli scones finché non diventano dorati. Ci vorranno circa 15-20 minuti, non di più. Appena sfornati, avvolgeteli in un telo, così non induriranno. In ogni caso consumateli appena si freddano, perché inevitabilmente tenderanno a indurirsi con il passare dei giorni. Anche se, in confidenza, non ho potuto testare questa eventualità perché sono stati spazzolati appena usciti dal forno!

Farcitura:

Il cornish cream tea viene servito con due tazze di tè per commensale, gli scones, due ciotole stracolme di clotted cream e marmellata. Ogni ospite taglia a metà uno scone e lo farcisce con marmellata, preferibilmente di fragole o mirtilli fatta in casa, e clotted cream, rigorosamente in quest’ordine, in modo che la crema sia visibile. Quest’ultima è di difficile reperibilità in Italia, e anche di complicata realizzazione in casa, quindi per semplificarvi la vita potete sostituirla con panna, burro o mascarpone se vi piace.

Ah! Quasi dimenticavo la parte più importante della ricetta. Prendetevi tutto, tutto il tempo che volete per lasciare il mondo fuori e gustarvi un sano momento di chiacchiere con i vostri amici o per flirtare con il partner.

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Ich bin Berliner/4: questo tè è very, very smoky!

“Dai, vieni anche tu”

“Mah, non lo so…”
“Non hai la tuta?”
“Sì, quella in valigia la metto sempre…”
“E allora? Su, vieni”.
E’ così che mi hanno convinto a partecipare alla Breakfast run, una non competitiva di 6 km che precede la maratona di Berlino del giorno dopo e che finisce con una colazione, da qui il nome evocativo.

Breakfast run

Avrei mai potuto resistere al dolce richiamo del mio pasto preferito? Giammai, e infatti mi presento puntuale alle 9 meno qualcosa sul luogo del delitto, lo Charlottemburg Schloss di cui vi ho già ampiamente narrato. Posto qualche foto per farvi capire che popolazione di matti anima l’evento. Per la serie, il giorno prima ti diverti, il giorno dopo muori. Per fortuna, io la 42 km del giorno dopo l’ho corsa dagli spalti! Puntuali come orologi tedeschi, alle 9 in punto hanno dato il via e questa folla impazzita di travestiti si è riversata sulle strade. Per fortuna a Berlino sono larghe, perché vi assicuro che eravamo veramente tanti. Direzione: Olympiastadion, meglio conosciuto come lo stadio delle Olimpiadi hitleriane del 1936, quelle di Jesse Owens, per intenderci. I berlinesi ci accompagnano dai balconi, salutando e suonando campanacci.
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E’ proprio un bel momento, una festa dello sport. Io con la scusa di dover fotografare a destra e sinistra m’impegno veramente poco, ma allo stadio voglio arrivarci, perché così mi danno questa benedetta colazione! A un certo punto vedo le bandiere, eccoci, ci siamo. La signora peruviana che corre accanto a me e che ogni tanto si ferma per riposarsi facendo finta di aspettare qualcuno, che secondo me 6517era rimasto a Lima, scatta in avanti e la perdo di vista. Ha approfittato della mia sosta per fotografare un passeggino legato a un palo con la catena. Pazienza, entrerò allo stadio da sola: percorro il tunnel, sempre con calma girando un video, e poi, finalmente, il campo da gioco! La pista! Ce l’ho fatta! Faccio il mio bel giro di campo, resistendo all’impulso che anima gli altri di fingersi centrometristi pronti allo scatto, salgo le scale e il sospirato momento è arrivato: piovono krapfen come se non ci fosse un domani. Buoni da morire, meno male che ho evitato di affaticare il fegat6535o!

Alexanderplatz

In pace con il mondo, evito di pensare che la bomba calorica della colazione ha superato di gran lunga il dispendio energetico della corsa, perché sempre di corsa mi traslo verso Alexanderplatz, la mitica piazza della canzone di Milva, considerata il centro della parte orientale della città. La piazza, non Milva. Lo ammetto: la delusione si è fatta sentire, forte e chiara. Mi ha fatto lo stesso effetto di Pest quando ho visitato Budapest la prima volta: il peggio dell’occidente, cioè le insegne commerciali, innestato su palazzi spartani, che poco o niente c’entrano. Sorry, dico no ad Alexanderplatz, che vale comunque una visita veloce perché qui trovate la fontana dell’amicizia e dei popoli, la Torre della televisione, uno dei simboli della città, e l’orologio universale, che mostra l’orario in tutti i fusi in cui è divisa la superficie terrestre. Ok, due foto e passo oltre, domandandomi come mai sia così amata dai turisti di tutto il mondo. Una viuzza là, due di qua e hoplà, mi ritrovo casualmente, guarda il destino, nel mio luogo di ritrovo preferito.

Hackescher Markt

Una piazza pedonale adiacente all’omonima stazione dei treni di fine ‘800, miracolosamente sopravvissuta alle bombe della seconda guerra mondiale. Un posto piacevole in cui fermarsi a mangiare qualcosa, o ad ascoltare il menestrello di strada seduti sul muretto, o a girare per il mercatino del giovedì o del sabato, come nel mio caso. Qualche bancarella e poi, sempre rigorosamente per caso, mi sono infilata nel tunnel paradisiaco degli Hackeschen Höfe. In pratica sono otto cortili interni comunicanti, che collegano abitazioni private, laboratori e negozi. Da perderci la testa: eleganti, tranquilli, dopo la caduta del Muro sono stati ristrutturati e ora ospitano un cinema, un teatro, caffetterie e negozi di design e boutique di moda. Se passate per Berlino, vi consiglio caldamente di visitarli, soprattutto se siete architetti, chissà che non vi venga qualche buona idea per riqualificare le periferie moderne. Io li ho visitati nell’ordine in cui vengono indicati all’ingresso, ma potete anche decidere di girare in ordine sparso.

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Sala da tè tagika

Alla fine di questo bel giro, se ci mettete anche la faticaccia della corsa mattutina, penso proprio di essermi meritata una sosta ristoratrice, no?. Rimanendo sempre all’interno del quartiere ebraico, poso le mie doloranti membra su un tappeto e ordino un tè russo. D’altra parte, mi trovo in un locale che si chiama Tadschikische Teestube, cioè una sala da tè tagika.
La signora che prende l’ordinazione mi osserva e mi avverte: “It’s smoky”.
“Okay”, faccio io.
“It’s very smoky”.
“Okkaaayyyy”, replico io.
Pensa che sia stordita, o cosa?
Era smokimg_4963y smoky, nel vero senso della parola. La povera signora ha tentato di avvisare questa stordita che si sarebbe ritrovata a fumare una sigaretta bevendo tè! Mai assaggiata una cosa del genere. Non mi sono pentita di averlo scelto, ma chissà come avrà ridotto i miei poveri polmoni, già belli allargati dalla corsa!
Vi aspetto domani con la quinta parte del mio Berlin trip: la famosissima maratona di Berlino. Seguita da una very, very lauta cena tipica.