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Finché il caffè è caldo, romanzo o sceneggiatura?

Finché il caffè è caldo, “caso letterario” del 2020, finisce casualmente nelle mie mani e io, senza sapere quasi niente, inizio a leggerlo. Qualche minuto dopo, rialzo la testa perplessa: ma, ma…è un romanzo o una sceneggiatura? Ora vi racconto.

Trama

In Giappone c’è una caffetteria speciale. Si narra che finché il caffè è caldo sia possibile rivivere il momento della propria vita in cui si è fatta la scelta sbagliata, si è detta l’unica parola che era meglio non pronunciare, si è lasciata andare via la persona che non bisognava perdere. Ma c’è una regola da rispettare: bisogna assolutamente finire il caffè prima che si sia raffreddato. Qualcuno si siede su una sedia con davanti una tazza fumante. Fumiko, che non è riuscita a trattenere accanto a sé il ragazzo che amava. Kòtake, che insieme ai ricordi di suo marito crede di aver perso anche sé stessa. Hirai, che non è mai stata sincera fino in fondo con la sorella. Infine Kei, che cerca di raccogliere tutta la forza che ha dentro per essere una buona madre. Ognuna di loro ha un rimpianto. Ma tutte scoprono che il passato non è importante, perché non si può cambiare. Quello che conta è il presente che abbiamo tra le mani. Quando si può anco decidere ogni cosa e farla nel modo giusto. La vita, come il caffè, va gustata sorso dopo sorso, cogliendone ogni attimo.

Titolo hot della zona rossa

Intanto, ragionando come farebbe un asiatico, mi chiedo se sia un caso che abbia finito il romanzo proprio il 6 giugno, giorno in cui un doodle ricorda la nascita nel 1851 di Angelo Moriondo. E chi è, direte voi? Un torinese, l’inventore della macchina da caffè espresso moderna, presentata all’Expo 1884 di Torino. Questo è un periodo in cui, per caso o anche no, mi capitano serie e libri su questo argomento. Sarà perché ne bevo troppo? Haha! Può darsi. Tornando a noi. Finché il caffè è caldo è stato uno dei titoli hot, è proprio il caso di dire, del 2020. Quando altrove impazzava il Dalgona coffee, in Italia le persone confinate in casa impazzivano per questo titolo Garzanti. Qual è il motivo di tanto successo?

Le ragioni del successo

Provo a capire. Innanzitutto, una copertina e un titolo accattivanti. Un tema che fa sempre presa: poter tornare nel passato e correggere gli errori. Un’ambientazione che piace sempre: un bar dove succedono cose fantastiche. E le regole da seguire per riuscire nel proprio obiettivo, incontrare qualcuno che si è già incontrato in precedenza lì. In verità, le regole sono tante e un po’ stringenti. Artefizio probabilmente necessario a far sì che si accorciasse la platea degli interessati. Il tavolo in cui potersi sedere, infatti, è uno solo e ci si può sedere solo in rari momenti in cui non è occupato da una donna misteriosa.

Come la sceneggiatura di un film

Quello che non funziona, secondo me, è il modo in cui Toshikazu Kawaguchi, al suo esordio come scrittore, decide di far svolgere gli eventi. Cioè come se Finché il caffè è caldo fosse la sceneggiatura di un film o, peggio, un soggetto un po’ più esteso. I personaggi e gli accadimenti si muovono come se fosse un canovaccio sul quale poi innestare una scena. Niente di più. Non c’è pathos, non c’è calore, a parte il fumo che esce dal cafffè. Dei personaggi non sappiamo quasi niente, alcune storie vengono troncate, altre non partono proprio (chi è la donna che legge? Temo che non lo sapremo mai), in quella finale c’è un’eccezione alla regola, ma forse neanche lo scrittore se n’è accorto. O c’è un motivo? Non conoscevo nulla dell’autore di Finché il caffè è caldo e, dopo qualche pagina, sono andata a controllare. Effettivamente è uno sceneggiatore e sulla base di questo romanzo è stato realizzato un film nel 2018 (il romanzo è datato, del 2010). Indovinate come s’intitola il film? Café Funiculi Funicula, così, senza accento finale. Evito di commentare, ma se volete lasciare un commento fate pure 🙂 

cafè funiculi funicula
La locandina del film Cafè funiculi funicula

Un grande potenziale

Finché il caffè è caldo posso dirlo: un grande potenziale non sfruttato, credo che la mia incursione in questa serie finisca qui. Sì, perché nel frattempo ne sono stati pubblicati altri due, sempre sullo stesso argomento. Il successo non si discute, se piace ai lettori piace a tutti. Probabilmente, il fascino di una possibilità di redenzione, di tornare nel passato (o nel futuro) per parlare con una persona cara, supera di gran lunga i difetti stilistici e narrativi. Il consiglio che mi sento di darvi, però, è questo: se vi piace la letteratura asiatica, sappiate che troverete una profondità e una ricerca linguistica senza pari. Cercate altro, perché troverete delle gemme preziose. Alcune cerco e cercherà di presentarvele qui, se avrete pazienza di leggermi. Iscrivetevi alla newsletter per non perdere gli aggiornamenti, è facile (box in homepage in alto a destra) e non stresso più di una volta al mese.

Intanto ditemi: a voi Finché il caffè è caldo è piaciuto? E perché? 

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La metà di niente – Catherine Dunne

Un giorno Ben entra in cucina. Sta cercando Rose, che è occupata a bollire le uova.

«Rose.»

Ultimamente non l’ha quasi mai chiamata per nome, perciò lei alza lo sguardo sorpresa.

«Dobbiamo parlare.»

Il mondo crolla, anni e anni precipitano turbinando, vite vengono distrutte. Adesso Rose sa che tutte le venture sono state annunciate da quella frase. Dobbiamo parlare.

«Devo andar via per un po’. Penso che abbiamo bisogno di stare ognuno per conto proprio, solo per un periodo. Mi dispiace farlo così, ma è che non sono felice.»

Rose fissa le uova.

Trama

Rose e Ben sono una coppia come tante. Dublinesi, sui 40 anni, sposati da vent’anni, tre figli, casalinga lei e imprenditore lui. Annoiati, con giorni che si susseguono sempre uguali. Ma questo non è un giorno come gli altri, perché Ben ha deciso di lasciare la famiglia per un’altra donna. Rose si ritrova di punto in bianco a dover fare fronte all’emergenza economica immediata, a doversi improvvisare capofamiglia, a inventarsi un mestiere e un nuovo equilibrio familiare. Grazie al sostegno delle persone che le sono vicine e a risorse che non sapeva neanche di avere, riesce a riprendere in mano le fila della routine domestica e a ritrovare una parvenza di felicità.

L’esordio di Catherine Dunne

In questo romanzo d’esordio, la scrittrice irlandese Catherine Dunne alterna la cronaca dei fatti che stanno accadendo nel 1995, anno in cui Ben decide di voler tornare a essere felice, alla ricostruzione della storia che li ha portati da giovani fidanzati ai drammatici eventi di oggi.

“Non era più la metà di una rispettabile, solida coppia borghese. Era la metà di niente.”

Questa frase, secondo me, racchiude l’essenza del libro. Rose e Ben anelano entrambi al riconoscimento sociale, a costruire un nucleo che li faccia sentire accettati, dove ognuno si comporta con giudizio e secondo quanto gli viene richiesto, senza chiedersi mai se è questo ciò che davvero vuole. Quando Ben annuncia alla moglie di aver deciso di andarsene, non sta infliggendo un duro colpo a una moglie innamorata, no, ma a una donna che ha fatto dell’apparenza e della convenienza il suo stile di vita. La sua prima reazione, infatti, non è di disperazione per l’abbandono, ma d’incredulità, perché queste sono cose che succedono agli altri, non a lei.

Ma chi sono gli altri?

Sono quelli che accompagnano i figli a scuola, che fanno spesa al supermercato, che puliscono casa ogni giorno, che aspettano la ciurma la sera con un piatto fumante in tavola. Gli altri siamo noi. E quando tutte queste attività quotidiane perdono di senso, non possiamo fare altro che chiederci: chi sono io? Perché “gli altri” continuano a girare per il supermercato come se nulla fosse successo? Perché in effetti è così: per loro, per “gli altri” non è successo proprio nulla, il mondo continua a girare lo stesso. Il dramma privato, se possibile, deve essere tenuto nascosto. Se ti chiedono come stai, devi rispondere: “bene”, non “mi sento morire, non lo vedi?”, perché potrebbero prenderti per pazzo o, peggio, allontanarti per sempre.

Gli altri elementi del romanzo di Catherine Dunne, tutto sommato, sono meno interessanti. Sorvolo sulla traduzione, zeppa di errori soprattutto sulla consecutio temporum. I continui flashback rendono la lettura veloce, ma non arricchiscono più di tanto le figure dei protagonisti, né del loro contorno familiare. Rose e Ben rimangono due personaggi piatti, senza grandi evoluzioni, fondamentalmente bloccati nel loro egocentrismo. Anche se l’autrice prende evidentemente le parti della donna, direi che entrambi risultano alla fine due bambini poco cresciuti.

Ho cercato per anni di parlarti”. (attenzione, spoiler)

Ben lascia la moglie e i bambini nei guai, è vero, ma anche lei sembra talmente impegnata a costruire la famiglia del Mulino Bianco per gli estranei da non accorgersi di quello che le succede in casa. Eppure, i segnali c’erano tutti. In fondo, non è sempre così? Siamo sempre gli ultimi a capire quello che ci riguarda. Anche gli accadimenti risultano inverosimili: lei si trasforma in una super donna imprenditrice di se stessa in pochi mesi, trovando lavoro senza neanche cercarlo! Forse, Catherine Dunne ha voluto aprire uno spiraglio di speranza per tutte le donne che subiscano un divorzio, ma il percorso dall’abisso alla risalita è lungo e andrebbe esplorato fino in fondo, non lasciato, appunto, a metà.

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