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Il vero amore esiste? Serie Bridgerton

La serie Bridgerton si può dire conclusa con questo ottavo romanzo, che vede protagonista Gregory. Poi c’è un nono libro che riprende le fila di tutte le vicende della famiglia, ma sostanzialmente è Il vero amore esiste a chiudere la saga. Nel titolo ho messo il punto interrogativo, anche se non ci andrebbe. Perché? Venite a leggere.

Trama

Gregory Bridgerton crede nel vero amore. Quando troverà la donna giusta, se ne accorgerà subito, ne è convinto. In effetti così accade, solo che… Hermione Watson è innamorata di un altro. Ma la sua amica Lucy, per salvarla da un’infatuazione pericolosa, si offre di aiutare Gregory a conquistarla. E finisce per innamorarsi lei di Gregory. Peccato che Lucinda sia già fidanzata e, anche se Gregory ha capito di ricambiare il suo sentimento, lo zio e tutore della ragazza non intende farle rompere la promessa…

Il piccolino di casa

In questo romanzo della serie Bridgerton, il protagonista è il piccolino di casa Bridgerton, Gregory. Ultimo nato, quando il padre è già deceduto, e vicino per età alla sola Hyacint. E’ ancora giovane e, rispetto ai fratelli, non ha grandi possibilità di svettare, ma mamma Violet desidera anche per lui un matrimonio d’amore, invece di scelte di carriera che lo porterebbero lontano dalla famiglia. Ma lui, proprio perché così giovane, s’innamora a prima vista. E quando dico a prima vista, intendo proprio a prima vista. Insomma, si tratta più di una cotta adolescenziale che di amore. Cosicché, quando capisce di provare qualcosa per l’aiutante Lucinda, eccolo che si butta a capofitto in quest’altra storia…

O forse no

O forse no. Perché i piccoli di casa, si sa, sono abituati ad avere tutto senza faticare, in fondo i fratelli hanno già in qualche modo aperto la strada. Che si fa? Ancora una volta, sarà decisiva Violet. Ecco, a me questa cosa che sia la mamma a risolvere, ma soprattutto sia la mamma a spiegarci lati del carattere dei figli che non sono emersi con forza da soli durante la narrazione, non mi convince del tutto. Pur amando Violet, che resta per ora il mio personaggio preferito. Su Lucinda c’è poco da dire, è molto giovane, cresciuta senza genitori, una ragazza abituata a fare quello che le viene detto di fare e a sminuirsi in favore della bella amica. Ma anche l’amica mi ha suscitato qualche perplessità: quali sarebbero queste grandi qualità, a parte la bellezza? Non si sa. Anche perché la stessa bellezza viene decantata tanto, ma descritta poco. Non sarà stato rimaneggiato anche questo libro nella traduzione? Su Tutto in un bacio ho quasi la certezza e anche qui un sospetto più che fondato.

Julia Quinn non è Giotto

A parte queste considerazioni un po’ critiche, la serie Bridgerton è piacevole e affezionarsi a questa famiglia inevitabile. Quindi penso che recupererò anche i titoli che ancora mi mancano, giusto per completare. Mi dispiace solo che Julia Quinn abbia mancato il finale apocalittico, non ha chiuso il cerchio prima di lasciare la famiglia al suo destino. Ma perché? Forse aspetta che crescano i nipoti? 😁

L’elenco dei romanzi, in ordine cronologico: 

Il duca e io (Daphne)
Il visconte che mi amava (Anthony)
La proposta di un gentiluomo (Benedict)
Un uomo da conquistare (Colin)
A sir Philip, con amore (Eloise)
Amare un libertino (Francesca)
Tutto in un bacio (Hyacinth)
Il vero amore esiste (Gregory) 
9 Felici per sempre (8 “secondi epiloghi”) 

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Orgoglio e pregiudizio? Prova l’audiolibro

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Hyacinth Bridgerton, Tutto in un bacio e in un diario

Hyacinth Bridgerton è l’ultima esponente femminile della nidiata e anche “difficile da sistemare”. Almeno così continuano a ripetere tutti i personaggi per 3/4 del romanzo. Ma Gareth St. Clair non è tutti e in questa donna vede qualcosa che le altre non hanno. Anche lei vede in lui qualcosa, nonostante la sua situazione familiare e personale non sia poi così rosea…riusciranno i due a sposarsi? Questo è il terzo libro della serie che leggo e ormai so di sicuro una cosa: Julia Quinn non fa mai mancare il lieto fine, anche se forse non è proprio quello che una lettrice si aspetterebbe!

Trama

Gareth St. Clair è nei guai: il padre, che lo detesta, è determinato a mandare in malora le sue tenute per rovinargli l’eredità. L’unica speranza è in un vecchio diario di famiglia, che potrebbe contenere i segreti del suo passato, e la chiave del suo futuro. Solo che è scritto in italiano. Hyacinth Bridgerton si offre di tradurlo; mentre approfondiscono il misterioso memoriale, i due si accorgono che le risposte di cui sono in cerca non si trovano tra le pagine, ma nel cuore dell’altro.

Senza Lady Whistledown, ma con un mistero da risolvere

Nella serie targata Netflix, Hyacinth è ancora una bambina e io sto leggendo i romanzi non nell’ordine di uscita. Quindi, questa è la prima volta che mi trovo davanti questo personaggio. E senza Lady Whistledown, per giunta. In realtà, qui non ho sentito molto la sua mancanza, perché catturata dal mistero del diario. Isabella, la nonna di Gareth, era italiana e teneva nota di quello che le succedeva. Sposata infelicemente con nonno St. Clair, aveva deciso di tenere per sé una cosa cui teneva molto, lasciando degli indizi sparsi qui e là per casa. Insomma, gli elementi per piacermi c’erano.

Peccato che…

Peccato, però, che andando avanti nella lettura il mistero si sgonfi. C’è anche da tenere in considerazione che probabilmente la versione italiana è stata tagliata. Lady Danbury a un certo punto nomina il diario, quando in teoria non dovrebbe saperne niente. Manca poi una lettura del diario stesso: quello che c’è scritto, molto poco, lo sappiamo solo da Hyacinth, che manda a tradurre dei pezzi a una sua ex governante italiana. Che è il motivo per cui lei parlicchia italiano. La governante manda la traduzione? Non si sa, ma presumiamo di sì. La fine di questa storia potrebbe anche sembrare deludente, e un po’ lo è perché Hyacinth Bridgerton viene descritta come un fulmine di guerra, ma non lo sembra poi così tanto, in fondo. 

Distratta dall’amore?

Forse, mettiamola così. Hyacinth e Gareth formano una bella coppia. Divertente il passaggio in cui lui, scapestrato, si rende conto di essere il più ragionevole dei due. Le dinamiche tra di loro funzionano. Quello che non funziona tanto, a mio avviso, è la tentazione dell’autrice di farci capire le cose non raccontandole, ma facendole dire a uno o più personaggi. Chiedo a chi lo ha letto: avete la sensazione che Hyacinth Bridgerton fosse così poco appetibile da dover addirittura “alzare la dote” per farla sposare? Ed è coerente con l’impostazione di una famiglia, che dice di fare tutto per amore e solo per amore? Insomma! 

Mi tengo i miei dubbi e vado dritta al romanzo successivo: Il vero amore esiste, già pronto sul comodino. Voi che mi dite di questa serie? Qual è il vostro preferito?

L’elenco dei romanzi, in ordine cronologico: 

Il duca e io (Daphne)
Il visconte che mi amava (Anthony)
La proposta di un gentiluomo (Benedict)
Un uomo da conquistare (Colin)
A sir Philip, con amore (Eloise)
Amare un libertino (Francesca)
Tutto in un bacio (Hyacinth)
Il vero amore esiste (Gregory)
9 Felici per sempre (8 “secondi epiloghi”) 

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I biscotti più buoni di Bridgerton, parola di Lady Whistledown. Con videoricetta!

Forever Amber

Pachinko, è così terribile essere coreano?

Pachinko, un romanzo che tre anni fa ha avuto un grande successo e che ora sta per diventare un kdrama interpretato da Lee Min-Ho. Perché? Perché racconta una di quelle storie che la storia ufficiale sembra aver dimenticato. E che continua a dimenticare tuttora, quella degli stranieri in patria e stranieri nel loro Paese. La scrittrice americana di origine coreana Min Jin Lee alza il velo e lo fa raccontando la storia di Sunja e, con lei, di tutte le donne del mondo.

“È così terribile essere coreano?”

“È terribile essere me”.

Trama

Corea, anni Trenta. Quando Sunja sale sul battello che la porterà a Osaka, in Giappone, verso una vita di cui non sa nulla, non immagina di star cambiando per sempre il destino del figlio che porta in grembo e delle generazioni a venire. Sa solo che non dimenticherà mai il suo Paese, la Corea colpita a morte dall’occupazione giapponese, e in cui tuttavia la vita era lenta, semplice, e dolce come le torte di riso di sua madre. Dolce come gli appuntamenti fugaci sulla spiaggia con l’uomo che l’ha fatta innamorare per poi tradirla, rivelandosi già sposato. Per non coprire di vergogna la locanda che dà da vivere a sua madre, e il ricordo ancora vivo dell’amatissimo padre morto troppo presto, Sunja lascia così la sua casa, al seguito di un giovane pastore che si offre di sposarla. Ma anche il Giappone si rivelerà un tradimento: quello di un Paese dove non c’è posto per chi, come lei, viene dalla penisola occupata. Perché essere coreani nel Giappone del ventesimo secolo, è come giocare a un gioco d’azzardo, il Pachinko: una battaglia contro forze più grandi che solo un colpo di fortuna o la morte possono ribaltare.

In cerca di una terra promessa

Il romanzo inizia nei primi anni trenta e finisce alla soglia del 1990. Cinquantasette anni in cui seguiamo la sorte di Sunja e della sua famiglia. Ragazzina inesperta all’inizio, nonna alla fine, Sunja lascia la Corea in cerca di una vita migliore, seguendo un marito che conosce pochissimo e che le promette solo una cosa, di rimanerle accanto nella buona e nella cattiva sorte. Non è questo che recitano le promesse matrimoniali? E la cattiva sorte, che perseguita i due fin dalla nascita, non tarda a manifestarsi in quella che avrebbe dovuto essere una terra promessa e si rivela nient’altro che l’ennesima prigione.

Ma non è questo che Min Jin Lee vuole raccontarci

Attraverso le vicende di Sunja, del marito Isaek, della Onni Kyunghee, del suo primo uomo, Hansu e dei due figli, Noa e Mozasu, la scrittrice americana vuole parlare di immigrazione, di chi si sente straniero in patria, di chi non ha un Paese in cui tornare. Come diceva Cesare Pavese: Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti. Quello che, al contrario, spesso dimentichiamo, è che molta gente un Paese in cui tornare non ce l’ha. Perché è un Paese in guerra, oppure perché è nato in una Nazione straniera e non ha radici. Comunque sia, questa è la forza del romanzo, una documentata e attenta ricerca sullo stile di vita e le difficoltà di integrazione della comunità coreana in Giappone. Mal vista, mal digerita, tanto da arrivare a nascondere le proprie origini, a camuffare l’identità pur di sopravvivere. E a ritrovarsi in lotta contro i pregiudizi, mi verrebbe quasi da dire “i soliti pregiudizi”.

I soliti pregiudizi

Sì, perché via via che scorrevano le pagine, la storia dei coreani in Giappone ha finito per somigliare sempre più a quella degli italiani emigrati nel dopoguerra. Gli italiani, come i coreani, “sanno di aglio, non sanno leggere, sono irascibili, vestono da straccioni, sono malavitosi, non ci si può fidare, rubano il lavoro”. Li riconoscete? Gli stessi discorsi che sentiamo anche oggi, rivolti ai nuovi immigrati. La radice è sempre la stessa e universale: la paura del diverso, la differenza che da ricchezza diventa un problema da cui difendersi.

I pregi e i difetti

Il pregio maggiore del lavoro di Min Jin Lee è proprio questo, aver studiato attentamente un’epoca storica e averla descritta nei minimi dettagli. Purtroppo, se la parte documentale di Pachinko non ha mai mostrato incertezze, la parte romanzata al contrario a un certo punto ha cominciato a mostrare crepe evidenti. Min Jin Lee non riesce a entrare in empatia coi suoi personaggi e neanche noi. Dalla metà in poi, il romanzo diventa un racconto didascalico di avvenimenti, senza pathos. Anche le tragedie più grandi scorrono in fretta, una o due righe e via, al prossimo evento. Alcuni personaggi spariscono, di altri veniamo a sapere qualcosa solo perché incidentalmente vengono nominati, altri ancora compiono dei gesti, vedi Noa, senza che la cosa sconvolga più di tanto gli altri, rasentando quasi l’assurdo. Finché, a un certo punto, la noia prende il sopravvento e l’unica voglia è quella di arrivare alla fine, lo stesso sentimento della scrittrice, probabilmente. La quale è eccellente nella parte razionale, tutta americana, ma perde la caratteristica orientale di scavare nei personaggi, di usare la musicalità delle parole per trasmettere emozioni, di comporre metafore che diventano esse stesse poesia. Se mi fossi fermata solo al nome, senza leggere la biografia, sarei stata tratta in inganno.

Nota a margine sull’edizione italiana

I romanzi tradotti in italiano hanno quasi sempre il difetto di cambiare il titolo. In questo caso, Pachinko diventa La moglie coreana. Quando ho iniziato il libro, pensavo che parlasse di una donna coreana sposata a un giapponese e, solo dopo, mi sono accorta che nel romanzo i protagonisti sono tutti coreani! Pachinko è più azzeccato, ovviamente, e credo che anche i lettori italiani non avrebbero avuto difficoltà a capirne il senso. Sulla cultura coreana, invece, avrei speso qualche parola in più: nella festa per il primo anno di Solomon, per citarne una, si fa riferimento a una tradizione che potrebbe far rimanere interdetto chi legge: perché se il bambino prende soldi, è un buon presagio? Un motivo c’è, ma andrebbe spiegato. In questa traduzione, poi, le parole coreane vengono tradotte usando una romanizzazione che, in alcuni casi, non consente al lettore italiano di pronunciare correttamente. La parola Eomma, per esempio, che nel romanzo viene ripetuta più e più volte, diventa Umma, che è corretta per un anglofono, ma non per noi. Quindi, mi raccomando, la mamma coreana è Omma, con la o chiusa. Chi segue i kdrama non ha problemi, lo dico per tutti gli altri!

E con questo articolo, si conclude la terza lettura del BookClubPeC. Voi avete letto il romanzo? Aspettate il kdrama con impazienza? Raccontatemi nei commenti 🙂

Leggi anche: 

Il Pachinko di Min Jin Lee e quello di Lee Min-ho

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http://www.pennaecalamaro.com/tag/book-club/

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Il Pachinko di Min Jin Lee e quello di Lee Min-ho

Pachinko, di Min Jin Lee, il romanzo che stiamo leggendo nel BookClubPeC. La moglie coreana nell’edizione italiana. Nelle settimane precedenti, abbiamo parlato dei personaggi e commentato tempi e luoghi in cui Min Jin Lee ha immerso i suoi protagonisti. Ora abbiamo terminato la terza settimana di lettura e, se abbiamo proseguito senza impedimenti, dovremmo essere giunti a a 3/4 del romanzo. Quindi, possiamo iniziare a dire qualcosa sulla storia in sé. Come di consueto, vi lascio sotto qualche spunto di riflessione. Ai lettori la parola. E alla fine, una novità dramosa.

I pregi e i difetti secondo me 

Vi anticipo quella che è la sintesi del mio commento al romanzo, di cui magari vi parlerò più diffusamente la settimana prossima, a fine lettura. Min Jin Lee ha studiato attentamente un’epoca storica e averla descritta nei minimi dettagli. Purtroppo, se la parte documentale non ha mai mostrato incertezze, la parte romanzata al contrario a un certo punto ha cominciato a mostrare crepe evidenti. Min Jin Lee non riesce a entrare in empatia coi suoi personaggi e neanche io, per la verità. Dalla metà in poi, il romanzo diventa un racconto didascalico di avvenimenti, senza pathos. Anche le tragedie più grandi scorrono in fretta, una o due righe e via, al prossimo evento.

La storia vi convince?

La vostra lettura, invece?  Come prosegue? State incontrando difficoltà o vi piace quello che leggete? La vicenda della famiglia Baek vi appassiona, o in alcuni punti vi sembra un po’ forzata, come sta succedendo a me?

E lo stile con cui la scrittrice Min Jin Lee racconta? 

Vi piace? O avreste preferito un altro modo di narrare?

E adesso la novità dramosa: Pachinko diventerà un kdrama

Mentre ci avviamo alla chiusura, vi do una notizia dramosa abbastanza fresca: Pachinko diventerà un kdrama. Andrà in onda su Apple tv, e speriamo su altre piattaforme a seguire, e tra i protagonisti…udite udite…ci saranno Lee Min-ho nella parte di Hansu e Youn Yuh-jung, l’attrice recentemente premiata con l’Oscar per Minari, nella parte di Sunja. Che ne dite? Io sono molto, molto curiosa! 

Commentate sotto al post 

Come vi ho già detto, sentitevi liberi di commentare sotto il post le vostre sensazioni, perplessità, emozioni, e tutto ciò che il Pachinko vi sta dando, in positivo o negativo. Vi prego solo di badare più alla sostanza che alla forma. Non fatevi bloccare dalla timidezza, più riusciamo a esprimerci liberamente e più una lettura condivisa acquista valore.

Aspetto i vostri commenti qui sotto! 🙂 

Se volete recuperare o aggiungere qualcosa su personaggi o ambientazione, o se volete sapere come funziona il Book Club P&C, cliccate sotto:

La moglie coreana, sorellanza che non si spezza

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La moglie coreana, sorellanza che non si spezza

La moglie coreana è il romanzo che stiamo leggendo per il BookClubPeC di maggio. Siamo a metà dell’opera e ormai i personaggi hanno preso vita. Dopo aver commentato tempi e luoghi in cui Min Jin Lee ha ambientato la sua storia, ora ci focalizziamo sulle persone.

La famiglia Baek

Stavolta i protagonisti non sono una coppia, ma un’intera famiglia, la famiglia Baek, di cui seguiamo la vita per generazioni. . Come ve li immaginate? Cosa sappiamo di loro?

Sunja all’inizio del libro è una giovanissima coreana che rimane incinta di Hansu, più grande di lei e già sposato. Sunja è ingenua, sì, ma eticamente incorruttibile. Non vuole diventare l’ennesima amante di un uomo ricco e accetta di seguire Isak in Giappone. E di sposarlo. 

Isak è un uomo cagionevole di salute, profondamente religioso e molto buono. Proviene da una famiglia che una volta era benestante ed è elegante nei modi. Vuole aiutare Sunja e la mamma, che hanno fatto molto per lui. Per questo sposa Sunja e raggiunge il fratello a Osaka.

Kyunghee è la cognata di Sunja, la moglie del fratello di Isak, Yoseb. E’ più grande di Sunja e diventa subito la sua Onnie (Onnì la pronuncia in italiano), la sorella più grande secondo il complesso vocabolario dei nomi familiari coreani. E’ una donna pratica e molto devota al marito e, negli anni, lei e Sunja diventeranno l’una per l’altra le colonne cui appoggiarsi per fronteggiare la vita.

Yoseb è il fratello di Isak. Un uomo che della protezione della sua famiglia ha fatto un credo, che porta avanti nonostante tutto e tutti. Un uomo disposto a lavorare a testa bassa, e a farsi mettere i piedi in testa, pur di non perdere il precario equilibrio che ha raggiunto nella società.

Hansu è forse il personaggio che mi ha colpito di più. Enigmatico, scaltro, è un coreano che è riuscito a farsi valere in Giappone, usando tutte le risorse a sua disposizione, criminali e non. E’ forse il personaggio che rimane più coerente con se stesso, dall’inizio alla fine. E anche quello che riesce a leggere i moti della storia e della società meglio di tutti gli altri. Questo, però, non gli garantisce la felicità.

E voi? Cosa pensate di Sunja e gli altri?  

Come vi ho già detto, sentitevi liberi di commentare sotto il post le vostre sensazioni, perplessità, emozioni, e tutto ciò che il libro di Min Jin Lee vi sta dando, in positivo o negativo. Non fatevi bloccare dalla timidezza, più riusciamo a esprimerci liberamente e più una lettura condivisa acquista valore.

Aspetto i vostri commenti qui sotto! 🙂 

Se volete recuperare o aggiungere qualcosa sull’ambientazione, cliccate qui:

La moglie coreana tra i venti taglienti di Busan

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