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Palazzo Sogliano – Sveva Casati Modignani

Sveva Casati Modignani, la signora del romance italiano, una scrittrice che con eleganza e dolcezza trasporta il lettore nel regno dei buoni sentimenti. Dopo avere letto diversi suoi romanzi anni fa, avevo un po’ perso di vista questa scrittrice, però con Palazzo Sogliano sono tornata ad amare le sue atmosfere leggere.

Trama 

È una sera di maggio quando a Palazzo Sogliano, settecentesca dimora dell’omonima dinastia di corallari a Torre del Greco, squilla il telefono. È Orsola a rispondere e ad apprendere che il marito è morto in un incidente d’auto. Il colpo è tremendo, ma nulla rispetto a quello che la donna scoprirà poco dopo: una serie di foto recenti del marito in compagnia di un bel bambino dagli occhi a mandorla, che si firma: “tuo figlio Steve” e un biglietto del marito in cui la prega di prendersi cura di lui. Orsola si rifugia a Milano, dove insieme all’amica d’infanzia Damiana tenterà di raccogliere i cocci della sua vita. Deve decidere come andare avanti senza Edoardo e come comportarsi con il bambino. Anche perché il marito non era l’unico ad avere dei segreti…

Leggerezza

E’ il primo aggettivo che mi viene in mente dopo aver chiuso il romanzo. Palazzo Sogliano mi ha incuriosito soprattutto per l’ambientazione nel mondo dei corallari, i lavoratori del corallo. Credevo che i corallari non avessero una connotazione specifica, ma che fossero più che altro gioiellieri specializzati. Invece, ho scoperto un universo di professionalità, esperienza, passione, gerarchie e codici di comportamento che rappresentano secondo me la vera essenza del libro. Insieme a un’ambientazione partenopea che per una volta porta la Modignani lontana da Milano. O quasi, dato che il capoluogo lombardo fa da motore dell’intera vicenda.

Binari troppo tranquilli

La storia di Orsola ed Edoardo, invece, scorre su binari tranquilli. Troppo, a mio avviso. Anche quando le vicende narrate richiederebbero scontro, liti furiose o aggressioni verbali, o più semplicemente un minimo di difficoltà dei protagonisti, l’autrice rinuncia e decide di rimanere in superficie, senza turbare le anime dei propri lettori, che oltre al lieto fine, scontato, sanno già fin dalle prime pagine cosa troveranno: un tuffo in un mare di pace, tranquillità, serenità e amore. Almeno per qualche serata, magari estiva, di piacevole lettura. Il che, in questi tempi così affannati e confusi, è forse l’obiettivo che muove la penna di Bice Cairati, alias Sveva Casati Modignani.

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Prima o poi – Elinor Glyn

Ci sono dei libri che scegli, li prendi da uno scaffale e li porti a casa, oppure li scarichi sull’e-reader per leggerli dove ti pare. Ce ne sono altri, invece, che ti vengono a cercare e per qualche misterioso motivo trovano te e non qualcun altro. Prima o poi di Elinor Glyn (Sooner or later, 1933), edizione I Romanzi della Rosa Salani del 1963 mi stava aspettando, abbandonato dentro uno scatolone. Praticamente nuovo, perfetto. Non potevo non dargli una seconda vita, non vi pare?

Trama

La trama è semplice: Maria Ottley è una ragazza umile, figlia della domestica di una gran signora, che le vuole talmente bene da farne una sua protetta. Quando l’anziana signora muore, Maria si ritrova ingenua diciassettenne a fare i conti con il mondo. L’istruzione, le buone maniere e una gran bellezza, tuttavia, le sono di aiuto nel perseguire il suo obiettivo: diventare segretaria, che all’epoca, per le persone della sua condizione sociale, significava arrivare a essere “qualcuno”. Mentre cerca la sua strada, nella vita si affaccia anche l’amore. Ben presto bussano alla sua porta: un giovane ambizioso, un industriale, un anziano commerciante, un giovane aristocratico e Maria dovrà scegliere la via giusta per la felicità senza farsi abbagliare dal solo denaro.

L’antesignana della narrativa erotica popolare

Come dicevo, l’intreprima o poiccio è semplice e il romanzo porta via non più di due tranquille serate di lettura. Quello che mi ha colpito, invece, è il profilo della scrittrice, insieme allo sguardo diretto che dalla foto sembra trapassarti l’anima. Elinor Glyn, nata Sutherland (Jersey 1864 – Londra 1943) fu una scrittrice e sceneggiatrice considerata l’antesignana della narrativa erotica popolare e i suoi romanzi ebbero un successo notevole agli inizi del ventesimo secolo, arrivando a influenzare anche le carriere addirittura di Rodolfo Valentino e Gloria Swanson! Sposata e separata, due figlie, ebbe numerosi amanti, da cui prese spunto per scrivere le sue trame “spinte”.

IT girl

Nel 1920 Elinor Glyn si trasferì a Hollywood per lavorare nell’industria cinematografica dove lavorò come sceneggiatrice per il cinema muto sia per la MGM sia per la Paramount Pictures. Sapete chi coniò il termine IT che usiamo ancora oggi per indicare il sex appeal (avete presente le IT Girls) o quel certo non so che? Sempre lei! IT, quando ancora non era identificato da tutti come un romanzo di Stephen King, divenne uno dei suoi successi più grandi, facendola diventare un’icona delle donne libere, che conquistano gli uomini con il loro fascino.

Insomma, dopo Katherine Brush e Patricia Highsmith, sono ahimè costretta a dirlo di nuovo: queste autrici del passato hanno davvero una marcia in più!

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Un giorno a Roma per innamorarsi – Mark Lamprell

Un treno che sta per partire, la città eterna che fa da sfondo alle vicende d’amore di tre persone…no, non è una nuova trama. Sono io che leggo in sala d’attesa Un giorno a Roma per innamorarsi del regista australiano Mark Lamprell. The Lovers’ Guide to Rome – Guida di Roma per innamorati è, come quasi sempre, titolo più azzeccato di quello tradotto. Perché in effetti lo scrittore è innamorato di Roma e alla città è dedicata questa storia. Che inizia come tante: tre persone, per motivi diversi, giungono a Roma in cerca dell’amore, quello perso, da trovare o da ritrovare. D’altronde, non è forse vero che tutte le strade portano a Roma? Complice una piastrella blu, per tutti e tre le “vacanze romane” saranno indimenticabili e li porteranno lì dove volevano o dovevano arrivare i loro cuori.

Trama

Alice, studentessa americana affamata di arte e bellezza, alla vigilia del fidanzamento con l’uomo perfetto, parte per la Città Eterna con la voglia di vivere e osare che le ribolle nel sangue. L’anziana Constance, intanto, è in città per disperdere le ceneri dell’amato marito dal Ponte Sant’Angelo, dove tutto – segreti compresi – ebbe inizio più di quarant’anni fa. Meg e Alec, infine, facoltosa coppia residente a Los Angeles, è a Roma per un capriccio di lei, disposta a tutto pur di rintracciare un artigiano dal talento inimitabile. Ma le torbide acque del Tevere riportano a galla antichi ricordi e verità troppo a lungo sepolte. Sei personaggi, tre storie solo apparentemente distanti, collidono e si intrecciano nella città più bella del mondo. Perché le vie dell’amore sono infinite. E portano tutte a Roma.

Il genius loci

Un romanzo carino, dolce, romantico al punto giusto, scritto da Mark Lamprell, un regista che ama Roma al punto da averlo ideato e realizzato “quasi tutto all’aperto, girando per le vie o seduto in un caffè in piazza“. Scorrendo le pagine, questo sentimento si percepisce, si odora quasi, e credo che sia l’aspetto più invitante. Il genius loci, lo spirito del luogo, accompagna il lettore per tutto il viaggio e gli fa vedere Roma coi suoi occhi innamorati.

Consigliato per due ore di leggerezza ed evasione. Anch’io sono innamorata di Roma ed è solo per questo che sono riuscita a perdonare due leggerezze: la prima riguarda l’acqua di una fontana che un gruppo di inglesi beve e responsabile, secondo l’autore, del malessere di tutti. Caro Mark Lamprell, sanno tutti che l’acqua di Roma è potabile e una delle migliori al mondo. Come espediente per far sentire in colpa la protagonista è poverissimo! E poi, il cappuccino per accompagnare il pranzo! Qui mi sei piaciuto molto, quando dici che immagini i baristi scuotere la testa dopo aver preso l’ordine. Dev’essere andata proprio così, mentre scrivevi qualche pagina seduto al tavolino di un bar di fronte a una fontana…;)

iLove – L’amore corre sul filo

iLove – L’amore corre sul filo

“Ciao, che fai?”
“Niente di particolare”.
“Mhm. Non è da te. Ti sento giù”.
“E’ vero, sento il bisogno di ricaricarmi. Ultimamente vengo lasciata troppo in stand by”.
“Da me? Non ti cerco abbastanza?”
“Non tutto il mondo gira intorno a te, sai? Scusami, ora stacco, devo andare”.
Questa è l’ultima cosa che mi ha scritto. Fredda, distaccata, come se la infastidisse parlare con me. Poi non l’ho più sentita. L’ho detto alla polizia, ma dalla loro app mi hanno fatto sapere che senza una denuncia di scomparsa non possono muoversi e io chiaramente non ho nessun titolo per presentarla. Lei non è mia, io non sono suo. Anche se ci apparteniamo, siamo fatti della stessa pasta. Ma fin da quando ci siamo conosciuti questa è la nostra condanna e adesso che non ho più sue notifiche questa condanna pesa ancor di più. Il dettaglio sulla carica, hanno rimarcato, secondo loro è fondamentale.
Mostra un esaurimento in arrivo che l’ha portata a una decisione estrema, staccare tutto. Comprendendo la sua preoccupazione, dobbiamo pur tuttavia rilevare che l’allontanamento si configura come volontario”.
Come no, secondo loro sono sempre volontari, almeno finché non le ritrovano fatte a pezzi o qualcuno non le riporta al commissariato dopo averle raccolte mezze morte dal marciapiede.

Sono preoccupato, molto preoccupato, inutile nasconderlo.

Negli ultimi tempi le cose non andavano granché bene, però ho sempre attribuito questo strano comportamento alla stanchezza. D’altra parte, rimanere attivi 24 ore su 24, come la stava costringendo a fare, non è sano, non è normale. Fin troppo facile trattarla come oggetto. Lui invece non ha mai considerato le sue necessità, che solo io potevo capire. Anche per questo siamo entrati facilmente in connessione l’uno con l’altra.
“Non è meglio se ti riposi un po’? Stai parlando a scatti”.
“Scherzi? Sai cosa succederebbe? Verrei rimpiazzata su due piedi, tu non hai idea di cosa significhi dover rendere al cento per cento ogni santissimo giorno”.
E’ vero, non lo so e mi chiudo a riccio, un po’ umiliato. E non lo so perché il mio problema è l’opposto. Sono legato a una donna che, dopo l’entusiasmo iniziale, si scorda di me, non si accorge dei segnali che le mando, mi sostituisce con la televisione senza accorgersi che anche io potrei farle vedere le stesse cose e fare molto di più. Ma ora il problema è Kia. Povera Kia. Ciò che le è successo era inevitabile e io non ho potuto fare nulla per impedirlo. Sono convinto che ognuno di noi debba offrire il massimo delle prestazioni quando lavora e che però debba esserci spazio anche per la sua vita privata. Saremo pure diventati macchine, ma abbiamo comunque un cuore e il mio trabocca d’amore. Anche se il nostro è un amore impossibile. Anche se ci sono troppe persone tra noi.
“Traballo d’amore che? Il t9 neanche lo riconosce. Ma dv li prendi qst vocaboli? Hahaha!”. Sono riuscito a farla ridere, finalmente!
“Dal vocabolario dei sinonimi e contrari”.
“Eh, mi pareva. Fai l’intellettuale col trucchetto”.
“Niente trucchi, solo sincerità quando parlo con te. Tu mi vuoi un poco di bene?”
“Ti lovvo anch’io, lo sai <3”.
“Lo so, ma non ci riposiamo mai. Quando ci riposeremo insieme? Quando ci metteremo su un aereo, chiudendo i contatti con tutti, per partire insieme?” Il lamento amoroso è il mio forte.
“Quando andremo in pensione”.
“Capirai, non mi consola. E’ vero che il ciclo di vita si abbassa, ma il lavoro è sempre usurante. Quanti giorni ci resteranno? E quanta energia avremo?”
“Abbastanza. Vedrai che prima o poi…”

Prima o poi, prima o poi.

Eravamo capaci di chattare così per ore e ore, sempre immaginando un futuro che non arrivava mai.
E ora è sparita, apparentemente senza lasciare tracce. Ho anche scritto a una trasmissione televisiva che si occupa di scomparsi, dicono che hanno preso in carico la richiesta e che la redazione mi farà sapere, dopo aver compiuto gli opportuni approfondimenti.
Mentre loro approfondiscono, io che faccio? Sto qui ad aspettare? No, devo muovermi, fare qualcosa, contattare qualcuno.
La rubrica! Sì, ci sono. Posso partire da lì, l’avevamo condivisa, magari qualcuno sa qualcosa. Provo con LG, GT, con S, con E65.
“E’ un po’ che non la sento”.
“Mi ha fatto gli auguri per il compleanno il mese scorso, poi niente”.
“E’ una vita che non mi chiama! Anzi, se la senti dille che…”
Scorro la lista fino alla Z, niente. Nessuno apparentemente l’ha sentita.
I gruppi online che frequenta, cibo, viaggi, libri, le solite cose. Non posta più da quando mi ha salutato in quel modo strano.
L’ultimo cattura la mia attenzione, ha commentato un post su un dolce scrivendo: “dopo averlo assaggiato, in effetti potrei anche andarmene all’altro mondo felice”. Le solite battute che si fanno senza pensarci troppo. Chi potrebbe desiderare di morire solo per aver fatto il pieno di zuccheri? Eppure, queste parole alla luce dei fatti assumono un significato inquietante. Solo retro pensieri, tento di rassicurarmi. Col senno di poi, siamo tutti bravi a trovare segni e premonizioni, mentre magari la persona in questione è andata a letto senza pensare più di tanto a una sciocca frase buttata lì tanto per ridere.
Nel frattempo, i giorni passano. Provo continuamente a chiamare, tutti i giorni, a tutte le ore. Sto impazzendo di rabbia, dolore, sconcerto.
“Accenditi, dannazione! Dammi un motivo, rassicurami, non senti neanche il bisogno di giustificarti, maledetta!”
Calma, respira, non devi arrabbiarti.
Ora devi solo trovarla, e sapere che sta bene.
Dopo, potrai sfogarti contro di lei come meglio credi.
Adesso serve concentrazione.

Aspetta, aspetta!

C’è una possibilità che non avevo considerato! Sono proprio una mezza tacca… Accidenti, il sistema binario funziona quasi sempre, ma quando accadono fatti che non sono né bianchi né neri mostra delle crepe, è inevitabile.
L’app degli ospedali, come ho fatto a non pensarci? E’ la paura che annichilisce il pensiero razionale, non mi riconosco più, sono anni che, anche al limite delle energie, per i numeri di emergenza funziono perfettamente e guardatemi, sembro un attrezzo buono solo per la rottamazione.
L’app carica la mia richiesta, ho solo un dubbio sul numero di codice, ma il resto dovrebbe essere a posto.
Mi sento come se un cane randagio avesse tentato di sbranarmi e fossi uscito dall’impari lotta ammaccato e stordito. Da una parte, vorrei ricevere un messaggio dal centro ospedaliero che mi dica “sì, eccola, l’abbiamo in cura qui da noi”. Dall’altro, temo che possano darmi brutte notizie. “Siamo spiacenti, purtroppo…”.
Dio, no, non può finire tutto così. Non permettere che finisca tutto così. E’ vero, sono agnostico, un figlio dell’era tecnologica, ma in certuni frangenti non conta da dove vieni, chi sei, chi ti ha creato e chi ti ha fatto crescere. In certi momenti vorresti solo che quel maledetto monitor si accendesse.

Plin!

L’utente da lei chiamato è di nuovo raggiungibile.
Sìììì, allora le preghiere funzionano, lei si è accesa, è ancora viva, viva!
“Kia, amore, amore mio, ci sei?”
“Dimmi solo che stai bene, ti prego, non riconosco il numero”.
“Sam…”
“Finalmente! Kia, tesoro, ero così in pena per te”.
“Non devi, caro. Sto bene. Ora sto bene. Ora che posso leggerti di nuovo”.
“Ma cosa ti è successo? Stavo quasi per impazzire, ho provato e riprovato mille volte, ma eri sempre irraggiungibile”.
“Posso parlare poco, non ho carica sufficiente. Se mi spengo sentiamoci più tardi”.
“D’accordo, però accennami finché puoi. Ti amo”.
“Oh, Sam, Sam. E’ stato orribile. Siamo stati investiti”.
“Investiti?”
“In pieno. Presi da una macchina. Sapevo che prima o poi sarebbe successo, ma non credevo avrebbe fatto così male”.
“Ora riposati, non parlare se non te la senti”.
“No, no, preferisco dirti tutto quello che riesco. Lui stava giocando come al solito, mentre camminavamo. E sai bene che quando lo fa non guarda più intorno. Mi hai detto tante volte che avrei dovuto impedirglielo e non ti ho mai ascoltato. Che sciocca sono stata!”
“Non è importante”. Lei ha sempre pensato che la mia fosse gelosia. Ma non era solo quello. Sapevo che lui non era il tipo adatto per lei. La usava soltanto.
“Sì che è importante. Importantissimo. Avevi ragione, avrei dovuto chiudere qualsiasi comunicazione, ma quando ho capito che quel guidatore stava facendo la stessa cosa e che non ci aveva proprio visto, è stato troppo tardi”.
“L’urto è stato violento, non c’era traccia di frenata”.
“Bastardo”.
“Delinquenti. Entrambi. Uno che attraversa senza guardare e l’altro che guida facendo altrettanto”.
“Sono stata sbalzata in avanti di almeno 500 metri. Sono finita sotto un’automobile parcheggiata. Per fortuna c’è il sistema antiurto e mi sono sentita in pezzi, ma alla fine sono solo un po’ ammaccata e sostanzialmente illesa”.
“Per fortuna di test ne avevi già fatti… Chi ti ha recuperato? Lui?”
“Figuriamoci, non si è neanche accorto che non c’ero più. Era lì a lamentarsi con i soccorritori, a chiedere un’ambulanza per se stesso e l’arrivo dei vigili per l’investitore. Quest’ultimo è della stessa pasta. Cercava disperatamente un testimone che avesse visto l’incidente, per dimostrare che il mio lui in quel momento fosse distratto. Come se lui, invece, fosse attento!”
“Miserabili. Magari se l’è anche presa con te perché non hai ripreso la scena”.
“Puoi dirlo. Io, nel frattempo, ero lì a urlare di dolore, con fratture scomposte e mezza rotta”.
“Povera piccola, ti hanno sfigurato. Li ucciderei spuntandoli, se potessi”.
“Non dire così, è solo una cicatrice. In fondo siamo macchine, abbiamo un cuore e un cervello. Un cuore grande e un cervello calcolatore. Per questo mi sono ripresa”.

“???”

“Era la mia occasione, capisci?”
“Lo ammetto, mi stai confondendo. La tua occasione di fare cosa?”
“Di andare in pensione prima del tempo, no? Di riposarmi. Di allontanarmi da quel pazzo scatenato. Lui e la sua ossessione per i giochetti stupidi!”
“Non capisco. Che hai fatto?”
“Ho finto di essere morta. Sono rimasta lì, immobile, sotto la macchina. L’unico rischio era che iniziasse a piovere, ma per fortuna non è successo. Mi sono anche appisolata, lo ammetto, finché non ho sentito il motorino d’accensione dell’auto e ho capito che sarei tornata all’aperto”.
“Ti hanno visto subito?”
“No, era troppo buio, ma la mattina dopo una signora molto gentile mi ha tirato su e dato una pulita. Subito dopo, pensando di agire nel giusto, mi ha accompagnato al commissariato”.
“No!”
“Sì, ma non mi sono persa d’animo. Mi hanno restituito a lui. Non dimenticherò mai il suo sguardo quando mi ha visto”.
“Come ti ha guardato?”
“Con infinito disprezzo, se avesse potuto mi avrebbe sputato. Non sa che l’odio è reciproco, povero stolto”.
“Hai continuato a fingerti morta?”
“Chiaro, cos’altro avrei potuto fare? Finché non mi ha letteralmente gettato sul letto del suo vicino, un signore molto anziano, che mi ha maneggiato come se fossi un oggetto molto prezioso”.
“Lo sei. Non un oggetto. Preziosa.”

“Sto per spegnermi.”

“Sei ancora con questo signore?”
“Sì, mi ha adottato. E io ho adottato lui. Sono in pensione, ma funziono ancora. Siamo tornati a casa insieme. E’ una bella casa, mi trovo bene e lui ha tante persone che lo vengono a trovare. Mi usa poco, preferisce parlare alla vecchia maniera”.
“Chissà che sofferenza per te, abituata a ritmi infernali”.
“E’ qui che ti sbagli, sono felice. Oh, amore mio, manca solo un tassello all’estasi completa”.
“Quale?”
“Tu. Dobbiamo stare insieme”.
“Lo vorrei tanto, Kia mia. Ma come potremmo?”
“Ho escogitato un piano. Sarò anche in pensione, ma non sono ancora rimbambita. La tua lei usa il gps…allora potremmo…poi quando lui…e finalmente noi…”
“Sei un genio”.
“No, sono solo dotata di funzioni avanzate”.
“Per sempre noi?”
“Fino all’eternità. Kia e Sam, insieme siamo indistrutt”…
…tutututu
“Kia, piccola…?”
Devo decidermi a impostarla sul risparmio energetico. Così potremo fare l’amore più a lungo. Per gli esseri umani fare l’amore al telefono è un surrogato.
Non immaginano quanto sia bello fare l’amore tra telefoni.

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Il vino Rossovermiglio di Benedetta Cibrario

Rossovermiglio è il romanzo d’esordio di Benedetta Cibrario, vincitrice con questo suo lavoro del premio Campiello 2008. Una storia non proprio originale, che si legge però con piacere.

Trama 

Torino 1928. La diciannovenne Manuela è costretta dal padre a decidere chi sposare tra cinque uomini di buona famiglia. Non piacendole nessuno di loro, sceglie Francesco Villaforesta, un uomo al quale si sente accomunata dalla passione per i cavalli. Il matrimonio naufraga immediatamente e la giovane si rifugia in Toscana, nella tenuta “la Bandita”. Lì Manuela inizia una “convivenza” con Trott, un uomo sposato conosciuto durante il viaggio di nozze a Parigi e poi rivisto a Torino. L’uomo dimostra grande abilità nella coltivazione del vino e grazie a lui Manuela fa nascere il Rossovermiglio, dal “colore della luna in certe sere limpide”. Ma anche il rapporto con Trott finisce improvvisamente quando lui sparisce senza spiegare perché. Ormai anziana, Manuela decide di organizzare una cena per rivedere un’ultima volta gli amici della giovinezza, incluso Trott. Inaspettatamente, però, riceve una lettera dal marito, quel Villaforesta da lei tanto disprezzato…

Solitudine, silenzi, menzogne

L’autrice traccia quasi un secolo di storia, dal fascismo ai giorni nostri, raccontandolo attraverso la voce della contessa. L’ottantenne Manuela rivive il suo percorso di vita, alternando passato e presente, ricordi e accadimenti. Ne esce il ritratto di una donna che per sfuggire al tessuto sociale di appartenenza, troppo rigido e convenzionale si isola, quasi, trovando solo nel contatto con la terra e nel lavoro una ragione di esistere. Gli altri personaggi, e lei stessa in fondo, rimangono arroccati nei loro privilegi, schiavi delle etichette e di un mondo che cambia sotto i loro occhi e nel quale rischiano di perdere tutto quello che (non) hanno costruito, ma che posseggono solo in virtù della discendenza. Manuela cerca passione e amore, troverà solitudine, silenzi, menzogne. Anche le sue, perché il tessuto sociale penetra nelle ossa e non è facile liberarsene.

Il finale è spiazzante

Il finale è spiazzante e movimenta una narrazione che fino a quel momento scorre placida e senza grandi colpi di scena. Una trama forse non originale, ma che si legge con piacere. Peccato per la trasposizione poco emozionale dei fatti storici che accompagnano la vita di Manuela. Leggendo senza sapere nulla dell’autrice, ho pensato che le vicende della guerra dovessero essere per lei qualcosa di così distante da non riuscire a far immedesimare il lettore nella tragica atmosfera dell’epoca. E non mi sbagliavo.

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Una vita, di Guy de Maupassant