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Scontro di civiltà per un ascensore a piazza Vittorio – Amara Lakhous

Ho scelto questo romanzo di Amara Lakhous per il titolo e perché la trama m’incuriosiva. Mi sono ritrovata a divertirmi riflettendo, quanto di meglio si possa chiedere a un libricino che indagando su un mistero, chi ha ucciso il Gladiatore?, vuole indagare la psiche umana e i suoi limiti indotti.

La trama

In un condominio di Piazza Vittorio a Roma, nel quartiere multietnico dell’Esquilino, un losco individuo di nome Lorenzo Manfredini, detto “il gladiatore”, viene trovato ucciso dentro l’ascensore. Chi è stato? I sospetti si concentrano su uno dei condomini, Amedeo, misteriosamente sparito proprio il giorno dell’omicidio. I vicini di casa, però, non sono d’accordo: non può essere stato lui. E allora chi? Ogni condomino, interrogato, propone la sua verità.

Chi ha fatto la pipì nell’ascensore?

Il romanzo è piccolino e gustoso e si legge in uno o due giorni, anche perché se i condomini sono d’accordo su una sola cosa, cioè che non possa essere stato Amedeo, un motivo ci sarà pure e la voglia di sapere chi sia l’assassino cresce con il passare delle pagine. Gli scontri di civiltà del titolo sono il secondo motivo che cattura.

Quando in televisione vediamo i conflitti a fuoco, i kamikaze, gli attentati terroristici, gli sbarchi,  sembra sempre che dietro gli scontri ci siano grandi ideali, giusti o sbagliati che siano, il dio Denaro, la lotta per il potere. Insomma, temi alti. Qui, invece, il lettore si rende conto immediatamente che i problemi sono altri: sono, più banalmente, quelli che chiunque abbia partecipato a un’assemblea di condominio comprenderà immediatamente.

I problemi quotidiani come l’uso dell’ascensore, il cane che sporca, la portinaia impicciona, nascono da difficoltà che tanto banali non sono. Sorgono e vengono ingigantiti dal pregiudizio, dall’ignoranza, dalla presunzione di essere migliori degli altri. Nascono, e diventano insormontabili, perché ci rifiutiamo di aprirci agli altri, di assumere il loro punto di vista, di imparare dagli errori e orrori del passato, per accettare che diverso significa solo diverso e non sbagliato.

Sarà mica un italiano?

Lo scrittore usa un tono leggero e divertente per far capire che esistono tante verità, diverse angolazioni da cui guardare un fatto, innumerevoli complicazioni che potremmo evitare se parlassimo la stessa lingua. E’ sorprendente come sia riuscito, pur essendo lui stesso di diversa etnia, a osservare con grande acume vicende, situazioni e personaggi che tratteggiano la realtà italiana meglio di come facciano registi e scrittori autoctoni. Viene quasi il sospetto che anche Amara non sia chi dice di essere. Sarà mica un italiano sotto mentite spoglie?

Una sola cosa ho da rimproverargli, e cioè che cade anche lui, chissà quanto consapevolmente, nel tranello che ha teso ai personaggi. Gli italiani, infatti, ne escono con le ossa rotte: ignoranti, prevaricatori, delinquenti e intolleranti. Gli immigrati, tutti brava gente: incompresi, sfruttati, soli e sottomessi. Sarà proprio tutto così bianco e nero? O anche in questo caso in una sola verità coesistono diverse gradazioni di colore?

Non c’è mondo fuori dalle mura di Verona/terzo giorno

L’inizio dell’ultimo giorno di vacanza porta sempre con sé un po’ di tristezza anticipata. Non è così anche per voi? Per esorcizzarla, conosco un solo rimedio: fare qualcosa che mi piace davvero, davvero tanto. Questo è il mio ultimo giorno a Verona. Ho visto tante cose interessanti, ma è quasi ora di andare via. Cosa mi rimane da fare? Seguitemi.

Palazzo della Gran Guardia

Il caso vuole che il Palazzo della Gran Guardia ospiti la mostra Maya, il linguaggio della bellezza. Un’occasione eccezionale, circa 250 reperti riuniti in un’unica sede, a testimoniare la bellezza del corpo utilizzato come tela. Nel mondo maya, nel quale la bellezza aveva un ruolo importante, la popolazione era solita realizzare quotidianamente acconciature per capelli e pitture su viso e corpo, riservandone invece di specifiche e particolari in occasione delle festività. Alcune di queste pratiche, come le cicatrici e i tatuaggi, cambiavano per sempre l’aspetto delle persone ed erano considerate espressioni visibili di identità culturale e di appartenenza sociale. Se passate per Verona prima del 5 marzo 2017 non perdetela, vale davvero la pena.

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Caffè Tubino

Uscita di lì, niente di meglio di un caffè per assaporare ancora il gusto di un’arte così avanzata arrivata fino a noi dal mondo antico. Per la sosta rigeneratrice, ho scelto il caffè Tubino, dicono il più buono della città. Veramente ora si chiama Caffè Borsari, ma i veronesi sono affezionati al nome originale e chi sono io per cambiarlo? Perché poi cambiare nome se tutti lo amano? Misteri delle proprietà. Il locale è curioso, stracolmo di articoli natalizi e personaggi Disney in vendita. Il caffè ottimo e fortunosamente sono anche riuscita a trovare posto in uno degli unici tre tavolinetti presenti nel piccolo locale.

Colle di San Pietro

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Il tempo però vola, Natale è già finito e allora via, verso la prossima e…sigh…ultima meta. Chiudo in bellezza, in tutti i sensi, e fuori dalle porte cittadine. Mi inerpico in cima al colle di San Pietro, una bucolica collina che si eleva per qualche centinaio di Teatro Romano. La cima, in una posizione facilmente difendibile e vicina all’Adige, è abitata sin dalle origini e ospita una ottocentesca caserma militare edificata dagli austriaci, Castel San Pietro. Per salire, potete scegliere la via facile, arrivando in cima in automobile, oppure affrontare la faticosa scalinata che vi farà sentire felici di avercela fatta. Se scegliete la seconda opzione, prendete fiato prima di iniziare e, soprattutto, evitare di chiacchierare con i compagni di viaggio! In questo modo, le speranze di farcela aumentano. Sto scherzando, ovviamente, la salita è impegnativa ma non impossibile e dall’alto mi sono goduta un panorama eccezionale, una vista a 360 gradi sulla città. Scendendo, scegliete l’altro lato. Finirete a ridosso del Teatro Romano, dove l’estate i veronesi vengono ad ascoltare i concerti jazz.

Che meraviglia! Il luogo giusto per mormorare: “ciao ciao, Verona, è solo un arrivederci“.

Non c’è mondo fuori dalle mura di Verona/primo giorno

Non c’è mondo fuori dalle mura di Verona/secondo giorno

Non c’è mondo fuori dalle mura di Verona/primo giorno

Verona. Se dici città eterna leggi Roma, e hai detto tutto.

Se dici città dell’amore leggi Verona, e hai detto solo una piccola parte di questa piccola, bellissima città veneta, seconda per grandezza solo a Venezia.

Vi diranno che è possibile girarla in poche ore, che un giorno è sufficiente per girarla e farsi un’idea. E’ quello che ho fatto io qualche anno fa e i miei ricordi si limitavano all’Arena e alle piazze più famose. Sentivo, però, tutta l’insoddisfazione di questa toccata e fuga e allora ho deciso di tornare. Stavolta prendendola con più calma, proprio quello che mi sento di consigliare ai viaggiatori. Vi dirò, tre giorni intensi sono stati appena sufficienti per assaporarla con gusto, in tutti i sensi.

Primo giorno

Dalla stazione dei treni mi sono diretta immediatamente verso il centro. Da Porta Nuova ci vogliono circa 20 minuti per arrivare in piazza Bra, con una passeggiata non impegnativa che mi ha fatto incontrare per prima cosa l’Adige. Il fiume taglia in due la città proprio come il Tevere fa con Roma. Le similitudini tra le due non si fermano qui. Appena arrivata in piazza Bra, ma anche prima, al momento di attraversare le porte, mi sono resa conto che la presenza degli antichi romani è palpabile ovunque. Piazza Bra è una delle piazze più grandi della città ed è qui che si staglia l’Arena, certamente uno dei simboli di Verona. Terzo anfiteatro romano per grandezza in Italia, è oggi in pieno centro. All’epoca della costruzione (sembra I secolo d.C.)  si trovava al di fuori dalla cinta muraria. Cioè ai confini della città. Come il Colosseo, fu utilizzata per spettacoli come lo scontro tra gladiatori. Nell”800 iniziò a ospitare opere liriche, fino a diventare dai primi del ‘900 il più grande teatro lirico all’aperto al mondo. E’ qui che ho visto la Tosca durante la mia prima visita e vi assicuro che le migliaia di piccole luci che si accendono all’interno sono uno spettacolo nello spettacolo.

Piazza Erbe 

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Stavolta, foto veloce all’esterno e al grande cuore che preannuncia Verona in Love, la manifestazione che il Comune organizza per la festa di San Valentino. Dicevamo, città dell’amore. Cuori, i cuori sono ovunque mentre mi addentro verso l’interno, in direzione piazza delle Erbe, passando per via Mazzini. Questa è la strada dei negozi eleganti e mi sarei tanto voluta fermare! Piazza Erbe è la più antica di Verona e sorge sopra l’area del foro romano. In età romana era al centro della vita politica ed economica e con il tempo gli edifici romani hanno lasciato il posto a quelli medievali. E’ circondata da palazzi di pregio e da edifici antichi, ma se devo essere sincera le bancarelle di souvenir che occupano il centro della piazza disturbano non poco il colpo d’occhio complessivo. Così tanto che credo di non aver colto in pieno la magnificenza dell’insieme.

L’arco della Costa 

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Piazza dei Signori, o Piazza Dante, è adiacente e ci si arriva semplicemente proseguendo nella passeggiata, attraversando l’arco della Costa, a meno che non siate puri di cuore. Alzando lo sguardo, infatti, si nota una specie di osso appeso all’arco. Sembra si tratti di una costola di balena, ma non c’è certezza, come non è chiara la provenienza. Le ipotesi sono le più fantasiose e spaziano da una vecchia insegna della farmacia ancora ubicata lì sotto a un reperto portato dai crociati al ritorno da una battaglia. Sia come sia, si narra che se un puro di cuore passa sotto la costa di balena, l’osso si stacchi e cada.

Con un certo timore ho fatto la prova, ma non è successo niente. Per fortuna evidentemente non sono pura di cuore, altrimenti quell’affare pesante sulla testa mi avrebbe comunque tolto di mezzo. Forse è proprio questo il significato più profondo: i puri di cuore non sopravvivono in un mondo malato.

Piazza dei Signori 

In Piazza dei Signori, invece, ho trovato il sommo poeta ad attendermi. Un po’ perplesso, un po’, forse, intristito dalle vicende umane contemporanee, per un periodo era stato ospitato proprio in un palazzo che affaccia sulla piazza. Quest’ultima è nata nel medioevo dallo sviluppo dei palazzi scaligeri ed è circondata da numerosi palazzi di indubbia importanza storica e artistica: il Palazzo della Ragione, il Palazzo di Cansignorio, la chiesa di Santa Maria Antica, Palazzo del Podestà, Loggia del Consiglio. Se avete tempo vi consiglio di salire sopra la Torre dei Lamberti, dalla cui sommità potrete godere di una vista privilegiata sui tetti della città.

Arche degli Scaligeri 

Oltre la piazza, accanto a Santa Maria Antica, che ospita al suo interno iscrizioni curiose, mi sono imbattuta nelle Arche degli Scaligeri. Si tratta di un monumentale complesso funerario in stile gotico appartenente alla famiglia degli Scaligeri destinato a contenere le tombe (arche) di alcuni illustri rappresentanti della casata, tra cui quella di Cangrande, il Signore di Verona cui Dante ha dedicato il Paradiso della Divina Commedia.

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Casa di Romeo

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Proseguendo per via Arche Scaligere sono arrivata alla casa di Romeo, annunciata da una targa sulla facciata che cita i versi tratti da Shakespeare. Certo che rispetto all’attenzione riservata all’amata, il povero Romeo deve accontentarsi delle briciole. D’altra parte, avreste mai detto che in realtà si chiamasse Cagnolo Nogarola? Io proprio no. E se il poeta inglese avesse usato il vero nome, il personaggio avrebbe avuto così tanto successo? Dubbi da scrittrice. William mi avrebbe risposto così: Nulla è buono o malvagio in sé, è il pensiero che lo rende tale. Mi sembra quasi di sentirlo, mentre fotografo la targa, per poi avviarmi verso un bagno ristoratore del faticoso affanno. Aiuto, inizio a  parlare come il Bardo!

(domani  vi farò assaggiare tè e aragostine e faremo un giro in libreria)

Prosegui il giro:

Non c’è mondo fuori dalle mura di Verona/secondo giorno

Non c’è mondo fuori dalle mura di Verona/terzo giorno

Un giorno a Roma per innamorarsi – Mark Lamprell

Un treno che sta per partire, la città eterna che fa da sfondo alle vicende d’amore di tre persone…no, non è una nuova trama. Sono io che leggo in sala d’attesa Un giorno a Roma per innamorarsi del regista australiano Mark Lamprell. The Lovers’ Guide to Rome – Guida di Roma per innamorati è, come quasi sempre, titolo più azzeccato di quello tradotto. Perché in effetti lo scrittore è innamorato di Roma e alla città è dedicata questa storia. Che inizia come tante: tre persone, per motivi diversi, giungono a Roma in cerca dell’amore, quello perso, da trovare o da ritrovare. D’altronde, non è forse vero che tutte le strade portano a Roma? Complice una piastrella blu, per tutti e tre le “vacanze romane” saranno indimenticabili e li porteranno lì dove volevano o dovevano arrivare i loro cuori.

Trama

Alice, studentessa americana affamata di arte e bellezza, alla vigilia del fidanzamento con l’uomo perfetto, parte per la Città Eterna con la voglia di vivere e osare che le ribolle nel sangue. L’anziana Constance, intanto, è in città per disperdere le ceneri dell’amato marito dal Ponte Sant’Angelo, dove tutto – segreti compresi – ebbe inizio più di quarant’anni fa. Meg e Alec, infine, facoltosa coppia residente a Los Angeles, è a Roma per un capriccio di lei, disposta a tutto pur di rintracciare un artigiano dal talento inimitabile. Ma le torbide acque del Tevere riportano a galla antichi ricordi e verità troppo a lungo sepolte. Sei personaggi, tre storie solo apparentemente distanti, collidono e si intrecciano nella città più bella del mondo. Perché le vie dell’amore sono infinite. E portano tutte a Roma.

Il genius loci

Un romanzo carino, dolce, romantico al punto giusto, scritto da Mark Lamprell, un regista che ama Roma al punto da averlo ideato e realizzato “quasi tutto all’aperto, girando per le vie o seduto in un caffè in piazza“. Scorrendo le pagine, questo sentimento si percepisce, si odora quasi, e credo che sia l’aspetto più invitante. Il genius loci, lo spirito del luogo, accompagna il lettore per tutto il viaggio e gli fa vedere Roma coi suoi occhi innamorati.

Consigliato per due ore di leggerezza ed evasione. Anch’io sono innamorata di Roma ed è solo per questo che sono riuscita a perdonare due leggerezze: la prima riguarda l’acqua di una fontana che un gruppo di inglesi beve e responsabile, secondo l’autore, del malessere di tutti. Caro Mark Lamprell, sanno tutti che l’acqua di Roma è potabile e una delle migliori al mondo. Come espediente per far sentire in colpa la protagonista è poverissimo! E poi, il cappuccino per accompagnare il pranzo! Qui mi sei piaciuto molto, quando dici che immagini i baristi scuotere la testa dopo aver preso l’ordine. Dev’essere andata proprio così, mentre scrivevi qualche pagina seduto al tavolino di un bar di fronte a una fontana…;)

Il Cristo ricaricabile – Guglielmo Pispisa

Guglielmo Pispisa. A Roma, dopo il black out della notte bianca, Milhous Giordano si ritrova senza volerlo a essere considerato un messia. Poco convinto dei suoi mezzi, per nulla interessato a influenzare le masse, un messia surfista senza pensieri e senza voglia di averne, che non ha niente da dire né da insegnare a nessuno. E’ tuttavia destinatario di un dono che non può ignorare: dopo una notte strana di sesso e alcol, si è svegliato con le mani segnate da stimmate sanguinanti e il potere di guarire le persone. Da quel momento nella sua vita gli eventi si susseguono senza controllo. Intorno, ruotano le vicende della sua famiglia, capitanata da un nonno artista egoista e geniale, uno zio giornalista pragmatico, una madre in preda al fanatismo religioso e una “nonna” che potrebbe essere la sua donna.

Queste sono le situazioni che mi piacciono di più: un romanzo visto per caso, comprato per fare un regalo a un amico. Lo apro, inizio a leggere. Giusto qualche pagina, tanto per essere sicura di non rifilare un mattone invece di una bella storia. Poi, le pagine sono diventate metà libro, metà libro è diventato 3/4 e alla fine volevo solo sapere come andava a finire. Nel frattempo, ho avvisato l’amico che il regalo sarebbe stato posticipato, giusto qualche giorno. La scrittura è piacevole, Guglielmo Pispisa sembra una sorta di Ammaniti in erba: ironia disseminata ovunque, filosofia delle piccole cose anche. Alla fine si ride, ci si commuove, e si riflette su una società in cui anche i morti resuscitano, i vivi sono morti e vince sempre chi fugge. Non solo in amore.