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Bel Ami – Guy de Maupassant

Qualche tempo fa ho letto e commentato Una vita, il primo romanzo di Guy de Maupassant. Tuttavia, lo scrittore è conosciuto soprattutto per Bel Ami, un ritratto feroce e disincantato sullla borghesia francese, di cui proprio Guy de Maupassant costituiva un esponente di spicco e di successo. Il che rende ancora più credibile questo suo romanzo realista.

Trama

Georges Duroy, un giovane bello e ambizioso, arriva a Parigi dalla provincia in cerca di fortuna. Dopo aver ottenuto solo un modesto impiego nelle ferrovie del nord, incontra casualmente l’amico Charles Forestier, che riesce a farlo entrare nella redazione del giornale in cui lavora. Il successo con le donne lo aiuta a far carriera e, diventato Bel-Ami, il giovane Georges capisce come sfruttare al meglio questo suo fascino. Morto Charles, ne sposa la vedova, dalla quale ottiene la metà di una ricca eredità. Poi cerca di conquistare una donna ancora più potente.

La mediocrità al potere

Inutile tentare di farsi piacere Bel Ami. Il personaggio è decisamente antipatico, vanitoso, assetato di soldi e di potere. Un po’ come il suo alter ego Guy de Maupassant, che non a caso ha scritto il romanzo al culmine del suo successo letterario, pubblicandolo a puntate sulla rivista Gil Blas, come già aveva fatto per il suo primo romanzo, Una vita. In tutto il percorso di vita che gli vediamo compiere, non c’è redenzione, Georges tira dritto per la sua strada, alla ricerca prima del denaro e poi del successo. Da un altro personaggio viene definito intelligente: in realtà, è solo un gran furbo e i due aggettivi non sono sinonimi. Gioca e vince sulla mediocrità che lo circonda, sull’inganno e il ricatto, sui favori dati e ricevuti. Fa carriera nel giornale senza saper scrivere, fa carriera nella società senza amare altri che se stesso, piace alle donne senza essere né romantico né appassionato. In fondo, leggere questo romanzo è scuola di vita: se pensiamo che dopo più di un secolo i metodi per fare carriera sono sostanzialmente gli stessi, uno sarebbe portato a chiedersi a cosa serva studiare e impegnarsi per raggiungere i propri obiettivi. In cosa bisognerebbe specializzarsi? Nell’arte della manipolazione?

La risposta è nel poeta e nella bambina

Ed ecco che in soccorso dei lettori Guy de Maupassant manda lui, il “vecchio fallito”, il “poeta” Norbert de Varenne, che toglie il velo e ci mostra il re nudo: “nel regno dei ciechi, il guercio è re. Tutte quelle persone, vedete, sono mediocri, con il pensiero limitato da due muri: i soldi e la politica. Sono pedanti, amico mio, con loro è impossibile parlare di qualcosa che ci interessi. Il loro cervello è pieno di melma, o meglio è una discarica come la Senna a Asnières. Oh! È difficile trovare una persona che pensi in grande, che dia la sensazione di quelle vaste folate che giungono dal largo e si respirano sulle coste del mare”. Il vecchio sarà un fallito, ma ha ragione: cosa conta alla fine? La gloria? I soldi? L’amore? No, la morte. Solo lei arriva per tutti e spazza via il corpo, i desideri, i pensieri. Pensiero un po’ lugubre, ma in fondo non è questa la pura e semplice verità? Come verità è l’unica cosa che sanno dire i bambini. La povera Laurine, la figlia di una delle amanti di Bel Ami, a un certo punto si rifiuta di baciare il bel Georges e di salutarlo quando lo incontra. Eppure, il nomignolo Bel Ami gliel’ha affibbiato lei. Perché fa così? Semplice: i bimbi si fidano degli adulti e non sopportano il tradimento. A fare buon viso a cattivo gioco imparano solo da adulti. Laurine è l’unica, insieme al poeta visionario, che riconosce il re nudo e ha il coraggio di gridarlo. Tutti gli altri, partecipano per interesse o convenienza al gioco delle parti.

Una vita o Bel Ami?

Pur riconoscendo la maggiore profondità di analisi sociale di Bel Ami, io continuo a preferire Una vita. Primo, perché è parzialmente ambientato in Corsica. Mi rendo conto, non è un gran motivo. Secondo, perché in Bel Ami non c’è alcuna redenzione. Anche in Una vita i personaggi rimangono piatti, ma alla fine arriva una donna del popolo a salvare la situazione. Qui, le donne sono intriganti, lagnose o frivole. Un encefalogramma piatto interrotto solo, in parte, dalla moglie di Bel Ami Madeleine, figlia di una popolana che si è fatta avanti nel bel mondo con le sottili arti dell’intrigo e sfruttando i potenti amanti. Lei, al contrario degli altri, agisce per il proprio interesse, certo, ma anche per il piacere di lanciare giovani dotati nell’olimpo dei potenti. Potremmo definirla una talent scout di aspiranti giornalisti aspiranti politici. In questo mare di leggerezza e superficialità, non ci resta che alzare il calice e brindare come farebbe Norbert de Varenne:

Bevo alla rivincita dello spirito sui soldi”.

wolf

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Una vita – Guy de Maupassant

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Quando ti chiama il vento – Barbara Freethy

Quando viaggio in treno, mi piace scegliere dalla piattaforma della compagnia di trasporti un romanzo che mi tenga compagnia, sfidandomi a tentare di finirlo tra andata e ritorno per non lasciare in sospeso la storia. Stavolta è andata benissimo: Quando ti chiama il vento di Barbara Freethy mi ha coinvolto subito e non ho visto l’ora di arrivare all’happy end. Che è arrivato giusto un attimo prima di scendere dal treno per tornare a casa.

La trama

Nella vita di Kate McKenna il vento ha sempre portato cattive notizie. Ogni volta che percuote le cime degli alberi della selvaggia isola di Castleton, o spazza i suoi vicoli acciottolati e le spiagge disseminate di tronchi portati dal mare, un sottile senso di inquietudine si fa strada in lei. Otto anni prima, ha avuto il suo quarto d’ora di celebrità: spinta dall’ambizione paterna, insieme alle due sorelle ha vinto una gara di vela intorno al mondo. Ma quanto è costata quella vittoria? Qualcosa è successo, qualcosa che ha cambiato in modo irrevocabile le vite di ognuna di loro. Da allora, Caroline scivola lentamente nell’autodistruzione, Ashley non riesce a dominare le sue paure. E Kate, in apparenza la più forte, sembra aver semplicemente deciso di rinunciare alla vita e all’amore, chiusa nella piccola libreria che è diventata il suo rifugio e la sua unica soddisfazione. Ma quando un brillante giornalista, Tyler Jamison, arriva a Castleton a fare strane domande, il passato minaccia di travolgerle. Per Jamison scoprire il loro segreto è l’unico modo che ha per proteggere la sua famiglia e le persone che più ama al mondo.

Nel mondo dei velisti

L’ambientazione mi è piaciuta subito, così come la copertina e il titolo. Barbara Freethy ha scelto un’ambientazione particolare, quella delle gare nautiche e di un’isola soggetta a basse e alte maree, facendo salire su una barca tre ragazze poco più adolescenti alle prese con un padre padrone esperto marinaio, ma altrettanto esperto manipolatore delle figlie. Le quali da adulte si troveranno a dover fare i conti con la propria coscienza e con i guai che l’incosciente genitore ha creato loro. Il libro è avvincente, veloce, parte subito con la sensazione che ci sia qualcosa di grave nell’aria, anche se piano piano tutto si dipana e non è stato difficile intuire abbastanza presto come sarebbe andata finire.

Kate e Tyler, due adorabili…cipollotti  

I due protagonisti sono il mio ideale: lei, Kate, bella e forte. Lui, Tyler, macho al punto giusto e furbo come il mestiere di giornalista impone. I dialoghi sono divertenti e soprattutto Tyler è sempre convincente, è un uomo che sa quello che vuole e come prenderselo. Meno convincenti sono dei particolari da romanzo rosa che la scrittrice usa senza cautele: per esempio, dopo aver spolpato pollo fritto ed essersi buttata sull’insalata di patate, si presume piena di cipolla visto che si trova in america, una protagonista può sapere di VANIGLIA, quando lui la bacia??? 🙂 Anche il finale è coerente con quello che Barbara Freethy costruisce prima. Direi che è il romanzo giusto se volete passare una o due serate in compagnia di una storia romantica, ma non sdolcinata. Unico appunto da lettrice, il personaggio della seconda sorella, Ashley, forse avrebbe meritato un maggiore approfondimento, così come la reazione dei comprimari quando arriva il momento della rivelazione del grande segreto che le sorelle hanno così gelosamente custodito: una confessione così eclatante non può rimanere sotto traccia, anche se sono passati tanti anni. L’aspetto, al contrario, che ho preferito è l’assenza di una vera e propria rottura tra Kate e Tyler, che di solito nei romance non manca mai. Qui i due giovani sanno di aver sbagliato entrambi e tutto sommato accettano le menzogne dell’altro perché, per motivi diversi, in fondo sono due bugiardi. Insomma, il paragone è calzante dato che ci troviamo in ambiente acquatico, sono sulla stessa lunghezza d’onda dall’inizio alla fine.

Leggi anche: 

http://www.pennaecalamaro.com/2016/11/29/349/

Aspirapolvere di stelle – Stefania Bertola

Dopo un romanzo intenso come La donna giusta dell’ungherese Sándor Márai, mi serviva proprio un bel romanzo rilassante per staccare la spina. Di Stefania Bertola avevo già letto con puro divertimento “Romanzo rosa”, che prende un po’ in giro tutte noi aspiranti scribacchine. Stavolta, ho scelto le ragazze della rinomata Agenzia Fate Veloci e non mi sono affatto pentita. Anzi…

La trama

Ginevra, bella, bionda e vedova, si prepara ad andare a interrare bulbi sul terrazzo di un cliente. Arianna, moglie, madre e aspirante adultera, deve preparare un cous cous gigantesco per gli ospiti di una signora svaporata. E Penelope? La giovane Penelope arranca come ogni giorno sotto il peso dei detersivi, i suoi attrezzi del mestiere. Ma non è affatto una giornata come le altre, perché squilla il telefono: la voce suadente di uno sconosciuto propone alle tre titolari della rinomata Agenzia Fate Veloci un lavoro piuttosto insolito. Comincia così per Ginevra, Arianna e Penelope un periodo frenetico, ambiguo e innamorato, in cui due di loro tenteranno di conquistare un uomo affascinante e sfuggente, mentre la terza…

Penelope e il bell’Antonio i miei preferiti

Come al solito, Stefania Bertola non tradisce. Anche Aspirapolvere di stelle si è rivelato una lettura godibile e divertente, adatta soprattutto a noi donne che vogliamo trascorrere qualche serata con un romanzo scritto bene, leggero e romantico. Il finale è decisamente all’altezza di quello che la scrittrice ha costruito mentre i capitoli scorrevano. I protagonisti, poi, sono tratteggiati in maniera deliziosa, impossibile trovarne uno a cui non volere bene, con i suoi pregi e, soprattutto, i tanti difetti che abbiamo tutti. Nel mio caso, ho adorato Penelope e il bell’Antonio e ho avuto da subito il sospetto che…niente spoiler, mi fermo qui. Se avete voglia di una lettura rilassante e di arguzia tutta torinese, prendete seriamente in considerazione questa scrittrice.

Sempre di Stefania Bertola: A neve ferma

Leggi anche: La regina della casa, di Sophie Kinsella

La donna giusta – Sándor Márai

Dopo il mio primo viaggio a Budapest, diversi anni fa ormai, ho letto Le braci, che considero il suo capolavoro. Dopo il secondo, ho scelto La donna giusta, soprattutto perché inizia in una pasticceria di Budapest e il mio viaggio letterario s’intitola, appunto, “Un caffè letterario a Budapest”. Immergersi nelle parole evocative di Sándor Márai è poesia pura, vi assicuro. Se non avete mai letto nulla di questo Autore ungherese con la A maiuscola, spero che le mie parole siano abbastanza evocative da farvi avvicinare ai suoi magnifici romanzi.

La trama

Un pomeriggio, in un’elegante pasticceria di Budapest, una donna racconta a un’altra donna come un giorno, avendo trovato nel portafogli di suo marito un pezzetto di nastro viola, abbia capito che nella vita di lui c’era stata, e forse c’era ancora, una passione segreta e bruciante. E come da quel momento abbia cercato invano di riconquistarlo. Una notte, in un caffè della stessa città, bevendo vino e fumando una sigaretta dopo l’altra, l’uomo che è stato suo marito racconta a un amico come abbia aspettato per anni una donna. Una donna che era diventata per lui una ragione di vita e insieme “un veleno mortale”. E come, dopo aver lasciato per lei la prima moglie, l’abbia sposata e poi inesorabilmente perduta. Anni dopo a Roma questa donna, la seconda moglie, racconta al suo amante come e perché sia naufragato il suo matrimonio e perché sia giunta a Roma per inseguire un altro uomo. A New York, molti anni dopo, l’amante della donna racconta a un amico com’è finita la storia tra i personaggi coinvolti.

Più livelli di lettura

Sono al terzo romanzo di Sándor Márai, dopo Le braci e La recita di Bolzano, e trovo sempre stupefacente la sua capacità di tenere avvinto il lettore mentre uno dei suoi personaggi, così complessi e tondi, affronta un monologo infinito sulla sua esistenza e i fatti che l’hanno portato lì dove lo conosciamo noi lettori. Ne La donna giusta, quattro personaggi raccontano le stesse vicende, ognuno secondo il suo punto di vista, le sue sensazioni, i motivi che l’hanno spinto a comportarsi in un certo modo. Il tutto condito da un forte aggancio con le vicende storiche e politiche che si svolgono sotto i loro occhi.

Leggerlo non è semplice

O meglio, andrebbe forse riletto più volte per cogliere tutti i substrati che arricchiscono le storie di vita che formano il nodo principale. Ecco che allora, insieme alla curiosità per le vicende raccontate da Ilonka, la prima moglie, Peter, il marito, Judit, la seconda moglie e l’ex batterista-cameriere, amante di Judit, emerge con forza la straordinarietà di Lázár, l’autore stesso sotto mentite spoglie. Lázár è quello che soffre di più, perché ha votato tutta la sua vita alla cultura, ma non è uno che vive di sogni e parole. E’ un uomo che percepisce chiaramente la crudeltà di un essere umano che ha schiacciato la bellezza e la cultura sotto i piedi per votarsi alla tecnica. Tecnica che non è stata utilizzata per progredire, trovare cure alle malattie o per qualche altro nobile scopo. No, le competenze tecniche servono a far saltare ponti e persone, a sganciare bombe, a distruggere chi si oppone ai conquistatori.

Un autore moderno

Come vedete, non molto è cambiato da allora. Anche oggi siamo alle prese con gli stessi problemi e le stesse scellerate conclusioni. Cosa resta allo scrittore, al letterato? Trovare conforto nel vocabolario, in quelle parole che hanno un significato profondo. Parole che non possono essere pronunciate senza tenere conto delle loro implicazioni.

E gli altri? Quelli che non sono così fortunati da trovare un appiglio nei fondamenti della loro educazione? Quelli come Peter, fortemente intrisi di borghesia in ogni loro gesto? Quelli che dall’oggi al domani si ritrovano in un altro Paese, a fare la fame, a lavorare umilmente per pochi spiccioli? Loro, come possono affrontare il destino avverso? Rifugiandosi nell’amore, se riusciranno mai a trovarlo. O nella solitudine, come è più probabile.

Le Braci insuperabile, eppure…

Pur avendolo amato meno di quello che personalmente ritengo il suo capolavoro, Le Braci, questo romanzo è pura poesia. Non facile da seguire, alla lunga i monologhi possono stancare, ma un’immersione profonda ed estremamente elegante in un universo di poesia, filosofia, storia, sociologia, psicologia, che s’intrecciano e si dipanano continuamente. Come un’immensa tela di Penelope, che mi ha lasciato molte domande e una malinconia di fondo fino al finale: struggente, meraviglioso, sorprendente. Puro, come l’anima che ha saputo crearlo.

La donna giusta come le tessere di un puzzle. Avvertenza ai lettori

Ho iniziato questo romanzo senza averne approfondito la genesi prima e dapprima sono rimasta un po’ perplessa, perché essendo stato scritto nel 1941, almeno questo credevo, mi sembrava che descrivesse la seconda guerra mondiale non solo con parole palpitanti, come di chi abbia vissuto davvero le vicende narrate, ma che anche gli avvenimenti avessero una certa attinenza con quanto realmente accaduto. Com’è possibile? Mi sono detta. Quest’uomo doveva avere doti di preveggenza. Il quarto monologo, ambientato in tempi più recenti, mi sembrava possedere le stesse caratteristiche. E quindi?

E quindi la spiegazione è più semplice delle congetture che l’hanno preceduta: la versione del 1941 era composta solo dai primi due monologhi. Nel 1949, quando il romanzo fu tradotto in tedesco, Sándor Márai aggiunse il terzo monologo. Nel 1980, infine, lo perfezionò aggiungendo la parte ambientata a New York, la quarta.

Ora dico io, è ammirevole che la casa editrice decida di pubblicare l’intera opera, ma non sarebbe stato meglio avvisare l’incauto lettore di questa lieve differenza?

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Un caffè letterario a Budapest: le terme di Széchenyi

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La verità sul caso Harry Quebert – Joël Dicker

Harry Quebert. Uno scrittore giovane, un best seller tradotto in 33 lingue, vincitore del Goncourt des lycéens e del Grand Prix du Roman de l’Académie française. La verità sul caso Harry Quebert di Joël Dicker mi tentava da un po’ e quando l’ho trovato in ebook sulla piattaforma del treno che mi portava a La Thuile, in Valle D’Aosta, ho iniziato la lettura. Che fine ha fatto Nola? Peccato: se non fosse stato per i passaggi chiave, tutti mancati, l’avrei promosso.

La trama

Estate 1975. Nola Kellergan, una ragazzina di 15 anni, scompare misteriosamente nella tranquilla cittadina di Aurora, New Hampshire. Le ricerche della polizia non danno alcun esito. Primavera 2008, New York. Marcus Goldman, giovane scrittore di successo, sperimenta per la prima volta il blocco dello scrittore. Ma qualcosa di imprevisto accade nella sua vita: il suo ex professore, amico e affermato scrittore Harry Ouebert viene accusato di avere ucciso la giovane Nola Kellergan. Il cadavere della ragazza viene infatti ritrovato nel giardino della villa dello scrittore. Marcus Goldman lascia tutto e si precipita nel New Hampshire per scoprire la verità. Chi ha ucciso Nola Kellergan? E perché? Per suffragare le sue ipotesi, Markus decide di scrivere un romanzo sulla vicenda. Ma la verità va oltre le apparenze e Markus rischia di rimanere intrappolato nelle sue convinzioni.

In questo romanzo è tutto “troppo”

Il primo commento che mi è venuto spontaneo dopo aver chiuso il libro è stato “troppo”. , Troppo ambizioso, troppo lungo, 770 pagine, troppo ricco di elementi descrittivi che poco hanno a che fare con il mistero da risolvere, troppo romanzesco nei dialoghi.

Innanzitutto troppo ambizioso per uno scrittore giovane, neanche 30 anni, che mi ha dato la sensazione di voler mettere troppa carne al fuoco. I consigli di scrittura con cui apre ogni capitolo, per esempio, sono scarsamente riconducibili alle lezioni di scrittura tra il professore e l’allievo del romanzo. Piuttosto, sembrano quasi dei consigli che uno scrittore ormai arrivato vuole lasciare al lettore con ambizioni di scrittura. Anche il protagonista, autore di successo dopo appena un libro pubblicato, sembra quasi un elemento autobiografico.

Il romanzo, poi, è troppo lungo. La metà della lunghezza avrebbe reso la soluzione del mistero molto più avvincente. Nonostante i colpi di scena piazzati ad arte, infatti, arrivata a metà strada la storia ha perduto mordente.

La verità sul caso Harry Quebert è inverosimile

Sarà anche colpa del linguaggio antidiluviano usato dai personaggi principali e dagli stereotipi che hanno affossato quelli secondari. Ma si può far parlare una quindicenne per punti esclamativi? E uno scrittore ultratrentenne come un adolescente (femmina) alla prima cotta che non fa altro che ripetere NOLA, N.O.L.A., NO-LA? Guarda, caro Dicker, che citare Nabokov e la sua Lolita non è facile, può facilmente trasformarsi in un boomerang! Ci si può scordare che un personaggio ha problemi di pronuncia facendolo a un certo punto parlare perfettamente? Per non parlare della madre di Marcus: sciocca, petulante e priva di qualsiasi spessore. Cosa l’avrà inserita fare? Mah, è questo il vero mistero, che purtroppo rimarrà insoluto.

Il vero punto debole di Harry Quebert, però, sono i passaggi chiave del giallo, ed è grave, perché a una lettrice cresciuta a pane e Agatha Christie francamente risultano ingenui e poco credibili. Mi dispiace, ma quando si tratta di indizi, prove e moventi, un autore di gialli deve essere preciso e maniacale, altrimenti i lettori, che sono precisi e maniacali, troveranno tanti e tanti di quei difetti che finiranno per non avere più interesse nella soluzione. Che in questo caso, per giunta, si basa su un colpo di scena finale che è inverosimile fino a sfiorare l’incredibile.

Tutto da buttare?

Quindi, è tutto da buttare? Certamente no. Intanto, ha riscosso un grande successo e questo significa che ai lettori in genere piace. Seconda cosa, è uno dei primi lavori che Joël Dicker ha pubblicato e si vede che nella sua penna c’è talento. Inoltre, i rimandi temporali al passato sono piacevoli, s’inseriscono perfettamente nella trama e aiutano a capire. Diciamo che è solo rimandato e che sicuramente nel nuovo romanzo appena uscito la scrittura sembrerà più matura. Se lo leggete, fatemi sapere se vale la pena o meno di cimentarsi di nuovo.

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