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La cena fratricida di Herman Koch

Qualche tempo fa in televisione ho visto un film, “I nostri ragazzi”, con Alessandro Gassman, Lo cascio, Mezzogiorno e Bobulova. Il solito film sulla borghesia italiana, ho pensato. Invece, la storia era tutt’altra e alla fine mi ha lasciato insoddisfatta. Non so, film realizzato bene, ma mancava qualcosa. Quindi, ho preso in mano l’originale: La cena, il romanzo di Herman Koch da cui è tratto. La storia di genitori che per difendere i figli sarebbero disposti a tutto, anche a coprire degli assassini. E sì, nel film qualcosa mancava. E’ solo leggendo il romanzo che ho trovato risposta alle mie perplessità.

Trama 

Due coppie a cena in un ristorante di lusso. Si raccontano i film che hanno visto, i progetti per le vacanze. Ma il motivo per il quale si sono incontrati è grave. I loro figli quindicenni, Michel e Rick, hanno picchiato e ucciso una barbona. Videocamere di sicurezza hanno ripreso gli eventi e le immagini sono state trasmesse in televisione. Paul Lohman, il padre di Michel, si riconosce nel figlio per la stessa attrazione verso la violenza. Serge, il fratello di Paul, è il padre del complice. Secondo i sondaggi, è favorito come nuovo Primo ministro olandese. Uno scandalo sarebbe la fine della sua carriera politica. Babette, la moglie di Serge, sembra più interessata all’elezione che al futuro del figlio. Claire, la moglie di Paul, vuole proteggere Michel a ogni costo. Ma quanto sa di ciò che è realmente accaduto? I quattro cosa saranno capaci di fare per difendere i loro figli?

Bullismo o pura violenza?

Non è un caso che abbia deciso di leggere questo romanzo di Herman Koch proprio ora. Solo qualche giorno fa, l’ennesimo caso di “bullismo” in Italia mi ha lasciato davvero sconcertata. Prima di tutto, perché uccidere un uomo non è esattamente agire da bulli, come hanno riportato i tg, ma da delinquenti. Secondo, perché come spesso succede, tutti sapevano e nessuno li ha fermati. Quante volte è già capitato? E quante altre volte succederà? Sarei pronta a scommettere che saranno tante, troppe. Ma qual è il meccanismo che scatta? Il romanzo di Herman Kock apre una fessura su quello che tutti sanno e nessuno dice: i figli non sono sempre persone che ci metteremmo dentro casa. Eppure, cosa siamo disposti a fare per loro? O meglio, certi genitori quali patti con il diavolo firmerebbero purché i loro pargoli non venissero toccati?

Paul

Nel romanzo, Herman Koch sceglie il punto di vista di Paul. Parla in prima persona e racconta fatti che mi hanno aiutato a inquadrare meglio il contesto in cui è avvenuto il fatto. Il primo elemento è questo: c’è sempre un motivo e un contesto in cui i fatti avvengono. I delinquenti, gli assassini, lo sono per natura e per opportunità, quasi mai per caso. All’inizio, Paul sembra ragionevole, dissacrante quanto basta per avermi fatto apprezzare il suo giudizio sul mondo. Paul sembra un ingenuo, un fratello che soffre nell’ombra di un uomo di successo. Un uomo che, però, ha problemi coniugali. Mentre Paul sembra soddisfatto della sua famiglia felice.

La famiglia felice

Già, la sua famiglia felice. Una famiglia così felice che ha bisogno di prenotare un tavolo in un ristorante affollato per affrontare un tema grave.

“Tutte le famiglie felici si somigliano, ciascuna famiglia infelice è infelice a suo modo”: così recita l’incipit di Anna Karenina di Tolstoj. Si potrebbe aggiungere che le famiglie infelici, e soprattutto le coppie infelici, non riescono mai a stare da sole. Più testimoni ci sono, meglio è. L’infelicità è costantemente alla ricerca di compagnia. L’infelicità non tollera il silenzio, specialmente quei silenzi imbarazzati che calano quando si è soli.”

I figli, così innocenti, così puri, con tutta la vita davanti, hanno ucciso una barbona. Perché? Perché puzzava. Mi è sembrato quasi un déjà vu de Il profumo di Patrick Süskind: nonostante le nostre maniere civili, siamo animali e in base all’odore decidiamo se una persona ci piace o no, se può rimanere a questo mondo o esserne emarginata, se ha classe o meno. I figli ragionano così. E i genitori? Se possibile i genitori sono peggio: sotto la maschera di perbenismo nascondono violenza, rancore, odio, attenzione alle apparenze, ingordigia. Le persone che girano loro intorno sono ossequiose: in fondo, si tratta di ospiti di riguardo, a cui chiedere un selfie e magari un aiuto per il futuro.

Un abile burattinaio

Come finirà? Non bene, questo è certo. Herman Koch è un abile burattinaio. Ti porta fuoristrada, poi raddrizzi il volante, scarti a destra, riprendi la strada e, infine, finisci in un fosso. Come è giusto che sia: in una società che fa finta di non vedere, che non interviene, che si gira dall’altra parte, potrebbero dei bravi e affettuosi genitori non tutelare i loro studiosi e geniali figli solo perché hanno compiuto una bravata? Chi di noi, in fondo, non ne ha fatta una da ragazzo? Non vi svelo altro della lettura per non togliervi il gusto dei colpi di scena che si susseguono dove apparentemente non succede nulla. Vi dico solo che è da leggere: niente è come sembra, nessuno è quello che appare, tutti fingono con tutti. All’unico che in parte si salva, o che cerca di essere uno qualunque, uno di noi, affido l’unico sprazzo di umanità che mi tira fuori dal fosso di cinismo in cui sono precipitata.

Se l’avete letto, scrivetemi nei commenti cosa ne pensate di questo bel quadro di Herman Koch! 🙂

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Tua – Claudia Piñeiro

Tua, il romanzo con cui ho scoperto quest’autrice argentina, Claudia Piñeiro. Vi ho già parlato di Betibù, il giallo che ho letto subito dopo aver terminato Tua. Perché Claudia è una scrittrice che ti prende e ti porta con sé, tanto che quando hai finito un libro l’unica cosa che pensi è: “ok, qual è il prossimo?”

Trama 

Buenos Aires. Inés, moglie di Ernesto – dirigente di successo -, trova per caso nella ventiquattrore del marito un biglietto d’amore scritto con il rossetto e firmato “Tua”. Una sera decide di seguirlo fino al parco Bosques de Palermo dove lui e la sua amante si sono dati appuntamento. Vede che i due iniziano a discutere, lui la spinge violentemente, la donna cade, sbatte la testa contro un sasso e muore. Inés torna a casa ben decisa a fare il possibile per coprire il marito, salvare le apparenze e il matrimonio.

Scopri che ti tradisce. Come reagisci?

Un marito fedifrago è un accidente che nessuna donna si augura sposandosi. Ma quando le prove dell’infedeltà sono sotto i tuoi occhi, nello specifico sotto forma di un biglietto scritto con il rossetto, cosa fare? Divorziare, la prima idea non tanto originale e faticosa, per scoprire magari di essere la metà di niente. Fargliela pagare, la seconda idea privilegiata, ma tanto faticosa, soprattutto se non hai amiche ad aiutarti. Diventare sua complice. Fargli capire che sai della sua colpevolezza, che sai di vivere con un assassino e che non lo tradirai, perché sei una moglie perfetta. O almeno quello che una moglie completamente assorbita dal suo ruolo stereotipato pensa che debba essere una moglie che ama il marito.

Una gabbia prima o poi crolla

In realtà, pagina dopo pagina Claudia Piñeiro, con intelligente ironia, ci svela che questo matrimonio è una farsa fin dall’inizio e che i due protagonisti sono imprigionati in una gabbia che non hanno scelto e che piano piano sta crollando su se stessa, dentro l’apparente tranquillità di una scenografia di cartapesta. Tua e il suo rossetto sono solo il sintomo, e non la causa, di un’impalcatura che non regge. Sono andata avanti spedita con la lettura, curiosa di sapere come sarebbe andata a finire, soprattutto dopo un paio di colpi di scena inaspettati, che hanno evitato alla trama l’effetto già visto di una normale famiglia borghese che nasconde l’orrore. Mi hanno fatto prima pena e poi, appunto, orrore marito e moglie, chiusi nel loro egoismo senza speranza e senza rimedio. Tua, invece, riserva più di una sorpresa e quando leggerete capirete perché, ora non posso dire altro. L’unico sottile filo di speranza è appeso alla figlia di questi due degenerati, che incredibilmente da un errore che avrebbe potuto rivelarsi drammatico, trova non solo la forza di diventare adulta, ma anche probabilmente una nuova famiglia.

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Betibú – Claudia Piñeiro

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Omicidi in pausa pranzo – Viola Veloce

Omicidi in pausa pranzo. Alzi la mano chi non ha mai conosciuto un collega così antipatico da farti venire voglia di strozzarlo. In bagno, magari. A Viola Veloce, milanese doc e impiegata dop, deve essere venuta così l’idea di questo romanzo. Un po’ giallo, un po’ satira, un po’ romance, le vicende di Francesca Zanardelli e delle sue indagini improvvisate trascinano con ironia nelle giornate di un’impiegata al di sopra di ogni sospetto.

Trama 

Francesca Zanardelli è davanti allo specchio del bagno, con in mano lo spazzolino da denti, quando intravede due piedi sbucare da sotto la porta del w.c. Per terra c’è il cadavere di Marinella Sereni, la sua insopportabile compagna di scrivania! Qualcuno l’ha strozzata con una corda bianca mentre tutti erano in pausa pranzo. Francesca diventa così la principale testimone nelle indagini sulla morte della collega, solo che il killer è stato bravissimo a non lasciare tracce. Il caso suscita un incredibile clamore mediatico e la paura diventa una compagna di vita dei trecento dipendenti dell’Azienda Omicidi, come la chiamano i giornalisti. I colleghi cominciano addirittura a sospettarsi tra loro, mentre la vita privata di Francesca va a rotoli. Francesca però non vuole perdere il lavoro. Preferisce rischiare la pelle pur di continuare a “portare a casa lo stipendio” e non finire in un’agenzia interinale per precari, come capita alla generazione di trentacinquenni alla quale appartiene. E mentre le cotolette di plastica in pausa pranzo si susseguono identiche ogni giorno, la procura di Milano non riesce a scoprire chi sia l’assassino, nel frattempo divenuto un vero serial killer…

Black humor all’italiana 

Da tempo volevo leggere questo romanzo, fenomeno recente del self publishing fa poi scoperto, e risistemato come scrive l’autrice nella postfazione, da Mondadori. La storia non mi ha deluso: divertente, ironica, scritta da una persona ben introdotta (e si vede) nell’ambiente psicopatico medio di un ufficio qualunque. Il libro giusto da leggere sull’autobus nel tragitto da e per il posto di lavoro. L’unico aspetto poco convincente è la reazione della protagonista di fronte agli assassinii. Va bene che lavori nell’ufficio contabilità, quindi abituata a ragionare con freddezza, ma Francesca benedetta: trovi una morta ammazzata nel bagno e la prima cosa che ti viene in mente è avvertire il capo che si trova su un altro piano? E se l’assassino fosse stato ancora nel palazzo? Come mai per tutto il libro la Zanardelli non si preoccupa minimanente della propria incolumità fisica? A questo punto, da lettrice seriale quale sono, voglio Francesca Zanardelli assassina! 🙂

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