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Jamaica Inn: leggende, fantasmi, navi pirata e l’incontro con la quinta scrittrice

Dopo un sonno ristoratore, cullati dal vento forte che a tratti ci è sembrato potesse far crollare la fattoria, ci siamo alzati la mattina di buonumore e in preda a una fame pazzesca. Dopo il cornish cream tea che la padrona di casa ci aveva gentilmente offerto la sera prima, infatti, non ce la siamo sentita di cenare. Scelte che ovviamente si pagano il giorno dopo. La colazione ci è stata servita nella sala da pranzo della fattoria, dove ci siamo ritrovati a banchettare con una full english breakfast vista oceano. Una meraviglia per gli occhi e per lo stomaco: caffè, tè, uova strapazzate, bacon, yogurt e panini fatti in casa, fragole, frutta secca, burro, miele, cereali e biscotti, con la signora che faceva avanti e indietro continuamente per assicurarsi che non fosse poco. Poco??? Sembrava un pranzo nuziale! Siamo grati per aver incontrato sulla nostra strada gente autenticamente ospitale, che ha voluto condividere con noi anche i segreti della cucina. Appena ho chiesto alla mia ospite come avesse fatto i panini, ha tirato fuori il libro di cucina e mi ha invitato a fotografare la ricetta, ha preso dalla cucina una ciotola con l’impasto in lievitazione per farmi vedere come deve venire, mi ha regalato una bustina del lievito secco che usa lei per provarci e mi ha anche chiesto di spedirle la foto dei panini per farle vedere come sono venuti. Con una certa rassegnazione, e tanti saluti festosi da entrambe le parti, ci siamo salutati e abbiamo ripreso il nostro viaggio, a pancia piena e mente leggera.

Direzione

Jamaica Inn stands today, hospitable and kindly, a temperance house on the twenty-mile road between Bodmin and Launceston.

Oggi il Jamaica Inn è una locanda che non vende alcolici e sorge, ospitale e accogliente, lungo la strada dche va da Bodmin a Launceston.

Così Daphne Du Maurier nel 1935 descriveva il pub verso cui siamo diretti nell’introduzione all’omonimo romanzo. Ed è proprio per lei che sto venendo qui, perché è un posto in cui la scrittrice, che visse a lungo in Cornovaglia, amava soggiornare e che le ha dato l’ispirazione per realizzare uno dei suoi romanzi di maggior successo, successivamente trasposto al cinema da Alfred Hitchcock in un film di grande successo.

Non è un posto di passaggio, per arrivare fin qui bisogna essere intenzionati a vederlo e, dopo averci passato qualche ora, leggere il romanzo assumerà tutto un altro sapore. Ora vi racconto perbene (spero). Siamo arrivati più o meno all’ora di pranzo in questa landa desolata, dove praticamente c’è solo questa locanda. E’ subito chiaro come e perché questa costruzione avesse assunto un ruolo centrale come snodo del contrabbando subito dopo la sua costruzione, nel 1750. Formalmente locanda per viaggiatori di passaggio, in realtà veniva utilizzata per nascondere i prodotti di contrabbando che arrivavano via mare. Pare che circa la metà del brandy e un quarto 20170819_122748_LLSdi tutto il tè che veniva contrabbandato nel Regno Unito sbarcasse lungo le coste della Cornovaglia e del Devon. Il Jamaica Inn, in particolare, si trovava in un luogo remoto e isolato, quindi ideale per fermarsi sulla strada prima di continuare verso il Devon e oltre. Nel 1778 fu anche allargato, per includere una stazione per le carrozze, scuderie e una selleria, facendo assumere all’edificio l’aspetto a L che vediamo ancora oggi. Adesso è più banalmente una tappa folcloristica, dove si può dormire, mangiare, bere birra e visitare il museo dei contrabbandieri. La taverna si chiama così non perché nascondesse il rum di contrabbando importato dalla Giamaica, ma prende il nome dalla più importante famiglia di proprietari terrieri locali, i Trelawney, in omaggio al fatto che due suoi membri furono governatori della Giamaica nel XVIII secolo. Secondo gli storici, all’epoca sulla costa della Cornovaglia abbondavano delle gang che attiravano le navi sugli scogli proiettando luci che gli armatori scambiavano per quella dei fari, per poi razziare barche e navi appena queste andavano a infrangersi sugli scogli e loro stessi venivano incaricati di disincagliarle.

Daphne Du Maurier al Jamaica Inn

La storia dei contrabbandieri è molto interessante e avevo già fatto la loro conoscenza a Polperro, Mullion, Lizard Point, Tintagel e Boscastle, ma non è questo il motivo per cui mi sono avventurata fin qui. Sono qui per la quinta delle scrittrici che sono venuta a trovare in questo viaggio letterario. Dopo Agatha Christie, Jane Austen, Virginia Woolf e Rosamunde Pilcher, stavolta voglio incontrare Daphne Du Maurier.

Il Jamaica Inn, infatti, è così famoso perché la scrittrice nel 1936 pubblicò un romanzo di grande successo incentrato proprio sulla storia IMG_6460di una giovane che, alla morte della madre, va a stabilirsi dagli zii, locandieri del Jamaica Inn, senza sapere in quali traffici loschi si troverà invischiata. La stessa autrice ha raccontato di avere avuto l’ispirazione dopo che lei e un amico nel 1930 si persero nella nebbia mentre cavalcavano e si fermarono nella notte nella locanda perché troppo pericoloso proseguire. Durante il tempo trascorso nella taverna, si dice che il parroco locale l’abbia divertita con storie di fantasmi e racconti di contrabbando. Più tardi, Daphne du Maurier continuò a trascorrere lunghi periodi presso l’Inn, parlando apertamente a più riprese del suo amore per la località. Il romanzo è poi diventato un film diretto da Alfred Hitchcock nel 1939, che l’anno successivo diresse anche Rebecca la prima moglie, altro titolo della scrittrice, e qualche anno più tardi il più famoso Gli uccelli.

Il Museo

Abbiamo visitato il museo, soffermandoci in particolare sull’ala dedicata proprio a Daphne. In sua 30memoria, i proprietari del Jamaica Inn hanno ricreato il suo studio, con la scrivania e la macchina da scrivere, insieme a un pacchetto di sigarette “Du Maurier”, chiamate così in onore del padre, famoso attore britannico, e un piatto di  mentine, le sue caramelle preferite. Ci sono poi una serie di oggetti appartenenti all’era del contrabbando e un video che ricostruisce la storia della locanda, che si dice sia infestata dai fantasmi. Secondo la credenza popolare, infatti, nelle notti più fredde, al chiaro di luna si ode il rumore dei cavalli al galoppo e delle ruote, voci che parlano in una lingua sconosciuta, cornico antico?, si scorgono delle IMG_6464ombre che sfrecciano e un uomo che appare e scompare tra le porte in abiti ottocenteschi. E cosa dire della storia più terribile? Molti anni fa uno sconosciuto sedeva al bar bevendo birra. Dopo essere stato chiamato fuori, lasciò la birra e uscì nella notte. Quella fu l’ultima volta che venne visto vivo. La mattina seguente, il suo cadavere fu trovato nella brughiera, ma le cause della morte e l’identità del suo aggressore rimangono ancora un mistero. la cosa strana, fu che in molti l’avevano visto seduto su un muretto. I padroni di casa, sentendo dei passi di notte lungo il passaggio che conduce al bar, credevano fosse lo spirito dell’uomo morto che tornava per finire la sua birra. Nel 1911, suscitò sconcerto nella stampa la notizia di uno strano uomo che era stato visto da molte persone seduto sul muro fuori dall’Inn. Non parlava, né si muoveva, né rispondeva a un saluto, ma il suo aspetto era simile a quello dello straniero assassinato. Potrebbe essere il fantasma del morto? E quale strano obbligo lo porta a ritornare così spesso al Jamaica Inn?

Ci sono davvero i fantasmi?

Vi ho spaventato? No, vero? Infatti anch’io mi sono fatta due risate. Ora però dovete avere pazienza e leggere cosa mi è successo appena uscita dal museo. Ho chiesto al ragazzo del bar di darmi una birra “leggera”. Mi sono alzata da tavola ondeggiando, in qualche modo sono arrivata al bagno e il cellulare mi è caduto nella tazza. Mentre asciugavo il cellulare sotto l’aria calda, mi è sembrato di sentire l’eco di una risata. Un contrabbandiere si è forse divertito con me?

Arrivederci Cornovaglia

Apatica e muta, tipo lo straniero assassinato, vi devo dire che la mia esperienza favolosa in Cornovaglia finisce qui. Il mio è un arrivederci, ne sono sicura, e il viaggio letterario va avanti. Lasciatemelo però affermare con il cuore in mano: la Cornovaglia è un luogo dell’anima, e se ci ho convinto a fare un viaggio come il mio che comprende delle tappe in altre regioni del Regno Unito, datemi ascolto, lasciatela per ultima. Perché dopo essere stati rapiti e ammaliati da questa terra magica, il resto vi sembrerà niente. O quasi. Domani vi racconterò di Salisbury, della Magna Charta e dell’orologio più antico del mondo.

(continua)

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Agatha Christie mile, chicca per veri giallodipendenti

Il Torquay museum è anche il punto da cui parto per esplorare l’Agatha Christie mile, un omaggio che la città natale della giallista le ha voluto rendere affiggendo delle targhe commemorative davanti a 14 edifici o luoghi che abbiano avuto un’influenza di qualche tipo nella sua vita. In realtà il mile in totale misura quasi 5 km di salite e disceseIMG_6074, quindi anche se nelle guide al percorso troverete scritto che è facile, vi dico subito che lo è, ma non troppo. Soprattutto, come vi spiegherò più avanti, gli ideatori dell’iniziativa devono aver dimenticato qualche targa, oppure…ma andiamo con ordine. Dicevo, 

1) il Torquay museum, si trova in collina. Secondo le mappe, non sto prendendo l’Agatha Christie mile nell’ordine giusto, ma per ottimizzare i tempi ricalcolo il tragitto secondo la posizione in cui già mi trovo, tipo navigatore umano.

2) Da lì, scendendo verso il porto, e proseguendo sulla sinistra, arrivo al Royal Torbay Yacht Club. Agatha lo frequentava spesso, perché il padre, un americano morto quando era ancora piccola, ne era un membro influente.

3) Mi giro e di fronte allo yacht club, c’è Beacon cove, la baia dove andava a nuotare da piccola, chiamata allora “Ladies Bathing Cove”, e dove rischiò un giorno di affogare pur essendo un’ottima nuotatrice. Con le correnti assassine che ci sono da quelle parti, la cosa non mi stupisce per niente.

4) Lì accanto, un’altra pietra miliare: l’Imperial hotel, albergo costruito nel 1866 e definito “lussuoso”. Non so dirvi come sia all’interno e come poteva essere ai primi del ‘900, ma oggi dall’esterno appare un po’ decadente. La posizione però è strategica, affaccia sulla IMG_6077baia ed è dotato di terrazza con piscina. Sembra che nell’avventura di Poirot “Il pericolo senza nome“, ambientato in Cornovaglia, l’albergo in cui scende l’investigatore sia in realtà proprio l’Imperial mascherato. Secondo me lo è anche quello di “Corpi al sole“, perché mentre rileggevo il romanzo mi sembrava quasi di vederlo! Dalla strada che lo costeggia, inizia una passeggiata panoramica e dei giardini digradanti che volendo consentono di scendere fino a spiagge di sassi e calette seminascoste. Forse non sarà di lusso l’edificio, ma penso proprio che chi soggiorna lì riceva un trattamento di lusso dall’ambiente che lo circonda.

Un po’ riluttante, abbandono quest’angolo di paradiso per proseguire verso la tappa successiva dell’Agatha Christie mile.

5) Il busto di Agatha mi aspetta, un po’ pensieroso e lugubre. Forse, sta architettando una nuova diabolica trama. L’opera è stata inaugurata dalla figlia il 15 settembre 1990, a 100 anni dalla nascita della scrittrice. Personalmente non l’ho trovata particolarmente espressiva, ma ritengo che se è stata approvata dalla figlia, cioè la custode dell’impero materno fino alla sua morte, debba essere approvata per definizione anche dai fan. Da qui, parte un lungo tratto di passeggiata pianeggiante lungomare, molto piacevole e tranquillo.

6) Incontro poco distante il Pavillion, la sala concerti dove Agatha amava andare ad ascoltare musica classica. Proprio lì, nel 1913, ricevette la proposta di matrimonio del suo primo marito alla fine di un concerto di Wagner.

IMG_60817) Subito dopo, Princess Garden, giardini da lei molto amati,

8) e il Princess Pier, il molo su cui Agatha pattinava con le amiche da adolescente. All’altezza del molo, lasciamo il lungomare per inoltrarci all’interno, per andare verso la Torre Abbey.

9) Dopo un’imponente restauro, la Torre è stata inaugurata nel 2008 dal mio Poirot preferito, David Suchet. L’anno dopo, nei giardini è stata creata una sezione dedicata alle piante di Agatha Christie. In questa sezione, le piante sono divise in gruppi e ogni gruppo può essere ricondotto a un libro. Prima di arrivare alla torre, c’è un altro giardino suggestivo, con una caratteristica che ho poi ritrovato in ogni tappa del viaggio: le panchine con una dedica scritta su una targhetta di ottone. Alcune, vi confesso, sono molto emozionanti, soprattutto quelle dedicate ad anziani scomparsi che amavano stare seduti e rimirare l’oceano proprio da quella panchina.

10) Dalla Torre, sono poi tornata alla stazione dei treni, la stessa da cui sono arrivata il giorno precedente. Durante le celebrazioni per il centenario della nascita dell’autrice, sempre nel 1990 quando posero il busto al punto 5), proprio alla stazione accadde un fatto incredibile: Poirot (David Suchet) e Miss Marple (Joan Hickson) si sono incontrati! Nei gialli non era mai accaduto, secondo me fondamentalmente perché odiava lui e amava lei. Come avrebbe fatto a non farli litigare?

11) Adiacente alla stazione, un altro albergo, il Grand Hotel, dove Agatha trascorse la luna di miele con il primo marito. Il Grand Hotel rispetto all’Imperial ha conservato il suo aspetto maestoso e penso siano abituati al pellegrinaggio degli amanti della scrittrice, perché quando IMG_6096mi sono avvicinata per fotografare la targa il concierge non ha battuto ciglio.

A questo punto ho toccato i due estremi del “mile”. Tornando indietro, secondo la mappa del museo ci sono altri tre punti per completarlo.

12) The Strand, che oggi è un po’ la via dello shopping di Torquay, all’epoca di Agatha faceva da capolinea per carrozze e tram ed era già allora la via dello shopping esclusivo, tanto che Agatha e la madre a volte facevano qui i loro acquisti.

Dopodiché, il buio. Secondo la mappa ciclostilata ci sarebbero altri due edifici,

il 13) “Former Royal Theatre” e

14) il dispensario, cioè un ospedale di assistenza pubblica, in cui Agatha lavorò durante la guerra e che la rese così brava nella gestione dei veleni da parte dei suoi assassini.

Agli indirizzi segnati sulla mappa non ho trovato nessuno dei due, né alcuna targa che mi potesse aiutare a identificare l’edificio.

 

IMG_6108Confesso che ho dovuto contenere la delusione, soprattutto perché queste ultime due tappedellAgatha Christie mile hanno richiesto anche uno sforzo fisico non indifferente, considerato che hanno portato quello che doveva essere un semplice miglio a misurare invece, a occhio, almeno tre volte tanto.

Per fortuna la signora da cui alloggiavo ha pensato bene di risollevare gli animi preparando un’ottima cenetta, condita da una conversazione rilassata e tranquilla con lei e il marito. Il menù della cena, insospettabilmente buono, ha previsto un piatto unico di maiale, rape rosse e barbabietola, bulgur e couscous, origano, innaffiato da un vino dall’apparenza francese con vitigno italiano (non fate commenti). A chiudere una splendida serata, un ottimo crumble di rabarbaro con salsa custard vanigliata.

Li salutiamo con affetto, siamo stati benissimo in loro compagnia, ma ora è arrivato il momento di lasciare il Devon per realizzare il sogno di una vita.

 

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Cornovaglia…sto arrivando! Intanto ditemi: vi è piaciuto l’Agatha Christie mile? Vi piacerebbe farlo prima o poi? Raccontatemi nei commenti!

(continua)

torquay mile

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Grandi scrittrici: a Torquay da Agatha Christie

Lascio Bath e la sua aria regency per cambiare completamente epoca, atmosfera e panorama. Il viaggio letterario continua e per raggiungere Torquay non posso che emulare Hercule Poirot e Miss Marple scegliendo il loro mezzo preferito. Come ricorderà chi ha letto i libri di Agatha Christie, infatti, nessuno dei due personaggi guidava e spesso arrivavano nelle località che poi sarebbero diventate teatro dei delitti in treno. Ovviamente quando sul treno stesso non succedeva qualcosa di tragico, come nel caso famosissimo dell’Orient Express. A mio rischio e pericolo, quindi, faccio il biglietto per Torquay, che costa 33 sterline. Il viaggio dura 2 ore e mezza circa e prevede due cambi, uno a Bristol Temple Meads e uno a Newton Abbot. Chiedo all’addetto di segnarmi i nomi delle due località e lui molto cortesemente mi stampa un biglietto con l’indicazione esatta delle stazioni e della durata del viaggio. La prima parte è più lunga e il treno è veloce, la seconda dura meno di un quarto d’ora su un treno vecchio stampo, quelli della speranza per intenderci. Come ho già scritto da qualche parte, prendere i mezzi pubblici è secondo me un modo per avvicinarsi di più alle persone del posto e anche stavolta non posso fare a meno di notare che cortesia, tono di voce basso e assenza di telefonate siano un registro comune. Poi, ma questo vale per l’intero viaggio, ho visto che leggere è il passatempo preferito della maggioranza dei passeggeri. Infatti ho anche fotografato qualche titolo per andare a curiosare online al ritorno. Il genere preferito a occhio mi è sembrato, indovinate un po’?, Thriller, of course. Tornando alla cortesia, la signora accanto a me, giuro, senza che le chiedessi nulla, non solo si è offerta di caricarmi il cellulare solo perché mi ha visto con il carica batterie in mano, ma l’ha anche staccato al momento giusto, cioè qualche minuto prima della fermata per darmi il tempo di preparare i bagagli senza rischiare di dimenticarlo attaccato! Santa british donna! Tra la stazione e il centro della cittadina ci saranno poco meno di due chilometri di lungomare da percorrere. Gambe in spalla, approfitto per dare  una prima occhiata distratta.

Torquay

Che vi devo dire, sarà che sono facilmente influenzabile, sarà che il luna park nella IMG_6079 (2)mia testa fa tanto Stephen King, sarà quello che volete, ma il primo aggettivo che mi viene in mente per descrivere l’atmosfera di Torquay è “inquietante”. Il cielo è plumbeo, la spiaggia deserta, i gabbiani gridano, le famiglie si radunano all’interno di questo parco giochi marino che mette tristezza solo a guardarlo e il fish and chips che prendo durante il tragitto per spezzare la fatica, mi guarda dal piatto e mi fa un triste ciao ciao. Quando arriviamo in cima alla collina, la famiglia che ci accoglie non fa che rafforzare quest’impressione: perfetta, troppo perfetta. E’ tutto perfetto: la casa, il sorriso della signora, l’accoglienza che ci riservano, il giro della casa che ci fanno fare e i biscotti al cioccolato che ci offrono, insieme a tè e acqua aromatizzata al cetriolo e alla menta. Non giudicatemi un’ingrata, ma tutto questo splendore un po’ mi acceca. Dove tengono il cadavere? Ci cambiamo, facciamo una piccola esplorazione dei dintorni e mettiamo a punto il programma della prossima giornata. Agatha, a noi due!

Siamo fortunati, perché nel frattempo la ditta di noleggio auto ci ha risposto: tutto ok, possiamo passare a prenderla. La padrona di casa ci fa trovare una colazione coi fiocchi, leggera come quella che facciamo di solito, e ci avviamo verso l’area di noleggio, sempre a piedi. Non è vicinissimo e ci inoltriamo verso i quartieri meno abbienti, o che almeno così sembrano all’apparenza. Prendiamo la macchina e salutiamo allegramente la ragazza terrorizzata che ci ha dato le chiavi. Le abbiamo infatti confessato che è la nostra prima volta con la guida a sinistra. E il suo panico direi che è ampiamente giustificato, visto che rischiamo di prendere tutta la fila di macchine parcheggiate appena l’accendiamo.

Kents Cavern

In qualche modo riusciamo ad arrivare, e a parcheggiare, il che non è banale come sembra, nei pressi della Kents IMG_6010 (2)Cavern. Se passate per Torquay, è un tour che vi consiglio caldamente di fare, soprattutto se come noi incappate in una giornata uggiosa. Dieci sterline il biglietto singolo per gli adulti, 9 quello ridotto per partecipanti dai 3 ai 15 anni, 38 sterline quello cumulativo per quattro persone, adulti o bambini. Se lo comprate online sul sito delle caverne risparmiate qualcosa, soprattutto su quello cumulativo. Il tour è guidato, inizia a orari prestabiliti e dura un’ora e mezza. Non è prevista traduzione, quindi è consigliabile un livello d’inglese non proprio base, anche se penso sia divertente anche in mancanza. Le guide sono ragazzi bravi a intrattenere bambini e adulti con giochi di luce, effetti speciali, racconti, leggende e similitudini. Avreste mai pensato che una roccia potesse somigliare a Michael Jackson? Eppure vi assicuro che è così. Se proprio devo trovare un difetto, ma proprio a cercare il pelo nell’uovo, direi che la visita è improntata su un’attività ludica per famiglie, mentre il sito può certamente suscitare interesse anche in appassionati di storia e preistoria, un target che preferirebbe un tour meno didattico e più approfondito. La Kents Cavern, infatti, è una grotta di roccia calcarea naturale, che si è formata sotto il mare circa 385 milioni di anni fa. È composta di corallo e ossa dei pesci, che si sono compattati insieme fino a formare una massa solida. Nel corso di milioni di anni, la massa di roccia si è spostata lungo la crosta terrestre attraverso le piastre tettoniche fino a giungere dov’è attualmente. Circa 2,5 milioni di anni fa un fiume sotterraneo cominciò ad erodere l’interno della massa e a creare il sistema di grotte che possiamo ammirare oggi. Interessante anche la storia della sua scoperta: i priIMG_6012 (2)mi ad avvventurarsi furono nel 1500 gli abitanti di Torquay più coraggiosi. Solo nel 1825 le ricerche divennero scientifiche, quando un giovane prete irlandese, father John Macenery, fu accompagnato lì da un amico e cominciò gli scavi, dando ai tunnel i nomi che hanno ancora oggi. Pensate che per molti anni le sue scoperte vennero tenute segrete perché contraddicevano sia le teorie religiose sia quelle scientifiche dell’epoca. Comunque, direi che l’impostazione giocosa del tour corrisponde sostanzialmente a una predilezione anglofona per il learning by doing e forse, tutto sommato, strizza l’occhio alla maggioranza dei visitatori, persone in vacanza al mare che nei giorni di pioggia cercano un diversivo. Se amate il genere, sappiate che all’interno delle caverne potrete anche sposarvi e che sono aperte tutto l’anno, con una temperatura fissa di 14 gradi. Portatevi una felpa pesante!

Il museo di Torquay

A poca distanza dalle caverne c’è l’altro appuntamento imperdibile di Torquay, un’altra carta da giocarsi quando il sole sparisce dietro le nubi: il museo cittadino. Imperdibile soprattutto per la sala dedicata ad Agatha Christie, perché il resto non lo definirei memorabile. Anche il museo sembra impostato su una didattica per bambini che probabilmente è funzionale ai principali utenti, cioè le scuole. Una sala egizia, una preistorica, una (a sorpresa) dedicata a una mostra su Star Wars e un’altra alle favole e poi lei, la regina del giallo, Agatha Christie, che giustamente ha un posto d’onore all’interno e che da sola vale il prezzo del biglietto (6,45 sterline per adulti, la metà nella fascia 3-16, apertura dal lunedì al sabato dalle 10 alle 16).

All’entrata della sala, alcune gigantografie ritraggono Agatha da giovanissima, quando ancora non era l’artista celebre che tutti conosciamo. Poi ci sono alcuni suoi effetti personali, decine di prime edizioni dei suoi romanzi, la macchina da scrivere, la sua IMG_6028 (2)pelliccia, le note scritte a mano, gli appunti iniziali di quello che poi diventerà Assassinio sul Nilo, le fotografie, i costumi di Poirot e Miss Marple. Una targhetta ci tiene a specificare che oggi le pellicce non vengono quasi più utilizzate, ma che una volta erano di gran moda e l’autrice vestiva come una signora. La mia coscienza ecologica non si era sentita tradita, ma probabilmente hanno preferito non rischiare. Nella galleria, alcuni pannelli informativi illustrano con grande chiarezza fatti anche poco conosciuti della sua vita e del suo lavoro, dalla sua infanzia ad Ashfield, fino agli anni successivi, trascorsi a Greenway (ma di questi aspetti vi parlerò più approfonditamente nel focus a lei dedicato, n.d.r.). Soprattutto, i curatori della mostra puntano sullo studio e il salotto di Poirot, interamente ricostruiti, compresi mobili, libri, immagini e perfino i camini del suo appartamento Art Deco IMG_6054 (2)di Londra.

I mobili e gli oggetti, finti ma che riproducono fedelmente i veri mobili d’epoca, sono stati utilizzati per l’adattamento TV di Poirot e donati al museo nel 2013, al termine dell’ultimo episodio. L’attore David Suchet, quasi universalmente riconosciuto come il miglior interprete di Poirot, ha visitato poco dopo il museo per vedere e filmare i mobili mentre stava girava un documentario intitolato “Essere Poirot”. L’attore ha anche gentilmente prestato al museo il bastone da passeggio che accompagna fedelmente Poirot nelle sue indagini. Il giro mi piace e mi appassiona, come tutto quello che riguarda Agatha, però devo anche dire che gli ambienti ricostruiti perdono molto del loro fascino cinematografico. Che i mobili siano finti e a buon mercato è palese e mi sembra quasi di trovarmi su un set a riprese finite e troupe a festeggiare la fine chissà dove, non so se rendo l’idea. Gli unici pezzi veri, e si vede, sono la credenza, un pezzo pregiato di Art Deco, e la sedia dello studio, che il museo ha acquisito grazie alla donazione della casa editrice di Agatha Christie, HarperCollins.

Al piano terra, la mostra di Star Wars non è male e ci sono anche i costumi per travestirsi. Cosa potevo scegliere io? Naturalmente Darth Vader, anche perché non ho trovato quelli di Yoda. L’unico piccolo problema è che mi sono accorta un po’ tardi…ehm…di essere ripresa dalle telecamere e per una che si era presentata alla cassa tutta seria e studiosa a chiedere informazioni su Agatha Christie non è proprio il massimo. Meno male che almeno indossavo la maschera, perché quando già pensavo di risolvere uscendo a testa bassa dal museo mi sono accorta che dovevo obbligatoriamente ripassare davanti alle casse perché nel frattempo il cancello principale era chiuso essendo finito l’orario di entrata.

L’Agatha Christie mile

IMG_6114Con italica faccia tosta, mi sono tolta dall’impaccio facendo finta di studiare attentamente la mappa dell’Agatha Christie mile. Cos’è? Un omaggio di Torquay alla sua illustre cittadina, che ripercorre i punti principali a lei legati con targhe commemorative posizionate su (quasi) ogni punto.

Ma del mio personale Agatha Christie mile vi parlerò nella prossima puntata

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Dove il vento dell’est soffia ancora: il mio weekend a Sofia, in Bulgaria

Lo confesso, sono stata io. Il movente? Squisitamente e strettamente economico: un’offerta allettante, così invitante che tra trovarla e prenotare è passato lo spazio di qualche click. Acquisti compulsivi, li chiamano. Nuove esperienze a portata di tasca, preferisco consolarmi io. Un attimo dopo il click finale mi sono detta: “bene, vado a Sofia, in Bulgaria. Cosa so di questa città?” Praticamente niente. Incredibile ma vero, la terza capitale più antica d’Europa, dopo Atene e Roma, è oggi sconosciuta ai più. Invece, se come me avete voglia d’immergervi nella storia e di trascorrere un weekend fuori dagli schemi, economico e inconsueto, vi consiglio caldamente di prenderla in considerazione. Sofia, infatti, è facilmente raggiungibile dall’Italia in un’ora e mezza di volo o poco più, è una destinazione poco battuta e, pur essendo entrata a far parte dell’Unione europea, gode ancora di prezzi accessibili e peculiarità dell’est che si conservano intatte. Approfittatene quanto prima, dubito che quest’autenticità rimarrà a lungo.

Nel mio diario di bordo cercherò di darvi alcuni consigli per un itinerario tipo di due giorni, secondo me sufficienti per farsi un’idea della città e girarla con tutta calma, esplorando anche i dintorni.

Informazioni pratiche

Innanzitutto partiamo dalle informazioni pratiche: la Bulgaria ha mantenuto la sua moneta, il lev. Appena sbarcati, potete cambiare gli euro o ai bancomat o dagli agenti di cambio, tenendo presente che il cambio attuale è poco meno di 1:2 (un euro vale circa 1,95 lev). L’aeroporto, poi, è ottimamente collegato al centro città da una metropolitana nuova di zecca. Dallo scalo, basta seguire la linea blu che indica la strada per arrivare al capolinea, adiacente al terminal. Ho fatto il biglietto alla macchinetta automatica, che costa 1,60 lev, al cambio attuale 0,80 centesimi di euro, e ho aspettato il treno. Anche i taxi costano poco, però quando viaggio preferisco i mezzi pubblici, perché rappresentano un primo contatto con gli abitanti del posto. Dopo mezz’ora sono scesa alla fermata centrale di Serdika, Сердика. Non sapevo che il mio albergo fosse fortunatamente lì vicino, però l’ho scelta per assicurarmi un primo impatto positivo con la città. E ho fatto bene, perché introduzione migliore non avrebbe potuto esserci. In piccolo, e con le dovute proporzioni, è come quando a Roma scendi alla fermata Colosseo e ti ritrovi davanti il Colosseo e i Fori imperiali. Serdika è un’antica città dei Traci conquistata dai Romani e distrutta dagli Unni. Durante i lavori per la costruzione della metropolitana, gli operai hanno ritrovato i suoi resti, che intelligentemente i bulgari hanno inserito nel contesto del trasporto pubblico, valorizzando sia il nuovo investimento sia gli antichi resti.

Il primo giorno

Dopo una passeggiata perlustrativa a zonzo per i dintorni dell’albergo, mi sono avviata verso il Palazzo di Giustizia, dove tutti i giorni, alle 11:00 e alle 16:00, un gruppo di ragazzi pieni di entusiasmo e di voglia di far conoscere la propria città, suddividono turisti e curiosi in gruppi per un free tour del centro di circa 3 ore. Io sono stata “adottata” da Stoyan, che ci ha fatto partire proprio da Serdika, della quale ci ha detto “noi abitanti di Sofia andiamo particolarmente fieri”. E fanno bene. Il giro mi servito per andare oltre l’aspetto architettonico e respirare la storia che ogni palazzo e ogni chiesa raccontano. La storia della Bulgaria, infatti, è travagliata, costellata da invasioni e conquiste e i monumenti ne sono l’espressione. La statua di Santa Sofia su cui subito c’imbattiamo, per esempio, potrebbe ingannare e far pensare che il nome della città sia di origine cristiana. Invece, Sofija deriva dal greco antico e significa “saggia, sapiente”. Quella statua è stata eretta solo nel 2000 per sostituire quella di Lenin, come avvenuto un po’ in tutti i Paesi dell’ex Unione Sovietica. La compresenza a poche centinaia di metri di distanza di una chiesa cattolica, una protestante, una sinagoga e una moschea, tutte ben visibili alle spalle di Serdika, offre un altro esempio lampante. Il popolo bulgaro è tollerante, al punto che lo stesso luogo religioso è stato scelto come “base” da diverse confessioni. E’ questo il caso della Chiesa di San Giorgio, il più antico edificio di Sofia. Nasce paleocristiana, poi diviene moschea, ora è tornata cristiana. Praticamente è sopravvissuta a tutte le guerre di religione. Non è stupefacente? Direi che oggi è in ottima forma, molto migliore del moderno palo della luce che vedete in foto. J

San Giorgio e lampione (1)

Sveta Nedelya e il museo di storia

Continuiamo il giro, passando per il palazzo presidenziale dove in quel momento stanno effettuando il cambio della guardia, uno ogni ora, e ci dirigiamo verso la chiesa di Sveta Nedelya, una chiesa ortodossa del 1863. Il nostro cicerone ci mostra una foto d’epoca, dove possiamo vedere come fosse originariamente prima dei bombardamenti che ne resero necessaria la ricostruzione. Proprio qui avvenne nel 1925 l’attentato allo zar Boris III ad opera dei comunisti, che provocò la morte di centinaia di fedeli. In realtà l’attentato fallì e sapete perché? Perché fu sventato, direte voi. Niente affatto. Non riuscì semplicemente perché lo zar quel giorno era…in ritardo. Sempre detto, la puntualità accorcia la vita. Proseguiamo fino al Museo di storia nazionale, costruito nel 1913 dove prima si trovavano le antiche terme romane. Non c’è città romana che si rispetti senza terme e Sofia era particolarmente amata dai romani per le sue innumerevoli sorgenti minerali calde e fredde. Ancora oggi, dalle bocche esce acqua calda e solforosa, ottima, a patto di attendere che si freddi e che perda il forte odore iniziale! Sembra che ogni fontanella sia buona per curare qualche organo: una è per i reni, un’altra per il cuore, un’altra ancora per lo stomaco. Secondo me sono tutte uguali, ma un sorso di ognuna sicuramente male non fa. Alle spalle del museo, una ciminiera industriale è l’unico resto dell’ex bagno pubblico, ora riconvertito appunto in museo. Le terme prima, e i bagni poi, erano utilizzati dai nostri avi un po’ come facciamo noi con i social network. Quando i bagni nelle case non esistevano, andavano lì una volta a settimana, facevano la doccia, indossavano vestiti puliti e s’informavano sugli eventi della settimana. Insomma, anche loro si riposavano spettegolando.

Sveti Nikolay

Andiamo avanti: ci fermiamo davanti a Sveti Nikolay, una chiesa ortodossa russa dedicata a San Nicola e costruita per la comunità russa presente a Sofia. L’esterno di raffinati mosaici e cupole dorate richiama gli elementi tipici dell’architettura ellenistica. Attraversando il parco adiacente, arriviamo all’ultima tappa del tour: la Cattedrale Aleksandr Nevskij, la più famosa e la più imponente della città. Eretta in stile neo bizantino, deve il suo nome allo Zar russo Alexander Nevski, che salvò la Russia dall’invasione degli svedesi. Le cupole esterne, ricoperte di oro, sono state donate proprio dai “fratelli russi”, come loro chiamano ancora oggi l’ex dominatore. Non bisogna dimenticare, infatti, che quando i russi liberarono la Bulgaria dagli ottomani trovarono un Paese devastato.

Riflettendo tra me e me sulla parzialità e sulla relatività dei giudizi della Storia, il primo giorno è finito. Nella prossima puntata vi racconterò come si mangia, cosa si beve, dove e come trascorrono le domeniche i Sofioti e che chicca ho trovato spostandomi di pochi chilometri con una meravigliosa gita fuoriporta.

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Sperlonga: il suono del mare, una bianca luce e il fascino di antiche leggende

Sperlonga. Sono seduta all’aperto, in giardino. Mentre scrivo, soffia un leggero vento che sussurra d’estate alle porte.

Ripenso al fine settimana appena trascorso e non posso che iniziare da un commento appassionato sull’arguzia e l’intelligenza degli antichi romani. Le tracce di questo popolo meraviglioso sono viva testimonianza non solo nelle grandi città, per esempio a Roma, Verona o nelle terre di conquista. La costa laziale è ancora oggi, dopo millenni, l’esempio lampante di come sapevano scegliere i luoghi da abitare e le terre da esplorare.

IMG_5708[1]Arrivare a Sperlonga è abbastanza semplice, nonostante la penuria di cartelli stradali che caratterizza le strade italiane. Uno dei rari cartelli indica la “Villa di Tiberio e sito archeologico” e lì mi dirigo. Un po’ a caso, lo ammetto, non ho studiato molto prima di arrivare. La scelta, però, si rivela azzeccata e dopo vi spiego perché.

La villa di Tiberio

Una signora gentilissima stacca il biglietto del museo annesso alla Villa di Tiberio e dà indicazioni per la visita. Lo sguardo mi cade su un avviso: “il negozio di souvenir è sospeso”. Chissà perché, penso, un buon negozio di souvenir è promozione certa per il sito. Nei locali del museo mi soffermo ad ammirare le sculture, che raccontano la storia dell’Odissea. Tiberio era un imperatore che amava vivere e circondarsi di ospiti, cui raccontava proprio il poema omerico. Non è difficile immaginare le statue come sfondo alle sue orazioni. All’uscita dei locali, si apre il sentiero che porta alla villa. Dall’alto, ne ammiro la pianta, le grotte che l’affiancano e la cornice blu del mare. Con una breve passeggiata arrivo ai resti della villa. Sono fortunata, ci sono due scolaresche e una guida che accetta con piacere altri uditori. Scopro così che la disposizione delle stanze era funzionale al bisogno di privacy del proprietario, ma anche che venne costruita secondo le tecniche ingegneristiche più avanzate dell’epoca. Sapete perché le riunioni dei ministri vengono chiamate ancora oggi Gabinetto? Perché anticamente era il luogo più riservato in cui fare affari e stringere accordi. Il bagno singolo come lo conosciamo noi, infatti, non esisteva. Pensate che nel gabinetto riservato alla servitù potevano fare i propri bisogni ben 16 persone per volta! V’immaginate che caos? Eppure, un sistema ingegnoso di circolazione dell’acqua e i lavaggi del corpo con spugne naturali che il mare lasciava a riva, garantivano la massima igiene e, soprattutto, la completa biodegradabilità dei rifiuti. Al contrario di noi, gli antichi erano decisamente ecosostenibili!

Le grotte naturali

Arrivati a fine villa, grazie a una passerella passiamo nelle grotte naturali. Per Tiberio e i suoi ospiti erano un po’ un surrogato delle terme romane. Venivano qui a leggere, chiacchierare e riposarsi. Anche in questo caso, le carpe che ancora oggi nuotano pigre nell’acqua servivano a mantenere l’ambiente pulito senza filtri, depuratori e cloro. Chimica naturale, potremmo dire. A questo punto la visita è finita. Potrei riprendere la macchina e dirigermi verso uno dei parcheggi a pagamento della cittadina. Potrei, ma non lo faccio. La giornata è bella e invita a muoversi. Quindi passo dalla spiaggia, direzione porto di Sperlonga. Per questo prima vi ho detto che la scelta è stata azzeccata, perché ho abbandonato l’automobile e non l’ho più utilizzata per tutta la giornata. E’ una breve passeggiata e se non avete problemi a camminare vi consiglio caldamente di fare lo stesso. Il porto è piccolino e punto di partenza per visitare la cittadina che s’inerpica verso l’alto. 

La Torre Truglia 

IMG_5718[1]La prima fermata è alla Torre Truglia, che probabilmente era l’antico faro di Tiberio. Ha l’aspetto squadrato di una fortezza ed era il primo avamposto di difesa della popolazione dai pericoli provenienti dal mare. Da lì, sono salita senza soste verso la IMG_5719[1]cima della cittadina per poi riscendere zigzagando tra vicoli e vicoletti circondati da abitazioni tutte bianche. Anche la calce bianca, oltre ad avere una funzione estetica, è stata scelta perché assicura la disinfezione. Purtroppo ho potuto solo immaginare l’animazione che sicuramente pervade le vie durante il periodo estivo. La maggior parte delle botteghe, infatti, è aperta solo in alta stagione e anche il numero di abitanti è ridotto al minimo. In compenso, ho sempre sentito distintamente il suono del mare. Non posso certo lamentarmi, che ne dite?

IMG_5735[1]

La grotta azzurra

p.s. Ho saltato l’antica strada in marmo dei romani e la grotta azzurra, raggiungibile solo in barca (quest’ultima per assenza del servizio). Una scusa migliore per tornare a Sperlonga non l’avrei potuta trovare…

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