Un giorno Ben entra in cucina. Sta cercando Rose, che è occupata a bollire le uova.
«Rose.»
Ultimamente non l’ha quasi mai chiamata per nome, perciò lei alza lo sguardo sorpresa.
«Dobbiamo parlare.»
Il mondo crolla, anni e anni precipitano turbinando, vite vengono distrutte. Adesso Rose sa che tutte le venture sono state annunciate da quella frase. Dobbiamo parlare.
«Devo andar via per un po’. Penso che abbiamo bisogno di stare ognuno per conto proprio, solo per un periodo. Mi dispiace farlo così, ma è che non sono felice.»
Rose fissa le uova.
Trama
Rose e Ben sono una coppia come tante. Dublinesi, sui 40 anni, sposati da vent’anni, tre figli, casalinga lei e imprenditore lui. Annoiati, con giorni che si susseguono sempre uguali. Ma questo non è un giorno come gli altri, perché Ben ha deciso di lasciare la famiglia per un’altra donna. Rose si ritrova di punto in bianco a dover fare fronte all’emergenza economica immediata, a doversi improvvisare capofamiglia, a inventarsi un mestiere e un nuovo equilibrio familiare. Grazie al sostegno delle persone che le sono vicine e a risorse che non sapeva neanche di avere, riesce a riprendere in mano le fila della routine domestica e a ritrovare una parvenza di felicità.
L’esordio di Catherine Dunne
In questo romanzo d’esordio, la scrittrice irlandese Catherine Dunne alterna la cronaca dei fatti che stanno accadendo nel 1995, anno in cui Ben decide di voler tornare a essere felice, alla ricostruzione della storia che li ha portati da giovani fidanzati ai drammatici eventi di oggi.
“Non era più la metà di una rispettabile, solida coppia borghese. Era la metà di niente.”
Questa frase, secondo me, racchiude l’essenza del libro. Rose e Ben anelano entrambi al riconoscimento sociale, a costruire un nucleo che li faccia sentire accettati, dove ognuno si comporta con giudizio e secondo quanto gli viene richiesto, senza chiedersi mai se è questo ciò che davvero vuole. Quando Ben annuncia alla moglie di aver deciso di andarsene, non sta infliggendo un duro colpo a una moglie innamorata, no, ma a una donna che ha fatto dell’apparenza e della convenienza il suo stile di vita. La sua prima reazione, infatti, non è di disperazione per l’abbandono, ma d’incredulità, perché queste sono cose che succedono agli altri, non a lei.
Ma chi sono gli altri?
Sono quelli che accompagnano i figli a scuola, che fanno spesa al supermercato, che puliscono casa ogni giorno, che aspettano la ciurma la sera con un piatto fumante in tavola. Gli altri siamo noi. E quando tutte queste attività quotidiane perdono di senso, non possiamo fare altro che chiederci: chi sono io? Perché “gli altri” continuano a girare per il supermercato come se nulla fosse successo? Perché in effetti è così: per loro, per “gli altri” non è successo proprio nulla, il mondo continua a girare lo stesso. Il dramma privato, se possibile, deve essere tenuto nascosto. Se ti chiedono come stai, devi rispondere: “bene”, non “mi sento morire, non lo vedi?”, perché potrebbero prenderti per pazzo o, peggio, allontanarti per sempre.
Gli altri elementi del romanzo di Catherine Dunne, tutto sommato, sono meno interessanti. Sorvolo sulla traduzione, zeppa di errori soprattutto sulla consecutio temporum. I continui flashback rendono la lettura veloce, ma non arricchiscono più di tanto le figure dei protagonisti, né del loro contorno familiare. Rose e Ben rimangono due personaggi piatti, senza grandi evoluzioni, fondamentalmente bloccati nel loro egocentrismo. Anche se l’autrice prende evidentemente le parti della donna, direi che entrambi risultano alla fine due bambini poco cresciuti.
“Ho cercato per anni di parlarti”. (attenzione, spoiler)
Ben lascia la moglie e i bambini nei guai, è vero, ma anche lei sembra talmente impegnata a costruire la famiglia del Mulino Bianco per gli estranei da non accorgersi di quello che le succede in casa. Eppure, i segnali c’erano tutti. In fondo, non è sempre così? Siamo sempre gli ultimi a capire quello che ci riguarda. Anche gli accadimenti risultano inverosimili: lei si trasforma in una super donna imprenditrice di se stessa in pochi mesi, trovando lavoro senza neanche cercarlo! Forse, Catherine Dunne ha voluto aprire uno spiraglio di speranza per tutte le donne che subiscano un divorzio, ma il percorso dall’abisso alla risalita è lungo e andrebbe esplorato fino in fondo, non lasciato, appunto, a metà.
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