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Perdersi a New York tra libri, tramonti e gospel

New York. Dicono che per ritrovarsi bisogna perdersi. E dove farlo se non in una Grande Mela? Vedo e sento troppe persone preoccupate di “cosa fare” a New York. Io vi dico: il problema non si pone! Perdetevi e lasciatevi trasportare da questa megalopoli così viva ed entusiasmante. Qui vi do solo qualche cenno di quello che potreste fare. Prendete spunto, però ricordatevi: in posti come questo, programmare il meno possibile e perdersi tra le vie, è l’unico modo per assaggiare, perché il tempo è troppo, troppo poco. Non vi parlerò delle mete classiche, quelle le scoprirete da soli. Vi racconto alcune chicche che ho scoperto mentre cercavo di perdermi. Alcune, vi assicuro, sono imperdibili. Altre, come il Tour di Sex and the City, indimenticabili. New York è una città senza mezze misure: o si ama o si odia. Inutile dirvi io da quale parte sto. Buon viaggio!

A piedi nudi nel parco

Central Park
John Lennon

Impossibile andare a New  York e non passare per questo parco. Vi consiglio una bella e lunga passeggiata all’interno. Io sono entrata dalla parte dello Strawberry Fields Memorial, dedicato alla memoria di John Lennon. Il nome si ispira naturalmente alla canzone Strawberry Fields Forever dei Beatles. Indirizzo: W 72nd St. In realtà si tratta di un mosaico posato a terra che si trova nei pressi del Dakota Building, il palazzo in cui il cantante viveva a New York con la moglie Yoko Ono e all’entrata del quale venne ucciso nel 1980. Il mosaico si trova vicino all’entrata e lo riconoscerete perché c’è un menestrello che canta le canzoni dei Beatles, quasi sempre seguito in coro dai fan che lasciano un fiore o fanno foto ricordo. Curiosità: sempre da quell’entrata, se guardate le panchine ne vedrete una dedicata a Bruce Paltrow, regista e padre di Gwineth.  

Loeb Boathouse 

Da lì, potete spostarvi in diverse direzioni, le possibilità sono infinite. Per esempio, potreste finire nei presi della Loeb Boathouse, soprattutto se siete a caccia di un posto unico per pranzare. Si affaccia su un laghetto all’interno di Central Park ed è il ristorante in cui Carrie e Mr. Big di Sex & the City si incontrano a pranzo dopo la fine del matrimonio di lui  e della relazione di lei con Aidan,  ma cadono entrambi nell’acqua per l’imbarazzo di salutarsi. E’ molto scenografico e si presta per belle foto ricordo, anche perché sicuramente l’avrete visto in mille film.

Jacqueline Kennedy Onassis Reservoir

Oppure, per un colpo d’occhio senza pari, potreste avvicinarvi al Jacqueline Kennedy Onassis Reservoir, in origine un bacino idrico per la distribuzione dell’acqua ormai in disuso. Se vi piace correre, è il posto che fa per voi, perché qui c’è un anello di circa 2,5 km intorno a cui allenarsi. E’ stato dedicato a Jacqueline Kennedy perché era una sua abitudine correre intorno al laghetto e perché poteva vederlo da casa sua, sulla Fifth Avenue. Lasciamo da parte l’invidia per un momento e andiamoci anche noi a gustare, nel nostro piccolo, questo gioellino di ingegneria. 

The Mall & Literary Walk

Non c’è neanche da dirlo, ma ve lo dico lo stesso. Qui ci dovete assolutamente passare, direi che è obbligatorio. Intanto, per la scenografia degli immensi olmi americani che costeggiano la passeggiata, la Promenade, come la chiamano i newyorchesi. Ma soprattutto, per l’atmosfera che si respira, di chiacchiericcio, passeggiate senza fretta, sport, vita all’aria aperta, flora e fauna spettacolare, sopratuttto con i colori autunnali. Il tutto, condito dai richiami letterari delle statue che osservano tutto questo viavai senza battere ciglio. Viavai che dura da secoli, perché in origine questo era l’unico tratto rettilineo del parco ed era stato pensato per conserire all’élite cittadina di scendere dalle carrozze e passeggiare a piedi fino a raggiungere la Bethesda Terrace, dove i cocchieri andavano a riprenderli. Se affittate una carrozza, potreste rivivere un po’ di questa magia.

Bethesda Terrace

Anche questa tappa è imprescindibile. Bethesda Terrace è il cuore pulsante del parco, perché qui si incrociano le strade e i sentieri. La terrazza è strutturata su due livelli, una piazza circolare con una fontana al centro,  Bethesda Fountain, collegata a una terrazza tramite due scalinate. Dalla terrazza si gode di un bel panorama sul lago e le barche a remi, che chiunque può affittare e che solcano pigramente le acque.

Bryant Park

E’ il parco pubblico più centrale di New York. Se passate da New York prima di Natale (da autunno inoltrato) troverete un villaggio molto carino, pista di pattinaggio inclusa. Anche se piccolino rispetto agli altri, è il mio preferito, anche perché si trova a due passi dalla New York Public Library, LA biblioteca di cui vi ho già parlato e di cui vi riparlo sotto. Infatti ci sono sempre molti studenti che sfacchinano sui libri. Ovviamente, proprio perché così vicino al tempio della lettura pubblica, non potevano non esserci richiami letterari. Il parco, infatti, si chiama così perché è intitolato al poeta e giornalista William Cullen Bryant (1794-1878). All’interno,oltre a una statua eretta in suo onore, ci sono anche i busti di Goethe e Gertrude Stein. Passateci, anche solo per un caffè.

Washington Square Park

Il motivo per cui adoro New York? La gente. Come il signore che mi ha fermato in questo parco per scambiare due chiacchiere e raccontarmi cose interessanti. Per esempio, che negli anni ’50 Jimi Hendrix veniva a suonare qui. Che negli anni ’90 Washington Square Park è diventato il centro del rap e che, vicino alla fontana, in certe sere possono esserci anche venti gruppi che suonano nello stesso momento. E che qui sarebbe nato il frisbee. Prendo tutto con le molle, sarebbero informazioni da verificare, ma capite che fortuna poter bere notizie da guide improvvisate incontrate per caso? Se sapete di più su questi fatti, scrivetemi nei commenti, mi raccomando! 

Messa gospel

Harlem

La messa gospel è un’esperienza da fare, se rimanete in città abbastanza per vivere una domenica diversa dal solito. Ci sono diversi tour che la propongono. Io ho scelto quello del mio albergo, che mi ha portato prima a vedere la Columbia University e poi a fare una passeggiata per Harlem, partendo dall’Apollo teather, un monumento per chi ama la musica. Da qui, siamo arrivati alla Memorial Baptist Church. Devo dire che mi aspettavo un’esperienza completamente diversa, più “turistica” diciamo. Invece, mi sono ritrovata all’interno di una messa vera, guidata da un pastore donna (giuro che non lo sapevo!) che i fedeli sentono completamente, fino quasi a cadere in tranche. Le scene sono ancora vivide, come lo sguardo della parrocchiana che mi ha guardato malissimo perché ho solo azzardato il gesto di tirare su la macchina fotografica. Vi diranno, infatti, che fotografare è proibito, come è proibito mescolarsi alla folla che assiste alla messa, i turisti rimangono infatti in un’area riservata, e che è possibile assistere solo alla prima parte della funzione. I fedeli rimarranno lì tutto il giorno e mangeranno insieme. Peccato, mi sarebbe piaciuto rimanere fino alla fine. Quando siamo risaliti sul pullman, una delle bambine che ha partecipato al tour era visibilmente turbata. Tenetelo presente se viaggiate con minori, chiedete informazioni precise agli organizzatori del tour.

Fare due tiri

Madison Square Garden

A me il basket non piace, mi direte. Male 😉 A parte gli scherzi, non è importante che siate appassionati di sport. Vi consiglio comunque di comprare un biglietto e andare a vedere una partita. Perché lo spettacolo non è in campo, ma fuori, tra gli spettatori e le attività che vengono organizzate per intrattenerli. Passare la domenica a vedere una partita, infatti, è un’attività pensata per tutta la famiglia, non come in Europa, dove spesso è un piacere solitario. Negli Stati Uniti diventa, né più né meno, come una gita fuori porta. Quindi, l’evento è pensato in funzione di questo, con diversi momenti di pausa, una durata più lunga di quella cui siamo abituati, e tanti spettacolini per divertire il pubblico. Non potete farvi mancare un’esperienza del genere, comprate il biglietto, acquistate il primo (di tanti) hotdog e mettetevi seduti. Divertimento assicurato.

Barclays Center di Brooklyn

Se al Madison Square Garden non c’è posto, o se nel vostro giro fate tappa a Brooklyn, per la serata sport potreste optare per il Barclays Center di Brooklyn, che io ho visto solo da fuori, anche se sono sicura che dentro ci sia il mondo. Un pomeridiano con i Brooklyn Nets e poi via, a guardare il tramonto. 

Guardare il tramonto

Brooklyn Heights Promenade

Se andate a New York con l’intenzione di dichiararvi, questo è il posto che fa per voi. Romantico? E’ dire poco. Se mi avete dato ascolto e avete camminato sul ponte di Brooklyn e poi vi siete fatti una passeggiata per il quartiere, magari arrivando a Dumbo (vedi sotto), cercate di calcolare bene i tempi per trovarvi qui subito prima del tramonto. Potrete gustarvi coppie, modelli o studenti che fanno fotografie, potrete sorseggiare un bell’aperitivo e perdere oziosamente tempo osservando i fotografi che sistemano i cavalletti e fanno prove di scatto. Cos’ha di speciale questo posto? Da qui potrete godere di una vista magnifica della parte sud di Manhattan e dello skyline. Il sole tramonterà dietro la Statua della Libertà e, da quel momento in poi, cominceranno ad accendersi le luci dei grattacieli, una dopo l’altra, fino a formare un reticolato di luci sfavillanti. Se amate la fotografia, potrete scattare una serie di foto via via che l’illuminazione artificiale e il buio naturale salgono. E’ molto suggestivo, fidatevi. E pieno di baretti dove ordinare una birra, o quello che volete, prima di rimettervi in marcia. Andateci e poi scrivetemi nei commenti se ne è valsa la pena, ci conto!

Andare per mercatini

Chelsea

Per il mio ultimo viaggio a New York, ho scelto come quartiere-base Chelsea, che secondo me unisce uno spirito vivace e fresco a un buon rapporto qualità-prezzo per gli alloggi, con una prevalenza di case basse a mattoni rossi che io adoro e che fanno molto vecchia New York. Chelsea Market si trovava a due passi dal b&b in cui ho dormito e riposato e sono riuscita ad andarci un paio di volte. Il Mercato sorge sull’antica fabbrica della Nabisco (National biscuits company), che ha tra i marchi Oreo, Oro Saiwa e Ritz, per citare i più conosciuti, che aveva stabilito qui il suo stabilimento nell’Ottocento per approfittare dello strutto di maiale. All’epoca, infatti, i treni della High Line servivano i macellai all’ingrosso che fiancheggiavano le strade sotto i binari e raffreddavano le loro provviste con blocchi di ghiaccio del fiume Hudson. L’architettura odierna richiama il passato e si armonizza perfettamente con gli edifici circostanti. Vale la pena di farci un salto, magari per pranzo, c’è una scelta varia, non solo di cibo, e i negozi sono tutti piacevolmente allestiti. L’atmosfera glamour è garantita anche dai visitatori, che magari si mettono a disegnare nella hall o a leggere il giornale seduti davanti a un caffè. 

Soho

Il SOHO Market si trova al 435 di Broadway ed è come i mercati che sono di moda anche in Europa. Vestiti, cosmetici,  attrezzature per la rasatura e di tutto un po’. Potrete trovare qualche souvenir originale da portare a casa, o semplicemente divertirvi a girare tra i banchi e i rivenditori.

Cadman Plaza e Columbus Park

Tra Cadman Plaza e Columbus Park c’è un mercato di frutta e verdura a prezzi più che ragionevoli. Se dopo qualche giorno vi sentite stanchi di mangiare schifezze super lussuriose, affacciatevi. Scoprirete che mangiare sano a New York non è poi così difficile. Potrete poi proseguire la passeggiata dentro il Columbus Park, uno dei preferiti dalle coppie per le foto di fidanzamento. Oltre alla riva del fiume, naturalmente. 

A caccia di libri

Strand

E’ la mia libreria preferita, senza alcun dubbio. Quegli scaffali esterni dove potenzialmente trovare di tutto, sono una droga. E’ molto fornita anche all’interno, ma spulciare i libri all’esterno, con la gente che ti passa accanto frettolosa, non ha prezzo, anche perché le gemme a poco prezzo è qui che si trovano. Sul marciapiede, ho trovato una copia di Anna di Tetti verdi e di Fragments di Marilyn Monroe a un prezzo ridicolo. Consigliatissima.

Public Library

La New York Public Librarnon è una biblioteca. E’ LA biblioteca. Non solo per l’immensità dell’edificio, che comunque colpisce, ma anche per la vastità dei titoli che si possono trovare. E’ un servizio che veramente mi fa invidiare i cittadini newyorchesi. Avete presente i film in cui il protagonista si mette a fare ricerche per conto suo? Ecco, se mi capitasse un fatto del genere è proprio lì che vorrei andare. Se ci passate, e ve lo consiglio caldamente, fermatevi davanti a un computer e digitate un titolo a caso, non serve iscrizione. Lo troverete.

biblioteca ny entrata logo

Books are magic

Se passate dalle parti di Brooklyn, e lo farete se seguirete il consiglio che vi ho dato sopra sul tramonto, date un’occhiata alla libreria di Emma Straub Books are magic, che sembra molto carina e attiva! Chi è Emma Straub? E’ la figlia del più famoso Peter Straub, che tutti gli amanti di letture horror conoscono molto bene, e anche la scrittrice di un romanzo che ho commentato qualche tempo fa, I vacanzieri

Scene da film

Katz Deli (Harry ti presento Sally)

Sono passati 33 anni dall’uscita di Harry ti presento Sally e quella scena è ancora nella mente e negli occhi di tutti gli appassionati di commedie romantiche. E’ assolutamente obbligatorio fare una capatina da Katz Deli e sperare che il tavolo di Sally e Harry sia libero. Perché chi riesce a rifare la scena dell’orgasmo messa in piedi da Meg Ryan, mentre Billy Crystal la guarda sconsolato, e “raggiunge” la stessa intensità 🙂 vince un applauso! Ma cosa aveva preso Sally? Un semplice panino col tacchino. Dice il proprietario che se avesse scelto il panino col pastrami non avrebbe finto…haha! Io ci sono stata e ho preso proprio il panino col pastrami. Non ho avuto reazioni eccessive, ma che merita è vero. Quindi, passateci. Indirizzo: Katz Deli, 205 East Houston Street (angolo Ludlow St)

Dumbo

Se state pensando all’elefantino Disney, siete fuori strada. In realtà si dovrebbe scrivere D.u.m.b.o., perché è l’acronimo di Down Under Manhattan Bridge Overpass, cioè Giù sotto il cavalcavia del ponte di Manhattan. Se siete fan di Noodles e di C’era una volta in America, siete “costretti” ad ammassarvi in mezzo alla strada,  all’incrocio tra Washington St. e Water St., come decine di altre persone, per catturare in una foto la famosissima locandina del film di Sergio Leone. Sperando che qualcuno attraversi improvvisamente la strada con falcata decisa. 

CUVIA__

A parte il film che l’ha reso celebre, Dumbo è una buona tappa per mille motivi. Innanzitutto, per la sua architettura, composta prevalentemente di ex fabbriche e magazzini che ne denunciano l’origine come quartiere industriale. E poi per le piccole gallerie d’arte e negozietti che lo caratterizzano. Tornando ai film, qui gli appassionati di boxe troveranno anche la Gleason’s Gym, la palestra fondata nel 1937 in cui si sono allenati praticamente tutti i campioni mondiali di questo sport, tra cui Mohammed Alì, Jake LaMotta, il «Toro Scatenato» sempre di Robert De Niro, Mike Tyson, Roberto  Duran, Larry Holmes, Hector Camacho, Julio Chavez, Tommy Hearns. 

Se ci andate nel pomeriggio, verrebbe bene l’accoppiata Dumbo e Brooklyn Heights Promenade (vedi sopra “Guardare il tramonto”).

Daily Bugle Building

I fan avranno già capito: Spiderman. New York è un set vivente, camminando e guardandovi intorno, penserete a ogni incrocio, ogni parco, ogni semaforo e ogni palazzo, “questo l’ho già visto”. E sicuramente l’avrete visto in qualche film o serie. Questa per me è stata una foto e una scoperta casuale, mi piaceva il panorama e ho scattato. Solo dopo ho capito cosa mi aveva attirato: è l‘edificio utilizzato per gli uffici del Daily Bugle nei film di SpiderMan. In realtà, si chiama Flatiron e si trova nel Flatiron District. E’ stato costruito all’inizio del XX secolo e completato nel 1902.

Broadway

Una cosa divertente che rifarò, come NON farebbe David Foster Wallace, è presentarmi al bottheghino last minute in Times Square per un musical, fare la fila e vedermi chiudere la serranda in faccia “sorry, stiamo chiudendo”…con la gente in fila! Poco male, un po’ più avanti mi ha avvicinato un bagarino e, dopo una serrata trattativa, ho strappato un prezzo più che accettabile per Il fantasma dell’Opera di Andrew Lloyd Webber per la sera stessa. Che dirvi, un musical a Broadway va visto almeno una volta nella vita, c’è l’imbarazzo della scelta. Se poi non avete tempo, non vi piace, non parlate inglese abbastanza bene da seguire uno spettacolo, c’è questo delizioso ristorante, sempre a Times Square, dove i camerieri sono cantanti/ballerini e intrattengono le persone sedute al tavolo in maniera scherzosa e piacevolissima. Oltre a essere molto bravi, è quasi inutile specificarlo. Si chiama Ellen’s Stardust Diner ed è arredato in stile anni ’50. Infatti, quando ci sono stata io, la coppia di camerieri ha intonato una canzone di Grease. Divertente, ve lo consiglio. Lì vicino, c’è anche Junior’s, dove fanno un’ottima New York Cheesecake. Loro dicono la migliore, ma chi non lo direbbe? Se siete girandole e non avete proprio tempo di fermarvi a mangiare qualcosa seduti, c’è sempre Gray’s Papaya, l’hotdog più buono di New York

Exit & The City

Coney Island

In autunno a Coney Island c’è il deserto. Ed è proprio per questo che ve la consiglio. Se vi capita una giornata di sole, fatevi lasciare dalla metropolitana nell’ultima fermata utile (ci vorrà circa 1 ora per arrivare) e concedetevi una bella passeggiata rilassante su una spiaggia immensa e completamente libera. I divertimenti sono lasciati in pausa e potrebbero mettere anche una sorta di malinconia, un po’ come descrive Loredana Bertè nella sua “Il mare d’inverno”, ma l’effetto relax è garantito. Quando ci sono andata io, ho potuto contare le persone sulle dita di una mano, due o tre hanno approfittato per sdraiarsi a prendere il sole, gli altri a passeggio sulla battigia. Vi consiglio questa breve fuga se rimanete abbastanza giorni per allontanarvi da Manhattan o se non è la prima volta che visitate New York.

Wave Hill

Questa è una gita fuoriporta inusuale, ma se vi piacciono i giardini e avete in programma, che so, di visitare il Bronx o lo Yankee Stadium, potreste allungarvi per un po’ e andare a visitare questa tenuta. Io ho scelto un giorno pessimo, pioggia a catinelle, ma mi è piaciuto lo stesso. Anzi, forse l’acqua ha dato quel qualcosa in più all’atmosfera. Wave Hill offre una vista magnifica sul fiume Hudson dal belvedere, un bell’edificio in pietra, in passato affittato per l’estate da gente come Roosevelt, Mark Twain, Arturo Toscanini, un giardino botanico con specie rare, un museo privato, un caffè che vende prodotti biologici, un piccolo negozio per portare a casa semi come souvenir. Una bella passeggiata nella natura, se il tempo a disposizione lo consente. Magari prima di una partita di baseball.

Staten Island

Il traghetto per Staten Island è una delle furbate di chi non vuole perdere troppo tempo per salire sopra la Statua della Libertà, ma vuole comunque fotografarla da una buona prospettiva, cioè dal traghetto gratis che fa la spola a tutte le ore del giorno e, parzialmente, della notte. Già che c’ero, ho approfittato per allungare il giro e arrivare al Museo di Meucci e Garibaldi, che nel periodo americano hanno coabitato in questa casa, si può dire sperduta? Ancora oggi, arrivarci non è proprio facilissimo, tanto che per trovarlo mi sono dovuta affidare all’autista dell’autobus, che mi ha detto “forse ho capito dov’è”. Dopo mezz’ora e più di tornanti e signore di colore curiosissime che m’invitavano a sedermi accanto a loro ridendo, per sapere dove caspita stessi andando con la mia macchina fotografica al collo e l’aria smarrita, bè, ammetto di avere avuto seri dubbi. E invece, l’autista sapeva il fatto suo e mi ha scaricato davanti al Museo…chiuso per riposo settimanale! Nooo, non potevo crederci, così mi sono attaccata al campanello. Incredibile, mi hanno aperto, tutti felici che qualcuno cercasse il museo e sì, insomma, è il giorno del riposo settimanale, ma ormai è arrivata fin qui…è per momenti come questi che amo New York. I cimeli non sono tantissimi, ma d’altra parte non sono molti neanche al Museo della Repubblica romana di Roma, quindi che pretendere? E’ comunque una visita interessante per i trascorsi dei due. L’entrata è libera, con offerta, sempre libera. Se volete mantenerlo in vita, fateci un salto.

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Charlotte Brontë e il luddismo di Shirley

Charlotte Brontë ha scritto in tutto quattro romanzi completi e uno completato da altri. Shirley è il secondo, pubblicato due anni dopo Jane Eyre. Sapete che Jane Eyre è il suo grande successo e anche il mio romanzo preferito. Shirley, invece? Con questa seconda prova, Charlotte Brontë si avventura nel romanzo sociale, abbandonando le atmosfere gotiche del primo libro. Anche qui, dimostrando tutta la sua maturità come donna e come scrittrice. Venite con me, vi racconto tutto. 

Trama

Yorkshire, inizio Ottocento. Shirley, giovane donna ricca e caparbia, si trasferisce nel villaggio in cui ha ereditato un vasto terreno, una casa e la comproprietà di una fabbrica. Presto fa amicizia con Caroline, orfana e nullatenente, praticamente il suo opposto. Caroline è innamorata di Robert Moore, imprenditore sommerso dai debiti, spietato con i dipendenti e determinato a ristabilire l’onore e la ricchezza della sua famiglia, minati da anni di cattiva gestione. Mentre da una parte Caroline cerca di reprimere i suoi sentimenti per Robert – convinta che non sarà mai ricambiata -, dall’altra Shirley e il suo terreno allettano tutti gli scapoli della zona…

Romanzo sociale 

Così possiamo definire questo secondo romanzo di  Charlotte Brontë. Mentre Jane Eyre era prevalentemente incentrato sulle vicende di Jane e sulla sua ricerca di un posto nel mondo, qui le nostre eroine sono immerse nella dura realtà della vita. Non che Jane non lo fosse, anzi, ma poco sappiamo del contesto sociale in cui si muovono i personaggi. Invece, in Shirley il momento storico fa da motore delle vicende e dei sentimenti umani che Charlotte Brontë ci narra. Il progresso industriale sta portando con sé un’instabilità sociale fortissima. Le macchine si stanno sostituendo agli uomini, famiglie intere rischiano di morire di fame e di non riuscire a ricollocarsi. D’altra parte, gli industriali vogliono produrre di più e a costi inferiori, non sono disposti ad ascoltare le istanze di chi chiede di rallentare. Ancora una volta, la sensibilità e la bravura di questa scrittrice emergono prepotenti. Seguiamo, certo, le vicende di Caroline, Shirley e Robert, ma fraternizziamo anche con gli operai disperati e, un po’ meno ma sì, anche con loro, i proprietari di fabbrica, che si sono accollati un debito enorme per comprare macchinari distrutti dalla furia dei rivoltosi, fenomeno che nei libri di storia è conosciuto come luddismo. 

Shirley e Caroline 

In Shirley, Charlotte Brontë abbandona le atmosfere gotiche di Jane Eyre e abbraccia nuovamente l’idea di donna forte, indipendente e originale che è il suo marchio di fabbrica. Shirley è una giovane donna ricca, che sa il fatto suo. Si interessa delle vicende sociali ed economiche che la circondano, prende parola e dà direttive, è padrona dei suoi averi e del suo tempo. E nei confronti di Caroline si pone come una sorella maggiore. Caroline è un’orfana, accolta in casa da uno zio che non le fa mancare nulla, ma che non le dà amore. Lei sta cercando il suo posto nel mondo e vorrebbe inziare a lavorare come istitutrice, per rendersi indipendente da quello zio così freddo. Solo, non è facile convincere gli altri che una donna può lavorare e mantenersi invece di aspirare al matrimonio. Matrimonio che non prende neanche in considerazione perché disperatamente innamorata di Robert. Non, però, così innamorata da non rendersi conto che la società impone a Robert una scelta basata sulla convenienza economica, che la esclude automaticamente. Shirley, invece, sì che sarebbe un’ottima compagna per lui e lei è disposta a farsi da parte. Ma cosa ne pensano gli interessati?

Forse, con un titolo diverso…

Charlotte Brontë è bravissima a coinvolgere i suoi lettori e anche stavolta il romanzo scorre via in pochissimo tempo. Cosa ne sarà di questo trio? Non posso dirvi troppo per non rovinarvi la lettura, dico solo che se Jane Eyre è il suo romanzo più famoso, e anche il mio preferito, Shirley non è meno interessante. Forse, con un titolo diverso, ma ahimè i nomi femminili all’epoca andavano di moda, avrebbe avuto più successo. In ogni caso, è sicuramente una lettura che vi consiglio.

Magari, se siete anche voi delle accanite (ri)lettrici di Jane Eyre, scrivetemi nei commenti quale dei due preferite e perché! 

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Il caso Jane Eyre – Jason Fforde

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Il delitto perfetto di Heather Graham Pozzessere

Heather Graham Pozzessere è l’ultima chicca che ho pescato dall’edicolante che vende romanzi vintage a un euro e che fa parte della collana I bestsellers Mondadori. Finora non ho sbagliato un colpo, anche questo titolo si è rivelato un suspense romance avvincente. Anche se forse l’autrice…ora vi racconto.

Trama

Cassandra Stuart è morta tra le braccia di Poseidone, il corpo trapassato dal tridente della fontana. Il caso è stato archiviato dalla polizia come un tragico incidente, ma suo marito, il noto giallista Jon Stuart, è stato oggetto di pubblica curiosità e sospetto. E ora, tre anni dopo, orchestrando un piano complesso e azzardato, ha riunito i principali indiziati sulla scena del delitto. Più Sabrina, che quel giorno non c’era, ma che Jon vuole assolutamente rivedere. Passato e presente si intrecciano, vecchie fiamme si riaccendono e un assassino trama nell’ombra…

Seminando falsi indizi

L’intreccio non è originalissimo, ma funziona sempre. Un castello scozzese del mistero, un po’ lugubre, una morte che pesa sugli invitati, personalità complesse ed enigmatiche e un assassino da far uscire allo scoperto. Ma c’è davvero un assassino? O la morte di Cassandra è stata solo un tragico incidente? E’ su questo equivoco che si gioca gran parte del libro. Heather Graham Pozzessere si diverte a prenderci in giro, a seminare falsi indizi, a terminare il capitolo con un colpo di scena e a fare marcia indietro all’inizio del successivo. Per poi riservare alle ultime pagine la soluzione del mistero.

Al lupo, al lupo!

Forse è proprio questo il difetto principale del romanzo. Il lettore di gialli è molto esigente, non ci può essere un Al lupo, al lupo! in ogni capitolo e poi un nulla di fatto. Nulla di fatto relativo, intendiamoci, perché qualcosa in effetti succede. Per quanto mi riguarda, non mi sono fatta fuorviare: ho puntato il mio cavallo all’inizio e ho vinto. Tutto sommato direi una lettura gradevole per qualche serata senza pensieri. Forse, la parte romantica tra Jon e Sabrina avrebbe potuto essere più sviluppata, come anche i complessi rapporti tra scrittori megalomani. Ma è comunque una storia che ho seguito con piacere.

Curiosità

Nel romanzo, Jon Stuart organizza il ritrovo annuale degli scrittori di thriller e mistery, durante il quale giocano a “trova l’assassino”. Nella realtà, Heather Graham Pozzessere è una delle fondatrici del Florida chapter of the Romance Writers of America e dal 1999 ospita l’annuale Romantic Times Vampire Ball per beneficenza. Nel 2006, ha ospitato il primo Writers for New Orleans in occasione del Labor Day, che è poi diventato un evento annuale. 

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Il saper vivere di Donna Letizia: consigli utili per Natale

Donna Letizia. Come comportarsi a Natale e nelle altre occasioni di festeggiamento? Scopriamolo insieme, con un pizzico di ironia. Chi segue Csaba Dalla Zorza in televisione sicuramente l’ha sentita nominare, in ogni puntata c’è un “Donna Letizia direbbe…Donna Letizia suggerirebbe…”. Ma chi è Donna Letizia? Ho scelto di parlarvi di lei per l’Avventolibroso21, una bella iniziativa cui sto partecipando, organizzata da Readbookswith Mar, che ringrazio. Perché l’ho scelta? Perché penso che alcuni consigli siano utili anche per noi, visto che tra qualche giorno ospiteremo qualcuno o saremo ospiti per Natale. Seguitemi nella lettura e quest’anno saremo impeccabili: parola di Colette Rosselli.

Il saper vivere

In questo momento, il vintage mi sta appassionando particolarmente. Come sapete, nel BookClubPeC stiamo leggendo Liala, mentre oggi vi parlo di Colette Cacciapuoti Rosselli. Quest’ultima è stata una scrittrice, illustratrice e pittrice italiana e, come Liala, teneva una  rubrica seguitissima di bon ton, Il saper vivere, prima su Grazia e poi su Gente. Per Liala, invece, fu addirittura creata una rivista, Le Confidenze di Liala, oggi solo Confidenze, dove lei stessa dava consigli alle lettrici. 

Il galateo di Donna Letizia

Donna Letizia era la potenza suprema del galateo. A lei si affidavano milioni di lettrici italiane per non sbagliare un colpo in ogni aspetto della vita sociale. Il saper vivere è un compendio che viene pubblicato ancora oggi da Mondadori ed è considerato una sorta di bibbia, perché al netto di alcune accortezze oggi ormai superate, rimane una buona guida da seguire nei momenti di incertezza. Donna Letizia spazia veramente in tutti i campi della vita privata, dal battesimo al lutto, passando per fidanzamento, matrimonio, inviti, viaggi, corrispondenza e chi più ne ha più ne metta. Curiosamente, manca del tutto la parte relativa al bon ton da tenere sul posto di lavoro. Ma forse, non era la donna lavoratrice il suo target. Oggi mi limito a darvi qualche indicazione sugli aspetti delle festività natalizie che ci preoccupano terribilmente. Sì, confessiamolo, anche chi vive nella modernità più spinta, di fronte alla tovaglia e ai regali, un attimo di tentennamento ce l’ha. Siete d’accordo? E allora proprio di questo vorrei parlarvi: la tavola e i regali. Come comportarsi a Natale e nelle altre occasioni di festeggiamento? Scopriamolo insieme.

Partiamo dalla tavola

Ma ancora prima, partiamo dall’invito. Se ci hanno invitato a pranzo o cena, dobbiamo presentarci all’ora esatta indicata, è consentito solo un ritardo di qualche minuto. “La padrona di casa sarà già in salotto quando arriverà il primo ospite”.

La tavola

Se avete organizzato un pranzo, la tavola deve essere guarnita di fiori. “Centri da tavola, candelabri, zuppiere antiche sono più indicate la sera”. Il formaggio non va mai servito la sera, mentre il caffè si serve in salotto. A mano a mano che gli ospiti arrivano, la padrona di casa serve gli aperitivi. Che devono essere moderati, “dovrebbero, in teoria, stuzzicare l’aperitivo, ma in realtà lo addormentano, a detrimento del pasto che segue”. Quando gli ospiti saranno tutti arrivati, ci si può accomodare a tavola. Già, ma come? 

Segnaposti e posti a tavola

Se gli ospiti sono più di sei, è meglio posizionare dei cartellini segnaposti con i nomi degli invitati. I padroni di casa siedono uno di fronte all’altra, la padrona di casa avrà l’invitato più anziano e più importante alla sua destra, alla sua sinistra quello che lo segue immediatamente in anzianità e importanza. Stessa cosa, il padrone di casa, con l’invitata più importante e quella che la segue immediatamente, nella stessa disposizione. “I celibi e le persone di famiglia vanno messi nei posti più lontani dai padroni di casa. Ma è ovvio che non si metterà in fondo alla tavola la suocera o qualche parente anziana”. Ai pranzi di famiglia i ragazzi siedono in fondo alla tavola. Se sono presenti quattro suoceri, il padrone di casa avrà alla destra la suocera e alla sinistra la madre, stessa cosa la moglie. Se chi invita è celibe, il posto della padrona di casa, di fronte a sé, sarà preso dalla signora che intende onorare.

L’apparecchiatura

Le posate vanno sempre messe ai lati dei piatti, secondo l’ordine in cui verranno usate. Le più lontane dal piatto sono quelle da usare per prime. Coltello, con la lama rivolta verso il piatto, e cucchiaio alla destra, alla sinistra le forchette. Le posate da dessert vengono poste orizzontalmente, davanti al piatto: forchettina con i rebbi a destra, coltello o cucchiaino con lama a sinistra. I bicchieri saranno due, da acqua il più grande e da vino, alla destra del piatto in quest’ordine. Se ci sono due vini, uno rosso e uno bianco, per il rosso si userà un bicchiere medio e per il vino bianco uno più piccolo e verranno posizionati in questo ordine. Per ultimo, l’eventuale bicchiere per il vino da dessert, o la coppa, se viene servito spumante o champagne.

I vini

I vini ordinari possono essere serviti nella caraffa. I vini pregiati, invece, devono essere lasciati nelle loro bottiglie, come l’acqua minerale. Lo champagne deve essere ghiacciato e aperto solo al momento di servirlo. Il vino bianco verrà servito fresco se dolce e ghiacciato se secco, i vini rossi alla stessa temperatura della casa. Senza complicarci la vita inutilmente con i vari abbinamenti vini-pietanze, ricordiamo solo la regola aurea: bianco con il pesce, rosso con la carne.

I dilemmi

Anche se abbiamo fatto tutto bene, al momento X, cioè quello di sedersi a tavola, ecco che i dubbi cominciano ad attanagliarci e quella maglia sul collo ci sembra più stretta di quanto non fosse fino a un momento prima. Ma non preoccupatevi, c’è Donna Letizia a salvarci dall’imbarazzo! Ecco qualche pillola di saggezza, che verrà in soccorso anche dei più distratti.

I gomiti e le mani

“I gomiti devono sempre essere accostati al corpo e le mani, nei momenti in cui non maneggiano posate, non vanno mai abbandonate in grembo. Non agitatele sotto al naso del vicino di tavola, nel corso di una discussione, e non invadete la sua zona con gesti bruschi e sgraziati che possano disturbarlo mentre mangia”.

Il coltello

“Il coltello deve essere tenuto nella destra senza che l’indice oltrepassi il manico e tocchi la lama. Tenere il coltello come una penna stilografica è maleducazione. Il coltello non deve mai essere portato alla bocca (ma occorre dirlo?), né adoperato per tagliare uova, verdure, patate e, soprattutto, il pesce per il quale esistono apposite posate”.

Il cucchiaio e la minestra

La minestra è una di quelle portate che personalmente eviterei, ma Donna Letizia ha suggerimenti anche per chi è così temerario da servirla: “il cucchiaio viene introdotto di punta in bocca. Ma ciò non vuol dire, beninteso, che lo si debba inghiottire fino al manico. E’ tollerato che arrivati agli ultimi cucchiai di minestra, si sollevi appena il piatto, inclinandolo verso il centro della tavola. Assolutamente proibito, invece, soffiare sulla minestra per raffreddarla.”

La forchetta

“La forchetta si tiene con le punte in su quando è nella destra. Quando è nella sinistra, con il coltello nella destra, la forchetta ha le punte in giù”. Il passaggio che segue è fondamentale, perché lo sbagliano praticamente tutti. “Quando si interrompe il pasto per conversare, si incrociano le posate, col manico sul bordo: non devono mai toccare la tovaglia. Alla fine, vanno appoggiate sul piatto perpendicolarmente all’orlo della tavola, con i manici verso il commensale”.

Il bicchiere

“Si beve a piccoli sorsi. Le signore badano a non lasciare sbavature di rossetto sui bordi, e soprattutto non arricciano il mignolo a coda di volpino. Posato il bicchiere ci si asciuga leggermente la bocca. Anche in questa circostanza, le signore fanno in modo di non stampare le labbra sul tovagliolo. Non si alza mai il bicchiere verso chi ci sta versando da bere. Non lo si copre con la mano per rifiutare: basterà un lieve cenno negativo.”

Il tovagliolo

“Lo si spiega parzialmente, ottenendo una striscia lunga che viene distesa sulle ginocchia. Non lo si ripiega mai a fine pasto, ma lo si posa alla sinistra del piatto al momento di alzarsi.”

Il pane e i grissini

Non si taglia mai il pane col coltello. Si spezza,  mano a mano, ogni boccone, possibilmente con la sola sinistra.  Questo vale anche per i grissini. Non si sbriciola il pane sulla tovaglia, non si gioca con la mollica, non si riduce il proprio posto come il piancito di un pollaio. Se, per qualche ragione, non si desidera mangiare la mollica, la si toglie pulitamente mettendola da parte. Mai nel piatto in cui si mangia.”

La salsa nel piatto 

La famosa scarpetta, si fa o non si fa?  Di regola, no. “Solo in famiglia è ammesso raccoglierla con dei pezzetti di pane, purché ci si serva della forchetta e non delle dita, e purché, procedendo a questa operazione, non ci si comporti come se si passasse lo spazzolone della cera su un pavimento.”

Il formaggio

Pentitevi voi che avete sempre usato la forchetta. “Normalmente lo si mangia col solo coltello. Se ne taglia un pezzetto, lo si appoggia con il coltello su un bocconcino di pane e si porta tutto alla bocca”. C’è speranza solo se mangiate certi formaggi “come la ricotta, il mascarpone, e alcune specialità francesi, più somiglianti a dessert che a formaggio”.

Il dolce

“Il dolce si mangia con la forchetta se è solido, con il cucchiaio se è liquido. Nell’incertezza, meglio preferire la forchetta. In caso di necessità, ci si può servire di tutt’e due le posate, per spingere con la forchetta i pezzetti di dolce nel cucchiaio”.

La frutta

La frutta è complicatissima, io proporrei di saltarla a piè pari. Sentite questa: “non si sceglie, si prende quella pera o il grappolo d’uva più a portata di mano. Pere, mele e pesche devono essere tagliate in due o quattro sezioni: ognuna di queste viene infilata nella forchetta e sbucciata col coltello. i semi d’arancia, i noccioli di ciliegia, di prugna, ecc. devono essere sputati nella mano chiusa a cartoccio e deposti nel piatto. I noccioli della frutta cotta, invece, vengono sputati nel cucchiaio o forchetta, appoggiata contro le labbra, e deposti sul bordo del piatto. Le banane devono essere sbucciate con le dita e il coltello. Si mangiano con la forchetta. L’uva viene presentata a piccoli grappoli, in modo da evitare a chi si serve la difficile operazione di dividere in due un grappolo troppo grosso”. L’arancia è un altro dramma. “Si sbuccia col coltello, tenendo il frutto nella mano sinistra. Se l’arancia si presenta ‘facile’ gli spicchi vengono portati alla bocca con le dita. Se l’arancia è molto sugosa e matura la si mangia con la forchetta e il coltello”.

Lo stuzzicadenti

“L’uso degli stuzzicadenti è proibito alle signore, e sconsigliabile agli uomini. Se non sono in tavola non si devono mai richiedere. Se ci sono, si adoperano solo in caso di assoluta necessità: in ogni modo, se ne fa uso con discrezione, cercando di evitare smorfie, ma anche senza coprirsi con ostentazione la bocca.”

I regali

Sui regali, bisogna spendere qualche parola. Per quanto mi riguarda, provo costantemente la tentazione di rinunciare, soprattutto quando, e succede quasi sempre, mi riduco all’ultimo minuto. Cosa scegliere? E piacerà? E quelli che fanno a me? Riuscirò a trattenere una smorfia di delusione? Anche qui, Donna Letizia ci viene in soccorso.

Se devi scegliere un regalo

“Deve tener conto delle preferenze di chi lo riceve. Se il donatore manca di competenza farà bene a non avventurarsi da solo nei negozi: preghi piuttosto un’amica di gusto sicuro di accompagnarlo e di aiutarlo con i suoi consigli”. Donna Letizia poi prosegue: scegliete i regali con tatto, niente di costoso a un amico ricco e niente cianfrusaglie a un’amica modesta, entrambi reagirebbero con imbarazzo. I regali non devono dare “messaggi” che mettano chi li riceve in una brutta posizione. Mai fare regali a un superiore sul posto di lavoro (brutta abitudine che oggi, invece, abbiamo) e mai ringraziare con un regalo la persona che ci ha fatto un favore. E ai ragazzi? “Nulla deprime di più i ragazzi che i regali utili: calzini, fazzoletti, guanti, vengono accettati con disappunto. Le bambine, invece, gradiscono tutto ciò che fa parte dell’abbigliamento”.

Se ricevi un regalo

Come si comporta la persona che riceve un dono? “Svolge subito il pacco e ringrazia calorosamente. Se invece del costoso profumo che si aspettava, la signora si ritrova con una scatola di marron glacés saprà dominarsi ed esclamare: ‘ma come ha fatto a indovinare che sono così golosa?’ Attenzione, però: non sempre il pacco deve essere aperto subito. Quando non tutti gli invitati si sono presentati con un regalo, per esempio, “ci si dovrà limitare a ringraziare in sordina il donatore, aggiungendo che si aprirà il pacco non appena possibile”, altrimenti profondersi in esclamazioni di gioia suonerebbe come un rimprovero a chi si è presentato a mani vuote. E poi, ricordatevi quello che dice Marie Kondo: il regalo esaurisce la sua funzione nel momento in cui ringraziate per averlo ricevuto, siamo tutti autorizzati a farne quello che vogliamo.

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Vera, di Elizabeth von Armin, tra modernità e ironia la condizione della donna

Vera è il primo romanzo di Elizabeth von Armin che leggo, a detta della stessa autrice quello che meglio la rappresenta. Perché in questa storia di rapporto coniugale c’è molto della sua vita “vera”, anche se la sua scrittura brillante fa emergere fin dall’inizio l’archetipo dell’amore malato. Mi piacerebbe aggiungere “che affliggeva le donne nel passato”, ma in realtà è una condizione ancora ben presente nella società attuale. Di Vera, e delle donne come lei, possiamo leggere tutti i giorni sul quotidiano, il più delle volte per commentare con un rip, aspettando la prossima.

Trama

Lucy Entwhistle, ventiduenne ancora un po’ bambina, e Everard Wemyss, bell’uomo maturo, sono entrambi in lutto quando si incontrano per la prima volta: lei ha appena perso l’adorato padre, lui la moglie Vera. Consolandosi a vicenda, finiscono per innamorarsi e si sposano in fretta. Dopo le nozze vanno a vivere nella casa di lui, un luogo intriso di rituali dove aleggia lo spettro della prima moglie Vera, scomparsa in circostanze misteriose. Ed è fra queste mura che Lucy comincia a chiedersi: cos’è successo davvero a Vera?

Un uomo semplice 

La morte di Vera è stata accidentale, questo Everard racconta a Lucy. E perché lei non dovrebbe crederci? E’ sempre vissuta protetta dal padre, il suo scudo, il suo filtro per capire il mondo. Certo, il padre e i suoi amici facevano discorsi che Lucy non riusciva a comprendere del tutto, se non dopo le spiegazioni dell’adorato papà. Invece, Everard è un uomo semplice, che parla in modo semplice, che è deciso a vivere la vita secondo le sue granitiche convinzioni. Everard è un’ottima spalla cui appoggiarsi, ora che suo padre non c’è più. Perché, però, l’adorata zia, la sorella del padre, arguta come lui, non lo considera un buon partito per la sua preziosa nipote? Anche la zia non saprebbe dire perché, ma c’è qualcosa in quell’uomo che lei proprio non riesce a digerire.

 Semplice e indigeribile

Segnatevi queste parole, se deciderete di leggere il romanzo: semplice e digerire, perché solo la chiave per interpretare lo svolgimento dei fatti. Everard è un uomo tutt’altro che semplice; piuttosto, è “uno scolaro bisbetico, che si comportava da maleducato; ma sfortunatamente, uno scolaro dotato di potere“. E anche se “Lucy scoprì che il matrimonio era diverso da come l’aveva immaginato. Anche Everard era diverso. Tutto era diverso”, c’è ben poco che il/la partner con la posizione più debole possa fare. Soprattutto una ragazza immatura come Lucy, abituata alla gentilezza e alla protezione del suo piccolo mondo familiare. Per una ragazza come Lucy, è facile convincersi di essere nel torto: “Lizzie era via da neanche cinque minuti che Lucy era già passata dall’infelicità e dallo smarrimento al giustificare il comportamento di Everard; nel giro di dieci minuti ebbe ben chiare le buone ragioni per cui si era comportato in quel modo; in capo a un quarto d’ora si era addossata tutta la colpa per gran parte di ciò che era successo.”

I salici (piangenti)

Ora, saremmo tutti portati a dire che la soluzione sia in fondo semplice. Il marito si rivela per quello che è, manipolare, egocentrico, uno che fonda i suoi rapporti sul terrore e la sottomissione, mascherando la dittatura con un linguaggio lezioso e improponibile passati i quindici anni di età (e forse anche prima), esprimendosi a più riprese con cuoricino, gattina, sciocca scemottina, e amenità di questo genere. La residenza di campagna in cui Lucy si ritrova, The willows, I salici piangenti non a caso, è a sua immagine e somiglianza, ci sono delle belle pagine in cui Elizabeth von Armin induce nel parallelismo tra casa e padrone. Padrone, sì, perché ovviamente il proprietario incontrastato è solo lui. Anche i domestici, sono testimoni silenziosi, molto silenziosi, dei suoi atteggiamenti. Perché lui ha il potere, il potere di pagare profumatamente il loro silenzio. Tanto che l’unica alleata per Lucy diventa proprio…Vera, la prima moglie di Everard, che pervade tutta la casa con il suo spirito. Però siamo sinceri, quante donne ancora oggi sopportano in silenzio senza reagire? Oppure reagiscono, e finiscono per essere maltrattare proprio da chi dovrebbe proteggerle? E cosa dovremmo aspettarci da una fanciulla di inizio novecento? Che coraggiosamente divorzi?

Modernità e ironia

Come finirà? Non ve lo dico, gustatevi la lettura. Dico solo che forse il finale non è poi così importante. O forse sì, dipende dai punti di vista. Quello che conta, a mio avviso, è la modernità con cui Elizabeth von Armin affronta un tema da lei probabilmente vissuto in prima persona. Con il coraggio e la forza di uscirne, vivendo una vita piena e indipendente dopo due matrimoni disastrosi. E l’ironia con cui lo affronta, spezzando i toni cupi della tortuosa vicenda matrimoniale. Tipicamente inglese è il suo gusto per i particolari, apparentemente insignificanti, che tratteggiano un’epoca. In alcuni punti, quando a parlare sono i domestici, ho sentito l’eco di Quel che resta del giorno, di Kazuo Hishiguro, scritto decenni dopo. Nell’atmosfera generale, nell’ambientazione e nella figura femminile che dà il nome al romanzo, indubbiamente Rebecca, di Daphne Du Maurier. La quale certamente conosceva questo romanzo, sono sicura, giungendo a conclusioni diametralmente opposte, però. Come sapete, Daphne Du Maurier è stata accusata a più riprese di plagio per Rebecca, ma da Elizabeth von Armin posso dire che ha preso solo spunto, nient’altro. Mentre Elizabeth von Armin conosceva e apprezzava Cime tempestose di Emily Brontë, che fa comparire in braccio a Lucy nel momento più opportuno. Ed era la cugina di Katherine Mansfield: poco ma sicuro che le due cugine sugli uomini la pensassero nello stesso modo!

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Intanto, chiedo a voi: avete letto qualcosa di Elizabeth von Armin? Quale titolo vi è piaciuto di più?

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