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La lista di Charlotte – Brenda Cullerton

Un’assassina seriale nella New York dei ricchi mi ha intrigato subito. Soprattutto se l’assassina in questione è un’insegnante di yoga, che dovrebbe insegnare tutt’altro. Tra un om e un namasté, mi viene il sospetto fondato che ogni insegnante prima o poi debba aver immaginato di far fuori i suoi allievi. Soprattutto quando hanno l’arroganza del potere. Chissà, forse Brenda Cullerton è una di loro…

Trama

New York. Upper East Side. Charlotte Wolfe è una talentuosa interior designer al servizio di una clientela ricca sfondata. Sa bene che il suo successo le è costato caro. Lavorare per clienti spaventosamente magre, venali e insensibili la sta facendo letteralmente “uscire pazza”. Così, si auto investe della missione di “sfoltire” le fila di queste mostruose creature, armata di tappetino yoga e attizzatoio. A ogni nuovo omicidio, la tensione s’ispessisce e aumentano le probabilità di essere colta in flagrante… Ma chi potrà dubitare dell’insospettabile Charlotte?

Siamo tutti vittime e carnefici

Come rovinare una buona idea con un finale troppo semplicistico. Charlotte è una trentasettenne in guerra con le ricchissime bionde patinate dell’upper east side, descritte come “inutili soggetti di cui il mondo farebbe meglio a liberarsi”. Charlotte interpreta alla perfezione il ruolo di angelo vendicatore, l’unica ad avere il coraggio di mettere in pratica quello che “personal trainer, arredatori, stilisti e fisioterapisti di Manhattan sognano ogni giorno della loro vita”. Cioè uccidere le loro dispotiche, viziate e superficiali clienti.
La personalità della protagonista è complessa, disturbata, ossessiva. Eppure, in qualche modo, non sono riuscita a prendere le sue parti, né quelle delle vittime. Forse perché, in qualche modo, siamo tutti vittime e carnefici allo stesso tempo?
Poi, nel finale, Brenda Cullerton inciampa vistosamente su una conclusione improbabile. Come inverosimili sono anche gli stereotipi tipicamente americani sugli stranieri: russi di cui non fidarsi, italiani truffaldini, eccetera. Peccato, perché gli elementi per un ottimo thriller c’erano tutti.

Leggi anche:

Tua – Claudia Piñeiro

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Non dirmi che hai paura – Giuseppe Catozzella

“Ci siamo ritrovati, sperduti e affamati.
No, ci siamo ritrovati.
Ero libera.
Come l’aria, libera come le onde del mare”.

Trama

Giuseppe Catozzella ci racconta la storia, che per certi versi ha dell’incredibile, di Saamiya Yusuf Omar. Samia è una ragazzina somala che vive a Mogadiscio e ama correre. Il suo sogno, e quello di Alì il suo amico del cuore e primo allenatore, è vincere le olimpiadi. Mentre la Somalia è sconvolta dall’irrigidimento politico e religioso, Samia si allena di notte e, a soli diciassette anni, il suo sogno si avvera: Pechino 2008. Arriva ultima, ma diventa un simbolo per le donne musulmane in tutto il mondo. Lei, però, vuole vincere. Decide di intraprende il Viaggio di ottomila chilometri, l’odissea dei migranti dall’Etiopia al Sudan e, attraverso il Sahara, alla Libia, per arrivare via mare in Italia. Chi riesce a sopravvivere ha già vinto la sua Olimpiade.

Una donna non può correre

Samia è nata per correre, ed è quello che fa, con la foto di Mo Farah appesa in camera. Corre allenata da Alì, il suo Aboowe “fratello”. Sedici anni in due, lui la cronometra, le fa scudo quando qualcuno la importuna perché “una donna non può correre”, l’accompagna alle gare. Samia ha un solo obiettivo: rappresentare la Somalia alle Olimpiadi. Ed ecco che il sogno si avvera: Pechino 2008, Samia è sul blocco di partenza, senza una divisa, senza quasi aver mangiato, senza allenatore. Arriva ultima Samia, non può essere altrimenti, ma tutti vogliono intervistarla e lei una dichiarazione la rilascia: “Avrei preferito essere intervistata per essere arrivata prima, invece che ultima. La prossima volta farò del mio meglio per non arrivare ultima.” Sembrano i sogni di una bambina, però lei ci crede. Andrò a Londra, sarò accanto al mio idolo, Mo Farah. Lui ce l’ha fatta, ce la farò anch’io. Solo che per farcela deve affrontare Il Viaggio. Deve attraversare il Mediterraneo e arrivare a Lampedusa. Deve affidarsi ai trafficanti di esseri umani. Deve pensare solo a rimanere viva. Deve imparare a nuotare, Samia.

Una lettura emozionante, triste, crudele.

La televisione ci offre l‘immagine sfavillante dello sport, le masse muscolari, i record, le polemiche, gli sponsor, i gettoni per ogni vittoria.
Samia ci ricorda che c’è anche un altro sport, fatto di bambini in guerra che non hanno nulla da mangiare e che possono contare solo sulle loro gambe per salvarsi, e che quasi sempre non ci riescono.
Grazie Samia, mi hai regalato una lezione di vita.

Sempre sull’emigrazione: Scontro di civiltà per un ascensore a piazza Vittorio – Amara Lakhous

Ritos de muerte – Alicia Giménez Bartlett

Prima avventura della coppia Petra Delicado, ispettore della polizia di Barcellona, e del suo vice Fermin Garzón, creati dalla penna di Alicia Giménez Bartlett.

Trama

Petra ha da poco divorziato per la seconda volta e ha lasciato il lavoro di avvocato per entrare in polizia ad occuparsi degli archivi. Un giorno, però, viene assegnata al caso di un violentatore seriale che lascia un tatuaggio sulle sue vittime. Aiutata dal viceispettore Garzón, un cinquantenne vedovo, “lento, grasso, leale, carico di esperienza e di pregiudizi”, Petra dovrà risolvere il caso prima che cittadini e stampa insorgano contro l’incompetenza della polizia.

Un puzzle convincente

Il primo libro della serie Petra Delicado e il primo che leggo di quest’autrice, che avevo scelto quasi unicamente per esercitare il mio spagnolo e che invece mi ha convinto sempre più mentre procedevo con la lettura. I due personaggi principali sono divertenti e ben assortiti, il mistery costruito come un puzzle. Dopo una partenza soft, senza morti, via via i colpi di scena si fanno sempre più ravvicinati, fino alla soluzione finale che per un lettore di gialli smaliziato e attento ai particolari è intuibile con largo anticipo, senza però togliere mordente al caso e alle vicende personali dei protagonisti.

Geniale, Petra

Oltre al giallo, è interessante anche la costruzione dei personaggi. Petra Delicado, perfino il nome è geniale. Una donna inquieta, nella vita personale e in quella professionale. Una quarantenne dura, solitaria, che non ama il potere “come lo intendono gli uomini”, che sorride del viceispettore Garzon quando dice che mette le donne “su un piedistallo perché sono delicate come un fiore”, mentre vorrebbe fargli notare che il piedistallo è instabile e il fiore è caduco. Credendo di omaggiare le donne, il viceispettore cade in uno stereotipo senza speranza. Proseguendo nell’indagine, però, i due finiscono per avvicinarsi e trovare nelle loro differenze i presupposti per una grande amicizia. Il momento in cui tra  due scocca la scintilla è uno dei più divertenti che abbia mai letto, l’arringa di Petra al commissario per rivendicare le pari opportunità in polizia è spassosissimo. Posso quasi immaginare la faccia attonita del capo!

Pienamente convincente anche la ricostruzione degli ambienti infimi di Barcellona che una poliziotta si trova a frequentare. Lei, che da ex avvocato era abituata ad analizzare i fatti seduta a una scrivania, ora passa le sue giornate in bar e locali malfamati, alla ricerca della pista giusta.

Se proprio devo trovare un difetto nel libro, direi che alcune situazioni si ripetono inutilmente e che Petra scoppia a ridere un po’ troppo spesso. D’altra parte, il primo romanzo di una serie serve anche ad affinare la punta della penna. Continuerò nella serie, credo proprio che la scrittura salirà ancora.

Leggi anche 

Il secondo libro della serie Petra Delicado: Día de Perros – Alicia Giménez Bartlett

Il terzo libro della serie Petra Delicado: Mensajeros de la oscuridad – Alicia Giménez Bartlett

 

Ich bin Berliner/8: Bebelplatz, brucia libro, brucia!

Bebelplatz. C’è peggior incubo per un lettore di una biblioteca vuota? No, non c’è, ve l’assicuro. Micha Ullmann deve aver pensato lo stesso, quando nel 1995 ha deciso di costruire sotto Bebelplatz degli scaffali vuoti, visibili dalla piazza tramite una botola quadrata in vetro. Una biblioteca vuota per ricordare il 10 maggio 1933, quando proprio in Babelplatz i nazisti hanno bruciato grandi opere della letteratura mondiale, tra cui Thomas Mann, Erich Kästner, Stefan Zweig, Heinrich Heine, Karl Max o Kurt Tucholsky in quella che ancora oggi viene ricordata come “la notte del rogo dei libri“.

Humboldt-Universität

Al pellegrinaggio arrivo preparata, con un libro in mano da abban-donare alla città. Per l’abban-dono ho scelto un luogo simbolico e un libro altrettanto simbolico: Co’opetition, scritto da un certo Brandenburger (!) Vabbè, il nome dell’autore è un caso. Comunque, l’idea del libro è semplice: un’azienda moderna non deve e non può solo competere, ma deve anche adottare una strategia di coopetizione, cioè di competizione e cooperazione insieme. Nella piazza c’è la più antica università della città, la Humboldt-Universität, quale migliore lascito per gli studenti?

La biblioteca sotterranea

Mi appresto, è tutto pronto, la dedica scritta in prima pagina. Ma…ma…dov’è la biblioteca vuota? Giro intorno ai soliti cantieri, sparsi per tutta Berlino, mi avvicino al palazzo dell’università, mi sposto sul fronte opposto, e finalmente eccola lì, la biblioteca sotterranea. Piccola, molto più piccola di come l’immaginavo, seminascosta, come un po’ tutto qui, l’emblema di una città da scoprire.

Rimiro gli scaffali: però, avessi io questo spazio in casa per i miei amati compagni di viaggio 😉

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Mi rendo immediatamente conto che il libro non posso lasciarlo qui: troppo passaggio, troppi piedi che calpestano il vetro. Mumble, mumble, dove posso lasciarlo? Ed ecco l’epifania: il palo con la lapide della via!

E’ perfetto, sta pure di fronte all’Hotel de Rome, con l’asta della bandiera italiana. Furtivamente mi avvicino, lo lascio e me ne vado, e siccome l’assassino torna sempre sul luogo del delitto, il giorno dopo sono tornata a vedere se c’era ancora (notare la differenza di luce tra le due foto sotto). Pluff, sparito! Lo so cosa pensate, che i netturbini abbiano ripulito la piazza nottetempo portandosi via il libro. E se anche anche fosse? Magari l’ha portato a casa uno di loro, lasciatemi sognare. Siamo o non siamo lettori?

Sto per lasciare Berlino. Rimane un unico luogo iconico da visitare…

Leggi anche: 

Ich bin Berliner/1: I ragazzi dello zoo di Berlino

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Le quattro casalinghe di Tokyo – Natsuo Kirino

Quattro operaie, logorate dalla vita casalinga e coniugale, s’incontrano tutte le sere in fabbrica per lavorare in squadra durante il turno di notte. Sono diverse per età, condizione sociale, avvenenza. Tutte, però, hanno in comune una situazione familiare disastrosa. Una sera la più giovane, la bella Yayoi, giudicata da tutti madre e moglie esemplare, in un impeto di rabbia strozza con una cintura il marito, tornato a casa ubriaco dopo aver dilapidato tutti i risparmi al gioco. Yayoi chiede aiuto a Masako, la più intelligente e coraggiosa delle quattro, che a sua volta coinvolge la “maestra” Yoshie, la quale combatte con la mancanza di soldi, una casa fatiscente e una suocera invalida. Per caso, mentre si sbarazzano del corpo dell’uomo, arriva l’inaffidabile e superficiale Kuniko. E saranno guai per tutte loro.

Il romanzo nella prima parte è davvero avvincente. Sono entrata subito nell’atmosfera noir accentuata dalla notte, che avvolge tutto e rende il male non così brutto, in fondo. Perché ancora più brutta è la vita senza sogni e senza domani che queste quattro donne si trovano a (soprav)vivere. Una vita dominata dagli occhi rossi della mancanza di sonno, in cui l’omicidio di un marito fedifrago appare quasi come un risarcimento, la speranza di un futuro più leggero. Poi, piano piano, queste donne mostrano tutte le loro fragilità, i loro difetti. Ecco che da vittime si trasformano in carnefici, da schiave della grande distribuzione si tramutano in usuraie e ricattatrici. Sullo sfondo, uomini nostalgici, troppo giovani per capire, oppure troppo marci dentro per redimersi. Il bene e il male si confondono, si sostituiscono l’un l’altro, come i piatti pronti che le quattro preparano hanno finito per sostituire cibi preparati con amore.

Una bella sorpresa questa scrittrice, uno stile originale e scorrevole. Peccato solo che il romanzo via via perda intensità, fino ad arrivare a un finale che mi ha lasciato insoddisfatta, per quanto sembra tirato via. Comunque un libro che merita. Basta non farsi trarre in inganno dalla traduzione fuorviante del titolo. Le quattro sono tutto tranne che casalinghe. Sono invece Out, proprio come nel titolo originale.