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Persuasione, l’ultimo romanzo di Jane Austen

Persuasione è l’ultimo romanzo di Jane Austen, scritto prima che l’autrice scomparisse prematuramente per una malattia all’epoca incurabile e dato postumo alle stampe. Brillante, vivace, romantico, è forse il meno conosciuto tra i suoi libri, ma è anche forse quello della sua maturità come scrittrice (e, forse, come donna).

Trama

Anne Elliot è la secondogenita di Sir Walter Elliot. La madre di Anne è morta da tempo e la sorella maggiore Elizabeth ne ha preso il posto nella gestione della casa e nei rapporti con il vicinato; la sorella minore Mary ha sposato Charles Musgrove, figlio di un rispettato e ricco proprietario terriero, che anni prima aveva corteggiato Anne la quale, però, lo aveva rifiutato. Inoltre, otto anni prima Anne era stata persuasa da Lady Russell, la migliore amica di sua madre, a rompere il fidanzamento con il Capitano Frederick Wentworth, che lei amava profondamente, e da cui era ricambiata. Anne e il Capitano Wentworth si rincontrano nuovamente a Bath otto anni dopo la rottura del loro fidanzamento e Anne, amaramente pentitasi del passo compiuto a suo tempo, decide di giocarsi ogni possibilità, diventando così sempre più consapevole dei propri desideri…

Anne, una donna moderna 

Chissà se zia Jane avrebbe approvato il titolo dato al suo ultimo romanzo. Persuasione. Secondo me no, sarebbe stato più azzeccato il primo titolo scelto, Gli Elliot. Forse un po’ meno evocativo, ma sicuramente più vicino al mondo che Jane Austen conosceva e amava raccontare. Anche in Persuasione l’ironia e la leggerezza si posano come farfalle sulla vicenda narrata. Un innamorato respinto perché povero che torna quando è diventato ricco. Una ragazza che è diventata donna e che dovrebbe, e vorrebbe, riprendersi quello che è suo e che però suo malgrado è schiava delle condizioni sociali. Una famiglia gretta, che la tratta come un’appestata solo perché a 27 anni non è ancora sposata. Insomma, una donna moderna in una società di retrogradi. Diciamo che ancora oggi, girando lo sguardo per strada, è possibile trovare gli stessi personaggi, solo vestiti in modo diverso.

Il romanzo della maturità

Forse perché è l’ultimo suo romanzo, Persuasione ha avuto meno fortuna di quello che è considerato il capolavoro di Jane Austen, Orgoglio e pregiudizio. Eppure, personalmente tra Mr. Darcy e il Capitano Wentworth sceglierei il secondo. Anche Anne è forse l’eroina che incarna maggiormente il riscatto di una donna libera, nel pensiero e nelle azioni. Sembra quasi una Catherine di Northanger Abbey ormai cresciuta. Non a caso anche Persuasione è ambientato a Bath…Insomma, una lettura imperdibile per tutti gli amanti di zia Jane e dei romanzi regency.

 E voi? Qual è il vostro romanzo preferito di Jane Austen? Scrivetelo nei commenti! 

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Il portiere di notte – Liliana Cavani

Mi ritrovo tra le mani la sceneggiatura di un film del 1974, Il portiere di notte di Liliana Cavani, e inizio a leggere anche se non ho visto il film. La trama è intrigante e ho parlato poco tempo fa di  un classico che rappresenta per me una pietra miliare sullo sterminio degli ebrei durante la seconda guerra mondiale. Allora vado avanti con la lettura. Che mi lascia un po’ d’amaro in bocca, per il tema trattato certamente, ma anche per alcune “assenze ingiustificate”.

Trama

Nel 1957 s’incontrano per caso a Vienna Lucia, un’ebrea sopravvissuta al campo di concentramento, e il suo aguzzino Maximilian, che lavora sotto falso nome come portiere di notte in un albergo. Il loro incontro li fa precipitare di nuovo in una relazione sadomasochista, con la variante che l’ex vittima è a conoscenza del passato del suo aguzzino e può fuggire oppure denunciarlo. Molti degli ospiti dell’albergo sono criminali di guerra, che tengono riunioni segrete nell’hotel per sviluppare strategie tese a far sparire prove che li colleghino ai loro crimini di guerra. Max prepara con loro la sua difesa in vista di un ipotetico imminente processo. In questo microambiente, dove si alimenta la nostalgia per il Führer, l’arrivo di Lucia, testimone vivente delle atrocità commesse, può costituire un grande problema. Soprattutto perché l’attrazione incontrollabile che lega Max e Lucia li spingerà a sfidare il proprio destino. 

Si può amare il proprio carnefice?

Il tema centrale della sceneggiatura è certamente il rapporto tra vittima e carnefice, un connubio di cui tutti abbiamo paura e che la mente rifugge istintivamente. Perché di solito la vittima è vittima, quindi il soggetto debole, e il carnefice è carnefice, quindi il sopraffattore. Cosa succede se, invece, i due ruoli si mescolano? Se è la vittima a cercare il carnefice e se il carnefice difende la vittima da altri carnefici? La regista dice che l’ispirazione per il film le è venuta quando studiava storia all’università, perché parlando con alcuni sopravvissuti allo sterminio si era resa conto che il bianco e nero che tutti immaginiamo a volte semplicemente non esiste. I personaggi di questo film lo dimostrano. L’ambiguità di fondo è insita in tutti loro, anche in Lucia, che teoricamente avrebbe dovuto fuggire dall’albergo appena arrivata. Invece, non solo non scappa, ma capiamo subito che al marito non ha raccontato niente. Vive una doppia vita, illudendosi che il passato sia passato.

Quale giustizia?

In una recente intervista, però Liliana Cavani afferma che ne Il portiere di notte, la vittima riesce in qualche modo a farsi giustizia. Ecco, se ne avessi l’occasione vorrei chiederle: “in quale modo?”. Io non vedo giustizia, al contrario. Vedo una ragazza che probabilmente è riuscita a sopravvivere all’orrore dissociandosi mentalmente. Ma è giusta la mia interpretazione? Capisco che dovrei vedere il film, perché dalla lettura della sola sceneggiatura non sono riuscita a capire niente di quello che pensa Lucia, e molto poco su Max. Sono più lineari gli altri, i nazisti. I protagonisti, invece? Lucia non parla, non si esprime, agisce irrazionalmente, si auto flagella. Perché? Anche per Max posso dire la stessa cosa. Cosa sente? Amore? Istinto di protezione? Voglia di riscatto? Oppure, più semplicemente, è vittima anche lui di un rapporto morboso? Ai cinefili la risposta.

Curiosità

Sempre nella stessa intervista, Liliana Cavani parla della censura con cui si è scontrato il film quando uscì nelle sale.

Allepoca mi sono rivolta ai censori per chiedere come mai l’avessero vietato ai minori di 18 anni invece che di 14. Mi hanno risposto: perché c’è una scena di sesso in cui la donna sta sopra all’uomo. Sono rimasta a bocca aperta e ho commentato solo: ‘Capita!'” Ci volevano le cinquanta sfumature per farlo capire ai censori! 

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Le piace Brahms? – Françoise Sagan

Ho finito oggi di leggere Françoise Sagan. Non credo che San Valentino sia il giorno più indicato per finire un romanzo come questo. O forse sì. Forse è proprio la festa degli innamorati il momento giusto per riflettere sull’amore. O meglio, per comprendere la differenza tra l’amore e la più stupida pazienza, come direbbe Anna Oxa. Paule è l’emblema della ragnatela in cui tante, troppe, donne ancora oggi restano intrappolate. Senza sapere come uscirne. Anzi, il che è peggio, senza volerne uscire.

Trama

Paule è una donna di 39 anni, arredatrice divorziata, legata a un coetaneo e profondamente insoddisfatta della propria vita sentimentale. Un giorno conosce Simon, il figlio di una cliente. E’ giovane, viziato e s’innamora di lei.  Pur opponendo resistenza, Paule decide di mettersi ancora in gioco. La scelta tra i due è molto sofferta: il giovane Simon la riempie di attenzioni, si dimostra una persona più matura della sua età, la invita a concerti e le scrive biglietti; ma la sicurezza – e la noia – garantita dal legame con il compagno resta sempre un richiamo molto forte…

In questo triangolo  grande assente è l’amore

Il romanzo è del 1959. Allora Françoise Sagan era considerata dai francesi una donna anticonformista, che manifestava nella sua condotta di vita e nei suoi scritti un nuovo modo di interpretare la femminilità. Paule, infatti, è una donna che anche oggi definiremmo moderna: vive sola, è una professionista con un lavoro autonomo, ha alle spalle un matrimonio a cui ha detto basta, intrattiene una relazione basata sulla libertà di vedere altre persone. Peccato che questa libertà sia vissuta dal suo uomo a senso unico: “gli uomini sono incoscienti”, pensava Paule senza amarezza. “Ho tanta fiducia in te, tanta fiducia che posso tradirti, lasciarti sola, ed è impossibile che succeda il contrario. E’ sublime”. Paule è una donna amareggiata, che si sente sola e che percepisce perfettamente la differenza tra amare e restare insieme per noia, abitudine, pavidità, o semplice rassegnazione. Eppure, nonostante la sua fredda e lucida analisi, Roger è il suo punto debole, il tallone d’Achille. Perché fare a meno di lui sembra impossibile. Paule è convinta che la sua non sia semplice rassegnazione, no, il suo è sadismo verso se stessa, verso ciò che erano stati insieme. “Come se uno dei due, lui o lei, avessero dovuto alzarsi bruscamente e dire ‘basta così.’ E aspettava questo riflesso da se stessa, quasi altrettanto ansiosamente che da Roger. Ma invano. Qualcosa, forse, era morto. A morire sono stati amore e speranza.

Ed ecco che improvvisamente arriva Simon.

Un ragazzo, così giovane da non sapere ancora cosa fare della sua vita. Affogato nonostante la sua giovane età nella noia, Simon trova in Paule un’ancora di salvezza. Simon è bello, molto bello, e per la prima volta Roger comincia a perdere la sua sicurezza nei confronti di Paule, perché nonostante la differenza di età il ragazzo è deciso a conquistare la donna. Paule, dal canto suo, trova in Simon quel senso di accudimento che le mancava, quella necessità di tornare a casa, infilarsi a letto e trovare qualcuno che ha bisogno del suo calore, un bambino o un uomo. Tutte cose che Roger lo sa, “lui non poteva darle, che non aveva mai potuto dare a nessuno”. Purtroppo, però, in questo triangolo grande assente è l’amore, il sentimento che muove il mondo e che spinge ad affrontare ostacoli impensati. Per questo, i nostri personaggi non fanno che ricadere afflosciati su se stessi, vittime del loro stesso male di vivere.

Paule rinnega se stessa 

“Paule si studiava il viso nello specchio e passava in rassegna, uno per uno, i difetti che si erano accumulati in trentanove anni, non con quell’apprensione e quell’acrimonia che una donna ha di solito in questi casi, ma in maniera tranquilla, sì e no interessata. Come se la pelle tiepida, che a volte tirava con due dita per sottolineare una ruga, per dar risalto a un’ombra, fosse quella di un’altra persona, di un’altra Paule intensamente preoccupata della propria bellezza, e che stesse passando con difficoltà dallo stato di donna giovane a quello di donna ancora giovane: una Paule che lei faceva fatica a riconoscere. Si era messa davanti allo specchio per ammazzare il tempo e — l’idea la fece sorridere — scopriva che era il tempo ad ammazzare lei, pian piano, devastando un viso che pure era stato amato.”

Già dall’incipit, Françoise Sagan mette in mostra tutta la raffinatezza e l’abilità della sua penna, che pennella una “Parigi lucida di pioggia autunnale”. L’atmosfera malinconica e grigia di cui è ammantato il romanzo, mi ha ricordato Gente di Dublino di James Joyce e Paule somiglia straordinariamente a Eveline. Un’altra età e un’altra condizione sociale, certo, però con lo stesso immobilismo, la stessa incapacità di tirarsi fuori dal pantano. Paule è una donna insoddisfatta, sola, inquieta. Eppure, è già rassegnata, come se invece di avere 39 anni fosse nel tramonto della vita. E quel riferimento iniziale a un viso devastato, che sicuramente non lo è se piace a un venticinquenne, ci fa capire subito quanto Paule svaluti se stessa. Pur apparendo come una donna brillante. Ecco, è forse questa la cifra con cui leggere il romanzo: la differenza tra apparire ed essere, tra volere e ottenere. Paule rinnega se stessa e le sue passioni, annulla la sua volontà in nome di chi? Di cosa? Di un amore che non è amore, di un uomo che non è un uomo, di una vita che è una non vita.

Le piace Brahms?

La chiave per comprendere fino in fondo la nebbia che avvolge Paule è in questa semplice domanda che Simon le scrive su un biglietto. Lei ama la musica, eppure ci deve pensare: Brahms le piace oppure no? E’ talmente disabituata a coltivare le sue passioni e ad ascoltare le sue esigenze che non si ricorda neanche più cosa le piace e cosa no. Quante donne simili a Paule conoscete? Io diverse e tutte accampano scuse, la famiglia, il tempo, il lavoro, gli anni che passano, per non ammettere che hanno solo bisogno di fermarsi e di riappropriarsi della propria vita. Il romanzo di Françoise Sagan diretto come un pugno e inesorabile come il tempo che abbiamo a disposizione. Da leggere.

p.s. Da questo libro di Françoise Sagan è stato tratto nel 1961 l’omonimo film diretto da Anatole Litvak con Ingrid Bergman, Ives Montand e Anthony Perkins.

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Una vita – Guy de Maupassant

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Tim – Colleen McCullough

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Come parole nel vento – Diane Chamberlain

Con The Midwife’s Confession (La confessione dell’ostetrica), che nella versione italiana diventa Come parole nel vento, ho conosciuto Diane Chamberlain. Quest’autrice americana, con 25 romanzi all’attivo, esplora la psiche femminile costruendo storie in cui le donne sono assolute protagoniste. In Come parole nel vento, due amiche scopriranno che la terza non era proprio chi diceva di essere. O meglio, chi loro pensavano che fosse…

Trama

Ogni azione, ogni decisione, innesca reazioni a catena imprevedibili. Noelle, Emerson e Tara sono tre donne molto diverse, ma amiche inseparabili da più di vent’anni. Hanno condiviso gioie e dolori, sostenendosi a vicenda nei momenti bui. Credono di sapere tutto l’una dell’altra. Ma quando Noelle, eccentrica levatrice, si toglie la vita senza aver mai dato il minimo segno di disagio, Emerson e Tara si rendono conto che, dopotutto, non la conoscevano affatto. Questo gesto apparentemente inspiegabile, altro non è che il risultato di un errore lontano. E a mano a mano che cercano di mettere insieme i tasselli della vita dell’amica, emergono verità che sconvolgeranno la loro esistenza.

Cosa sappiamo davvero degli altri? 

Cosa sappiamo davvero degli altri? Niente. O meglio, quello che loro decidono di farci sapere. Soprattutto, una volta che i loro segreti vengono a galla, su quali aspetti siamo disposti a passare sopra? Riassumerei così il punto centrale del romanzo. Noelle e i suoi errori danno vita a una serie di cambiamenti nelle esistenze delle persone che ruotano intorno a lei. Ma chi è davvero Noelle? Un’ostetrica, un’amica e una zia premurosa? Oppure una codarda che pur di coprire una disgrazia sarebbe disposta a tutto? Un’eccentrica, libera, donna? O una persona in preda a sensi di colpa insopportabili, come il suo mal di schiena? Dopo il suo suicidio, tocca alle sue amiche di sempre Tara ed Emerson darsi una spiegazione. Una spiegazione che, purtroppo per loro, non tarderà ad arrivare. Saranno pronte a fronteggiare l’urto della verità e a rimanere unite? Insieme a loro, lottano per capire e capire se stesse le due figlie adolescenti, Jenny e Grace. Anche nelle loro vite irrompono grandi cambiamenti, che forse le costringeranno a crescere prima del previsto.

Colpi di scena

Il romanzo di Diane Chamberlain è ricco di colpi di scena e accelera il ritmo con il susseguirsi delle scoperte e delle reazioni di Emerson e Tara, ma anche di Jennie e Grace. Sarà proprio quest’ultima a scatenare degli eventi che avranno delle conseguenze impreviste. Un buon romanzo, in cui l’autrice maneggia con sapienza flashback, indizi, liti e riappacificazioni, il difficile rapporto con la maternità e le sue declinazioni, il complicato rapporto tra amiche di una vita. Il risultato, però, non è angosciante, anche grazie alla prevedibilità di alcuni risvolti, che chi legge non faticherà a cogliere prima dei protagonisti.  L’unica cosa che mi dispiace è la quasi totale mancanza delle figure maschili, che in questa complessa costruzione avrebbero potuto e dovuto, secondo me, avere un ruolo più incisivo. Come avrebbero dovuto essere esplorati di più alcune storie secondarie e parallele che rimangono, invece, nel limbo. Come mai? Forse perché i protagonisti non ci sono più, oppure perché l’autrice voleva lasciare i suoi personaggi ignari, per non turbarli più di quanto già non fossero. Certo è che il lettore chiude il libro conoscendo dei fatti che alle protagoniste restano taciuti e questo lascia un sapore di sale in bocca. Come parole al vento, appunto. 

Il giardino dei Finzi Contini – Giorgio Bassani

Da molti anni desideravo scrivere dei Finzi Contini…è possibile rimanere folgorati da un incipit? A me è successo con Giorgio Bassani e con un romanzo che la prima volta ho letto per dovere a scuola. Ed è proprio di quell’incontro fulminante che vorrei parlarvi in occasione del Giorno della Memoria. Allora non sapevo quello che so oggi: Micòl, Alberto e gli altri non mi avrebbero più abbandonato.

Trama

finzi continiDurante una gita domenicale nella necropoli etrusca di Cerveteri un anonimo io narrante ricorda la grande tomba della famiglia Finzi-Contini nel cimitero ebraico di Ferrara. Questo ricordo porta con sé la memoria degli anni giovanili e, in particolare, dello speciale rapporto che aveva legato il narratore a quella famiglia. Il narratore ricorda così la Ferrara di fine anni Venti e Trenta e i primi contatti con la famiglia, ebrea come la sua. I Finzi Contini sono chiusi in un isolamento altezzoso, protetto dal muro di cinta che chiude l’enorme giardino della loro villa. Nel 1938, il narratore è un universitario e riceve un inaspettato invito a giocare a tennis nel campo privato di Alberto e Micòl. Il circolo del tennis di Ferrara ha cominciato a ritirare le tessere degli iscritti ebrei e i due giovani Finzi-Contini organizzano una sorta di circolo alternativo. Il narratore coglie l’occasione e inizia a frequentare assiduamente la “magna domus”. Al gruppo ristretto dei tennisti si aggiunge spesso Giampiero Malnate, un perito chimico di tendenze marxiste. Il circolo dei Finzi-Contini e il loro immenso giardino diventano così uno spazio protetto e chiuso rispetto alla tragedia che incombe sul mondo. Ma niente dura per sempre e la persecuzione degli ebrei si fa spazio in un mondo incantato, dove l’io narrante s’innamora perdutamente di Micòl.

L’io narrante è Giorgio Bassani?

Da molti anni desideravo scrivere dei Finzi-Contini – di Micòl e di Alberto, del professor Ermanno e della signora Olga – e di quanti altri abitavano o come me frequentavano la casa di corso Ercole I d’Este, a Ferrara, poco prima che scoppiasse l’ultima guerra. Ma l’impulso, la spinta a farlo veramente, li ebbi soltanto un anno fa, una domenica d’aprile del 1957. Fu durante una delle solite gite domenicali.

Chi è quest’uomo che ripensa a quei giorni e decide di scriverne la storia? E’ Giorgio Bassani stesso, che in effetti scrisse il romanzo in una stanza d’albergo di Santa Marinella, vicino Roma, e forse potrebbe aver visitato la necropoli che si trova lì vicino? E Micòl è veramente esistita? La famiglia Finzi Contini era davvero ferrarese e davvero fu deportata? Oppure lo scrittore usa un espediente letterario per fornire maggiore veridicità alla storia? Sono domande di cui ancora oggi non possediamo risposte, o almeno non le abbiamo con certezza. Certo è che Giorgio Bassani sembra parlare a se stesso più che a noi, immerso in un limbo nostalgico che fin dalle prime pagine ha avvolto anche me senza speranza in un finale salvifico.

Un libro per sempre

E’ proprio questo l’aspetto che ha reso questo romanzo uno dei miei libri per sempre. Sapete? Quelli di cui a volte hai bisogno di rileggere qualche passaggio perché sono di conforto. La storia di confortante non ha nulla, però il ricordo del tempo che fu, di una giovinezza spezzata dalla guerra, di un amore che forse poteva essere e non è stato, si attaccano alla pelle come un tatuaggio, e lì rimangono. Soprattutto perché un racconto malinconico e apparentemente basato su vicende personali, fa emergere in tutta la sua brutalità la follia della persecuzione contro gli ebrei.

Il futuro negato 

E’ proprio Micòl il simbolo dell’assenza di speranza nel futuro. Vi rendete conto? Una ragazza che non crede nel futuro e si ripiega nel passato rappresenta il fallimento della società, quasi come se prefigurasse quello che sarebbe successo e dentro di sé trovasse conforto in un passato certo e confortante. Al contrario di un futuro che non ci sarà, cosa che lei sembra sapere fin dall’inizio. Consapevolezza che cela dietro un atteggiamento ambiguo e sfuggente, che la rende irraggiungibile agli occhi innamorati di chi scrive di lei. Occhi innamorati e uguali ai suoi: può esistere vero amore tra due persone così simili?

L’epilogo (spoiler)

Alla fine, Bassani ci svela quello che già sapevamo. Nessuno dei personaggi che ci hanno rubato il cuore è sopravvissuto, neanche Giampiero Malnate, morto durante la disastrosa Campagna di Russia. Chissà se è andata peggio a loro o a chi ha dovuto convivere con gli orrori della guerra e dei morti senza colpa, che dopo tanti anni tornano ad affliggere la coscienza dei sopravvissuti.

Il Giorno della Memoria: Shoah e non solo

Berlino: Sachsenhausen e gli orrori della guerra. La mia visita al campo di concentramento

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