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Liala, non chiamateli romanzi “rosa”!

Liala. Siamo quasi alla fine del nostro viaggio nella scrittura della decana dei romance italiani. All’inizio, abbiamo parlato delle ambientazioni che prediligeva che immaginava dal suo buen retiro a Varese.  Abbiamo poi commentato il modo in cui descrive Milano e Nizza, le città dei romanzi che stiamo leggendo. Poi, abbiamo proseguito concentrandoci sui personaggi, che presentano delle zone d’ombra a tratti inquietanti.  Adesso, è il momento di focalizzarci sulle storie. 

Mi racconto una storia 

Il metodo di Liala era semplice: “metto il foglio nella macchina da scrivere, mi vengono delle idee e inizio. Scrivo per me, mi racconto una storia. Il mio lavoro mi piace, credo che sia il massimo per uno scrittore“. E Liala ha scritto e scritto, con quella carta azzurrina che era il suo segno distintivo, senza mai perdere l’amore dei suoi lettori. Tanto da far nascere addirittura una rivista, che oggi si chiama Confidenze, ma che allora nacque come “Le Confidenze di Liala”.

Tanta ingenuità

Liala stessa era stupita del suo successo. “C’è talmente tanta ingenuità nei miei romanzi, che ogni tanto li guardo e penso ‘ma che ci troveranno mai in questa Liala?“. La critica non sempre è stata buona, veniva a volte pesantemente attaccata come rappresentante della cattiva letteratura. Liala ribatteva che essere una scrittrice “popolare” a lei piaceva e, con una certa dose d’ironia, si diceva convinta che anche i grandi letterati sotto sotto la leggessero.

I consigli di D’Annunzio

D’Annunzio non le diede solo il nome d’arte che l’accompagnò tutta la vita, Liala, ma le diede anche dei consigli utili per la sua carriera: “mi disse di non temere mai nulla scrivendo, di buttare sempre fuori quello che avevo dentro, di cercare di scrivere in un buon italiano, di essere ciò che deve essere una scrittrice. Cioè sincera, una persona schietta, di non cercare di arzigogolare intorno alle frasi e alle parole. Per merito suo, ho imparato a scrivere come come sento, come vedo e anche come imparo qualche volta“.

Liala ha sdoganato l’adulterio e il sesso

L’amore ha sempre predominato nei romanzi di Liala. E in amore tutto è concesso, anche ribellarsi a un matrimonio infelice. Questo può essere scontato per noi, ma pensate all’epoca quanto dovesse suonare scandaloso, considerando che non era ammesso neanche il divorzio! Anche se non amava gli uomini e le donne che tradiscono: “se l’amore deve durare, entrambi devono camminare dritti“. La stessa cosa per il sesso: “ho mandato a letto tante persone, ma senza volgarità“.

Non chiamateli “rosa” 

Per la lettura di questa settimana, partiamo da questa domanda: è vero che nei romanzi di Liala c’è “la vita”, come diceva lei? E che le sue lettrici l’amavano perché parlava di abbondanza, di bei vestiti, del sogno che ognuna poteva vivere girando le sue pagine? E oggi, è ancora valido il suo messaggio?

Commentate liberamente sotto questo post tutte le vostre impressioni. Buona lettura e alla prossima settimana con il gran finale!

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http://www.pennaecalamaro.com/2021/11/17/liala-mio-aviatore-mi-preso-mano/

Liala, il mio aviatore mi ha preso per mano

Continua nel Book Club la nostra lettura di Liala. La scorsa settimana abbiamo parlato delle ambientazioni che la decana delle scrittrici romance italiane prediligeva e che immaginava dal suo buen retiro a Varese.  Abbiamo poi commentato il modo in cui descrive Milano e Nizza, le città dei romanzi che stiamo leggendo. Ora, proseguiamo la lettura concentrandoci sui personaggi. 

L’aviatore 

Nei romanzi di Liala c’è un personaggio ricorrente: “l’aviatore dagli occhi d’oro“. Che non è del tutto inventato. Si ispira a Vittorio Centurione Scotto, un ufficiale della Regia Aeronautica, il grande amore della sua vita. Un amore sfortunato, che finisce con la morte di lui, perito in un incidente mentre sorvolava il lago di Varese. Ecco che il lago torna nella vita di Liala e diventa sempre più centrale. E allora Liala si sfoga e inizia a scrivere di aviatori e aviazione. “In tutti i libri aviatori ho messo qualcuno che lui conosceva e ho tenuto lui come protagonista. Cambiandogli nome, mettendogli qualche volta gli occhi azzurri, ma in tutti i libri aviatori è entrato lui, mi ha preso per mano”.

Un rapporto, quindi, che sopravvive alla morte grazie al dono della scrittura: “mi continua a tenere per mano, perché se metto un personaggio troppo dissimile da lui per temperamento, finisce per sfuggirmi di mano, non faccio più niente“.

L’uomo che si stacca da terra

L’aviatore finisce per diventare la metafora di un uomo che si stacca da terra, che non segue le regole della vita quotidiana. Un uomo che la lettrice può sognare senza inibizioni (cit. Il Segno delle donne – Rai).

Un rapporto simbiotico

Liala aveva coi suoi personaggi un rapporto simbiotico, come se fossero persone vere, vive. “A volte mi arrabbio con i miei personaggi. Una volta ho detto a uno: Cretino! E lui: “Cretina sei tu che non mi sai scrivere.”

Mi sembra che gli elementi ci siano tutti. Vi aspetto durante la settimana per raccontarvi qualche curiosità su Liala. Intanto, commentate liberamente sotto questo post tutte le vostre impressioni. A presto!

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Liala, l’amore per il lago dei ricordi

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Liala, l’amore per il lago dei ricordi

Per il Book Club Pec stiamo leggendo Liala. Finita la prima settimana di lettura solitaria, da oggi e fino a lunedì prossimo, ci confronteremo sulle ambientazioni scelte da Liala per i suoi romanzi, che hanno venduto più di 10 milioni di copie. Perché tanto successo? Attraverso i suoi romanzi, cercheremo di capire cosa fa di lei, ancora oggi, la regina del romance italiano. E lo faremo prendendo spunto dal programma Rai Il segno delle donne, che ha dedicato la puntata di apertura della stagione 2021/2022 proprio a Liala.

Liala, una venditrice di palpiti

“Liala era una venditrice di palpiti. Vendeva palpiti dalla sua villa La cucciola di Varese, che era insieme la sua dimora e il suo eremo. Lì si era ritirata per far sognare le sue lettrici e i suoi lettori”.

E dal suo eremo, Liala rivede il suo lago “Ripenso al mio lago, il lago di Como, lo vedo sempre di notte, con la luna che ci si specchia sopra e lascia quella bella scia luminosa. E poi da lì le cose vengono da sole”.

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Fonte: https://dissensiediscordanze.com/2014/06/liala/

Cos’è il lago per Liala?

Tutto. Ho passato gran parte dell’infanzia e dell’adolescenza sul lago di Como tra Urio e Carate, nella casa dei nonni materni. Il mondo taceva, io ero sola, il lago era tutto mio, il dondolare della barca, il mormorare dell’acqua…”

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Un mix di nobiltà e praticità

La nonna paterna era nobile, da lei ho imparato il saper vivere nella società di allora. Ho avuto anche una nonna olandese, figlia di un piantatore di fiori e patate. L’altra era l’inchino, non si doveva dire, non si doveva, fare, con la nonna olandese potevo fare tutto quello che volevo”. Un mix di buone maniere e indipendenza che ne hanno fatto un personaggio unico nel panorama editoriale dell’epoca.

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Spesso sceglie l’aviazione per ambientare i suoi romanzi. Perché? Perché Liala iniziò a scrivere per superare la morte del suo grande amore, che durante una gara di aviazione precipitò col suo aereo nel lago di Varese. “E di colpo io mi sono ritrovata malata. E sola. E mi sono sfogata raccontando tutto quello che potevo raccontare di aviazione“. E così Signorsì, il suo romanzo d’esordio, fu subito un grandissimo successo.

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Via ai commenti!

Parliamo, allora, di ambientazione. Vi ritrovate in qualcuna delle caratteristiche di cui abbiamo parlato? La ritrovate nel romanzo che state leggendo? Dove è ambientato? Come descrive l’ambiente in cui si muovono i suoi personaggi? Raccontatemi i vostri pensieri nei commenti!

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Liala per il book club di Novembre. Leggi con noi?

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Vera, di Elizabeth von Armin, tra modernità e ironia la condizione della donna

Vera è il primo romanzo di Elizabeth von Armin che leggo, a detta della stessa autrice quello che meglio la rappresenta. Perché in questa storia di rapporto coniugale c’è molto della sua vita “vera”, anche se la sua scrittura brillante fa emergere fin dall’inizio l’archetipo dell’amore malato. Mi piacerebbe aggiungere “che affliggeva le donne nel passato”, ma in realtà è una condizione ancora ben presente nella società attuale. Di Vera, e delle donne come lei, possiamo leggere tutti i giorni sul quotidiano, il più delle volte per commentare con un rip, aspettando la prossima.

Trama

Lucy Entwhistle, ventiduenne ancora un po’ bambina, e Everard Wemyss, bell’uomo maturo, sono entrambi in lutto quando si incontrano per la prima volta: lei ha appena perso l’adorato padre, lui la moglie Vera. Consolandosi a vicenda, finiscono per innamorarsi e si sposano in fretta. Dopo le nozze vanno a vivere nella casa di lui, un luogo intriso di rituali dove aleggia lo spettro della prima moglie Vera, scomparsa in circostanze misteriose. Ed è fra queste mura che Lucy comincia a chiedersi: cos’è successo davvero a Vera?

Un uomo semplice 

La morte di Vera è stata accidentale, questo Everard racconta a Lucy. E perché lei non dovrebbe crederci? E’ sempre vissuta protetta dal padre, il suo scudo, il suo filtro per capire il mondo. Certo, il padre e i suoi amici facevano discorsi che Lucy non riusciva a comprendere del tutto, se non dopo le spiegazioni dell’adorato papà. Invece, Everard è un uomo semplice, che parla in modo semplice, che è deciso a vivere la vita secondo le sue granitiche convinzioni. Everard è un’ottima spalla cui appoggiarsi, ora che suo padre non c’è più. Perché, però, l’adorata zia, la sorella del padre, arguta come lui, non lo considera un buon partito per la sua preziosa nipote? Anche la zia non saprebbe dire perché, ma c’è qualcosa in quell’uomo che lei proprio non riesce a digerire.

 Semplice e indigeribile

Segnatevi queste parole, se deciderete di leggere il romanzo: semplice e digerire, perché solo la chiave per interpretare lo svolgimento dei fatti. Everard è un uomo tutt’altro che semplice; piuttosto, è “uno scolaro bisbetico, che si comportava da maleducato; ma sfortunatamente, uno scolaro dotato di potere“. E anche se “Lucy scoprì che il matrimonio era diverso da come l’aveva immaginato. Anche Everard era diverso. Tutto era diverso”, c’è ben poco che il/la partner con la posizione più debole possa fare. Soprattutto una ragazza immatura come Lucy, abituata alla gentilezza e alla protezione del suo piccolo mondo familiare. Per una ragazza come Lucy, è facile convincersi di essere nel torto: “Lizzie era via da neanche cinque minuti che Lucy era già passata dall’infelicità e dallo smarrimento al giustificare il comportamento di Everard; nel giro di dieci minuti ebbe ben chiare le buone ragioni per cui si era comportato in quel modo; in capo a un quarto d’ora si era addossata tutta la colpa per gran parte di ciò che era successo.”

I salici (piangenti)

Ora, saremmo tutti portati a dire che la soluzione sia in fondo semplice. Il marito si rivela per quello che è, manipolare, egocentrico, uno che fonda i suoi rapporti sul terrore e la sottomissione, mascherando la dittatura con un linguaggio lezioso e improponibile passati i quindici anni di età (e forse anche prima), esprimendosi a più riprese con cuoricino, gattina, sciocca scemottina, e amenità di questo genere. La residenza di campagna in cui Lucy si ritrova, The willows, I salici piangenti non a caso, è a sua immagine e somiglianza, ci sono delle belle pagine in cui Elizabeth von Armin induce nel parallelismo tra casa e padrone. Padrone, sì, perché ovviamente il proprietario incontrastato è solo lui. Anche i domestici, sono testimoni silenziosi, molto silenziosi, dei suoi atteggiamenti. Perché lui ha il potere, il potere di pagare profumatamente il loro silenzio. Tanto che l’unica alleata per Lucy diventa proprio…Vera, la prima moglie di Everard, che pervade tutta la casa con il suo spirito. Però siamo sinceri, quante donne ancora oggi sopportano in silenzio senza reagire? Oppure reagiscono, e finiscono per essere maltrattare proprio da chi dovrebbe proteggerle? E cosa dovremmo aspettarci da una fanciulla di inizio novecento? Che coraggiosamente divorzi?

Modernità e ironia

Come finirà? Non ve lo dico, gustatevi la lettura. Dico solo che forse il finale non è poi così importante. O forse sì, dipende dai punti di vista. Quello che conta, a mio avviso, è la modernità con cui Elizabeth von Armin affronta un tema da lei probabilmente vissuto in prima persona. Con il coraggio e la forza di uscirne, vivendo una vita piena e indipendente dopo due matrimoni disastrosi. E l’ironia con cui lo affronta, spezzando i toni cupi della tortuosa vicenda matrimoniale. Tipicamente inglese è il suo gusto per i particolari, apparentemente insignificanti, che tratteggiano un’epoca. In alcuni punti, quando a parlare sono i domestici, ho sentito l’eco di Quel che resta del giorno, di Kazuo Hishiguro, scritto decenni dopo. Nell’atmosfera generale, nell’ambientazione e nella figura femminile che dà il nome al romanzo, indubbiamente Rebecca, di Daphne Du Maurier. La quale certamente conosceva questo romanzo, sono sicura, giungendo a conclusioni diametralmente opposte, però. Come sapete, Daphne Du Maurier è stata accusata a più riprese di plagio per Rebecca, ma da Elizabeth von Armin posso dire che ha preso solo spunto, nient’altro. Mentre Elizabeth von Armin conosceva e apprezzava Cime tempestose di Emily Brontë, che fa comparire in braccio a Lucy nel momento più opportuno. Ed era la cugina di Katherine Mansfield: poco ma sicuro che le due cugine sugli uomini la pensassero nello stesso modo!

***
Intanto, chiedo a voi: avete letto qualcosa di Elizabeth von Armin? Quale titolo vi è piaciuto di più?

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Chi sono i traditori di tutti di Scerbanenco?

Giorgio Scerbanenco è uno di quegli autori in lista da un po’, se non altro perché considerato il padre del noir all’italiana. Ho trovato Traditori di tutti in un mercatino ed è da questo libro che inizio la mia conoscenza dell’autore. Ma chi sono i traditori di tutti?

Trama

Notte di nebbia a Milano. Una macchina ferma sull’orlo del Naviglio: all’interno un uomo e una donna, di una certa età, hanno mangiato e bevuto troppo, lui specialmente. Una ragazza spinge la macchina piano…un tonfo, qualche spruzzo, neanche una bollicina. Per Duca Lamberti, ex medico e investigatore a mezzo tempo, tutto comincia una mattina di primavera: sulla porta, un giovanotto, lo manda l’avvocato Sompani… Ma Sompani non è quello annegato due giorni fa nel Naviglio?

Duca Lamberti

Traditori di tutti è il secondo numero della serie che vede come protagonista Duca Lamberti, un collaboratore della polizia a dir poco inusuale. Purtroppo non ho letto i libri in ordine, avrei dovuto iniziare dal primo, Venere privata. Solo che ho trovato prima questo ed ero troppo curiosa di leggere questo autore, di cui avevo tanto sentito parlare. La lettura non è stata per niente deludente, anzi. Diciamo che scelgo raramente questo genere di poliziesco duro e crudo, però ogni tanto passare dall’altro lato del fiume, rispetto ai romance, fa bene.

Buoni e cattivi

A proposito di fiume, il fiume e la campagna , eppure quello che rimane è la descrizione di Milano, una città tanto indaffarata quanto tortuosa nel suo sottobosco e con la quale Scerbanenco era dovuto scendere a patti quando si era trasferito da Roma con la madre. Duca Lamberti incarna, probabilmente, lo spirito di giustizia dell’autore stesso, che chissà quante volte avrà anelato la possibilità di farsi giustizia da solo. Cosa che non è possibile, su questo la morale del romanzo è chiara, come è altrettanto netto il sentimento che a Duca fa dividere le persone in buoni e cattivi: il rispetto, o una persona riesce a guadagnarselo, o finisce nella lista nera. Ma non è che basti il rispetto per far chiudere un occhio alla polizia, sia chiaro. Qui siamo di fronte a uomini tutti d’un pezzo.

Gli anni settanta sono già qui

Mi è piaciuto. Mi hanno convinto i personaggi, le atmosfere, una Milano che anticipa gli anni settanta (il libro è stato scritto nel 1966), il finale. Forse, un po’ troppi dialoghi da gangster anni trenta e quello che io considero sempre un errore, dare per scontati alcuni particolari, rimandando ad altre uscite delle serie la soddisfazione della curiosità. Se per Duca, e Scerbanenco, due personaggi sono importanti, e lo sono, ci deve raccontare di più, a costo di ripetere tra un volume e l’altro. Ma a parte queste piccole note di contorno, un romanzo che sicuramente consiglio ai nostalgici dell’hard boiled alla Chandler.

Ma chi sono i traditori di tutti? 

“…non si può, non si può, la legge proibisce di ammazzare le canaglie, i traditori di tutti, anzi specialmente questi che devono avere sempre un avvocato difensore, un processo regolare, una regolare giuria e un verdetto ispirato alla redenzione del disadattato, mentre invece si può, senza alcun permesso, innaffiare di proiettili due carabinieri di pattuglia, o sparare in bocca a un impiegato di banca che non si sbriga a consegnare le mazzette di biglietti da diecimila, o mitragliare in mezzo alla folla, per scappare, dopo una rapina, questo si può, ma dare un buffetto sulla rosea gota al figlio di baldracca che vive di canagliate, questo no, la legge lo proibisce, è male, non avete capito niente di Beccaria, no, lui, Duca Lamberti, non aveva capito niente Dei delitti e delle pene, era un grossolano e non aveva speranza di raffinarsi, ma gli sarebbe piaciuto incontrare quelle canaglie, lui glieli avrebbe dati, i buffetti sul viso.”

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