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Ich bin Berliner/2: Luisen e Marlene ballano da sole

Dopo essermi ambientata, si fa per dire, in città, il secondo giorno è iniziato il giro vero e proprio. Berlino è una città grande, stracolma di cose da vedere. Una settimana non basta e, per farsela bastare, non resta che trottare per ore ogni giorno.

Charlotte Schloss

Prima destinazione: Charlottenburg Schloss, una delle più antiche residenze degli elettori di Brandeburgo, la famiglia Hohenzollern. Nel corso di due secoli è stata continuamente ammodernata, arredata e allargata. Vi dico subito che il prezzo è variabile in funzione delle aree che si vogliono visitare: l’antica residenza, il nuovo padiglione, di stile più contenuto, il bellevue, i giardini e il mausoleo. Io li ho visti tutti, ma l’unico che secondo merita veramente è il primo, l’edificio più antico. Se avete poco tempo, vi suggerirei di limitarvi a quello. Anche la possibilità di fare foto si paga a parte.

In ogni caso, il nucleo originario della residenza fu realizzato per volere della regina Sophie Charlotte alla fine del XVII secolo. Per questo alla sua morte l’intero castello fu a lei intitolato, anche se la vera padrona di casa è stata in fondo Luisa, l’amGalleria Dorataata consorte di Federico III. La cupola del corpo centrale, alta 48 metri e sormontata dalla statua della Dea Fortuna, è diventata uno dei simboli di Berlino. Il complesso è stato gravemente danneggiato dai bombardamenti durante seconda guerra mondiale e quasi completamente ricostruito.

Il barocco

Agli Hohenzollern piaceva lo stile barocco ripreso dai grandi maestri dell’architettura italiana del seicento, gli arredi sfarzosi e le decorazioni che richiamano le divinità e i miti degli antichi. Uno degli esempi più mirabili è la cosiddetta Galleria Dorata, l’antica sala da ballo lunga 42 metri in cui una volta si intrattenevano sovrani e nobili. E poi alla fine dell’antica dimora, quando stavo per Napoleone uscire, eccolo lì davanti a me, il quadro raffigurante Napoleone che tutti i libri di storia riproducono. Lì, di fronte a me!

Dritta

Il biglietto d’ingresso al Castello include la possibilità di passeggiare all’interno del parco, il cui stile riprende quello dei giardini di Versailles. Se non avete fretta, una bella passeggiata nel parco, seguita da una breve visita del mausoleo dove riposano i padroni di casa, può fare da preludio a una sosta ristoratrice nel caffè del parco, veramente incantevole.

Filmhaus (casa del cinema)

U6364n caffè ed è già ora di rimettersi in marcia verso il Museum für Film und Fernsehen, alla Filmhaus (casa del cinema), situata all’interno del Sony Centre di Potsdamer Platz. Il museo ripercorre la storia del cinema tedesco, con particolare insistenza sugli anni del cinema muto e del bianco e nero. Non è un caso che il Festival di Berlino si svolga a poca distanza da qui  in Marlene Dietrich Platz. Protagonisti assoluti  la diva immortale Marlene Dietrich, Olympia di Leni Riefensthal, girato durante le olimpiadi naziste del 1938, i capolavori classici dell’Espressionismo tedesco, come Il gabinetto del dottor Caligari e Metropolis, di Fritz Lang. Poi, devo dire che non si capisce esattamente il salto logico che dalla Hollywood degli anni d’oro ci porta direttamente al futurismo e alla fantascienza. E’ come se il cinema tedesco fosse rimasto nel buio degli anni ’40. Forse è parte dell’anima di questa metropoli, il continuo salto temporale tra passato e futuro.

Potsdamer Platz e il Sony center

All’uscita, Potsdamer Platz e il Sony center meritano uno sguardo rilassato che li abbracci circolarmente in un solo colpo d’occhio. La piazza, infatti, è un perfetto esempio del salto temporale di cui parlavo. Potsdamer Platz non è una piazza vera e propria, ma una zona circolare costituita da tre aree: Daimler City, Sony Centere Besheim Centre. Quella che prima degli anni ’90 era una zona far west dove il Muro separava la parte Est da quella Ovest, ora è un centro vivace, frequentatissimo sia di giorno sia di notte, perché esempio positivo di mix azzeccato di case, shopping, business e vita notturna. Perfetto per buttarsi anima e corpo nello spirito effervescente della capitale teutonica.

La seconda puntata finisce qui. Domani vi racconterò di come Berlino continui a sembrarmi la città dei contrasti e del salto temporale e il mio incontro con la famigerata DDR.

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http://www.pennaecalamaro.com/2016/10/05/ich-bin-berliner3-il-giardino-dei-piaceri-del-grande-fratello/

Lo strano caso dell’apprendista libraia – Deborah Meyler

Deborah Meyler, Lo strano caso dell’apprendista libraia. Il titolo è fuorviante. E’ inutile sperare, andando avanti con le pagine, di capire quale sia lo strano caso. Non c’è nessuno strano caso. In lingua originale, infatti, s’intitola semplicemente “La libraia”. Per il resto, un po’ di incongruenze e un elemento di interesse. Vediamo quale…

Trama 

Esme è incinta e non sa cosa fare: il fidanzato Mitchell l’ha lasciata prima che potesse parlargli del bambino. Per questo il cartello “Cercasi libraia” le sembra un segno del destino. Ma Esme non ha nessuna idea di come funzioni una libreria. Per fortuna ad aiutarla ci sono i suoi curiosi colleghi: George, che crede ancora che le parole possano cambiare il mondo; Mary, che ha un consiglio per tutti; David e il suo sogno di fare l’attore. Poi c’è Luke, timido e taciturno, che comunica con lei con le note della sua chitarra. Sono loro a insegnarle la difficile arte di indovinare i desideri dei lettori. E proprio quando Esme riesce di nuovo a guardare al futuro con fiducia, la vita la sorprende ancora: Mitchell viene a sapere del bambino e vuole tornare con lei. 

Mah 
Dunque, c’è un’apprendista libraia, che magicamente viene assunta negli Usa senza uno straccio di permesso per lavoro. Mah. Roba da far arrestare lei, il proprietario e tutti quelli che sanno, ma non hanno denunciato.
La ragazza è negli Usa grazie a una borsa di studio, ripete spesso di aver bisogno di soldi ma è in affitto da sola in un appartamento sulla Broadway e quando rimane incinta rimane negli Stati Uniti invece di tornare in Inghilterra. Mah, i misteri dell’assicurazione fantasma.

La descrizione onesta di una ragazza incinta 
Ho avuto spesso la tentazione di abbandonare questo libro di Deborah Meyler, però alla fine sono contenta di essere arrivata fino in fondo, perché qualche elemento d’interesse l’ho rintracciato proprio nell’andamento della gravidanza. Nessuna descrizione edulcorata dell’attesa, ma la descrizione onesta di una ragazza che rivoluziona la sua vita per amore, seppur inconsapevolmente. La scrittrice è madre di tre figlie, è evidente che conosce bene le difficoltà e le lotte psicologiche di una donna che da un giorno all’altro si trova a dover cambiare prospettiva di vita non esattamente per scelta (consapevole).

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Brava a letto – Jennifer Weiner

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La casa sopra i portici – Carlo Verdone

Grande protagonista del libro è la casa paterna di Carlo Verdone. La casa sopra i portici del titolo. Un luogo attraverso il quale si snodano tanti eventi: le catastrofiche feste dannunziane, gli incontri con Federico Fellini e Alberto Sordi, le incursioni destabilizzanti di geni dell’avanguardia come Gregory Markopoulos. E poi il rapporto con i genitori e i fratelli, gli scherzi (tanti, fulminanti), le prime esperienze sentimentali ma anche i drammi familiari che si susseguono.

La casa è quel posto in cui tutti torniamo

verdoneLa casa è quel posto in cui tutti torniamo, che ci fa sentire veramente noi stessi, che ci accoglie e ci protegge sempre. E’ con questo spirito che ho letto il libro di Verdone, un uomo (famoso) attaccato alla sua città, Roma, e alla sua famiglia. Quando, per le vicende della vita, una casa si spoglia delle persone che l’hanno abitata e degli oggetti che l’hanno arredata, è difficile immaginare sentimenti diversi dalla tristezza e dalla nostalgia. Alla morte dei genitori del regista, infatti, la casa è stata svuotata e restituita al Vaticano, che ne era il proprietario.

Persone e fatti che sopravvivono 

Eppure, Carlo Verdone affronta questo doloroso momento con l’ironia che da sempre lo contraddistingue. Ci racconta con arguzia e spirito d’osservazione le vicende della sua famiglia. Della famiglia che quella casa l’ha vissuta e amata profondamente. Di una famiglia e di persone che sopravvivono alla vita terrena e che rimangono nei nostri cuori e nei nostri ricordi. Trovo che sia un bel modo per ricordare i cari che non ci sono più e lasciare traccia di quello che è stato, nel bene e nel male.
Per questo ho deciso di sorvolare su alcune ingenuità stilistiche e su alcuni aneddoti probabilmente inventati, il libro è godibile e a tratti divertente.
Un po’ come i suoi film: risate condite di malinconia e riflessione.

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La scrittrice abita qui, di Sandra Petrignani

L’Accabadora di Michela Murgia

Accabadora è il primo romanzo di Michela Murgia che leggo e, certamente, il suo titolo più famoso. E a ragione, direi. Una figura, quella dell’accabadora (colei che finisce), la cui esistenza non è mai stata provata, ma che probabilmente esiste in ogni luogo del mondo. Forse non è una donna, forse non veste di nero. Ma c’è un’unica cosa sicura nella vita dell’uomo. E quando la Signora viene a bussare, l’essere umano è costretto a fronteggiarla.

Trama

accabadoraSardegna anni ’50. Maria ha sei anni ed è appena diventata «figlia d’anima» dell’anziana Bonaria Urrai, secondo l’uso campidanese che consente alle famiglie numerose di compensare la mancanza di figli altrui attraverso un’adozione sulla parola. La bambina è inizialmente convinta che Bonaria Urrai faccia la sarta, e infatti le giornate sono segnate dallo scorrere nella bottega casalinga di un’umanità paesana, fatta di piccole miserie e relazioni basate su sguardi  gesti. Accettata come normale dal paese, l’adozione solidale tra la vecchia e la bambina si consolida negli anni. Un giorno, però, Maria viene messa di fronte a una realtà che non può più fingere di ignorare: Bonaria non è solo una sarta. Bonaria è un’accabadora, una donna che toglie la vita.

Figlia dell’anima

Sono due i temi importanti affrontati in questo romanzo di Michela Murgia. Uno, è la maternità e la condizione di figlia e figlio. E’ necessario aver generato per essere madri e padri? E’ necessario vivere nella famiglia di origine per essere felici? La risposta di Michela Murgia a entrambe le domande è no e la società campidanese, nella sua semplicità, lo sa bene e lo affronta con spirito pragmatico. Così, nascono, crescono e prosperano i figli d’anima, nome che trovo meraviglioso, e voi? Se tutti i dibattiti etici venissero affrontati senza pregiudizi e retorica, saremmo tutti più felici, ne sono convinta.

Mai dire mai

E poi c’è l’argomento principale. Quello di Michela Murgia è un piccolo libro che affronta un tema grande, più grande di noi finché non abbiamo la sventura di viverlo sulla nostra pelle. Quando viene affrontata nei dibattiti pubblici, l’eutanasia divide in due gli intervenuti, con le motivazioni filosofiche, religiose, morali ed etiche che ne conseguono. Credo che l’accabadora si limiterebbe a seguirle con viso immobile e sguardo vitreo, mormorando un’unica frase: “Non dire mai: di quest’acqua io non ne bevo. Potresti trovarti nella tinozza senza manco sapere come ci sei entrata”.

Il che vale come monito per quasi tutti i fatti della vita, non credete?

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Una vita, Guy de Maupassant

 

Olimpiche, storie immortali in cinque cerchi – Luca Pelosi

Luca Pelosi e le storie olimpiche. Le olimpiadi di Rio de Janeiro sono appena finite e abbiamo ancora tutti nel cuore e negli occhi quelle immagini e quelle emozioni che solo le olimpiadi sanno regalarci. Per allungare un altro po’ questa sensazione, mi sono regalata questo libro di racconti legati alle olimpiadi. Che di emozioni ne regala parecchi.

Trama

Le Olimpiadi hanno tanti volti, personaggi e storie che le rendono speciali. Uniche, perché le Olimpiadi hanno qualcosa di diverso. Sono il posto dove puoi trovare storie che emozionano, appassionano, insegnano. Storie dove la rivalità diventa amicizia, la debolezza diventa forza, la morte diventa vita. 

I cinque cerchi

Nell’anno delle olimpiadi di Rio, Luca Pelosi ci regala una serie di racconti “olimpici” che vanno oltre quello che accade in campo, divisi giustamente in cinque cerchi. Solo che i cerchi, invece di rappresentare i continenti, qui simboleggiano i valori più alti dell’uomo: amicizia, amore, coraggio, giustizia, saggezza.

Da leggere

Dico solo una cosa: da leggere. Alcuni faranno piangere, altri sorridere, altri ancora riflettere intensamente sul significato profondo della parola sport. Quello vero, di chi soffre, combatte, lotta e si rialza. Il doping, gli affari, i soldi, il marketing. Lasciateli fuori, o voi che entrate in questo mondo parallelo. E meraviglioso.

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Una corsa per amore, il mio secondo romanzo

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