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Chiara Moscardelli, Teresa Papavero e la maledizione di Strangolagalli

Di Chiara Moscardelli non avevo letto mai nulla e ho iniziato dalla sua serie più famosa, quella di Teresa Papavero, Pap per gli amici. Una quarantenne irrisolta, o almeno così appare agli occhi della società e del padre. Talmente sfiduciata, che decide di tornare da dove è venuta, nel ridente paesino di Strangolagalli. Ridente, fino a un certo punto…

Trama

Superati i 40 anni Teresa Papavero, dopo avere perso l’ennesimo lavoro, decide di tornare a Strangolagalli, borghetto a sud di Roma nonché suo paese natio, per ricominciare in tranquillità. E invece la tanto attesa serata romantica con Paolo, conosciuto su Tinder, finisce nel peggiore dei modi: mentre Teresa è in bagno, il ragazzo si butta dal terrazzo. Suicidio? O piuttosto, omicidio? Il maresciallo Nicola Lamonica è assai confuso. Non lo è invece Teresa che capisce subito che qualcosa non va. 

Teresa incarna una generazione

La maledizione di Strangolagalli è il primo romanzo della serie, di cui l’11 ottobre 2023 uscirà il terzo libro. Ormai è tardi per consigliarvi libri da ombrellone, ma la serie di Chiara Moscardelli entra  a pieno diritto nei consigli per la spiaggia. Il romanzo è leggero, divertito, ha un buon ritmo. Teresa Papavero è una donna che incarna la generazione dei quarantenni che, se non corrispondono a uno standard predefinito, vengono trattati male dalla comunità e pure dai genitori. In questo caso, il padre. Solo che ognuno di noi ha il proprio modo di essere e sentire e, anche se la butti sul ridere, non è detto che le critiche non facciano male. E soprattutto, oltre al proprio sentire, tutti noi abbiamo delle qualità. Quella di Teresa? Ricordarsi nei minimi dettagli tutto, anche aspetti apparentemente insignificanti.

Da Strangolagalli con furore

Ed ecco che questa direttrice di b&b improvvisata, improvvisamente diventa centrale per la risoluzione dell’omicidio. In mezzo, ed è questo l’aspetto più riuscito del romanzo di Chiara Moscardelli, il microuniverso in cui Teresa Papavero si trova catapultata dopo aver lasciato Roma. In fondo, alle motivazioni del suicidio/omicidio (per non fare spoiler vi lascio il dubbio), un lettore appassionato di gialli arriverà presto. Il romance c’è, ma lasciato a metà, forse in vista di puntate future già pianificate (e sapete quanto non mi piaccia la cosa), ma in fondo è coerente con il personaggio della protagonista. Rimane la scelta di fondo, andarsene dalla città e trovare una propria strada, anche quando tutti pensano che ormai tu sia una causa persa. Chi di noi non farebbe il tifo per Teresa?

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La casa dei libri nel bosco delle fiabe di Manziana

Il bosco di Manziana. O meglio, una casa dei libri nel bosco delle fiabe di Manziana. L’autunno per me è il periodo dei parchi. Mi piacciono i colori, il silenzio, il freddo pungente e il conforto di una buona cioccolata calda. Quest’anno al freddo ho ormai rinunciato, e di conseguenza alla cioccolata calda, ma ai parchi no. Stavolta vi parlo del bosco delle fiabe di Manziana, dove una casetta di legno è diventata la casa dei libri di Cappuccetto rosso, dei cerri secolari la tomba della fata turchina di Pinocchio e una solfatara che sembra quella dei ragazzi dello zoo di Berlino…venite che vi racconto tutto.

La casa dei libri di Cappuccetto rosso

Più avanti vi parlerò degli itinerari in cui è suddiviso il bosco di Manziana. Ora però vorrei iniziare dalla casa dei libri, che fa la sua comparsa dalla strada, ancora prima di entrare. Sarà stato il silenzio, l’aria fresca di un sabato pomeriggio di novembre, ma la visione di questa casetta e di quella accanto, con un venditore di castagne e miele, mi ha fatto subito pensare a Cappuccetto rosso e alla sua passeggiata nel bosco. Niente lupi in vista. Solo due pareti e un tetto, a ospitare una stazione di bookcrossing. Lasci un libro, ne prendi un altro. I libri sono parecchi, suddivisi ordinatamente negli scaffali. Non avevo portato con me un libro, e quindi non ho potuto prenderne nessuno, però ho visto diversi titoli interessanti. Segno che chi li lascia è intenzionato veramente a fare bookcrossing e non a disfarsi dei libri. Peccato soltanto che la costruzione non sia dotata di luci come il venditore lì accanto, perché al buio sarebbe ancora più suggestiva.

casa dei libri 2 logo

La passeggiata

A parte i libri, che lo sapete per me sono sempre fonte di attrazione, il bosco di Manziana è un posto perfetto dove concedersi una passeggiata a tutto relax. Mi ha stupito vederlo quasi vuoto, abitassi nei dintorni ci passerei le giornate. Fossi il Comune, o l’Università agraria che lo gestisce, renderei le entrate ancora più visibili, mi sono fermata perché ho visto la casetta, ma non avevo capito di essere arrivata. A parte noi, c’era qualche passeggino, qualcuno che giocava a pallone, un signore col cane, un altro in bici e nessun altro. Eppure, ha tutto per essere considerato godibile: sentieri tematici, di cui fra poco vi parlo, un’area picnic con tavoli e barbecue, panchine e fontanella, i cavalli, una biodiversità che lo fa luogo eccellente per le scuole. Cosa volere di più? 

poesia con logo

Itinerario nel bosco di Manziana

Il bosco di Manziana è suddiviso in 4 percorsi: Sentiero Alberi monumentali «A» – Colore verde, Sentiero dei Fontanili «B» – Colore giallo, Sentiero del Cinema «C»– Colore azzurro, Sentiero del Bologno «D» – Colore rosso. A volerlo percorrere tutto, si tratterebbe di più di 20 km. Io sono riuscita a farne una buona parte, arrivando anche alla solfatara. 

capanna con logo

Sentiero Alberi monumentali «A» – Colore verde

E’ il sentiero che parte dal punto da cui sono entrata, quello dove c’è la casetta dei libri. La lunghezza del percorso è più di 6 km, molto facile da percorrere, tutto pianeggiante e senza curve. Se volete fare il barbecue, è il posto giusto. Se invece di inoltrarvi nel bosco girate subito alla sinistra della casetta, dopo poco troverete la solfatara. Ovunque viene descritto un geyser che io non ho visto, però l’atmosfera “lunare” mi ha ricordato I ragazzi dello zoo di Berlino e una frase che mi accompagna da tutta la vita. Non a caso, qui hanno girato Amore tossico, un film del 1983 proprio su un gruppo di ragazzi tossicodipendenti. Sicuramente il regista aveva in testa la stessa frase!

Noi ci immaginiamo di comprarci la cava di calce quando non verrà più sfruttata. E lì sotto ci vogliamo costruire delle case di legno con un enorme giardino pieno di animali e con tutto quello di cui uno ha bisogno per vivere. L’unica strada che c’è per arrivare alla cava la vogliamo chiudere. Non avremmo comunque più alcuna voglia di ritornare su.”

cava zoo di Berlino logo

Sentiero dei Fontanili «B» – Colore giallo

E’ facile anche questo, e leggermente più lungo del sentiero A, circa 7,5 km. E’ il punto con la maggiore biodiversità e si chiama dei fontanili perché qui sono collocati i punti acqua per gli animali. Per loro esclusivo utilizzo, non è possibile bere l’acqua dei fontanili.

Sentiero del Cinema «C»– Colore azzurro

E’ il più breve, quasi 3 km, e sempre facile. E’ anche il più interessante per chi, come me, ama visitare le location dei film e delle serie tv. Si chiama del cinema, infatti, perché in questo tratto sono state girate diverse scene di film e serie televisive di successo: Distretto di Polizia nel 2000, La Freccia Nera nel 2006, Romanzo Criminale nel 2008. Questa zona è stata anche location per molti western all’italiana, tra cui Django di Sergio Corbucci del 1966 e Oggi a me… domani a te! di Tonino Cervi del 1968. Qui hanno anche girato delle scene di Pinocchio di Roberto Benigni nel 2019. Per esempio, la scena in cui Pinocchio scopre che la fata turchina è deceduta. L’allestimento è stato fatto nei pressi del fontanile testa di Bovo, chiamato così perché la testiera ricorda le corna di un bovino. Guardate il video della scena e la foto. Lo riconoscete? 🙂

pinocchio scena con logo

fontanile bovo
Sentiero del Bologno «D» – Colore rosso

E’ l’unico tratto impegnativo, lungo circa 4,5 km. Qui pascolano bovini, equini e asinini allo stato brado.

Che ne dite? Vi è piaciuta la passeggiata? Conoscevate già questo bosco fatato? 

Bonus track

Se poi vi viene fame, in Via degli Scaloni, proprio all’entrata con la casetta dei libri, c’è un forno superlativo, Baldassarini, lo vedrete facilmente. Portatevi qualche biscotto a casa, servirà a ritemprarvi dalla fatica della passeggiata! :p

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Antica Monterano, borgo fantasma alle porte di Roma

L’antica Monterano si trova a circa 50 km da Roma, praticamente nel mezzo del nulla. Eppure, è stata set di film molto famosi e indubbiamente ha il fascino di un passato che solo i borghi fantasma riescono a evocare in modo così suggestivo. Oggi è una riserva naturale e meta di turismo locale e voglio darvi qualche suggerimento per una gita in questo borgo laziale.

Un po’ di storia

Sembra che sia stata abitata sin dall’età del Bronzo (XI secolo a.C.), per passare poi agli etruschi a partire dal VII secolo a.C. e, ovviamente, ai romani dal 390 a.C. Infatti, tracce di un mausoleo romano e le sepolture scavate nella parete tufacea ci dicono che sopravvisse come piccolo borgo per tutta l’età romana. Divenne poi sede vescovile tra il VI e il VII secolo d.C. Insomma, una storia travagliata. Che non finisce qui. Ben presto, infatti, si trasformò in un feudo che passava di mano alle famiglie nobili che dominavano l’area: Anguillara, Colonna, Della Rovere, Cybo. Sempre loro. Finché, eccoli, l’acquistano gli Orsini nel 1492. Quasi 200 anni dopo passa di nuovo di mano e viene acquistata da Papa Clemente X, cioè dalla famiglia Altieri. E’ di questo periodo la costruzione dell’acquedotto e della chiesa e convento di San Bonaventura, uno dei motivi principali per visitare oggi l’antica Monterano. Il borgo diventa una zolfatara, ma la malaria causa lo spopolamento progressivo. Nel 1798 le truppe francesi entrano a Roma e proclamano la Repubblica romana, deponendo il papa. Per vendetta, bruciano questo borgo papale e gli abitanti sono costretti a rifugiarsi lì vicino, dove sorge l’attuale comune di Canale Monterano.

Storia interessante, vero?

Cosa vedere a Canale Monterano

Le rovine dell’acquedotto e la fontana

E’ la prima cosa che vedrete entrando nel sito e già da una prima occhiata complessiva, vi renderete conto del perché questo posto sia così amato dal cinema. Dell’acquedotto cinquecentesco rimangono oggi le arcate. Fu costruito per portare l’acqua dalla confinante Oriolo, utilizzando anche le opere degli etruschi. Pensate che ancora oggi l’acqua segue lo stesso percorso e viene trasportata fino a Civitavecchia.

Le rovine del Castello Orsini-Altieri

Il castello  nacque molto probabilmente come roccaforte nel secolo VIII, quando Monterano era sede vescovile. Teoricamente avrebbe dovuto essere usato come abitazione del principe Altieri, ma praticamente non lo sfruttò mai,  preferendo risiedere a Oriolo, più comodo per gli spostamenti. Anche gli Orsini non lo avevano mai abitato, quindi possiamo considerarlo una specie di cattedrale nel deserto ante litteram. Anche se non utilizzato, evidentemente il principe Altieri aveva soldi da spendere, visto che nel 1679 affidò al Bernini la ristrutturazione del castello, dopo avergli fatto costruire la chiesa di S. Bonaventura. Con la solita maestria, il Bernini riuscì ad accentuare la prospettiva sfalsando le le aperture ad arco del porticato rispetto alle aperture del fabbricato preesistente. In questo modo, l’osservatore che avesse guardato il castello dal dal basso della piazza avrebbe avuto l’impressione di uno spazio dilatato. 

La cattedrale di Santa Maria Assunta 

La chiesa di San Rocco

La chiesa e il convento di San Bonaventura e il fico “più antico del mondo”

I resti della chiesa e del convento di San Bonaventura sono quelli che danno più atmosfera a tutto il sito, a mio parere. Anche perché si è conservata abbastanza bene da poter essere girata anche all’interno. Entrambi, chiesa e convento, sono stati costruiti su progetto di Lorenzo Bernini. Di fronte al sagrato c’era una fontana ottagonale che oggi è sulla Piazza del Comune, mentre davanti al rudere c’è una copia. All’interno sorge un mastodontico e secolare albero di fico, che quest’anno ha rischiato di perire per cause naturali, ma per fortuna è stato recuperato. 

Le cascate della Diosilla

Set cinematografico

Tutti abbiamo visto l’antica Monterano in televisione o al cinema. Compare nel film Guardie e Ladri (1951) di Mario Monicelli e Steno,  Ben Hur (1959) con Charlton Heston, Brancaleone alle Crociate (1970) con Vittorio Gassman nel 1970 e ne Il Marchese del Grillo con Alberto Sordi nel 1981, entrambi sempre di Mario Monicelli.

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Il giardino d’inverno di Bomarzo

Il giardino d’inverno di Bomarzo

Il giardino di Bomarzo è sacro o mostruoso? Questo è il dilemma che affligge da anni i visitatori di questo museo così particolare. E’ proprio il caso di ribadire che tutto dipende da come guardi il mondo. Il perché ve lo spiego subito, venite con me a scoprire Bomarzo e i suoi misteri, ideali per una breve scappatella invernale.

Voi che per il mondo andate errando…

Voi che pel mondo gite errando vaghi di veder meraviglie alte et stupende venite qua dove son faccie horrende, elefanti, leoni, orsi, orche et draghi” è la frase che accoglie chi visita il Parco dei Mostri di Bomarzo. A leggerla oggi, la frase suona ironica. Caro Vicino Orsini, è proprio perché non posso errare per il mondo che sono giunta fino a te! La strada per arrivare al parco era immersa nella nebbia e un tantino lugubre. All’ingresso, hanno anche controllato il greenpass, pur essendo un luogo completamente all’aperto e che favorisce il distanziamento naturale. “E’ perché siamo considerati museo”, mi spiegano alla cassa. E anche un tantino esoso come museo: 13 euro che dovrebbero, e sottolineo dovrebbero, servire a manutenere il giardino in ottimo stato. 

Sacro o dei mostri?

Finite le critiche, ora vi racconto la passeggiata, che è stata molto piacevole. Vi dicevo all’inizio che la “critica” si spacca in due. Chi lo considera mostruoso, chi lo considera sacro. Da che dipende? Dipende dalla prospettiva con cui osserviamo la costruzione. Se il visitatore è religioso, troverà ispirazione religiosa, se si fa prendere dall’atmosfera esoterica, lo troverà “mostruoso”. In realtà, la tesi più accreditata oggi è che gli elementi del parco siano null’altro che dipendenti dalla volontà del suo possessore e che rappresentino, visti nel complesso, una sorta di “autobiografia” per immagini. Il che, se ci pensate, è un’idea affascinante: secoli dopo, noi giriamo per il bosco, cercando di farci un’idea del suo ideatore.

Chi era Vicino Orsini?

Pier Francesco Orsini, detto Vicino come vezzeggiativo familiare, era il figlio di Giancorrado e della seconda moglie, Clarice Orsini, che però si allontanò da casa quando i figli erano ancora piccoli. Vicino sposa Giulia Farnese e subito dopo il matrimonio si dedica alla carriera militare fino al 1557, quando si ritira a vita privata nel suo palazzo di Bomarzo, dopo aver girato in lungo e largo per l’Europa. E’ in questo momento della sua vita che decide di progettare il Sacro bosco, progetto che riceve nuova spinta dalla morte della moglie e dalla delusione per le vicende politiche in cui si era ritrovato come militare. E’ un po’ come se il bosco fosse per Vicino un suo buen retiro dalla società e dalla vita pubblica. Complice anche la contemporanea costruzione del cugino ricco, Alessandro Farnese con la sua sfarzosa dimora di Caprarola, Vicino probabilmente volle un luogo seminascosto da cui osservare dal basso gli opulenti possedimenti di quel ramo della famiglia. 

Arte o inganno? 

Tratteggiare, anche velocemente, la personalità di Vicino è fondamentale per cercare di capire quello cui ci troviamo di fronte. Forse ci sta prendendo in giro? All’ingresso, una sfinge reca questa scritta: “Tu ch’entri qua pon mente / parte a parte /e dimmi se tante /maraviglie / sien fatte per inganno / o pur per arte”. Dove finisce l’inganno e inizia l’arte? Pensateci, di solito è un tema che emerge quando si discute di arte moderna. In questo caso, il tempo ha dato risposta? Me lo direte voi. Per quanto mi riguarda, direi di aver trovato la mia risposta. Il bosco è un’allegoria della vita e delle esperienze di Vicino, niente di più e niente di meno. La compagnia e il nascondiglio che il nobile ha riservato ai suoi ultimi anni di vita. Un po’ come fa uno scrittore quando scrive un libro, trasfigura le sue esperienze e dà loro forma. Vicino l’ha fatto con la natura e creazioni dell’uomo, dando vita a un unicum nel suo genere. Se osservate statue, animali e costruzioni in quest’ottica, potrete idealmente vedere Vicino passeggiare accanto a voi. E forse ridere di qualche espressione sconcertata.

L’itinerario

Il percorso all’interno del Bosco sacro di Bomarzo non è obbligato, ma abbastanza indirizzato dalla mappa che consegnano alla cassa. Ci sono 40 elementi e ora vi darò una rapida panoramica di quelli che mi hanno colpito di più. Poi sarete voi nei commenti a dirmi quali vi sono rimasti impressi e perché.

Il fier gigante

Un gigante anche nelle dimensioni, ritratto mentre sbatacchia a terra un avversario. Vicino in una sua lettera lo chiama Orlando, facendo presupporre con ragionevole certezza che abbia tratto ispirazione proprio dai versi dell’Ariosto: “Ma quel (Orlando) nei piedi, ché non vuol che viva, / lo piglia… / e quanto più sbarrar puote le braccia, /le sbarra sì, ch’in duo pezzi lo straccia”.

La casa pendente 

Potrebbe sembrare il frutto di una stravaganza architettonica di Orsini. Invece, un po’ come è successo alla Torre di Pisa, la pendenza è semplicemente frutto di un cedimento del terreno, nessuna ipotesi fantasiosa è concessa. Quale avrebbe dovuto essere la funzione di una casetta così ridotta, è invece ancora oggi un mistero. Forse, un luogo di riposo o di svago per gli ospiti del giardino, o per il padrone stesso. Comunque, è possibile entrarci, ma attenzione perché se soffrite di vertigini si faranno sentire.

L’orco

L’orco è abbastanza impressionante, tanto più che con quella bocca spalancata e gli occhi vuoti, ti invita a salire le scalette per entrare all’interno. E tu lo farai, certo che lo farai. Gli studiosi hanno pensato per anni che fosse un riferimento all’Inferno di Dante. Invece no, oggi sembra più rifarsi alle maschere tragiche della classicità, o a quelle etrusche della zona di Cerveteri, poco distante dal viterbese (anch’io ho una collana da qualche parte). Una volta dentro, vi troverete in una stanza con una tavola al centro e i sedili scolpiti nella pietra. “Ogni pensier vola“, la scritta incisa sul labbro superiore, mi ha fatto pensare a un posto dove perdersi, senza pensare a niente. Magari con una bottiglia di vino, da qui la necessità di un tavolo. Ma sono solo mie fantasticherie, nulla più.

Cerere, Nettuno e la ninfa dormiente 

Su questo trittico, altro che il pensiero vola. Ho proprio creato un romance. Allora, in una piazza quadrata si trovano Nettuno a capotavola, Cerere all’altro capo, spostata su un angolo, e la ninfa dormiente fuori dalla piazza, nei pressi di Nettuno ma seminascosta, con un cane a farle compagnia e da guardia. Ovviamente, con la fantasia galoppante che mi ritrovo, per quanto mi riguarda rappresentano Vicino, la moglie Giulia e la giovane amante di Vicino, che esisteva veramente e gli fu accanto dopo la morte della moglie. Oppure, potrebbe essere Adriana dalla Roza, una giovane romana conosciuta a Venezia in gioventù e di cui si era innamorato. Chissà. Che ne pensate di questa libera interpretazione delle tre statue?

Vi piace l’idea di visitare il Bosco di Bomarzo? Conoscete altri giardini o boschi interessanti da visitare? Datemi suggerimenti nei commenti!

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Confinati per due giorni a Ponza, l’isola “lunata”

Ponza. Vi scrivo appena sbarcata dal traghetto. Felice di sentirmi ancora viva. Il mare era piuttosto turbolento e io e due neonati abbiamo rischiato di rimanerci. Non fate commenti sui due miei compagni di avventura, vi scongiuro…Quest’anno passo il weekend di Pasqua su un’isola pontina, la più grande e la più conosciuta, Ponza. L’anno scorso l’avevo trascorsa a Sperlonga e mi è sembrata una buona idea fare il bis, andando a vedere cosa c’è di fronte al continente. Per fortuna, l’acquazzone che ha fatto alzare le onde e ballare la tarantella alla nave, al momento dell’attracco era quasi finito.

Dal porto, sono andata direttamente al piccolo albergo che ho prenotato, che si trova a circa 500 mt di distanza dallo sbarco e ottimo punto di partenza per escursioni sull’isola.

Quando sono entrata nella hall, la ragazza che mi ha accolto deve aver notato i capelli alla Mafalda e lo sguardo stralunato: “non le chiedo neanche com’è andato il viaggio”. Ecco brava, è meglio.

Mi raccomando, non spaventatevi: Ponza val bene un po’ di su e giù in mare, come vi racconterò ora.

Il giorno di Pasqua, su e giù per le calette

Domenica ci siamo alzati di buon’ora e dopo una ricca colazione siamo partiti per fare il giro di Ponza. Se non avete problemi fisici, vi consiglio di farlo a piedi, perché l’isola non è grande e siamo riusciti a vedere quasi tutti i punti d’interesse in una giornata e qualche…ehm…km di scarpinata. L’unico piccolo problema sono i piedi, che mentre vi scrivo stanno gridando pietà.

Il Frontone

Prima tappa, la spiaggia del Frontone, una delle più famose dell’Isola. Più frequentemente viene raggiunta via mare, ma il servizio è attivo solo d’estate, quindi noi siamo scesi per un sentiero piuttosto ripido. Troverete online descrizioni paurose del sentiero, ma vorrei tranquillizzarvi: niente che una persona in buona salute fisica non riesca a fare. Certo, quando inizierà la risalita l’unico pensiero fino alla cima sarà “ma chi me l’ha fatto fare”, però a quel punto potrete solo continuare ed entrare in modalità mantra yoga per spingervi al punto di partenza.

Il museo etnografico

Lungo il sentiero, prima di arrivare alla spiaggia, abbiamo incontrato per caso un cartello azzurro che indicava il museo etnografico. Incuriositi, ci siamo affacciati e abbiamo incontrato uno dei gestori della famiglia Mazzella, che con pazienza e affetto ha raccolto diverse testimonianze della vita sull’isola. Due su tutte mi hanno affascinato: la storia del soldato tedesco di origine russa che nel 1914 portò sull’isola la balalaica, uno strumento a corde della tradizione russa che lasciò come pegno d’amore a una ragazza ponzese non tornando però mai più a prenderlo e quella di zio…, che la mattina ascoltava la radio e voleva commentare, poi stizzito perché dall’altra nessuno gli rispondeva finiva per infuriarsi e spegnerla. Fuori dal “museo” c’è una piccola biblioteca, e mi sono tanto pentita di non aver portato con me libri per il bookcrossing, un calcio balilla e le sdraio per prendere il sole. Oppure, tavoli per assaggiare le specialità locali cucinate in una minuscola cucina. Noi abbiamo proseguito a destra fino agli scogli di tufo, che in epoca romana erano vasche di acqua sulfurea. Optando per il sentiero di sinistra, invece, saremmo arrivati al Fortino di Frontone, che a proposito si chiama così per la forma della roccia bianca che si affaccia sulla baia, che sembra appunto il frontone di un tempio greco. Non abbiamo camminato fino alla spiaggia del Frontone, che mi dicono in periodo estivo sia uno dei posti preferiti dai giovani per l’aperitivo al tramonto, perché il programma di escursione era bello intenso, ma l’ampia distesa avrebbe meritato almeno una passeggiata.

E poi abbiamo incontrato Fred

Ti rendi conto di quanto siano utili le lezioni di yoga quando la salita irta ti fa scoppiare i polmoni. A quel punto, o chiami qualcuno in soccorso, in effetti lì vicino hanno piazzato il poliambulatorio e non credo sia un caso, oppure come ho detto prima applichi il mantra dello yoga: muscoli antagonisti (glutei) al lavoro, sguardo fisso davanti a te e respirazione controllata. In qualche modo siamo arrivati su e siamo ripartiti per raggiungere i nostri obiettivi principali: la baia delle piscine naturali e Cala dell’acqua. Solo che all’altezza di Cala Feola abbiamo perso l’orientamento. Non aspettatevi di trovare cartelli e indicazioni, perché in tutta l’isola predomina il fai da te, ovvero giri e rigiri per viuzze e scalette finché se sei fortunato arrivi da qualche parte. Per fortuna ci ha affiancato Fred, che al collo portava la targhetta Sauron ma non si è ribellato al suo nuovo nome. Abbiamo capito che ci chiedeva di seguirlo e d’istinto ci siamo “accodati”, è proprio il caso di dire, a lui. Incredibilmente, si è mosso con abilità tra le suddette viuzze e scalette fino a portarci proprio dove volevamo!

Le piscine naturali

La baia delle piscine naturali si trova in un tratto di costa libero, non in concessione. Il mare e il vento con il tempo hanno scavato due conche naturali, le piscine, di acqua bassa e calda. La prima è chiusa tra le rocce e unita alla seconda tramite due archi naturali. Scendendo le scale, s’incontra la prima, chiusa interamente tra le rocce, unite al mare aperto e alla seconda piscina tramite due archi. La seconda piscina è meno chiusa dell’altra e con l’acqua più bassa. D’estate devono essere uno spasso per grandi e piccini.

Lo scoglio della tartaruga

Sempre seguendo Fred, siamo tornati sulla strada principale e da lì abbiamo visto lo Scoglio della tartaruga. Il perché del nome è intuibile dalla forma. Mi ha ricordato lo Scoglio dell’elefante che avevo visto in Cornovaglia. Ed è subito amore

Le Forna

Finalmente, dopo un altro tratto di strada tutto in salita, siamo giunti in località Le Forna e prima di scendere alla Cala dell’acqua, ci siamo riposati su una panchina di fronte alla chiesa mangiando panini. Per fortuna, avevamo più fame che sete, perché Fred si è rivelato una buona forchetta e da solo si è spazzolato metà del nostro pranzo.

Dopo la breve sosta, siamo scesi alla Cala.

La Cala dell’acqua

In epoca romana, la Cala dell’acqua era importante, perché qui i romani avevano trovato l’unica fonte sorgiva dell’isola, ora purtroppo chiusa. Da qui, ovviamente, il nome che porta ancora oggi. In parte ora è anche deturpata dai resti di una miniera di bentonite che nel 1935 hanno pensato bene di estrarre dalla parete sovrastante e che poi è stata chiusa nel 1975.

Forte di Papa

Dall’alto abbiamo anche scorto il Forte di Papa, realizzato alla fine del 1700 su richiesta di Papa Paolo III, dei Farnese. Costruito in posizione strategica, doveva sorvegliare i mari che dividono l’isola dal continente. Noi non ci siamo arrivati, ma se volete vederlo da vicino, basta proseguire lungo la strada principale asfaltata.

Ciao, amico Fred

Per noi è tempo di fare marcia indietro e di salutare il nostro amico Fred, che forse perché restio agli addii, o più probabilmente perché trascinato da un suo amico a quattro zampe che l’ha raggiunto al galoppo, è sparito così com’era apparso, senza salutarci. Ciao amico Fred, sei stato un’ottima guida.

Chiaia di Luna

Scendendo a ritroso lungo la panoramica che abbiamo già affrontato in salita, arrivati quasi al porto abbiamo incontrato un altro punto molto conosciuto dell’isola, la Baia di Chiaia di Luna, chiamata così per la curvatura a mezzaluna della spiaggia, chiusa alle estremità dalla roccia bianca all’estremità. La spiaggia è la più grande di Ponza e fino a qualche anno fa si poteva raggiungere attraverso un tunnel di 170 metri circa costruito dagli antichi romani. Oggi purtroppo la spiaggia è raggiungibile solo via mare e a rischio e pericolo dei natanti, perché anche la roccia che la sovrasta è friabile e a rischio crolli. Purtroppo, spiace dirlo, è uno degli esempi italici di incuria delle numerose testimonianze che il passato ci ha lasciato, non solo perché il tunnel avrebbe bisogno di essere seriamente ristrutturato per permettere ai cittadini di tutto il mondo di godere di tanta bellezza, ma anche perché, pensate, sulla cima della scogliera, che da 100 metri di altezza cade a picco sulla cala, c’era una necropoli romana che oggi è ormai in gran parte distrutta. Che dire, provo tanta malinconia quando penso a quello che ho visto l’estate scorsa in Inghilterra e a come so che tratterebbero i resti romani se ne avessero così tanti.

Il porto

Ormai il sole sta tramontando, è ora di tornare alla base, portando con me i pensieri malinconici. C’è ancora spazio per un giro del porto, meraviglioso a quest’ora, dove la sagra del casatiello ponzese, che è in pieno svolgimento, rovina un po’ ma non troppo l’atmosfera romantica che in estate deve aver fatto capitolare chissà quanti innamorati. Purtroppo, oltre a passeggiare oziosamente per la banchina, rimirando la vista del mare aperto e quella del villaggio con le sue casette colorate, deliziose, possiamo fare ben poco. I ristoranti sono quasi tutti chiusi, quindi non posso raccontarvi come si mangia in zona. Posso dirvi con certezza, però, che i prezzi non sono teneri e i due tre posti in apparenza più invitanti lì abbiamo visti in alto, a Le Forna.

In stanza faccio un conteggio spannometrico dei km percorsi con l’aiuto di google maps: 15! Direi che una bella doccia calda e dieci ore di sonno sono gli unici desideri da esprimere alla luna ponzese.

Pasquetta

I ponzesi passano il giorno di pasquetta sul Monte Guardia, a divertirsi con scampagnate e picnic. Fa caldo, la primavera si è finalmente affacciata, dopo un mese di marzo che ci raccontano è stato molto duro, Noi, invece, rimaniamo in zona porto, deserto e completamente sguarnito, perché rimangono tre cose importanti da fare: scegliere la calamita giusta, visitare il cimitero e le cisterne romane.

La calamita

La calamita giusta per fortuna ci appare al secondo o terzo negozio di souvenir in cui ci affacciamo. Non avete idea di quanto tempo sono capace di perdere su questa parte dei viaggi. Perché la calamita ha lo scopo fondamentale di farmi rivivere le sensazioni provate ogni volta che apro il frigorifero. Il che succede abbastanza spesso, eh eh. Non divaghiamo: la calamita raffigura una scarpa da ginnastica dentro cui è racchiusa Ponza. Così ricorderò per sempre la giornata ridenominata “la sfacchinata di Pasqua”.

Il cimitero

Il cimitero è situato su una collina sopra il porto e costituisce un ottimo punto di osservazione. Se avete tempo, andateci. Oltre a portare un saluto ai defunti, cosa sempre buona e giusta, potrete godere di una vista stupenda sul mare e sugli scogli. Il custode è stato così gentile da indicarci una piccola sagrestia, con una finestrella da cui osservare dall’alto un panorama spettacolare. Sulla strada per il cimitero abbiamo potuto anche “intuire” i resti di una villa costruita, sembra, dall’imperatore Augusto, con annesso tempio, per farne una residenza di villeggiatura. Un po’ come la villa di Tiberio che ho visitato a Sperlonga. In quel caso, però, i resti permettono di immaginare la pianta della villa così com’era. A Ponza, invece, ci sono oggi degli orti digradanti verso il mare e null’altro.

Le grotte di Pilato

A livello del mare, è ancora possibile ammirare le grotte di Pilato, un complesso di caverne collegate con il mare e tra di esse da cunicoli, scavate nel banco roccioso sottostante la villa. Non essendo stagione di navigazione con la barca, noi siamo riusciti a scorgerle sul traghetto di ritorno. Appena parte, guardate verso destra e riuscirete a vederle bene. Sono costituite da quattro vasche coperte e una scoperta, per questo si è sempre pensato che servissero come allevamento di pesci, che è ancora oggi l’ipotesi più accreditata. Accanto alla quale, però, si sta facendo spazio un’altra ipotesi, ossia che potesse trattarsi di uno stabilimento balneare, perché al loro interno sono stati trovati resti di colonne e statue collegato alla villa sovrastante da una scaletta scavata nella roccia. Non è stupefacente la modernità degli antichi? Il nome, invece, è ricollegabile al famoso Ponzio Pilato, in origine solo Pilato, che deve l’aggiunta di Ponzio proprio al periodo in cui fu mandato a Ponza per governarla.

Il confino

Ponza, infatti, era considerata luogo in cui confinare gli esiliati, o le persone non gradite, fin dall’antichità, non solo in epoca fascista. Qui furono confinati, tra gli altri, Giulia, la figlia di Augusto, Ponzio Pilato, Sandro Pertini, Pietro Nenni, lo stesso Mussolini alla fine della guerra, prigionieri slavi, albanesi e greci e innumerevoli altri. Tutto sommato, da quello che ho visto, direi che non dev’essere stato troppo difficile per loro adattarsi nella terra d’esilio.

Le cisterne della Dragonara e del Corridoio

Sempre a proposito di romani, vi consiglio caldamente di passare alla pro loco, gli uffici si trovano al porto, e di prenotare una visita alle due cisterne romane più vicine. Da aprile e per tutto il periodo estivo, le visite sono cinque al giorno. Noi non sapevamo che per pasquetta non erano previste visite al mattino, ma ci tenevamo tantissimo a vederle prima di ripartire e il presidente della pro loco Emilio Aprea ci ha gentilmente accompagnato all’interno per consentirci di ammirarle.

Perché vi garantisco che di pura e semplice ammirazione si tratta. La prima cisterna, quella della Dragonara, è perfettamente conservata. Scavata nel tufo dell’isola, presenta più corridoi a volta, posti su file parallele che si incrociano con navate perpendicolari. Questo metodo di scavo, ci ha spiegato la guida, serviva a formare una scacchiera di pieni e di vuoti che anche con il massimo riempimento d’acqua non avrebbe creato problemi ai pilastri di sostegno. I pavimenti e le pareti sono rivestiti di coccio pesto, un materiale naturale (di riciclo, diremmo oggi) che rendeva impermeabile la vasca, mentre una serie di condotte in entrata e in uscita garantiva il corretto funzionamento idraulico.

Se pensate che stiamo parlando di popoli antichi, e che fino a quarant’anni fa l’acqua potabile proveniva da lì sotto, non possiamo non stupirci di quanto genio possedessero. Peccato solo che gli antichi romani siano considerati più all’estero che in Italia. Anche questo non smette di stupirmi. So che l’ho detto anche qualche paragrafo sopra, ma repetita iuvant.

La seconda cisterna, del Corridoio, è altrettanto interessante e si trova a poca distanza dalla prima. Qui la guida ci fa notare le differenze stilistiche e concettuali con la precedente, dovute essenzialmente alle modifiche di era borbonica compiute sulle pareti. Inoltre, mentre l’altra ha sempre conservato la sua funzione originaria, rimanendo attiva fino ai giorni nostri, questa nel tempo è diventata deposito di rifiuti e solo recentemente è stata “liberata dal confino” e restituita ai cittadini.

Ripartire

Risaliamo all’esterno e la luce del sole ci colpisce in faccia. E’ davvero ora di andare, il traghetto ha già acceso i motori. Saluto Ponza con un arrivederci, almeno spero. Conservo negli occhi e nella mente i colori pastello delle case che contrastano con il blu profondo del mare, le scogliere che la proteggono tutt’intorno, la luna, che sull’isola lunata viene tutte le notte a specchiarsi a metà, e quel mix di trasandatezza e bellezza che caratterizza la giovine Italia, che fiera della sua bellezza se ne fa un vanto e non lavora per conservarla.

A lei, Ponza, do appuntamento per una sortita estiva e a voi al prossimo Diario di bordo.

Informazioni pratiche

Come arrivare

Ponza può essere raggiunta con diversi mezzi di trasporto: – in aereo, gli aeroporti più vicini sono quelli di Roma e Napoli. Da qui, il trasferimento ai porti d’imbarco può avvenire con i treni regionali, fino a Formia e Anzio e da qui ai porti d’imbarco con taxi o a piedi percorrendo circa un chilometro; con il taxi, auto a noleggio o elicottero. In auto fino agli imbarchi di Formia (tutto l’anno), Terracina e Anzio nella stagione estiva. Sull’isola è vietata la circolazione alle automobili dei non residenti nei mesi estivi.

Dove dormire

Ho dormito al Piccolo Hotel Luisa, che vi consiglio se cercate una soluzione di base e comoda. Vi suggerisco comunque di prenotare per tempo, soprattutto nel periodo estivo, perché l’offerta di alloggi su un’isola microscopica è inevitabilmente limitata.

Ulteriori informazioni

Per ulteriori informazioni, visitate i siti della pro loco di Ponza  o www.visitponza.it. Oppure chiedete a me, sarò felice di aiutarvi per quanto possibile.