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Sperlonga: il suono del mare, una bianca luce e il fascino di antiche leggende

Sperlonga. Sono seduta all’aperto, in giardino. Mentre scrivo, soffia un leggero vento che sussurra d’estate alle porte.

Ripenso al fine settimana appena trascorso e non posso che iniziare da un commento appassionato sull’arguzia e l’intelligenza degli antichi romani. Le tracce di questo popolo meraviglioso sono viva testimonianza non solo nelle grandi città, per esempio a Roma, Verona o nelle terre di conquista. La costa laziale è ancora oggi, dopo millenni, l’esempio lampante di come sapevano scegliere i luoghi da abitare e le terre da esplorare.

IMG_5708[1]Arrivare a Sperlonga è abbastanza semplice, nonostante la penuria di cartelli stradali che caratterizza le strade italiane. Uno dei rari cartelli indica la “Villa di Tiberio e sito archeologico” e lì mi dirigo. Un po’ a caso, lo ammetto, non ho studiato molto prima di arrivare. La scelta, però, si rivela azzeccata e dopo vi spiego perché.

La villa di Tiberio

Una signora gentilissima stacca il biglietto del museo annesso alla Villa di Tiberio e dà indicazioni per la visita. Lo sguardo mi cade su un avviso: “il negozio di souvenir è sospeso”. Chissà perché, penso, un buon negozio di souvenir è promozione certa per il sito. Nei locali del museo mi soffermo ad ammirare le sculture, che raccontano la storia dell’Odissea. Tiberio era un imperatore che amava vivere e circondarsi di ospiti, cui raccontava proprio il poema omerico. Non è difficile immaginare le statue come sfondo alle sue orazioni. All’uscita dei locali, si apre il sentiero che porta alla villa. Dall’alto, ne ammiro la pianta, le grotte che l’affiancano e la cornice blu del mare. Con una breve passeggiata arrivo ai resti della villa. Sono fortunata, ci sono due scolaresche e una guida che accetta con piacere altri uditori. Scopro così che la disposizione delle stanze era funzionale al bisogno di privacy del proprietario, ma anche che venne costruita secondo le tecniche ingegneristiche più avanzate dell’epoca. Sapete perché le riunioni dei ministri vengono chiamate ancora oggi Gabinetto? Perché anticamente era il luogo più riservato in cui fare affari e stringere accordi. Il bagno singolo come lo conosciamo noi, infatti, non esisteva. Pensate che nel gabinetto riservato alla servitù potevano fare i propri bisogni ben 16 persone per volta! V’immaginate che caos? Eppure, un sistema ingegnoso di circolazione dell’acqua e i lavaggi del corpo con spugne naturali che il mare lasciava a riva, garantivano la massima igiene e, soprattutto, la completa biodegradabilità dei rifiuti. Al contrario di noi, gli antichi erano decisamente ecosostenibili!

Le grotte naturali

Arrivati a fine villa, grazie a una passerella passiamo nelle grotte naturali. Per Tiberio e i suoi ospiti erano un po’ un surrogato delle terme romane. Venivano qui a leggere, chiacchierare e riposarsi. Anche in questo caso, le carpe che ancora oggi nuotano pigre nell’acqua servivano a mantenere l’ambiente pulito senza filtri, depuratori e cloro. Chimica naturale, potremmo dire. A questo punto la visita è finita. Potrei riprendere la macchina e dirigermi verso uno dei parcheggi a pagamento della cittadina. Potrei, ma non lo faccio. La giornata è bella e invita a muoversi. Quindi passo dalla spiaggia, direzione porto di Sperlonga. Per questo prima vi ho detto che la scelta è stata azzeccata, perché ho abbandonato l’automobile e non l’ho più utilizzata per tutta la giornata. E’ una breve passeggiata e se non avete problemi a camminare vi consiglio caldamente di fare lo stesso. Il porto è piccolino e punto di partenza per visitare la cittadina che s’inerpica verso l’alto. 

La Torre Truglia 

IMG_5718[1]La prima fermata è alla Torre Truglia, che probabilmente era l’antico faro di Tiberio. Ha l’aspetto squadrato di una fortezza ed era il primo avamposto di difesa della popolazione dai pericoli provenienti dal mare. Da lì, sono salita senza soste verso la IMG_5719[1]cima della cittadina per poi riscendere zigzagando tra vicoli e vicoletti circondati da abitazioni tutte bianche. Anche la calce bianca, oltre ad avere una funzione estetica, è stata scelta perché assicura la disinfezione. Purtroppo ho potuto solo immaginare l’animazione che sicuramente pervade le vie durante il periodo estivo. La maggior parte delle botteghe, infatti, è aperta solo in alta stagione e anche il numero di abitanti è ridotto al minimo. In compenso, ho sempre sentito distintamente il suono del mare. Non posso certo lamentarmi, che ne dite?

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La grotta azzurra

p.s. Ho saltato l’antica strada in marmo dei romani e la grotta azzurra, raggiungibile solo in barca (quest’ultima per assenza del servizio). Una scusa migliore per tornare a Sperlonga non l’avrei potuta trovare…

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Non c’è mondo fuori dalle mura di Verona/terzo giorno

L’inizio dell’ultimo giorno di vacanza porta sempre con sé un po’ di tristezza anticipata. Non è così anche per voi? Per esorcizzarla, conosco un solo rimedio: fare qualcosa che mi piace davvero, davvero tanto. Questo è il mio ultimo giorno a Verona. Ho visto tante cose interessanti, ma è quasi ora di andare via. Cosa mi rimane da fare? Seguitemi.

Palazzo della Gran Guardia

Il caso vuole che il Palazzo della Gran Guardia ospiti la mostra Maya, il linguaggio della bellezza. Un’occasione eccezionale, circa 250 reperti riuniti in un’unica sede, a testimoniare la bellezza del corpo utilizzato come tela. Nel mondo maya, nel quale la bellezza aveva un ruolo importante, la popolazione era solita realizzare quotidianamente acconciature per capelli e pitture su viso e corpo, riservandone invece di specifiche e particolari in occasione delle festività. Alcune di queste pratiche, come le cicatrici e i tatuaggi, cambiavano per sempre l’aspetto delle persone ed erano considerate espressioni visibili di identità culturale e di appartenenza sociale. Se passate per Verona prima del 5 marzo 2017 non perdetela, vale davvero la pena.

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Caffè Tubino

Uscita di lì, niente di meglio di un caffè per assaporare ancora il gusto di un’arte così avanzata arrivata fino a noi dal mondo antico. Per la sosta rigeneratrice, ho scelto il caffè Tubino, dicono il più buono della città. Veramente ora si chiama Caffè Borsari, ma i veronesi sono affezionati al nome originale e chi sono io per cambiarlo? Perché poi cambiare nome se tutti lo amano? Misteri delle proprietà. Il locale è curioso, stracolmo di articoli natalizi e personaggi Disney in vendita. Il caffè ottimo e fortunosamente sono anche riuscita a trovare posto in uno degli unici tre tavolinetti presenti nel piccolo locale.

Colle di San Pietro

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Il tempo però vola, Natale è già finito e allora via, verso la prossima e…sigh…ultima meta. Chiudo in bellezza, in tutti i sensi, e fuori dalle porte cittadine. Mi inerpico in cima al colle di San Pietro, una bucolica collina che si eleva per qualche centinaio di Teatro Romano. La cima, in una posizione facilmente difendibile e vicina all’Adige, è abitata sin dalle origini e ospita una ottocentesca caserma militare edificata dagli austriaci, Castel San Pietro. Per salire, potete scegliere la via facile, arrivando in cima in automobile, oppure affrontare la faticosa scalinata che vi farà sentire felici di avercela fatta. Se scegliete la seconda opzione, prendete fiato prima di iniziare e, soprattutto, evitare di chiacchierare con i compagni di viaggio! In questo modo, le speranze di farcela aumentano. Sto scherzando, ovviamente, la salita è impegnativa ma non impossibile e dall’alto mi sono goduta un panorama eccezionale, una vista a 360 gradi sulla città. Scendendo, scegliete l’altro lato. Finirete a ridosso del Teatro Romano, dove l’estate i veronesi vengono ad ascoltare i concerti jazz.

Che meraviglia! Il luogo giusto per mormorare: “ciao ciao, Verona, è solo un arrivederci“.

Non c’è mondo fuori dalle mura di Verona/primo giorno

Non c’è mondo fuori dalle mura di Verona/secondo giorno

Non c’è mondo fuori dalle mura di Verona/giorno 2

Il secondo giorno a Verona inizia dove era finito il primo. Dopo Romeo, non può che esserci Giulietta. Anzi, insieme a Romeo.

Giulietta 

Nonostante sia il richiamo più forte per chi visita Verona, il Club di Giulietta colleziona ogni anno migliaia d lettere d’amore indirizzate alla ragazza per chiedere che interceda presso l’amato o l’amata, è però un luogo a mio parere bistrattato. Scritte, scritte ovunque, sui muri, fuori e dentro il cortile su cui si affacciava Giulietta per incontrare il suo innamorato. Non bastano, evidentemente, due pannelli in cartongesso su cui postare bigliettini d’amore, firme e frasi di innamorati, installati forse dal Comune per arginare l’irruenza degli scrittori pazzi.
Nel cortile fa bella mostra di sé una statua in bronzo raffigurante Giulietta, con cui i turisti si fanno fotografare. Chissà perché, soprattutto le donne mettono le mani a coppa sul seno di Giulietta prima di sfoderare un gran sorriso. Ne ho visti pochi baciarsi…mah…forse non va più di moda? Comunque, sembra che William Shakespeare abbia inventato la location e non è certo che Giulietta sia davvero esistita, ma questo non toglie di certo nulla alla favola.

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Luogo dell’anima 

Dal balcone, foto veloce e via, proseguo la passeggiata attraversando via Roma per sbucare a corso Castelvecchio. In tutte le città del mondo c’è un luogo dell’anima: ecco, Castelvecchio è diventato il mio a Verona. Oggi ospita il museo civico, ma se non avete voglia di fermarvi all’interno potete percorrere, come ho fatto io, il ponte rosso sull’Adige, che un tempo serviva come via di fuga o di accesso o per organizzare sortite tattiche sulle opposte rive fluviali. Il castello era il fulcro dell’intero sistema difensivo, e dalla sua torre maestra era possibile controllare la città, a sinistra e a destra dell’Adige, e il paesaggio circostante. Oggi, offre una visuale privilegiata sulle due rive del fiume, soprattutto se non soffrite di vertigini. Gli scalini permettono, infatti, di arrampicarsi per salire in alto e fare foto, o gustare il tramonto, però non hanno protezioni. Il problema è che è più facile salire che scendere. Vi avviso, la discesa di sedere è altamente probabile 🙂

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Alla fine del ponte, sono scesa nella spiaggetta di ciottoli sottostante, in vera pace con il mondo, a guardare i rari canoisti che si allenavano sul fiume.

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Al rientro sull’altra sponda, mi sono fermata all’omonima pasticceria Castelvecchio, per una pausa relax. Tè caldo e aragostine allo zabaione sono la migliore medicina del camminatore che si possa immaginare, provare per credere.

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Porta Leoni

Dopo essermi rifocillata, è ora di dirigersi verso Porta Leoni, anticamente la porta che dava accesso al cardo massimo, uno dei due principali assi viari. Leggenda vuole che il nome derivi da un cunicolo dell’Arena che serviva al passaggio dei leoni per gli spettacoli con i gladiatori. Della porta originaria rimane solo la metà sinistra della facciata interna. Qui c’è un particolare curioso: alcuni anni fa, durante degli scavi gli operai trovarono casualmente le
fondamenta della parte mancante della Porta, assieme al basamento di una delle due torri circolari che ne proteggevano l’esterno. Il Comune ha deciso di lasciare tutto visibile e nella collocazione originale. Su via Cappello, praticamente ho girato in tondo per tornare vicino alla casa di Giulietta, m’imbatto in una libreria da mille e una notte.

Il Minotauro

Si chiama Il Minotauro, è un caffè, libreria, cartolibreria, mostra di fotografia e chi più ne ha più ne metta. Ho trovato delle chicche inaudite tra i libri in dismissione. Avete presente i bambini in un negozio di caramelle? Così io. Mi sono imposta di uscire di lì solo per raggiunti limiti di fame. A cena uno dei locali del centro andrà bene, dicono che più o meno sono tutti di qualità. Tra i piatti tipici, suggerisco (anche se non sono esperta) il risotto all’Amarone, appena tornata a casa l’ho dovuto rifare! Vi lascio alla fine dell’articolo la ricetta con tutti i passaggi.

E vi do appuntamento a domani, con la terza e ultima puntata

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http://www.pennaecalamaro.com/2017/02/27/non-ce-mondo-fuori-dalle-mura-di-veronaterzo-e-ultimo-giorno/

Non c’è mondo fuori dalle mura di Verona/primo giorno

La ricetta del risotto all’Amarone

 

Non c’è mondo fuori dalle mura di Verona/primo giorno

Verona. Se dici città eterna leggi Roma, e hai detto tutto.

Se dici città dell’amore leggi Verona, e hai detto solo una piccola parte di questa piccola, bellissima città veneta, seconda per grandezza solo a Venezia.

Vi diranno che è possibile girarla in poche ore, che un giorno è sufficiente per girarla e farsi un’idea. E’ quello che ho fatto io qualche anno fa e i miei ricordi si limitavano all’Arena e alle piazze più famose. Sentivo, però, tutta l’insoddisfazione di questa toccata e fuga e allora ho deciso di tornare. Stavolta prendendola con più calma, proprio quello che mi sento di consigliare ai viaggiatori. Vi dirò, tre giorni intensi sono stati appena sufficienti per assaporarla con gusto, in tutti i sensi.

Primo giorno

Dalla stazione dei treni mi sono diretta immediatamente verso il centro. Da Porta Nuova ci vogliono circa 20 minuti per arrivare in piazza Bra, con una passeggiata non impegnativa che mi ha fatto incontrare per prima cosa l’Adige. Il fiume taglia in due la città proprio come il Tevere fa con Roma. Le similitudini tra le due non si fermano qui. Appena arrivata in piazza Bra, ma anche prima, al momento di attraversare le porte, mi sono resa conto che la presenza degli antichi romani è palpabile ovunque. Piazza Bra è una delle piazze più grandi della città ed è qui che si staglia l’Arena, certamente uno dei simboli di Verona. Terzo anfiteatro romano per grandezza in Italia, è oggi in pieno centro. All’epoca della costruzione (sembra I secolo d.C.)  si trovava al di fuori dalla cinta muraria. Cioè ai confini della città. Come il Colosseo, fu utilizzata per spettacoli come lo scontro tra gladiatori. Nell”800 iniziò a ospitare opere liriche, fino a diventare dai primi del ‘900 il più grande teatro lirico all’aperto al mondo. E’ qui che ho visto la Tosca durante la mia prima visita e vi assicuro che le migliaia di piccole luci che si accendono all’interno sono uno spettacolo nello spettacolo.

Piazza Erbe 

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Stavolta, foto veloce all’esterno e al grande cuore che preannuncia Verona in Love, la manifestazione che il Comune organizza per la festa di San Valentino. Dicevamo, città dell’amore. Cuori, i cuori sono ovunque mentre mi addentro verso l’interno, in direzione piazza delle Erbe, passando per via Mazzini. Questa è la strada dei negozi eleganti e mi sarei tanto voluta fermare! Piazza Erbe è la più antica di Verona e sorge sopra l’area del foro romano. In età romana era al centro della vita politica ed economica e con il tempo gli edifici romani hanno lasciato il posto a quelli medievali. E’ circondata da palazzi di pregio e da edifici antichi, ma se devo essere sincera le bancarelle di souvenir che occupano il centro della piazza disturbano non poco il colpo d’occhio complessivo. Così tanto che credo di non aver colto in pieno la magnificenza dell’insieme.

L’arco della Costa 

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Piazza dei Signori, o Piazza Dante, è adiacente e ci si arriva semplicemente proseguendo nella passeggiata, attraversando l’arco della Costa, a meno che non siate puri di cuore. Alzando lo sguardo, infatti, si nota una specie di osso appeso all’arco. Sembra si tratti di una costola di balena, ma non c’è certezza, come non è chiara la provenienza. Le ipotesi sono le più fantasiose e spaziano da una vecchia insegna della farmacia ancora ubicata lì sotto a un reperto portato dai crociati al ritorno da una battaglia. Sia come sia, si narra che se un puro di cuore passa sotto la costa di balena, l’osso si stacchi e cada.

Con un certo timore ho fatto la prova, ma non è successo niente. Per fortuna evidentemente non sono pura di cuore, altrimenti quell’affare pesante sulla testa mi avrebbe comunque tolto di mezzo. Forse è proprio questo il significato più profondo: i puri di cuore non sopravvivono in un mondo malato.

Piazza dei Signori 

In Piazza dei Signori, invece, ho trovato il sommo poeta ad attendermi. Un po’ perplesso, un po’, forse, intristito dalle vicende umane contemporanee, per un periodo era stato ospitato proprio in un palazzo che affaccia sulla piazza. Quest’ultima è nata nel medioevo dallo sviluppo dei palazzi scaligeri ed è circondata da numerosi palazzi di indubbia importanza storica e artistica: il Palazzo della Ragione, il Palazzo di Cansignorio, la chiesa di Santa Maria Antica, Palazzo del Podestà, Loggia del Consiglio. Se avete tempo vi consiglio di salire sopra la Torre dei Lamberti, dalla cui sommità potrete godere di una vista privilegiata sui tetti della città.

Arche degli Scaligeri 

Oltre la piazza, accanto a Santa Maria Antica, che ospita al suo interno iscrizioni curiose, mi sono imbattuta nelle Arche degli Scaligeri. Si tratta di un monumentale complesso funerario in stile gotico appartenente alla famiglia degli Scaligeri destinato a contenere le tombe (arche) di alcuni illustri rappresentanti della casata, tra cui quella di Cangrande, il Signore di Verona cui Dante ha dedicato il Paradiso della Divina Commedia.

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Casa di Romeo

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Proseguendo per via Arche Scaligere sono arrivata alla casa di Romeo, annunciata da una targa sulla facciata che cita i versi tratti da Shakespeare. Certo che rispetto all’attenzione riservata all’amata, il povero Romeo deve accontentarsi delle briciole. D’altra parte, avreste mai detto che in realtà si chiamasse Cagnolo Nogarola? Io proprio no. E se il poeta inglese avesse usato il vero nome, il personaggio avrebbe avuto così tanto successo? Dubbi da scrittrice. William mi avrebbe risposto così: Nulla è buono o malvagio in sé, è il pensiero che lo rende tale. Mi sembra quasi di sentirlo, mentre fotografo la targa, per poi avviarmi verso un bagno ristoratore del faticoso affanno. Aiuto, inizio a  parlare come il Bardo!

(domani  vi farò assaggiare tè e aragostine e faremo un giro in libreria)

Prosegui il giro:

Non c’è mondo fuori dalle mura di Verona/secondo giorno

Non c’è mondo fuori dalle mura di Verona/terzo giorno

Il vino Rossovermiglio di Benedetta Cibrario

Rossovermiglio è il romanzo d’esordio di Benedetta Cibrario, vincitrice con questo suo lavoro del premio Campiello 2008. Una storia non proprio originale, che si legge però con piacere.

Trama 

Torino 1928. La diciannovenne Manuela è costretta dal padre a decidere chi sposare tra cinque uomini di buona famiglia. Non piacendole nessuno di loro, sceglie Francesco Villaforesta, un uomo al quale si sente accomunata dalla passione per i cavalli. Il matrimonio naufraga immediatamente e la giovane si rifugia in Toscana, nella tenuta “la Bandita”. Lì Manuela inizia una “convivenza” con Trott, un uomo sposato conosciuto durante il viaggio di nozze a Parigi e poi rivisto a Torino. L’uomo dimostra grande abilità nella coltivazione del vino e grazie a lui Manuela fa nascere il Rossovermiglio, dal “colore della luna in certe sere limpide”. Ma anche il rapporto con Trott finisce improvvisamente quando lui sparisce senza spiegare perché. Ormai anziana, Manuela decide di organizzare una cena per rivedere un’ultima volta gli amici della giovinezza, incluso Trott. Inaspettatamente, però, riceve una lettera dal marito, quel Villaforesta da lei tanto disprezzato…

Solitudine, silenzi, menzogne

L’autrice traccia quasi un secolo di storia, dal fascismo ai giorni nostri, raccontandolo attraverso la voce della contessa. L’ottantenne Manuela rivive il suo percorso di vita, alternando passato e presente, ricordi e accadimenti. Ne esce il ritratto di una donna che per sfuggire al tessuto sociale di appartenenza, troppo rigido e convenzionale si isola, quasi, trovando solo nel contatto con la terra e nel lavoro una ragione di esistere. Gli altri personaggi, e lei stessa in fondo, rimangono arroccati nei loro privilegi, schiavi delle etichette e di un mondo che cambia sotto i loro occhi e nel quale rischiano di perdere tutto quello che (non) hanno costruito, ma che posseggono solo in virtù della discendenza. Manuela cerca passione e amore, troverà solitudine, silenzi, menzogne. Anche le sue, perché il tessuto sociale penetra nelle ossa e non è facile liberarsene.

Il finale è spiazzante

Il finale è spiazzante e movimenta una narrazione che fino a quel momento scorre placida e senza grandi colpi di scena. Una trama forse non originale, ma che si legge con piacere. Peccato per la trasposizione poco emozionale dei fatti storici che accompagnano la vita di Manuela. Leggendo senza sapere nulla dell’autrice, ho pensato che le vicende della guerra dovessero essere per lei qualcosa di così distante da non riuscire a far immedesimare il lettore nella tragica atmosfera dell’epoca. E non mi sbagliavo.

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Una vita, di Guy de Maupassant