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Daniela Amenta e La ladra di piante di Monteverde vecchio

Daniela Amenta è una giornalista romana di lungo corso, esperta di musica rock e politica, due mondi che sembrano lontani anni luce, ma che in comune hanno la passione. La stessa passione che muove i protagonisti: per le piante lei, per la musica lui. In mezzo, un delitto, un’inchiesta, un informatore e una Roma immersa in una cappa d’afa. E non solo.

Trama

Quell’estate a Roma faceva molto caldo. E quando Roma si arroventa perde la sua grande bellezza e si trasforma in una città dura, arrogante, coperta da un vapore insopportabile, segnata da odori di sangue e mentuccia. Qui c’è chi sopravvive rubando piante dagli androni dei portoni, chi cura gatti randagi e chi ascolta jazz e rock’n’roll. Una giovane donna dai capelli rossi, un cronista esausto a caccia di tenerezze e un vecchio giornalista che sta perdendo la memoria si incrociano ai margini della scena di un crimine. Dove sfilano badanti, redattori di giornali che inseguono scoop, giardinieri che conoscono la vita segreta delle orchidee, Bill Evans, i Clash e Pasolini. È la Roma del quadrante sud, quella che guarda il mare attraverso il percorso del Tevere. Un pezzo di metropoli trasformato in una mappa di luoghi e sentimenti dove, nonostante l’afa, crescono ancora le Aspidistre. E piccoli sogni di resurrezione e d’amore.

Amo et odio

Daniela Amenta ama e odia Roma. Si vede, si sente, si respira in ogni pagina di questo romanzo. Daniela Amenta, evidentemente, è una romana d.o.c., perché è così che si sente un romano. Ostaggio di una città e della sua bellezza. Una bellezza di cui si riempie la bocca “solo chi vive in certi quartieri e la vede da certe terrazze”. Tutti gli altri, devono trovare un modo per sopravvivere ai suoi tentacoli. E ad affitti in nero in case microscopiche. Ecco che, allora, un terrazzo può diventare un giardino botanico di piante dal salvare, un vinile l’unica ancora di salvezza nella vita, i gatti, un motivo per uscire di casa e riscoprire una coscienza civile.

Sopravvivere alla città

C’è Anna dai capelli rossi, ma chissà se le piacerebbe essere chiamata così, dato che anche il personaggio più famoso di lei lo odiava. Anna vive una vita sospesa, come tanti trentenni di oggi. Anna ha un mezzo contratto, a pochi soldi, e deve farselo piacere in qualche modo. Per sopravvivere, ruba piante. Sì, è lei la ladra di piante, preferibilmente quelle mezze smorte abbandonate negli androni dei condomini, che lei tenta disperatamente di salvare. C’è Riccardo, giornalista esperto. Lui si che ha un bel lavoro, ma non lo fa più con passione. E’ stanco delle notizie copia-incolla, stanco di direttori che non capiscono niente e seguono logiche di mercato che poco hanno a che fare con la qualità dell’informazione. C’è Lanfranco, un vecchio informatore, che vecchio lo sta diventando sul serio e sente che la memoria inizia a vacillare.

Sono entrata in questo orto, nel mio Getsemani pensile, all’ottavo piano di un palazzo perbene. C’è di tutto, qui. Piante sbilenche, rigogliose, piante con le flebo, piante mezze morte, malconce, c’è un tappeto di Aspidistre, ci sono quelle stronze di acidofile, le camelie e un rododendro che mi fa impazzire, ci sono le gardenie amatissime e piante di cui non so il nome. 

Certe atmosfere

Daniela Amenta conosce bene Roma, i personaggi che la popolano, è stata cronista di nera, e certe atmosfere che l’avvolgono in estate. E’ forse questa la parte più godibile del racconto, quella che mi ha conquistato. Se volete leggere di una Roma non da copertina, ma neanche criminale, che oggi le polarizzazioni vanno tanto di moda, questo romanzo vi offrirà una prospettiva diversa e affascinante, suo malgrado. Se amate le piante, non potrete non riconoscervi nell’opera pia che mette in piedi Anna, ma quale ladra? E, soprattutto, come sto facendo io in questo momento, nel cercare di capire quale parte del seme di avocado vada in acqua. Se vi piace la musica rock, quella senza autotune, troverete spunti interessanti. La storia di Daniela Amenta scorre via con facilità e si legge con piacere. A patto di sorvolare su qualche stereotipo di troppo, il vivaista contadino che assume solo stranieri “perché lavorano di più”, per esempio, la violenza di genere che viene infilata un po’ a forza, e francamente non necessaria e neanche approfondita a dovere, e su un giallo che parte troppo tardi e si risolve troppo presto.

“E secondo te, Valdesi, ci avrebbe fatto schifo qualche altro giorno di suspense…? Ecco, anche io sono d’accordo con il direttore, per una volta: qualche altra pagina di suspense non ci avrebbe fatto schifo.

Un’altra polarizzazione

Rimangono le descrizioni vivide di una città che non è come la squadra, che si ama e basta. Roma, se la ami, la ami e la odi, non c’è spazio per le vie di mezzo. Un’altra polarizzazione, a ben pensarci.

La casa era un ex lavatoio, ma in compenso aveva uno spazio esterno «sublime», come aveva detto la signorina Natalia facendogli firmare una stipula di comodato d’uso gratuito per 18 mesi. Per gratuito s’intendevano 800 iuros in nero, cash. Però il panorama valeva la pena e, in qualche modo, anche la truffa. Da lì prendeva forma la periferia dissennata di Roma che iniziava da Trastevere: una fila di parabole e cemento, treni e mattoni si allungava verso viale Marconi. Oltre s’ergeva, sferica e di salnitro, la torre del Gazometro. Si vedevano le pendici di Garbatella che, a un tratto, perdeva i toni pastello dei tetti per diventare di acciaio all’Eur. Si vedeva la cappa d’afa su Portuense e il verde spento dei platani ad accompagnare il viaggio del Tevere. E in certi giorni speciali la facciata d’oro di San Paolo brillava come una medaglia sul petto di questa città sfacciata. 

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Vorrei che fosse già domani – Massimo Cacciapuoti e Miriam Candurro

Ci sono molti motivi per scegliere un libro. A volte è un titolo, più spesso la trama o l’autore. Qualche volta, per i cultori dell’usato, un appunto all’interno. Quando ho aperto Vorrei che fosse già domani di Massimo Cacciapuoti e Miriam Candurro, ho trovato una sola parola: “Leggimi”. E io ho letto.

Trama 

Al liceo è giorno di manifestazione. Nei corridoi deserti, Paolo cerca agitato tra i suoi post-it quello su cui ha annotato le coordinate per arrivare in classe. Perché da quando, tre anni prima, un brutto incidente gli ha fatto perdere il senso dell’orientamento, la sua vita è diventata un insieme di istruzioni. Ma all’improvviso, il suo sguardo incrocia due profondi occhi verdi. Quelli di Cristina che, dopo settimane di assenza, si è decisa a rientrare a scuola. Il loro incontro dura un attimo, sufficiente a cambiare ogni cosa. A poco a poco, tra bigliettini scambiati di nascosto sotto il banco e pomeriggi passati sui libri, Cristina, mossa da una curiosità che non riesce neanche a spiegarsi, rompe il guscio dentro al quale Paolo si è rinchiuso. Gli fa capire che l’invisibilità non è la soluzione a tutti i problemi. E Paolo, finalmente pronto a lasciarsi andare di nuovo, convince Cristina a non rinunciare alla propria unicità. Ma a un certo punto Paolo deve prendere una delle decisioni più difficili. Perché non c’è legame più forte di quello che si conquista ogni giorno. Un legame che niente può spezzare. Nemmeno un tempo che sembra infinito.

Eminegligenza spaziale

All’inizio del romanzo, Cristina e Paolo sono due adolescenti come tanti, niente di speciale: scuola, sport, uscite con gli amici. A un certo punto, entrambi subiscono un trauma, per motivi diversi, e tutto cambia. In peggio: Paolo non può più uscire da solo. Eminegligenza spaziale, gli diagnosticano. Cioè l’incapacità di orientarsi nello spazio. Cristina viene colpita in modo più subdolo, ma ugualmente terribile. Bulimia nervosa, nessuno gliela diagnostica, ma è quello di cui soffre. E le persone di cui si fidava, sua madre soprattutto, all’improvviso diventano nemiche.

Uno spiraglio di luce

Finché questi due adolescenti fragili, in cerca d’amore, all’improvviso si riconoscono in mezzo a mille. E insieme provano a superare le proprie paure. Dimostrando che, in fondo, per quanti traumi un essere umano possa subire, è sempre l’amore e la fiducia negli altri la chiave per resistere e rimanere a galla.

Mi è piaciuto il tema

La malattia di cui soffre Paolo può capitare a tutti, anche se nel suo caso è permanente e non temporanea. Lo stress, le preoccupazioni, possono farci perdere l’orientamento all’improvviso. E’ quello che dice l’autrice, Miriam Cacciapuoti, la conoscerete forse come una delle protagoniste di Un posto al sole, la fiction di Rai3. Anche quello che succede a Cristina accade più frequentemente di quanto il nostro cervello non sia portato a pensare, molto spesso i traumi seri accadono in famiglia.

Due adulti centenari 

A malincuore, però, devo dire che il romanzo si sfilaccia quando Paolo e Cristina cominciano a frequentarsi. I dialoghi sembrano quelli di due adulti centenari, sempre saggi, calibrati, poco realistici nelle loro dinamiche. Lei che dice “benvenuto in famiglia” a un personaggio appena comparso sulla scena. A sedici anni? Io che leggo e che rimango lì a chiedermi: “e quindi? Tutto risolto con la madre? Così, in un battito di ciglia? E a Paolo non racconta niente?” Paolo, infatti, è ben delineato, di lui sappiamo quasi tutto. Cristina, invece, rimane un mistero. Risolve dentro di sé i problemi, grazie a Paolo?, ma non si confida con nessuno. Perché?

Genitori e scuola non pervenuti 

Come sullo sfondo rimangono, un’altra volta, genitori e scuola. Gli universi che a quell’età dovrebbero accompagnarti. Che pensano i professori di questi due ragazzi? E i compagni di classe? I genitori, invece? Soprattutto i padri, dove sono? Dico un’altra volta perché anche Sofia Viscardi con Succede li aveva lasciati nell’ombra. Anzi, pure lì totalmente assenti. Peccato, insomma. Rimane una storia carina da seguire, ma niente di più.

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Altre storie di adolescenti 

Alla corte dei Gonzaga: 15 luoghi da non perdere a Mantova

Mantova, “Questa è una bellissima città, e degna c’un si mova mille miglia per vederla”. 

“This is a wonderful city, it would be worth traveling a thousand miles to see it”. 

Torquato Tasso, 1586

Mantova, Capitale italiana della cultura 2016, nella lista dei patrimoni dell’umanità dall’UNESCO, regno dei Gonzaga per secoli. Soprattutto, scrigno di tesori da aprire e scoprire con stupore, quasi. Perché non avrei mai pensato di trovare un concentrato di così tanta bellezza in pochi metri quadri. Quello che segue è il giro che ho fatto io, nell’ordine spero razionale che consente di visitare il più possibile anche con poco tempo a disposizione. Sono rimasta tre giorni e questo è quello che sono riuscita a vedere, senza correre, assaporando ogni minuto dell’atmosfera rinascimentale in cui mi sono ritrovata immersa per un attimo.

Cosa fare a Mantova 

Piazza delle Erbe 

E’ il punto da cui ho iniziato il giro della città. Di forma tipicamente rinascimentale, offre subito un bellissimo colpo d’occhio, con la sua forma tipicamente rinascimentale. Piazza delle Erbe è stata a lungo il centro amministrativo e politico della città, sulla quale si affacciano alcune delle sue più importanti architetture: il Palazzo della Ragione, il Palazzo del Podestà, la Rotonda di San Lorenzo e la Torre dell’Orologio.

Il Palazzo della Ragione

Costruito in epoca medievale tra il XI e il XII secolo, venne edificato per concentrare lì ogni funzione civile, amministrativa o  giudiziaria. Purtroppo ho visto poco perché è circondato da impalcature che ne nascondono la facciata e che non si sa quando e se verranno rimosse. Anche questo palazzo, infatti, è stato danneggiato dal terremoto del 2012. Di fronte al palazzo, si teneva, e si tiene ancora oggi, un mercato millenario. Devo dire che, considerando il prestigio della location, fossi l’amministrazione curerei maggiormente qualità e aspetto dei banchi.

La Torre dell’Orologio

Accanto al palazzo, su richiesta del marchese Ludovico III Gonzaga, venne costruita dall’architetto Luca Fancelli la Torre dell’Orologio, sulla quale è ancora ottimamente conservato l’orologio astronomico.  Al tempo, l’orologio era in grado di calcolare non solo ore, posizioni dei pianeti, alba e tramonto, ma anche segni zodiacali e fasi lunari, che in epoca rinascimentale erano di grandissimo interesse ovunque. E pure oggi, direi.

La Rotonda di San Lorenzo

E’ la chiesa più antica di Mantova. Costruita nel XI secolo per volontà di Matilde di Canossa, potente feudataria sostenitrice del Papato, la struttura è un esempio di arte romanica. Probabilmente fu costruita sopra un precedente edificio romano. Di forma circolare, come le sue gemelle, all’esterno è caratterizzata da affreschi in stile romanico-lombardo. Sarà che l’ho visitata nel tardo pomeriggio, ma ha un’aura di mistero fascinosa. Vi consiglio di non perderla.

La casa del Mercante 

Guardando la Rotonda di San Lorenzo, sulla destra noterete una casa dallo stile orientaleggiante. E’ la casa del mercante Boniforte da Concorezzo, che si stabili’ a Mantova nel 1455 e volle così ricordare i suoi viaggi. Sotto il portico, incisi sull’architrave, ci sono gli oggetti che il mercante vendeva nella bottega: cucchiai, coltelli, piatti, bilance, eccetera. Una vetrina ante litteram, insomma.

Il Palazzo del Podestà

Fu costruito dal podestà di Mantova, Laudarengo Martinengo. Il bresciano fu una figura di rilievo per la città: su sua commissione, sulla facciata del palazzo verso piazza Broletto fu allocata la statua di “Virgilio in cattedra”.

Basilica di Sant’Andrea

Alle spalle di Piazza delle Erbe, è stata realizzata su progetto di Leon Battista Alberti. Custodisce nella cripta i Vasi sacri, reliquia del sangue di Cristo, e la cappella funeraria di Andrea Mantegna, l’artefice del Palazzo Ducale.

Piazza Broletto e la Vecia

Anche questa piazza, la naturale prosecuzione di Piazza delle Erbe, è molto caratteristica. Il principale motivo di interesse per me, oltre alla fontana dei delfini al centro, è la facciata del duecentesco Palazzo del Broletto. In una nicchia ad arco acuto, un ignoto artista veronese del XIII secolo ha scolpito una statua che rappresenta “Vergilius Mantuanus Poetarum Clarissimus”. Ovvero il sommo poeta Virgilio, che proprio a Mantova era nato. I mantovani la chiamano affettuosamente “La Vecia”, la Vecchia, o più poeticamente “Vecia Mantua”, la Vecchia Mantova. Proprio alla vecia ogni forestiero doveva rendere omaggio quando entrava per la prima volta in città. E così ho fatto anch’io, ponteggi permettendo.

Palazzo Ducale e il Castello di San Giorgio

E qui siamo arrivati a uno dei Palazzi più importanti di Mantova, se non il più importante. Dietro Piazza Sordello, proseguendo da Piazza Broletto, sorge il Palazzo Ducale.  L’edificio è stato per molti secoli la dimora dei Gonzaga ed è stato progressivamente esteso, tanto che oggi la reggia è la sesta per estensione in Europa, dopo Vaticano, Louvre, Versailles, Caserta e Fontainebleau. Che poi chiamarlo edificio è anche scorretto, perché gli edifici sono diversi, aggiunti via via che aumentavano i membri della famiglia residenti, e tutti collegati da corridoi, gallerie, cortili e giardini. Sarò banale e scontata, lo so, ma la Camera degli Sposi nel Castello di San Giorgio è il motivo principale per cui vi consiglio di andarci. Peccato che la facciano vedere per prima, non so per quale motivo. Fossi il curatore del palazzo, la lascerei come ultima sala da visitare, perché oggettivamente oscura tutte le altre. Si chiama così, però non aspettatevi una camera da letto. Era in realtà una camera di rappresentanza, quella che doveva lasciare a bocca aperta gli ospiti per la magnificenza e l’opulenza degli allestimenti. E se lascia noi a bocca aperta, figuriamoci all’epoca. La stanza, anche detta Camera Picta, è celebre per gli affreschi che ricoprono le pareti, opera di Andrea Mantegna. Il veneziano ha fatto un capolavoro, riuscendo con gli affreschi a celebrare superbamente una famiglia che dalle origini contadine si era elevata fino a diventare una dinastia, riuscendo addirittura a far eleggere uno dei suoi membri, Francesco, cardinale.  Tutto il complesso è secondo me estremamente elegante e ricco, ma non kitsch. Anzi, se fossi un’arredatrice di interni o una orafa mi farei un giretto da queste parti per studiare un gusto intramontabile nei secoli!

Museo Archeologico Nazionale

Uscendo dal Palazzo Ducale, vi suggerisco una capatina al museo archeologico, lì accanto, dove ho trovato un’altra chicca. Nel 2007, nell’area archeologica di Valdaro, sono stati trovati “gli amanti di Mantova”, o anche “gli amanti di Valdaro”. La scoperta eccezionale, risalente al neolitico, di due corpi di un’uomo e una donna abbracciati e insolitamente inumati in un’unica tomba. I due sono stati sepolti di fianco, faccia a faccia, incrociati in un abbraccio che coinvolge anche gli arti inferiori. Be’, vi devo dire che la vista è emozionante. Chissà che storia tragica nascondono i due poveretti.

Mantova - Gli amanti di Valdaro, Museo Archeologico nazionale
Mantova – Gli amanti di Valdaro, Museo Archeologico nazionale
Basilica Palatina di Santa Barbara

Rappresenta il sogno del principe Gugliemo Gonzaga, un luogo in cui dovevano svolgersi celebrazioni religiose della massima solennità. Sembra che l’edificio custodisse alcuni grumi della terra intrisa del sangue del Cristo, il Sacro Graal in pratica. Una chiesa riccamente decorata, che doveva mostrare l’importanza della famiglia. Gonzaga, appassionato musicista, fece costruire al suo interno un organo da Graziadio Antegnati, dotando la chiesa di una cappella musicale di prestigio e di un’acustica eccezionale. Guglielmo si era fatto costruire un palchetto di fronte all’organo, per seguire le messe senza mescolarsi alla folla e ascoltare la musica con più attenzione. Ancora oggi sono visibili i danni del terremoto del 2012, che fece crollare il cupolino del campanile. La chiesa è aperta la domenica, ore 10-18 e gli altri giorni su richiesta

Cattedrale di San Pietro

Principale luogo di culto della città, presenta uno stile romantico e gotico insieme. La ristrutturazione dell’architetto Giulio Romano le ha conferito uno stile simile alla Basilica di San Pietro a Roma.

Palazzo Te

Te, da tiglieto, località di tigli, oppure da tegia, dal latino attegia, capanna. Mantova, infatti, era anticamente circondata da quattro laghi formati dal corso del fiume Mincio, quindi potevano esserci tigli, ma anche capanne di pescatori. Poco distante dall’isola su cui sorse la città si trovava un’altra isola denominata sin dal medioevo Teieto (poi abbreviato in Te) collegata con un ponte alle mura meridionali della città. Tigli o capanne? I mantovani propendono per la prima, a me non dispiace la seconda. Conosciuto come “Palazzo dei lucidi inganni”, l’edificio era circondato da boschi e da un lago, ormai non più esistente, che lo rendevano affascinante e al tempo stesso sospetto. Non a caso è detto anche Palazzo del piacere, perché il padrone di casa Federico II Gonzaga, figlio di Francesco II e Isabella d’Este, qui si intratteneva con la sua amante. Una donna sposata, di cui era follemente innamorato. Una storia che quasi ricorda quella di Carlo e Camilla…d’altra parte, una delle sale non a caso è dedicata a Psiche e Amore. Come recita una scritta alla parete, è un palazzo per il tempo libero e lo svago, per l’onesto ozio del principe, che ritempra le forze nella quiete. E chi non ne vorrebbe uno? 

Palazzo d’Arco

Questo ve lo consiglio per chiudere in bellezza il giro di Mantova. Il Palazzo D’Arco venne iniziato nel 1784 per volere del conte Gherardo D’Arco, che da Trento si trasferì a Mantova per matrimonio. Il Palazzo e’ stato abitato dalla famiglia D’Arco fino agli anni ’70.  Cioè finché l’ultima discendente, la contessa Giovanna, non ha deciso di donarlo in eredità alla città di Mantova. La cosa stupefacente è che il palazzo è come se fosse ancora vissuto. Gli arredi, le stanze, i quadri alle pareti, tutto rimanda ai fasti del tempo che fu. La contessa Giovanna è stata lungimirante, perché se non avesse lasciato testamento, probabilmente il palazzo sarebbe stato smembrato. Invece, guardate nella foto che biblioteca meravigliosa. E il circolo della lettura che si teneva in una stanza appositamente adibita. Sapete come si giudicava il successo di un pomeriggio? Dalle quantità di tazze di tè da lavare. Più tazze venivano usate, più il dibattito era acceso. Da vedere assolutamente. Il prezzo comprende una visita guidata a cura della Fondazione che gestisce il palazzo.

Ulteriori suggerimenti 

Gita in barca sul Mincio

Non avrei potuto trovare di meglio per rilassarmi un po’ dopo aver girato come una trottola per le piazze e i palazzi mantovani. Sul Mincio è nato il poeta Virgilio, del Mincio scrivono anche Dante nella Divina Commedia e Giosuè Carducci. Non a caso, quindi, il Mincio è anche detto “Fiume dei poeti”. L’imbarcadero è nei pressi del Castello di San Giorgio e la gita dura un’ora e mezza. Comprende due dei tre laghi che il Mincio forma all’altezza di Mantova e l’oasi naturale del WWF. Il contesto è semplicemente meraviglioso, con una natura padrona che si prende i suoi spazi e offre il suo spettacolo migliore tra luglio e agosto, quando sul lago Superiore fiorisce il Fiore di Loto nelle sue grandi aiuole galleggianti: foglie verdi anche di un metro di diametro sulle quali nascono grossi fiori bianchi. In realtà, la specie è infestante, perché trapiantata qui artificialmente e quindi richiede periodicamente un grosso lavoro di manutenzione per contenere le radici. Nel lago di Mezzo, invece, domina la castagna d’acqua, i cui frutti si raccolgono nel tardo autunno e si mangiano, dopo averli cotti a lungo. Poi abbiamo incontrato ninfee, felci, salici, popolati di cormorani, aironi cinerini, e chi più ne ha più ne metta. L’opera dell’uomo si vede sporadicamente nelle case sul fiume, che ancora resistono all’abbattimento, e nelle fornaci industriali dell’800, ormai in disuso. Pensate che la Fornace Morselli, che s’incontra nel tragitto, ha fornito il cotto antico del Teatro alla Scala di Milano. La gita costa 9 euro dal lunedì al sabato, 10 euro nei festivi. Anche gli animali possono salire a bordo.

La bancarella dei libri di Piazza delle Erbe 

Dopo essere usciti dalla Rotonda di San Lorenzo o dalla Basilica di Sant’Andrea fermatevi a quella che in città è una vera e propria istituzione. Fino al 1983 è stata gestita da Giovanni Piubello, a quanto mi dicono un personaggio fortemente carismatico. E’ stato scrittore, bancarellaro ed editore di se stesso. Praticamente un self ante litteram, a parte una breve parentesi con Rizzoli. Dal punto di vista privilegiato della bancarella su una delle piazze principali della città, è stato uno straordinario osservatore della vita cittadina nella sua patria d’adozione, ed era amato dai mantovani che trovavano nella bancarella sotto i portici Broletto un dimesso ma profondo uomo di cultura. Di lui, ovviamente alla Bancarella oggi gestita dal suo aiutante, ho acquistato Il primo libro dei bottoni, di cui a breve vi racconterò. 

L’Edicola di via Frattini 4 

Attirata come al solito dalle riviste, nell’edicola ho trovato un altro personaggio cittadino. L’edicolante-filosofo Walter Tojari fa guerra alle fake news. Come? Con la carta, dice. Fermatevi a farci due chiacchiere: vi racconterà che organizza presentazioni di libri e appuntamenti musicali. Oppure fermatevi all’interno ad ammirare le riviste di ogni tipo. Ci sono anche quelle dei femminili anni ’50. perché secondo questo edicolante illuminato “la carta è l’ultimo baluardo contro le innumerevoli bufale che circolano quotidianamente”. 

La biblioteca comunale Teresiana 

La metto qui, da una parte, sola soletta, perché purtroppo l’ho trovata chiusa. Fondata dall’Imperatrice Maria Teresa d’Austria, fu aperta al pubblico il 30 marzo 1780 come Imperial Regia Biblioteca. Dicono che sia molto bella e ancora oggi perfettamente funzionante come biblioteca pubblica.

Gli eventi di Mantova

Il principale, per noi amanti dei libri, è il Festival della Letteratura, che si tiene a settembre. Il 15 agosto, invece, al Santuario delle Grazie di Curtatone (vedi più in basso) circa 150 madonnari si riuniscono sul piazzale del santuario per dare vita a una sfida a colpi di gessetti colorati. Io ci sono passata per caso proprio quel giorno e mi sono divertita a votare i miei preferiti.

Cosa vedere nei dintorni di Mantova 

Sabbioneta 

Sabbioneta è un piccolo comune, con una storia pressoché unica, tanto che è stato inserito nell’elenco dei patrimoni dell’umanità dell’UNESCO. In pratica, è un modello di “città ideale”. In origine un semplice borgo fortificato, fu ricostruito da Vespasiano Gonzaga secondo le proporzioni e l’ideale di armonia simboleggiate nel disegno dell’uomo vitruviano di Leonardo da Vinci. Peccato che poi morto Vespasiano il progetto sia fallito. Per nostra fortuna possiamo ancora ammirarne la pianta, una stella intatta con sei baluardi sulle punte. Alla città ideale si accede da Porta Vittoria, la più antica, e da Porta Imperiale. Da vedere ci sono Il Palazzo Ducale, il Palazzo del Giardino, residenza privata del duca, e il Teatro all’Antica, primo esempio di teatro stabile in Europa. Il teatro rimarrà chiuso fino al 30 settembre 2019, però il biglietto dei due palazzi comprendeva anche la visita della sinagoga.

Solferino 

Ci sono stata di sera, per prendere il fresco come i mantovani, che quando fa molto caldo si spostano in collina. Solferino è un posto che trasuda storia: sulla rocca ebbero luogo gli scontri decisivi della battaglia del giugno 1859: la collina fu aspramente contesa dalle truppe francesi e austriache per la sua posizione strategica. Tanto strategica che la chiamavano “La spia d’Italia”. Se ci andate di giorno, dal tetto potrete ammirare il panorama dall’alto, con la campagna, il Lago di Garda e la torre di San Martino della battaglia. Nella chiesa di San Pietro in Vincoli, invece, sono conservati 1413 teschi e le ossa dei caduti.Il memoriale Nei pressi del parco che circonda la rocca c’è un memoriale che ricorda Henry Dunant, un filantropo svizzero. In cerca di Napoleone per motivi suoi, si ritrova ad aiutare i feriti proprio a Solferino durante le battaglie più cruente. Tornato in Svizzera, pubblica un libro denuncia Un souvenir de Solferino. Da lì nascerà poco dopo la Croce Rossa Internazionale.

Cavriana 

Cavriana è un altro paese collinare, che si trova a poca distanza da Solferino. Ha origini preistoriche e fu abitata dai Romani. Ancora oggi mantiene l’originaria struttura di borgo fortificato dominato dalla torre e fungeva da residenza estiva dei Gonzaga Il castello fu distrutto dagli austriaci alla metà del Settecento e oggi rimangono solo la Torre Medievale e le mura. Una curiosità: durante la Battaglia di Solferino e San Martino del 1859, ospitò nella Villa Siliprandi l’imperatore Francesco Giuseppe alla vigilia dello scontro e l’imperatore vincente Napoleone III la notte successiva.

Curtatone, Santuario delle grazie

Se rimane un po’ di tempo libero prima di ripartire, vi suggerisco una capatina al Santuario delle Grazie di Curtatone. Si trova a circa 8 km dal centro di Mantova, ci arrivate anche in bicicletta o a piedi. Fu costruito tra il 1399 e il 1406 da Francesco I Gonzaga, come voto alla Madonna durante la peste che in quegli anni affliggeva la città. L’interno è spettacolare, anche se da fuori non si direbbe proprio. Nel 1517 frate Francesco da Acquanegra si è inventato un’impalcata lignea che riveste la parte mediana delle pareti con nicchie che ospitano statue in cartapesta, cera e legno, e altri numerosi ex voto. Al centro della chiesa, pende dal soffitto un coccodrillo impagliato. Leggenda vuole che questo edificio sia stato costruito per volere del popolo, che desiderava ringraziare la Madonna di averlo liberato da un coccodrillo divoratore di uomini che infestava le paludi manovane. Nei secoli il santuario è stato arricchito negli arredi e nelle decorazioni, perché a ogni “miracolo” venivano aggiunti ex voto. C’è il condannato a morte che si è salvato perché si è rotta la corda, pardon, la Madonna ha tagliato la corda;  un guerriero vicino al suo cannone che si è salvato dalla morte; il condannato a essere buttato in un pozzo, poi graziato, eccetera. Pensate, solo nel corso di un restauro recente ci si è accorti che le stoffe dei manichini sono vere e non di cartapesta o altro materiale. Il santuario custodiva anche il più importante nucleo di armature italiane, databili tra i secoli XV e XVI, scoperte negli anni ’20 e oggi conservate nel Museo Diocesano di Mantova.

Cosa mangiare a Mantova

C’è l’imbarazzo della scelta. Io ho provato i tortelli di zucca, speciali perché nel ripieno c’è l’amaretto; il salame mantovano e la pancetta, accompagnati dallo gnocco fritto; i capunsei, un primo speciale pur essendo semplicissimo pangrattato in brodo (questo ve lo farò presto); il panino col cotechino come street food, che però sarò stata sfortunata ma non mi è piaciuto granché; sui dolci mi sono dedicata un bel tris: torta Elvezia, Sbrisolona e Torta delle Rose, accompagnate da un bel Lambrusco mantovano frizzante. Altre specialità del posto sono i bigoli o polenta con luccio, gli agnolini di pasta all’uovo, il risotto alla pilota con salamella di maiale o quello col puntèl con salamella, costine o braciola di maiale, lo stracotto d’asino, il luccio in salsa verde, la peperonata. Come dolci, oltre a quelli che ho provato, ci sono la torta di tagliatelle, fatta con le tagliatelle avanzate, l’Anello di Monaco, dolce natalizio simile panettone con un buco al centro, lo zabaione, la torta greca e la bignolata, torta fatta con bignè allo zabaione, cioccolato e panna. 

Come arrivare a Mantova

Treno: Mantova è raggiungibile da Verona, Modena e Milano. La stazione dista pochi minuti a piedi dal centro storico.

Aereo: l’aeroporto più vicino è quello di Verona. Altri aeroporti: Montichiari, Parma, Bologna e Orio al Serio.

Autobus: Flixbus, check point Strada Cipata

Auto:  autostrada A22 Modena-Brennero, A4 Milano – Venezia, uscite di Desenzano, Sirmione, Peschiera e Verona Sud, Autostrada del Sole A1, uscite di Parma Est e Reggio Emilia.

Camper (area sosta): Area Sparafucile – Via Legnago 1/A e Località Grazie di Curtatone – Parco Paganini via Fiera, 11.

Bicicletta: Ciclopista del Sole (Eurovelo 7) e la Ciclovia Tirrenica (Bicitalia 16).

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A neve ferma – Stefania Bertola

Mi sono accorta che tendo a scegliere Stefania Bertola dopo una lettura impegnativa. A La donna giusta di Sándor Máraiavevo associato Aspirapolvere di stelle. Stavolta, a La cena di Herman Koch ho fatto seguire A neve ferma. E sì, perché dopo una lettura disturbante, un po’ di rilassamento ci vuole e la scrittrice torinese in questo è l’ideale.

Trama

Emma, aiutante pasticcera, perde l’amore della sua vita tre giorni dopo averlo trovato. Elena lo sta cercando da trent’anni. Camelia, invece, si innamora continuamente, di chiunque. Bianca è impegnata in una battaglia contro un giovane dottore, più volte ladro. Il tutto gravita, fra ricette paradisiache, intorno alla pasticceria Delacroix di Torino

Bakeoff in salsa torinese 

Stefania Bertola si muove nel solco cui ci ha abituato: un gruppo nutrito di personaggi, una storia surreale ma tutto sommato credibile, dinamiche scoppiettanti tra i protagonisti. Tanto che il tempo di lettura difficilmente supera i due giorni, perché una pagina tira l’altra, come le ciliegie. In questo romanzo, rispetto ai precedenti, ho trovato il panorama un po’ affollato, tanto che all’inizio ho fatto fatica a inquadrare le caratteristiche di ognuno. La storia prende garbatamente in giro i vari concorsi, reality, chef stellati e chi più ne ha più ne metta sulla cucina, che imperversano in televisione a tutte le ore e in tutti i palinsesti. Senza però scadere nell’eccesso di critica. In fondo, anche il patron della pasticceria Delacroix è un buono, nonostante sia presentato nelle prime pagine come un vero cerbero.

Nessuno sembra porsi domande

Forse, questo “buonismo” alla lunga finisce per rendere la storia più fantasiosa di quanto richiesto. Per esempio, Emma viene scelta tra tutti gli aiutanti per rappresentare la pasticceria in un concorso internazionale importantissimo, anche per la soppravvivenza della pasticceria stessa. Nessuno reagisce più di tanto. E mai possibile che in un posto di lavoro qualsiasi (pensate per un attimo al vostro) nessuno protesti o si ammali d’invidia per questa scelta? No, ve lo dico io. Eppure,  Zhang e Zlatan, gli altri due papabili, rimangono pacifici e amiconi. Oppure ancora, quando Camelia, una ragazza sempliciotta che neanche lavora lì, scavalca Emma e viene incaricata di rappresentare la pasticceria al concorso, nessuno si chiede perché. Che relazione ci sarà tra Corrado Delacroix e Camelia, a parte il fatto che lei sia la nipote della storica amante di lui, il capo degli aiutanti signora Elena? Nessuno sembra porsi la domanda.

Personaggi stereotipati 

Altro elemento sempre ricorrente nei suoi romanzi, il carattere volutamente stereotipato dei personaggi: c’è sempre la coppietta giovanissima e ignorante che fa tenerezza, qui Tinco e Valentina, la svampita molto creativa e destinata a grandi successi professionali, Bianca, la protagonista che sa il fatto suo e non deve dimostrare niente a nessuno, Emma. Gli uomini sono sempre di successo e anche carini, anche con le donne, il che non guasta. Solo che sembrano tutti a una sola dimensione, tratteggiati nella loro caratteristica principale e non di più.

Meringa e zucchero

La vera forza di Stefania Bertola, allora, a parte la bravura nello scrivere, sta tutta nella capacità di farti immergere per un attimo nel suo mondo di meringa e zucchero. Che puo goderti solo se sei capace di sbattere le chiare a neve ferma. Appunto.

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Me, mum & mystery 2 – Caccia all’uomo scomparso – Lucia Vaccarino

Con Caccia all’uomo scomparso, prosegue la serie Me, mum & mystery, Detective per caso, di Lucia Vaccarino. Ricordate? Avevo inserito il primo volume nei consigli per la calza della Befana. E’ piaciuto molto a chi l’ha ricevuto in regalo e allora proseguiamo con le altre uscite. Nella seconda storia, addirittura c’è un omicidio. O no?

Trama

Emily e sua madre Linda hanno abbandonato la frenetica vita londinese per Blossom Creek, un placido paesino del Kent. Il vecchio cottage ereditato dal bizzarro zio Orville è anche la sede di un’agenzia di investigazioni, che un po’ per caso, un po’ per gioco Emily e Linda hanno rimesso in attività. In un tranquillo mattino estivo, Fred Molloy, ex archivista comunale, arriva in paese trafelato. Ha perso la voce per lo spavento, e racconta a gesti quello che ha visto al campo da golf di Fairfield Cove: un uomo giace riverso sul green della buca 18! Emily e il suo amico Jamie si precipitano al campo per indagare, ma quando arrivano del corpo non c’è traccia. Trovano però un oggetto misterioso: una piccola chiave d’acciaio con incisi il numero 144 e le iniziali B.S.B. A chi appartiene quella chiave? E che ne è stato dell’uomo visto da Fred?

Che fa l’ispettore? 

Confermo quanto detto sul primo volume della serie. La storia si segue con piacere, anche se chiaramente è pensata per un pubblico di bambini. Quindi penso che anche questa piacerà alla destinataria. E’ scritta bene, il linguaggio è adatto ai bambini senza essere eccessivamente semplice e le due protagoniste sono di una dolcezza unica. Ci sono anche delle illustrazioni molto curate, il che impreziosisce il racconto. L’unica pecca, a parer mio,  è che questa seconda storia mi è sembrata leggermente meno avvincente della prima. La situazione è più ingarbugliata, e all’inizio abbastanza confusa, mentre i personaggi rimangono tutti un po’ (troppo) in disparte. L’ispettore, per esempio, quali indagini compie? E nell’ultima scena, dov’è Percy? Anche in questo caso, tuttavia, il colpo di scena finale non manca. Quindi, promosso e avanti con il terzo! 

E se ti viene fame mentre aspetti la terza recensione, puoi prepararti un bel dolcetto con la ricetta dei Muffin di Linda

Me, mum & mystery – La prima storia

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