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Jane Eyre – Charlotte Brontë

Anche se è difficile sceglierlo, e qualche volta persino ammetterlo, tutti noi lettori abbiamo un libro preferito. Quello che supera tutti gli altri per emozioni che suscita in noi, per intensità della storia, brama di girare pagina, ansia e paura di arrivare alla parola FINE. Magari dopo aver fatto le ore piccole pur di sapere come va a finire. Ditemi che anche voi conoscete bene queste sensazioni, che solo il libro del cuore può dare. Ecco, senza se e senza ma, dichiaro qui ufficialmente che il romanzo del mio cuore è nato dalla penna di  Charlotte Brontë: Jane Eyre, signore e signori, è il libro del mio cuore e anche, ma solo incidentalmente, un capolavoro.

Trama 

In una sera nebbiosa, lungo strade impastate di fango, Jane Eyre arriva a Thornfield Hall. Diciotto anni, orfana, Jane è stata allevata da una zia tutt’altro che amorevole e poi mandata in un istituto di carità, Lowood. Qui Jane rimane prima come allieva, poi come maestra, soffrendo la fame e di scarse condizioni igieniche. Il suo carattere forte e indipendente, lo stesso che le ha fatto guadagnare la fama di ragazzina ribelle durante l’infanzia, la spinge un giorno a lasciare le pareti opprimenti di Lowood per cercare lavoro come bambinaia. A Thornfield Hall, Jane deve occuparsi della piccola Adele, la protetta di Mr Rochester. Jane conosce una tranquillità mai goduta prima. Ma soprattutto conosce l’amore di Mr Rochester. Un amore travolgente, sensuale e inevitabile. Presto però i sogni di Jane si rivelano impossibili, destinati a essere soffocati dal passato oscuro di Rochester, quel passato che riecheggia minaccioso… 

Le donne forti di Charlotte 

Durante un esame, mi hanno chiesto di mettere a confronto lo stile di Charlotte Brontë con quello di Jane Austen. Cosa che credo di aver fatto bene, perché l’esaminatore, alla fine, mi ha chiesto rilassato quale preferissi delle due e perché. Ammetto di aver scelto Charlotte, per un motivo semplice. Amo le sue eroine forti, indipendenti, quantomeno originali. Adoro i suoi ragionamenti fuori dagli schemi dell’epoca. Mi appassionano le atmosfere gotiche, cupe, dei suoi romanzi. In Jane Eyre questi aspetti si mescolano alla perfezione, regalandoci dopo quasi 200 anni ancora le stesse emozioni forti. Le ambientazioni, poi, sono magnifiche: forse ispirate dall’origine materna, la Cornovaglia, che le sorelle Brontë conoscevano bene.

Jane 

Jane è una tipa tosta. Lo capiamo subito. La malvagia zia la rinchiude nella stanza rossa, dove anche gli adulti hanno paura a entrare. Eppure lei, una bimba, non esce fuori di testa, anzi. Ottiene il suo scopo, andare via da quella casa. Per finire in un posto peggiore, l’istituto caritatevole di Lowood, dove di caritatevole c’è solo la morte dei bambini più deboli, che mette fine ad atroci sofferenze. Jane perde la sua migliore amica Helen, una ragazzina un po’ più grande di lei e malaticcia. Questo è uno dei passaggi più drammatici del romanzo, che mi resterà impresso per sempre. Jane sa che Helen è malata, sa che è contagiosa, eppure non esita un istante a rimanere con lei negli ultimi istanti di vita. Mi spunta la lacrimuccia anche ora mentre scrivo, è più forte di me. Il carattere di Jane è questo: forte, eppure capace di grande generosità e altruismo. Gli anni passano e la ragazza, ormai donna fatta, raggiunge un altro obiettivo: andar via da Lowood, quel luogo di miserie. E qui, incontra l’uomo che le cambierà per sempre l’esistenza.

Mr Rochester 

Mr Rochester è il Lui per definizione, però attenzione. Non è bello, non è giovane. No, a Charlotte certe banalità non piacciono. E’ ricco, magnetico, scontroso, sofferente. Un uomo che ha tutto e non ha niente. E che per un errore di gioventù pensa di dover pagare tutta la vita. Quando incontra Jane, tuttavia, quest’uomo tutto d’un pezzo vacilla. Eppure, il suo destino è di pagare a caro prezzo gli sbagli.

I buoni e i cattivi

Il resto dei personaggi è più tondo. O sono malvagi senza redenzione, o con riscatto troppo tardivo, o sono anime pure, come la dolcissima signora Fairfax, la farfalla Adele o i cugini buoni. Un’impostazione che funziona sempre e che dà ancora più risalto ai tormenti dei due protagonisti.

Insomma, non la faccio ancora più lunga. Se siete dalla parte dei cattivi e non l’avete ancora letto, redimetevi finché siete ancora in tempo e leggetelo subito. Se siete buoni e senza speranza come me, riprendetelo in mano per l’ennesima volta.

E scrivetemi nei commenti: siete buoni o cattivi? 🙂

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Aprile è il più crudele dei mesi – Derek Raymond

Sarà vero che aprile è il più crudele dei mesi? T. S. Eliot pensava di sì, ed evidentemente è d’accordo anche il titolista italiano del romanzo di Derek Raymond di cui vi parlo oggi. Considerato il padre del noir inglese, Raymond non esita a scandagliare i bassifondi dell’animo umano. Luoghi inaccessibili, dove non c’è più spazio per la pietà e l’unico imperativo è sopravvivere.

Trama 

In un magazzino sulle rive del Tamigi viene rinvenuto il cadavere orrendamente mutilato di un uomo. La scena del crimine fa pensare a un’esecuzione, il lavoro di un professionista. Il quale, chissà perché, ha deciso di lasciare dietro di sé una macabra traccia. L’indagine è affidata alla squadra della sezione Delitti irrisolti e al sergente che la guida, un uomo duro e disilluso ma che conosce il senso più profondo del proprio mestiere. In una Londra grigia, il sergente e i suoi uomini si ritrovano invischiati in una partita sottile e pericolosa, in cui il killer gioca con chi gli dà la caccia come il gatto con il topo, protetto dalla propria inafferrabilità e dagli ambienti corrotti all’interno delle alte cariche della polizia e del governo. Un lavoro sporco, rischioso, perché scoprire l’autore del delitto questa volta significa scoperchiare un vaso di Pandora di crimini e impunità. 

Crudo

Crudo. E’ il primo aggettivo che mi viene in mente per descrivere questo romanzo. Tanto che una signora seduta vicino a me in autobus mi ha guardato inorridita dopo aver sbirciato una pagina. Niente di così scandaloso, intendiamoci, ho letto di peggio. E’ solo che, poveretta, le è capitato uno dei passaggi più “diretti”. Ma torniamo al romanzo. Come in ogni noir che si rispetti, l’ambientazione è cupa, torbida, squallida. Tanto che l’indagine sul crimine, che all’inizio sembra banale, viene affidata sezione Delitti irrisolti, che a sua volta l’affida al suo uomo peggiore. O migliore, dipende dai punti di vista. Il mistero è presto svelato: sappiamo fin dall’inizio chi sia stato, il ragionamento del detective è semplice e lineare. Il problema è capire perché e trovare le prove.

Spy story

Dopo una prima parte scoppiettante, il ritmo tende un po’ a calare nella parte centrale. Il protagonista, di cui non sappiamo nome e cognome, diventa quasi caricaturale. Ok, è il più bravo di tutti e per questo considerato meno di zero. D’accordo, si è fatto sulla strada e usa un linguaggio da scaricatore di porto perché così riesce a entrare in sintonia con i suoi “clienti”, i delinquenti comuni che gli affibbiano. Poveretto, ha un passato tragico, che l’ha reso dipendente dal lavoro e dalla voglia di aiutare il prossimo. A volte, però, la ripetizione di questi elementi rischia di annoiare. Tra l’altro, improvvisamente Derek Raymond fa virare il crime in una spy story, che richiede un certo sforzo per essere seguita.

Le relazioni tra i personaggi il vero punto di forza

La storia, comunque, è avvincente e costruita benissimo. Il parallelo con fatti realmente accaduti, vedi i recenti avvenimenti di Salisbury, la rende più che credibile. L’ironia che attraversa l’intera narrazione non solo alleggerisce i passaggi più cruenti, ma riesce a divertire pure nei momenti meno opportuni. Il finale, da questo punto di vista, è da maestro. La parte che ho apprezzato di più è quella delle relazioni interpersonali tra i personaggi. I battibecchi con il capo, odiato come qualsiasi capo sulla faccia della terra, fanno molto ridere. Chi di noi non ha sognato di potersi rivolgere così a un suo superiore? Il quale superiore è il contraltare del nostro protagonista: si odiano e non lo nascondono, ma insieme sono complementari e si migliorano l’uno con l’altro. Una coppia perfetta. Come perfetta è la coppia che forma con l’assassino. Ed è qui che la penna di Derek Raymond si supera. La capacità di comprendere l’animo umano gli fa provare repulsione, certo, ma nello stesso tempo lo mette in grado di entrare nella mente dello psicopatico e di stabilire con lui, se non una relazione, almeno una connessione. Ecco che, quindi, il serial killer, apparentemente incapace di provare emozioni, si apre col nostro e gli mostra una finestra sul suo sentire più profondo. Derek Raymond promosso. Se non a pieni voti, è certamente una lettura che consiglio agli appassionati del genere.

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Il caso Jane Eyre – Jason Fforde

Ironizzare su uno dei grandi classici della letteratura inglese si può? Sì, si può e forse si deve, soprattutto se il risultato è un romanzo come Il caso Jane Eyre. Jason FForde si prende bonariamente gioco dei lettori appassionati di Jane Eyre e della sua scrittrice, Charlotte Brontë con un guazzabuglio pieno di ironia e storie parallele in cui alla fine ci interessa solo una cosa: Jane e Mr Rochester avranno il loro finale?

Trama 

È un 1985 diverso, in un mondo dove i libri sono il bene più prezioso. E i confini tra realtà e fantasia sono più morbidi del consueto. Mycroft, vecchio inventore, escogita un sistema per entrare di persona in romanzi e poesie. Acheron Hades, criminale diabolico, se ne appropria e rapisce “Jane Eyre” dal manoscritto originale di Charlotte Brontë: a indagare arriva Thursday Next, Detective Letteraria. Reduce dalla guerra di Crimea (che imperversa da centotrent’anni), ha in sospeso un amore. Le indagini la riportano a Swindon, sua città natale; sbarcata da un dirigibile di linea, salta in groppa a una fuoriserie decappottabile dai mille colori. Riuscirà a salvare Jane Eyre e a rimettere in sesto la sua vita?

Quest’uomo è geniale 

Confesso che dopo aver letto I misteri di Chalk Hill di Susanne Goga ero un po’ titubante all’idea di affrontare un nuovo romanzo che si ispirasse alla mia amatissima Jane Eyre. Invece, mi sono divertita molto a leggerlo, in alcuni passaggi quasi con le lacrime agli occhi. L’idea è fantastica, tanto che a più riprese ho pensato “quest’uomo è geniale”, seguito da “perché non ci ho pensato io”? Chi di noi amanti dei libri, infatti, non sogna un mondo dove la letteratura sia una cosa importante? Magari non ai livelli fantascientifici immaginati da Jason FForde, ma insomma, un po’ più di considerazione ci piacerebbe, giusto? Una protagonista che si chiama Giovedì prossimo, poi, è tutto un programma. Anzi, un Cronoprogramma, magari pianificato dalla CronoGuardia di cui fa parte il padre di Thursday, libero di fare avanti e indietro nel tempo, a fare che non l’ho ancora capito, e di passare ogni tanto a trovare la figlia facendo fermare il tempo e l’azione. Considerando che lo scrittore è soprattutto uno sceneggiatore, manca solo lo stop alla fine della scena. I personaggi sono tutti azzeccati e uno più strambo dell’altro. Vincono la palma gli anziani zii, Mycroft l’inventore e lei, Polly, suo malgrado sperimentatrice delle sue invenzioni. Poi, c’è il paziente Landen Park-Laine, l’ex fidanzato che a dispetto di quanto afferma non ha mai dimenticato la sua Thursday e colleghi quantomeno curiosi, come Victor Analogy.

Jason, dov’è Jane Eyre?

Insomma, un mondo a dir poco variopinto, dove tutti sembrano strambi e dove c’è sempre tanta confusione. Talmente tanta che, se devo rintracciare un difetto nel libro, è proprio quello di aver lasciato un po’ in disparte la protagonista del titolo. Jane Eyre è un’eroina dura e pura: che fine le ha fatto fare Jason Fforde? Rimane sempre in disparte e silenziosa: ma perché, Jason? Avresti potuto utilizzarla di più e farla emergere. E’ o non è un’eroina? Comunque, a parte questa notazione, consiglio Il caso Jane Eyre a tutti gli amanti della lettura e della letteratura che abbiano voglia di sorridere un po’ della loro passione.

Passaggi 

Non era la prima volta che il manoscritto di Martin Chuzzlewit veniva trafugato. Due anni prima era stato trafugato dalla sua teca da un guardiano che voleva solo leggere il libro nella forma originale e immacolata. Schiacciato dai sensi di colpa e dalla difficoltà di decifrare la calligrafia di Dickens al di là della terza pagina, finì per confessare e il manoscritto fu recuperato.

Non era come l’avevo immaginata. Pensavo che Thornfield Hall fosse più grande e arredata con maggiore sfarzo. C’era un forte odore di cera e al primo piano si gelava. La casa era ben poco illuminata e i corridoi si perdevano in un buio nero come l’inchiostro. Era austera e poco accogliente. Notai tutto questo, ma soprattutto notai il silenzio; il silenzio di un mondo senza macchine volanti, traffico e grandi città. L’era industriale era appena agli inizi; il pianeta aveva raggiunto la sua data di scadenza. 

I misteri di Chalk Hill – Susanne Goga

Ho appena finito I misteri di Chalk Hill, di Susanne Goga. L’autrice tedesca dichiara di essersi liberamente ispirata a Charlotte Brontë e alla sua magnifica Jane Eyre. Diciamo che se fossi Woody Allen le direi scherzosamente “provaci ancora Sam!”. Il mistero, infatti, invece di infittirsi si dirada troppo, troppo presto…

Trama

È il 1890 e Charlotte, giovane istitutrice berlinese, abbandona tutto per raggiungere l’Inghilterra, decisa a rifarsi una vita dopo una terribile delusione d’amore. Giunta nella splendida tenuta di Chalk Hill, sulle verdi colline del Surrey, dovrà occuparsi della piccola Emily, l’incantevole figlia dell’altezzoso sir Andrew. Tra Charlotte e la bambina nasce subito un forte affetto, turbato però da un evento tragico che continua a tormentarla. Da quando la madre è morta in circostanze misteriose, Emily è convinta di vederne lo spettro, soffre di sonnambulismo e prova un inspiegabile terrore alla vista del fiume che scorre accanto alla villa. Charlotte tenta di indagare, ma nessuno dei domestici osa rompere il silenzio imposto dal vedovo sulla morte di lady Ellen. Solo con l’aiuto dell’affascinante giornalista Thomas Ashdown, chiamato a investigare sulle strane apparizioni che avvengono nella casa, Charlotte riuscirà a far luce su un segreto sconvolgente, nascosto tra le antiche mura di Chalk Hill. E forse, a poco a poco, imparerà di nuovo a credere nell’amore…

Jane Eyre?

Nella postfazione Susanne Goga avverte di essersi ispirata a Jane Eyre, romanzo di cui lei è stata traduttrice in tedesco. Più che ispirata, io direi soggiogata. Ha tentato di ricreare le stesse atmosfere, la protagonista è un’istitutrice, c’è una figura materna ingombrante e assente, ci sono fenomeni paranormali, o che appaiono tali. C’è anche l’aggressione di uno dei personaggi, pensa un po’. Il problema è che Susanne Goga sarebbe dovuta andare leggermente più avanti di così, o forse limitare le similitudini con il capolavoro di Charlotte Brontë per non farle apparire quasi come una mera operazione di marketing.

Meno appassionante di quanto avrebbe potuto 

Sicuramente il suo è un interesse sincero, non lo metto in dubbio. Addirittura la protagonista si chiama Charlotte! Solo che il giallo si risolve praticamente a metà libro, dove è già tutto chiaro. A quel punto, pensi e speri che ci sia un colpo di scena finale che ribalterà tutto quello in cui l’autrice ti ha voluto far credere. Invece no, sappiatelo. Tutto è esattamente come appare. Purtroppo, oltre a questi aspetti, ci sono altre manchevolezze che lo rendono meno appassionante di quanto avrebbe potuto essere: un linguaggio troppo moderno per l’epoca, personaggi molto poco complessi, o almeno non quanto il dramma avrebbe richiesto, un finale frettoloso e tirato via. Soprattutto la parte soprannaturale viene esplorata poco, così come la vita precedente dei due protagonisti e dei padroni di casa. Ho trovato il tutto, nel complesso, un po’ piatto. Salvo solo le atmosfere della campagna inglese, quelle sì che rendono. Per un attimo, ho immaginato di essere di nuovo in Gran Bretagna a sorseggiare tè con gli scones. Ah, che meraviglia!

p.s. da grande appassionata di teatro, non posso non segnalare un errore storico. A un certo punto, Tom Ashdown, che di lavoro fa il critico di spettacoli, dichiara che l’ultimo spettacolo visto al Royalty Theatre è Thérèsa Raquin, di Émile Zola. Il che è impossibile, perché l’opera non fu rappresentata a Londra fino al 1891, pur essendo stata adattata dal romanzo nel 1973. Mancavano le licenze quando Tom parla, nel 1890, cioè l’anno precedente alla messa in scena. 

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Persuasione, l’ultimo romanzo di Jane Austen

Persuasione è l’ultimo romanzo di Jane Austen, scritto prima che l’autrice scomparisse prematuramente per una malattia all’epoca incurabile e dato postumo alle stampe. Brillante, vivace, romantico, è forse il meno conosciuto tra i suoi libri, ma è anche forse quello della sua maturità come scrittrice (e, forse, come donna).

Trama

Anne Elliot è la secondogenita di Sir Walter Elliot. La madre di Anne è morta da tempo e la sorella maggiore Elizabeth ne ha preso il posto nella gestione della casa e nei rapporti con il vicinato; la sorella minore Mary ha sposato Charles Musgrove, figlio di un rispettato e ricco proprietario terriero, che anni prima aveva corteggiato Anne la quale, però, lo aveva rifiutato. Inoltre, otto anni prima Anne era stata persuasa da Lady Russell, la migliore amica di sua madre, a rompere il fidanzamento con il Capitano Frederick Wentworth, che lei amava profondamente, e da cui era ricambiata. Anne e il Capitano Wentworth si rincontrano nuovamente a Bath otto anni dopo la rottura del loro fidanzamento e Anne, amaramente pentitasi del passo compiuto a suo tempo, decide di giocarsi ogni possibilità, diventando così sempre più consapevole dei propri desideri…

Anne, una donna moderna 

Chissà se zia Jane avrebbe approvato il titolo dato al suo ultimo romanzo. Persuasione. Secondo me no, sarebbe stato più azzeccato il primo titolo scelto, Gli Elliot. Forse un po’ meno evocativo, ma sicuramente più vicino al mondo che Jane Austen conosceva e amava raccontare. Anche in Persuasione l’ironia e la leggerezza si posano come farfalle sulla vicenda narrata. Un innamorato respinto perché povero che torna quando è diventato ricco. Una ragazza che è diventata donna e che dovrebbe, e vorrebbe, riprendersi quello che è suo e che però suo malgrado è schiava delle condizioni sociali. Una famiglia gretta, che la tratta come un’appestata solo perché a 27 anni non è ancora sposata. Insomma, una donna moderna in una società di retrogradi. Diciamo che ancora oggi, girando lo sguardo per strada, è possibile trovare gli stessi personaggi, solo vestiti in modo diverso.

Il romanzo della maturità

Forse perché è l’ultimo suo romanzo, Persuasione ha avuto meno fortuna di quello che è considerato il capolavoro di Jane Austen, Orgoglio e pregiudizio. Eppure, personalmente tra Mr. Darcy e il Capitano Wentworth sceglierei il secondo. Anche Anne è forse l’eroina che incarna maggiormente il riscatto di una donna libera, nel pensiero e nelle azioni. Sembra quasi una Catherine di Northanger Abbey ormai cresciuta. Non a caso anche Persuasione è ambientato a Bath…Insomma, una lettura imperdibile per tutti gli amanti di zia Jane e dei romanzi regency.

 E voi? Qual è il vostro romanzo preferito di Jane Austen? Scrivetelo nei commenti! 

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