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Non dirmi che hai paura – Giuseppe Catozzella

“Ci siamo ritrovati, sperduti e affamati.
No, ci siamo ritrovati.
Ero libera.
Come l’aria, libera come le onde del mare”.

Trama

Giuseppe Catozzella ci racconta la storia, che per certi versi ha dell’incredibile, di Saamiya Yusuf Omar. Samia è una ragazzina somala che vive a Mogadiscio e ama correre. Il suo sogno, e quello di Alì il suo amico del cuore e primo allenatore, è vincere le olimpiadi. Mentre la Somalia è sconvolta dall’irrigidimento politico e religioso, Samia si allena di notte e, a soli diciassette anni, il suo sogno si avvera: Pechino 2008. Arriva ultima, ma diventa un simbolo per le donne musulmane in tutto il mondo. Lei, però, vuole vincere. Decide di intraprende il Viaggio di ottomila chilometri, l’odissea dei migranti dall’Etiopia al Sudan e, attraverso il Sahara, alla Libia, per arrivare via mare in Italia. Chi riesce a sopravvivere ha già vinto la sua Olimpiade.

Una donna non può correre

Samia è nata per correre, ed è quello che fa, con la foto di Mo Farah appesa in camera. Corre allenata da Alì, il suo Aboowe “fratello”. Sedici anni in due, lui la cronometra, le fa scudo quando qualcuno la importuna perché “una donna non può correre”, l’accompagna alle gare. Samia ha un solo obiettivo: rappresentare la Somalia alle Olimpiadi. Ed ecco che il sogno si avvera: Pechino 2008, Samia è sul blocco di partenza, senza una divisa, senza quasi aver mangiato, senza allenatore. Arriva ultima Samia, non può essere altrimenti, ma tutti vogliono intervistarla e lei una dichiarazione la rilascia: “Avrei preferito essere intervistata per essere arrivata prima, invece che ultima. La prossima volta farò del mio meglio per non arrivare ultima.” Sembrano i sogni di una bambina, però lei ci crede. Andrò a Londra, sarò accanto al mio idolo, Mo Farah. Lui ce l’ha fatta, ce la farò anch’io. Solo che per farcela deve affrontare Il Viaggio. Deve attraversare il Mediterraneo e arrivare a Lampedusa. Deve affidarsi ai trafficanti di esseri umani. Deve pensare solo a rimanere viva. Deve imparare a nuotare, Samia.

Una lettura emozionante, triste, crudele.

La televisione ci offre l‘immagine sfavillante dello sport, le masse muscolari, i record, le polemiche, gli sponsor, i gettoni per ogni vittoria.
Samia ci ricorda che c’è anche un altro sport, fatto di bambini in guerra che non hanno nulla da mangiare e che possono contare solo sulle loro gambe per salvarsi, e che quasi sempre non ci riescono.
Grazie Samia, mi hai regalato una lezione di vita.

Sempre sull’emigrazione: Scontro di civiltà per un ascensore a piazza Vittorio – Amara Lakhous