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La metà di niente – Catherine Dunne

Un giorno Ben entra in cucina. Sta cercando Rose, che è occupata a bollire le uova.

«Rose.»

Ultimamente non l’ha quasi mai chiamata per nome, perciò lei alza lo sguardo sorpresa.

«Dobbiamo parlare.»

Il mondo crolla, anni e anni precipitano turbinando, vite vengono distrutte. Adesso Rose sa che tutte le venture sono state annunciate da quella frase. Dobbiamo parlare.

«Devo andar via per un po’. Penso che abbiamo bisogno di stare ognuno per conto proprio, solo per un periodo. Mi dispiace farlo così, ma è che non sono felice.»

Rose fissa le uova.

Trama

Rose e Ben sono una coppia come tante. Dublinesi, sui 40 anni, sposati da vent’anni, tre figli, casalinga lei e imprenditore lui. Annoiati, con giorni che si susseguono sempre uguali. Ma questo non è un giorno come gli altri, perché Ben ha deciso di lasciare la famiglia per un’altra donna. Rose si ritrova di punto in bianco a dover fare fronte all’emergenza economica immediata, a doversi improvvisare capofamiglia, a inventarsi un mestiere e un nuovo equilibrio familiare. Grazie al sostegno delle persone che le sono vicine e a risorse che non sapeva neanche di avere, riesce a riprendere in mano le fila della routine domestica e a ritrovare una parvenza di felicità.

L’esordio di Catherine Dunne

In questo romanzo d’esordio, la scrittrice irlandese Catherine Dunne alterna la cronaca dei fatti che stanno accadendo nel 1995, anno in cui Ben decide di voler tornare a essere felice, alla ricostruzione della storia che li ha portati da giovani fidanzati ai drammatici eventi di oggi.

“Non era più la metà di una rispettabile, solida coppia borghese. Era la metà di niente.”

Questa frase, secondo me, racchiude l’essenza del libro. Rose e Ben anelano entrambi al riconoscimento sociale, a costruire un nucleo che li faccia sentire accettati, dove ognuno si comporta con giudizio e secondo quanto gli viene richiesto, senza chiedersi mai se è questo ciò che davvero vuole. Quando Ben annuncia alla moglie di aver deciso di andarsene, non sta infliggendo un duro colpo a una moglie innamorata, no, ma a una donna che ha fatto dell’apparenza e della convenienza il suo stile di vita. La sua prima reazione, infatti, non è di disperazione per l’abbandono, ma d’incredulità, perché queste sono cose che succedono agli altri, non a lei.

Ma chi sono gli altri?

Sono quelli che accompagnano i figli a scuola, che fanno spesa al supermercato, che puliscono casa ogni giorno, che aspettano la ciurma la sera con un piatto fumante in tavola. Gli altri siamo noi. E quando tutte queste attività quotidiane perdono di senso, non possiamo fare altro che chiederci: chi sono io? Perché “gli altri” continuano a girare per il supermercato come se nulla fosse successo? Perché in effetti è così: per loro, per “gli altri” non è successo proprio nulla, il mondo continua a girare lo stesso. Il dramma privato, se possibile, deve essere tenuto nascosto. Se ti chiedono come stai, devi rispondere: “bene”, non “mi sento morire, non lo vedi?”, perché potrebbero prenderti per pazzo o, peggio, allontanarti per sempre.

Gli altri elementi del romanzo di Catherine Dunne, tutto sommato, sono meno interessanti. Sorvolo sulla traduzione, zeppa di errori soprattutto sulla consecutio temporum. I continui flashback rendono la lettura veloce, ma non arricchiscono più di tanto le figure dei protagonisti, né del loro contorno familiare. Rose e Ben rimangono due personaggi piatti, senza grandi evoluzioni, fondamentalmente bloccati nel loro egocentrismo. Anche se l’autrice prende evidentemente le parti della donna, direi che entrambi risultano alla fine due bambini poco cresciuti.

Ho cercato per anni di parlarti”. (attenzione, spoiler)

Ben lascia la moglie e i bambini nei guai, è vero, ma anche lei sembra talmente impegnata a costruire la famiglia del Mulino Bianco per gli estranei da non accorgersi di quello che le succede in casa. Eppure, i segnali c’erano tutti. In fondo, non è sempre così? Siamo sempre gli ultimi a capire quello che ci riguarda. Anche gli accadimenti risultano inverosimili: lei si trasforma in una super donna imprenditrice di se stessa in pochi mesi, trovando lavoro senza neanche cercarlo! Forse, Catherine Dunne ha voluto aprire uno spiraglio di speranza per tutte le donne che subiscano un divorzio, ma il percorso dall’abisso alla risalita è lungo e andrebbe esplorato fino in fondo, non lasciato, appunto, a metà.

Sempre sul matrimonio, sempre a Dublino: Amami ancora, di Tracy Culleton

Sul matrimonio e il triangolo, negli States: Facciamo finta che non sia successo niente, di Maddie Dawson

Dove il vento dell’est soffia ancora: secondo giorno a Sofia

Secondo giorno a Sofia, la capitale della Bulgaria. Due giorni intensissimi, in uno degli ultimi avamposti dell’Est che fu. Dopo il primo giorno di ambientamento, oggi è tempo di trottare. Vi racconto tutto, venite con me.

Il mercato delle donne e il Mercato centrale

DopoIMG_5800 il Sofia free tour di ieri, oggi ho un programma intenso. E’ domenica e fuori c’è un sole caldo e invitante. L’ideale per le prime tappe, tra l’altro entrambe attaccate all’albergo, il Zhenski Pazar Women’s Market o “Il mercato delle donne” e Central Market Hall (Tsentralni Hali) o Mercato centrale. Un giro anche veloce al mercato delle donne non dovete farvelo scappare, perché è uno di quei posti che non sembra essere stato minimamente toccato dal passare del tempo. Secondo me nell’800 era esattamente così come lo vediamo ora, con vecchietti che offrono mercanzie sul ciglio della strada e botteghe alimentari con prodotti di uso quotidiano. Non è un mercato per turisti, anzi, a parte me non ne ho visti altri in giro, anche perché oltre a qualche banchetto di frutta e verdura dal punto di vista dello shopping non è che offra molto. Eppure, penso che mi pentirò per sempre di non aver comprato delle ciotole di ceramica che il venditore voleva vendermi per pochi euro: “masterchef, masterchef”, probabilmente l’unica parola in inglese oltre ai prezzi che conosceva. Il mercato non è molto grande e alla fine mi sono ritrovata quasi per caso davanti all’entrata del mercato centrale. Che però ho trovato un po’ deludente. Forse, di mattina presto era anIMG_5810cora addormentato anche lui e sarebbe stato meglio visitarlo in un orario più centrale. O forse, avendo appena fato colazione, non c’era niente di mangereccio ad attrarmi particolarmente.

Monte Vitosha e la chiesa di Boyana

Pazienza, non volevo perdermi la gita fuori Sofia e ho soprasseduto. Direzione: Monte Vitosha e la chiesa di Boyana. Per gli appassionati d’arte è una trasferta imperdibile, considerato anche che si trova a non più di 10 km dal centro città. Quando arrivo è ancora presto e non c’è tanto movimento. All’arrivo, il tassista che mi ha accompagnato mi dice che abbiamo davanti la macchina del presidente della Bulgaria, che abita poco più in là, e che vorrebbe aspettarmi, ma io preferisco essere libera di rimanere sul monte quanto voglio senza pensieri. Faccio il biglietto e poi mi dirigo verso la chiesetta e una piccola porta chiusa. Non sono sicura che si entri da lì, ma d’altra parte non vedo altre possibilità nei paraggi. Chissà perché mentre aspetto mi vengono in mente i fratelli Grimm e la casa nel bosco. Per fortuna, dopo qualche minuto arrivano altri sparuti turisti e ci mettiamo in fila. Un custode apre la porta subito dopo e ci fa cenno di entrare. L’ambiente è microscopico: c’è una piccola anticamera, dove l’uomo ci fa segno di lasciare zaini, buste e qualsiasi bagaglio ingombrante e possiamo passare avanti. Nella sala principale, piccolissima, ci attende una ragazza, che nel tipico atteggiamento bulgaro rimane silenziosa e distante, ma disponibile a dare indicazioni su richiesta. Qui vi do un suggerimento: non abbiate paura di chiedere. Io l’ho sommersa di domande e ho avuto sempre soddisfazione. Anche perché senza chiedere dettagli mi sarebbero sfuggite la maggior parte delle particolarità. Sembrava quasi un disco, a domanda iniziava a rispondere a macchinetta. Poi silenzio. Domanda, macchinetta. Silenzio.

Vasiliy da Tarnovo

L’autore degli affreschi non è certo. Vengono attribuiti a un pittore bulgaro di epoca medievale di nome Vasiliy proveniente da Tarnovo, la vecchia capitale dell’impero bulgaro. La loro importanza consiste nella cura dei particolari e nel realismo delle forme. La prospettiva tridimensionale in affreschi del 1259, cioè pochi anni prima della nascita di Giotto, li ha fatti definire “Rinascimento bizantino”, accostandoli al Rinascimento vero e proprio. Anzi, dai bulgari Vasily viene considerato addirittura un precursore del rinascimento, con cui non poteva esserci stato alcun contatto, anche se ovviamente questa impostazione sembra più frutto del patriottismo che di ricerca storica. Comunque, rimane una testimonianza interessante, che l’Unesco ha inserito tra i patrimoni protetti dell’umanità e che per fortuna non è stata distrutta, come gli stessi bulgari volevano fare agli inizi del ‘900! Prima dell’uscita, anche il severo custode si ammorbidisce e vuole mostrarci qualche dipinto della sala d’attesa. E’ più gentile, ora che si è assicurato non abbiamo fatto danni. E’ ora di lasciare spazio ai turisti successivi, la visita dura in tutto non più di dieci minuti ma io mi ritengo soddisfatta. Al ritorno, decido di prendere l’autobus ma sbaglio direzione. L’autista, che approfitta della fermata per scendere e andare a riempire la bottiglietta d’acqua alla fontanella, mi risponde un secco “no!” quando gli chiedo se il suo autobus va verso il centro. Cambio carreggiata e vado dall’altra parte. Dopo dieci minuti passa l’autobus 64, semivuoto, che mi lascia in un parco dopo poche fermate.

Vitosha boulevard

Una passeggiata di circa 2 km in semi periferia e mi ritrovo all’inizio di Vitosha boulevard, nel giardino IMG_5813delle fontane. Acqua benedetta, dopo la passeggiata. E’ ormai ora di pranzo e la fame si fa sentire. Scelgo un locale internazionale nei pressi dove mangio un’insospettabilmente ottima tortilla messicana con panini al formaggio, riservando per la sera la prova della cucina bulgara. Nel pomeriggio ritorno nei due posti che mi avevano più colpito durante il Free Sofia tour: la Rotonda di San Giorgio e la cattedrale di Aleksandr Nevskij. La prima non mi colpisce particolarmente. All’esterno sembra monumentale, ma l’interno è scuro meno imponente e la cosa che mi è rimasta davvero impressa, a parte le figure dei ventidue profeti sotto la cupola, è lo spiritoso cartello affisso in tutte le lingue al portone d’entrata: “egregi ospiti, la visita del tempio è gratuita. Vi preghiamo di comprare gli oggetti del tempio, con questo riceverete la benedizione di Dio (grazie) e aiuterete la conservazione del patrimonio culturale. Grazie”. Dubito che l’intenzione fosse di essere spiritosi, ma l’effetto è esattamente questo!

La cattedrale di Aleksandr Nevskij 

Da lì mi dirigo direttamente alla cattedrale di Aleksandr Nevskij passando per il parco della Chiesa russa di San
IMG_5827Nicola, però m’imbatto casualmente in un mercatino di cimeli sovietici e antiquariato e una sosta è d’obbligo anche se alla fine non trovo niente che mi attiri davvero. Anche la cattedrale di Aleksandr Nevskij è più imponente vista dall’esterno, mentre all’interno è piuttosto scura, anche se in stile italiano decorato con alabastro e materiali pregiati. Il custode mi fa cenni esagerati per impedirmi di usare un telefono che comunque non avrei utilizzato. Ci mancherebbe altro, con tutti i cartelli che vietano foto, lo rassicuro sul fatto che non ho nessuna intenzione di trasgredire. Siamo partiti male, ma decido di rifarmi poco dopo. Le pareti sono coperte da dipinti e affreschi, la maggior parte dei quali raffiguranti santi bulgari e russi, nonché da icone che i fedeli utilizzano per il rituale ortodosso, ovvero un’invocazione seguita da un bacio sull’immagine, gesto che vedo fare a più persone. Sono convinta che quella su cui la maggior parte delle persone si soffermano sia quella di San Giorgio e torno all’attacco del custode per chiederglielo. La sua reazione è stata fantastica, travalicando ogni cultura e ogni popolo: prima mi ha guardato pensieroso, poi afflitto da evidente pena per un’eretica mi ha risposto “quello è Dio”. Ah, so sorry. Poi, evidentemente impietosito dall’empia, mi ha fatto cenno di seguirlo e mi ha portato di fronte a un dipinto d’angolo, molto più grande. “Quello è San Giorgio”, mi dice gentilissimo. Non c’è niente da fare, il carattere dei bulgari di Sofia è questo: prima scontrosi, poi disposti ad aiutarti in tutti i modi. Ricordatevelo, quando andrete a trovarli.

Il Teatro Nazionale Ivan Vazov e il mercato dei libri all’aperto di Piazza Slaveykov

IMG_5778Prima di cena ho ancora spazio per una sosta ai giardini municipali di fronte al Teatro Nazionale Ivan Vazov, uno degli edifici più belli della città secondo me. E’ qui che vedo come ai sofioti piace trascorrere il tempo libero quando il meteo lo permette, all’aperto, giocando a scacchi, con i tifosi di uno o dell’altro giocatore che si accaniscono come se fosse una partita di calcio, o improvvisando balli di gruppo in mezzo al parco con l’accompagnamento dei musicisti di strada. Al centro dei giardini ho anche trovato una vetrina di prestito libri che non potevo non fotografare. Meno male che erano tutti in cirillico, altrimenti avrei fatto la tessera. Al mercato dei libri all’aperto di Piazza Slaveykov, invece, non ho trovato purtroppo nulla che valesse la pena di comprare. Un giretto lo merita comunque, la piazza è completamente invasa dalle bancarelle e abbellita da panchine che simulano lo scaffale di una libreria e da una panchina, dove sedersi a fare due chiacchiere con le statue di bronzo di due scrittori bulgari, padre e figlio. C’è anche una libreria molto carina da segnalare, per chi ama il genere vintage inglese, la Elephant bookstore in Shishman 31, poco distante dal Palazzo di Giustizia.

Il Kavarma

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La giornata sta giungendo al termine, è ora di trovare una osteria bulgara e assaggiare i piatti tipici del posto. Sono fortunata, ne trovo una senza pretese a poca distanza dalla zona centrale di Sofia. La proprietaria mi offre una postazione che sicuramente riserva ai turisti, piena di cimeli e di vestiti tradizionali appesi alle pareti. Trovo l’allestimento un po’ kitsch, però apprezzo la cortesia. Il cibo è buono, anche se le porzioni abbondanti non mi consentono di provare troppi piatti. Scelgo il kavarma, un piatto unico piatto popolare della Bulgaria, che è in pratica uno spezzatino di maiale, agnello o pollo, con aggiunta di cipolla, funghi, peperoni, IMG_5794melanzane e formaggio, che mi hanno presentato in una ciotola di terracotta identica a quelle che purtroppo non ho comprato la mattina al mercato delle donne. Che peccato! Come dolce, ho preso uno yogurt bulgaro ai frutti di bosco che mi è piaciuto molto e anche facile da replicare a casa con yogurt greco misto a panna. Ad accompagnare il tutto, naturalmente la birra locale più famosa, la kamenitza. Avrei voluto assaggiare anche il vino, che dicono non sia affatto male, ma non c’è stato il tempo. Può essere un buon motivo per tornare, oltre alla mia ciotola non acquistata? Forse.

Intanto, è ora di andare via da Sofia. Saluto i bulgari e la loro capitale con сбогом (arrivederci)!

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Dessert allo yogurt bulgaro con frutti di bosco

Il mio primo giorno a Sofia

Dove il vento dell’est soffia ancora: il mio weekend a Sofia, in Bulgaria

Lo confesso, sono stata io. Il movente? Squisitamente e strettamente economico: un’offerta allettante, così invitante che tra trovarla e prenotare è passato lo spazio di qualche click. Acquisti compulsivi, li chiamano. Nuove esperienze a portata di tasca, preferisco consolarmi io. Un attimo dopo il click finale mi sono detta: “bene, vado a Sofia, in Bulgaria. Cosa so di questa città?” Praticamente niente. Incredibile ma vero, la terza capitale più antica d’Europa, dopo Atene e Roma, è oggi sconosciuta ai più. Invece, se come me avete voglia d’immergervi nella storia e di trascorrere un weekend fuori dagli schemi, economico e inconsueto, vi consiglio caldamente di prenderla in considerazione. Sofia, infatti, è facilmente raggiungibile dall’Italia in un’ora e mezza di volo o poco più, è una destinazione poco battuta e, pur essendo entrata a far parte dell’Unione europea, gode ancora di prezzi accessibili e peculiarità dell’est che si conservano intatte. Approfittatene quanto prima, dubito che quest’autenticità rimarrà a lungo.

Nel mio diario di bordo cercherò di darvi alcuni consigli per un itinerario tipo di due giorni, secondo me sufficienti per farsi un’idea della città e girarla con tutta calma, esplorando anche i dintorni.

Informazioni pratiche

Innanzitutto partiamo dalle informazioni pratiche: la Bulgaria ha mantenuto la sua moneta, il lev. Appena sbarcati, potete cambiare gli euro o ai bancomat o dagli agenti di cambio, tenendo presente che il cambio attuale è poco meno di 1:2 (un euro vale circa 1,95 lev). L’aeroporto, poi, è ottimamente collegato al centro città da una metropolitana nuova di zecca. Dallo scalo, basta seguire la linea blu che indica la strada per arrivare al capolinea, adiacente al terminal. Ho fatto il biglietto alla macchinetta automatica, che costa 1,60 lev, al cambio attuale 0,80 centesimi di euro, e ho aspettato il treno. Anche i taxi costano poco, però quando viaggio preferisco i mezzi pubblici, perché rappresentano un primo contatto con gli abitanti del posto. Dopo mezz’ora sono scesa alla fermata centrale di Serdika, Сердика. Non sapevo che il mio albergo fosse fortunatamente lì vicino, però l’ho scelta per assicurarmi un primo impatto positivo con la città. E ho fatto bene, perché introduzione migliore non avrebbe potuto esserci. In piccolo, e con le dovute proporzioni, è come quando a Roma scendi alla fermata Colosseo e ti ritrovi davanti il Colosseo e i Fori imperiali. Serdika è un’antica città dei Traci conquistata dai Romani e distrutta dagli Unni. Durante i lavori per la costruzione della metropolitana, gli operai hanno ritrovato i suoi resti, che intelligentemente i bulgari hanno inserito nel contesto del trasporto pubblico, valorizzando sia il nuovo investimento sia gli antichi resti.

Il primo giorno

Dopo una passeggiata perlustrativa a zonzo per i dintorni dell’albergo, mi sono avviata verso il Palazzo di Giustizia, dove tutti i giorni, alle 11:00 e alle 16:00, un gruppo di ragazzi pieni di entusiasmo e di voglia di far conoscere la propria città, suddividono turisti e curiosi in gruppi per un free tour del centro di circa 3 ore. Io sono stata “adottata” da Stoyan, che ci ha fatto partire proprio da Serdika, della quale ci ha detto “noi abitanti di Sofia andiamo particolarmente fieri”. E fanno bene. Il giro mi servito per andare oltre l’aspetto architettonico e respirare la storia che ogni palazzo e ogni chiesa raccontano. La storia della Bulgaria, infatti, è travagliata, costellata da invasioni e conquiste e i monumenti ne sono l’espressione. La statua di Santa Sofia su cui subito c’imbattiamo, per esempio, potrebbe ingannare e far pensare che il nome della città sia di origine cristiana. Invece, Sofija deriva dal greco antico e significa “saggia, sapiente”. Quella statua è stata eretta solo nel 2000 per sostituire quella di Lenin, come avvenuto un po’ in tutti i Paesi dell’ex Unione Sovietica. La compresenza a poche centinaia di metri di distanza di una chiesa cattolica, una protestante, una sinagoga e una moschea, tutte ben visibili alle spalle di Serdika, offre un altro esempio lampante. Il popolo bulgaro è tollerante, al punto che lo stesso luogo religioso è stato scelto come “base” da diverse confessioni. E’ questo il caso della Chiesa di San Giorgio, il più antico edificio di Sofia. Nasce paleocristiana, poi diviene moschea, ora è tornata cristiana. Praticamente è sopravvissuta a tutte le guerre di religione. Non è stupefacente? Direi che oggi è in ottima forma, molto migliore del moderno palo della luce che vedete in foto. J

San Giorgio e lampione (1)

Sveta Nedelya e il museo di storia

Continuiamo il giro, passando per il palazzo presidenziale dove in quel momento stanno effettuando il cambio della guardia, uno ogni ora, e ci dirigiamo verso la chiesa di Sveta Nedelya, una chiesa ortodossa del 1863. Il nostro cicerone ci mostra una foto d’epoca, dove possiamo vedere come fosse originariamente prima dei bombardamenti che ne resero necessaria la ricostruzione. Proprio qui avvenne nel 1925 l’attentato allo zar Boris III ad opera dei comunisti, che provocò la morte di centinaia di fedeli. In realtà l’attentato fallì e sapete perché? Perché fu sventato, direte voi. Niente affatto. Non riuscì semplicemente perché lo zar quel giorno era…in ritardo. Sempre detto, la puntualità accorcia la vita. Proseguiamo fino al Museo di storia nazionale, costruito nel 1913 dove prima si trovavano le antiche terme romane. Non c’è città romana che si rispetti senza terme e Sofia era particolarmente amata dai romani per le sue innumerevoli sorgenti minerali calde e fredde. Ancora oggi, dalle bocche esce acqua calda e solforosa, ottima, a patto di attendere che si freddi e che perda il forte odore iniziale! Sembra che ogni fontanella sia buona per curare qualche organo: una è per i reni, un’altra per il cuore, un’altra ancora per lo stomaco. Secondo me sono tutte uguali, ma un sorso di ognuna sicuramente male non fa. Alle spalle del museo, una ciminiera industriale è l’unico resto dell’ex bagno pubblico, ora riconvertito appunto in museo. Le terme prima, e i bagni poi, erano utilizzati dai nostri avi un po’ come facciamo noi con i social network. Quando i bagni nelle case non esistevano, andavano lì una volta a settimana, facevano la doccia, indossavano vestiti puliti e s’informavano sugli eventi della settimana. Insomma, anche loro si riposavano spettegolando.

Sveti Nikolay

Andiamo avanti: ci fermiamo davanti a Sveti Nikolay, una chiesa ortodossa russa dedicata a San Nicola e costruita per la comunità russa presente a Sofia. L’esterno di raffinati mosaici e cupole dorate richiama gli elementi tipici dell’architettura ellenistica. Attraversando il parco adiacente, arriviamo all’ultima tappa del tour: la Cattedrale Aleksandr Nevskij, la più famosa e la più imponente della città. Eretta in stile neo bizantino, deve il suo nome allo Zar russo Alexander Nevski, che salvò la Russia dall’invasione degli svedesi. Le cupole esterne, ricoperte di oro, sono state donate proprio dai “fratelli russi”, come loro chiamano ancora oggi l’ex dominatore. Non bisogna dimenticare, infatti, che quando i russi liberarono la Bulgaria dagli ottomani trovarono un Paese devastato.

Riflettendo tra me e me sulla parzialità e sulla relatività dei giudizi della Storia, il primo giorno è finito. Nella prossima puntata vi racconterò come si mangia, cosa si beve, dove e come trascorrono le domeniche i Sofioti e che chicca ho trovato spostandomi di pochi chilometri con una meravigliosa gita fuoriporta.

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Dove il vento dell’est soffia ancora, il secondo giorno a Sofia

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Sperlonga: il suono del mare, una bianca luce e il fascino di antiche leggende

Sperlonga. Sono seduta all’aperto, in giardino. Mentre scrivo, soffia un leggero vento che sussurra d’estate alle porte.

Ripenso al fine settimana appena trascorso e non posso che iniziare da un commento appassionato sull’arguzia e l’intelligenza degli antichi romani. Le tracce di questo popolo meraviglioso sono viva testimonianza non solo nelle grandi città, per esempio a Roma, Verona o nelle terre di conquista. La costa laziale è ancora oggi, dopo millenni, l’esempio lampante di come sapevano scegliere i luoghi da abitare e le terre da esplorare.

IMG_5708[1]Arrivare a Sperlonga è abbastanza semplice, nonostante la penuria di cartelli stradali che caratterizza le strade italiane. Uno dei rari cartelli indica la “Villa di Tiberio e sito archeologico” e lì mi dirigo. Un po’ a caso, lo ammetto, non ho studiato molto prima di arrivare. La scelta, però, si rivela azzeccata e dopo vi spiego perché.

La villa di Tiberio

Una signora gentilissima stacca il biglietto del museo annesso alla Villa di Tiberio e dà indicazioni per la visita. Lo sguardo mi cade su un avviso: “il negozio di souvenir è sospeso”. Chissà perché, penso, un buon negozio di souvenir è promozione certa per il sito. Nei locali del museo mi soffermo ad ammirare le sculture, che raccontano la storia dell’Odissea. Tiberio era un imperatore che amava vivere e circondarsi di ospiti, cui raccontava proprio il poema omerico. Non è difficile immaginare le statue come sfondo alle sue orazioni. All’uscita dei locali, si apre il sentiero che porta alla villa. Dall’alto, ne ammiro la pianta, le grotte che l’affiancano e la cornice blu del mare. Con una breve passeggiata arrivo ai resti della villa. Sono fortunata, ci sono due scolaresche e una guida che accetta con piacere altri uditori. Scopro così che la disposizione delle stanze era funzionale al bisogno di privacy del proprietario, ma anche che venne costruita secondo le tecniche ingegneristiche più avanzate dell’epoca. Sapete perché le riunioni dei ministri vengono chiamate ancora oggi Gabinetto? Perché anticamente era il luogo più riservato in cui fare affari e stringere accordi. Il bagno singolo come lo conosciamo noi, infatti, non esisteva. Pensate che nel gabinetto riservato alla servitù potevano fare i propri bisogni ben 16 persone per volta! V’immaginate che caos? Eppure, un sistema ingegnoso di circolazione dell’acqua e i lavaggi del corpo con spugne naturali che il mare lasciava a riva, garantivano la massima igiene e, soprattutto, la completa biodegradabilità dei rifiuti. Al contrario di noi, gli antichi erano decisamente ecosostenibili!

Le grotte naturali

Arrivati a fine villa, grazie a una passerella passiamo nelle grotte naturali. Per Tiberio e i suoi ospiti erano un po’ un surrogato delle terme romane. Venivano qui a leggere, chiacchierare e riposarsi. Anche in questo caso, le carpe che ancora oggi nuotano pigre nell’acqua servivano a mantenere l’ambiente pulito senza filtri, depuratori e cloro. Chimica naturale, potremmo dire. A questo punto la visita è finita. Potrei riprendere la macchina e dirigermi verso uno dei parcheggi a pagamento della cittadina. Potrei, ma non lo faccio. La giornata è bella e invita a muoversi. Quindi passo dalla spiaggia, direzione porto di Sperlonga. Per questo prima vi ho detto che la scelta è stata azzeccata, perché ho abbandonato l’automobile e non l’ho più utilizzata per tutta la giornata. E’ una breve passeggiata e se non avete problemi a camminare vi consiglio caldamente di fare lo stesso. Il porto è piccolino e punto di partenza per visitare la cittadina che s’inerpica verso l’alto. 

La Torre Truglia 

IMG_5718[1]La prima fermata è alla Torre Truglia, che probabilmente era l’antico faro di Tiberio. Ha l’aspetto squadrato di una fortezza ed era il primo avamposto di difesa della popolazione dai pericoli provenienti dal mare. Da lì, sono salita senza soste verso la IMG_5719[1]cima della cittadina per poi riscendere zigzagando tra vicoli e vicoletti circondati da abitazioni tutte bianche. Anche la calce bianca, oltre ad avere una funzione estetica, è stata scelta perché assicura la disinfezione. Purtroppo ho potuto solo immaginare l’animazione che sicuramente pervade le vie durante il periodo estivo. La maggior parte delle botteghe, infatti, è aperta solo in alta stagione e anche il numero di abitanti è ridotto al minimo. In compenso, ho sempre sentito distintamente il suono del mare. Non posso certo lamentarmi, che ne dite?

IMG_5735[1]

La grotta azzurra

p.s. Ho saltato l’antica strada in marmo dei romani e la grotta azzurra, raggiungibile solo in barca (quest’ultima per assenza del servizio). Una scusa migliore per tornare a Sperlonga non l’avrei potuta trovare…

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Non c’è mondo fuori dalle mura di Verona/terzo giorno

L’inizio dell’ultimo giorno di vacanza porta sempre con sé un po’ di tristezza anticipata. Non è così anche per voi? Per esorcizzarla, conosco un solo rimedio: fare qualcosa che mi piace davvero, davvero tanto. Questo è il mio ultimo giorno a Verona. Ho visto tante cose interessanti, ma è quasi ora di andare via. Cosa mi rimane da fare? Seguitemi.

Palazzo della Gran Guardia

Il caso vuole che il Palazzo della Gran Guardia ospiti la mostra Maya, il linguaggio della bellezza. Un’occasione eccezionale, circa 250 reperti riuniti in un’unica sede, a testimoniare la bellezza del corpo utilizzato come tela. Nel mondo maya, nel quale la bellezza aveva un ruolo importante, la popolazione era solita realizzare quotidianamente acconciature per capelli e pitture su viso e corpo, riservandone invece di specifiche e particolari in occasione delle festività. Alcune di queste pratiche, come le cicatrici e i tatuaggi, cambiavano per sempre l’aspetto delle persone ed erano considerate espressioni visibili di identità culturale e di appartenenza sociale. Se passate per Verona prima del 5 marzo 2017 non perdetela, vale davvero la pena.

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Caffè Tubino

Uscita di lì, niente di meglio di un caffè per assaporare ancora il gusto di un’arte così avanzata arrivata fino a noi dal mondo antico. Per la sosta rigeneratrice, ho scelto il caffè Tubino, dicono il più buono della città. Veramente ora si chiama Caffè Borsari, ma i veronesi sono affezionati al nome originale e chi sono io per cambiarlo? Perché poi cambiare nome se tutti lo amano? Misteri delle proprietà. Il locale è curioso, stracolmo di articoli natalizi e personaggi Disney in vendita. Il caffè ottimo e fortunosamente sono anche riuscita a trovare posto in uno degli unici tre tavolinetti presenti nel piccolo locale.

Colle di San Pietro

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Il tempo però vola, Natale è già finito e allora via, verso la prossima e…sigh…ultima meta. Chiudo in bellezza, in tutti i sensi, e fuori dalle porte cittadine. Mi inerpico in cima al colle di San Pietro, una bucolica collina che si eleva per qualche centinaio di Teatro Romano. La cima, in una posizione facilmente difendibile e vicina all’Adige, è abitata sin dalle origini e ospita una ottocentesca caserma militare edificata dagli austriaci, Castel San Pietro. Per salire, potete scegliere la via facile, arrivando in cima in automobile, oppure affrontare la faticosa scalinata che vi farà sentire felici di avercela fatta. Se scegliete la seconda opzione, prendete fiato prima di iniziare e, soprattutto, evitare di chiacchierare con i compagni di viaggio! In questo modo, le speranze di farcela aumentano. Sto scherzando, ovviamente, la salita è impegnativa ma non impossibile e dall’alto mi sono goduta un panorama eccezionale, una vista a 360 gradi sulla città. Scendendo, scegliete l’altro lato. Finirete a ridosso del Teatro Romano, dove l’estate i veronesi vengono ad ascoltare i concerti jazz.

Che meraviglia! Il luogo giusto per mormorare: “ciao ciao, Verona, è solo un arrivederci“.

Non c’è mondo fuori dalle mura di Verona/primo giorno

Non c’è mondo fuori dalle mura di Verona/secondo giorno