Grande protagonista del libro è la casa paterna di Carlo Verdone. La casa sopra i portici del titolo. Un luogo attraverso il quale si snodano tanti eventi: le catastrofiche feste dannunziane, gli incontri con Federico Fellini e Alberto Sordi, le incursioni destabilizzanti di geni dell’avanguardia come Gregory Markopoulos. E poi il rapporto con i genitori e i fratelli, gli scherzi (tanti, fulminanti), le prime esperienze sentimentali ma anche i drammi familiari che si susseguono.
La casa è quel posto in cui tutti torniamo
La casa è quel posto in cui tutti torniamo, che ci fa sentire veramente noi stessi, che ci accoglie e ci protegge sempre. E’ con questo spirito che ho letto il libro di Verdone, un uomo (famoso) attaccato alla sua città, Roma, e alla sua famiglia. Quando, per le vicende della vita, una casa si spoglia delle persone che l’hanno abitata e degli oggetti che l’hanno arredata, è difficile immaginare sentimenti diversi dalla tristezza e dalla nostalgia. Alla morte dei genitori del regista, infatti, la casa è stata svuotata e restituita al Vaticano, che ne era il proprietario.
Persone e fatti che sopravvivono
Eppure, Carlo Verdone affronta questo doloroso momento con l’ironia che da sempre lo contraddistingue. Ci racconta con arguzia e spirito d’osservazione le vicende della sua famiglia. Della famiglia che quella casa l’ha vissuta e amata profondamente. Di una famiglia e di persone che sopravvivono alla vita terrena e che rimangono nei nostri cuori e nei nostri ricordi. Trovo che sia un bel modo per ricordare i cari che non ci sono più e lasciare traccia di quello che è stato, nel bene e nel male.
Per questo ho deciso di sorvolare su alcune ingenuità stilistiche e su alcuni aneddoti probabilmente inventati, il libro è godibile e a tratti divertente.
Un po’ come i suoi film: risate condite di malinconia e riflessione.
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