La vita è un viaggio e, per alcuni fortunati come Gaia Servadio, il viaggio è anche un lavoro. Lo sguardo aperto e franco di questa ragazza in copertina, Gaia Servadio da giovane, mi ha convinto a chiedere in prestito questo piccolo libro in biblioteca. Così leggero, nel formato e nella forma, che sono riuscita a finirlo in pochi giorni. Ora vi racconto cosa ne penso.
Trama
Gaia Servadio racconta i suoi viaggi, i luoghi che l’hanno colpita, le inchieste che ha condotto per giornali e televisioni, a cominciare dalla BBC. Londra, l’Italia, in particolare la Sicilia («prima dell’arrivo di Dolce & Gabbana»), la Cina, e naturalmente il Medio Oriente, ma in generale un po’ tutto il mondo. L’autrice non dà ricette sulla vita e sull’esistenza, le ricette di questo libro sono proprio vere e servono a preparare una buona cena, o un pranzo. Attraverso gli alimenti sa spargere una leggerezza che contagia il lettore. Una leggerezza di storie, incontri, eventi, che sembra dirci molto più del mondo di tanti libri e di tanti saggi seri e rigorosi. Alla fine, la lettura di queste storie ci conferma ancora una volta, come la vita sia sempre e solo una questione di stile e di misura.
Non una necessità, ma una passione
«Secondo alcuni la vita è un viaggio. Lo è senz’altro nel mio caso, e in valigia mi porto dietro la cucina. Non una necessità, ma una passione che ha accompagnato la mia storia». Una passione nata durante l’infanzia, come quasi tutte le passioni durature. Racconta Gaia, e il figlio, curatore di questo libro per lei, che il padre amava la cucina “povera”. Personalmente, trovo odioso questo termine. Preferisco semplice, con pochi ingredienti di facile reperibilità. Solo i cinesi, dice Gaia Servadio, si possono permettere di mescolare cinquanta ingredienti in quel pentolone geniale del wok. Tutti gli altri possono accontentarsi di molto, molto meno.
Chi era Gaia Servadio?
Ed ecco che Gaia Servadio ci porta in viaggio con lei, come ha fatto a suo tempo con i figli Allegra (ex moglie di Boris Johnson, n.d.r.) e Orlando. Scorrazziamo per la Cina e il Medio Oriente, passando per l’Umbria e le ricette romane del papà. Usiamo erbe aromatiche e pitte. Ma facciamo tutto a occhio, senza pesare niente, alla come viene viene, si direbbe dalle mie parti. E forse questo è proprio il difetto di questo piccolo diario: non essendoci la proprietaria, le ricette sono spesso approssimative, frutto dell’esperienza e non di studio. Ma chi era Gaia Servadio? La sua figura esce poco, non essendo famosa come il dirimpettaio Tiziano Terzani, sarebbe stato utile arricchire questo suo ricordo con più dati biografici, con qualche articolo da lei scritto nel tempo, con la sua storia personale mescolata ai viaggi. Aspetti che forse il figlio non conosce, o vuole tenere per sé. Rimane a chi legge la passione: questa sì, emerge forte e chiara.
Il diario di Marco Goldin sugli ultimi giorni di Van Gogh mi è capitato sottomano in biblioteca qualche giorno prima che andassi a visitare la mostra di Roma di cui vi ho già parlato. Ancora fresche le sensazioni dell’esposizione, mi sono letta con calma questo diario inventato su uno dei miei pittori preferiti. Ora vi dico cosa ne penso.
Trama
Come in un vero e proprio «diario ritrovato» Vincent van Gogh ci racconta, giorno per giorno, le ultime settimane della sua vita trascorse nel villaggio di Auvers-sur-Oise, a nord di Parigi. Un’autobiografia ideale e poetica, fatta anche di tanti ricordi, in cui Marco Goldin presta le sue parole al grande pittore olandese, con un passo narrativo coinvolgente e sempre fedele alle fonti storiche e all’epistolario. La scena si apre il 15 maggio 1890, quando Van Gogh lascia ancora fresco sul cavalletto l’ultimo quadro a Saint-Rémy, in Provenza, prima di andare a Parigi dal fratello Theo. E prima di prendere il suo ultimo treno per Auvers. Da lì in avanti il racconto si snoda avvincente, tra le strade strette di quel villaggio, la casa del dottor Gachet, le distese di erba medica su cui galleggia il rosso dei papaveri, il fiume che scorre lento, la chiesa con un cielo smaltato di azzurro come una vetrata gotica. E infine i campi di grano come un appuntamento con il destino.
L’originale è emozione allo stato puro
Il grande pregio di questo libro è che si legge in un attimo, la scrittura è fluida e le vicende narrate sono di grande interesse per tutti gli amanti di Van Gogh. Tuttavia, lo consiglio quasi esclusivamente a chi vuole farsi un’idea del pittore e leggere una storia semplice come l’azzurro in copertina. Per gli appassionati del grande artista olandese, invece, potrebbe essere quasi deludente. Non tanto per i contenuti, Marco Goldin è uno dei massimi esperti sul tema, ma per il paragone inevitabile con gli scritti lasciati da Vincent Van Gogh. Le parole originali sono così intense, profonde e commoventi, che immedesimarsi in questa “imitazione” risulta troppo complicato. Questo è quello che è successo a me. A un certo punto, la lettura ha finito per essere interessante quando ha toccato particolari di cui non ero a conoscenza, ma mi è sembrata blanda dal punto di vista emozionale. D’altra parte, Vincent Van Gogh è emozione allo stato puro, difficile anche solo accostarsi all’originale.
Ed eccoci arrivati alla biografia dell’ultima scrittrice, sua maestà del giallo Agatha Christie, colei che chiude più che degnamente il viaggio letterario Sulle tracce delle grandi scrittrici. In realtà è stata la seconda che ho incontrato nel mio giro in Inghilterra, ma è sicuramente la più popolare delle cinque (Jane Austen, Agatha Christie, Daphne Du Maurier, Rosamunde Pilcher, Virginia Woolf) e anche quella di cui sappiamo, o pensiamo di sapere, tutto. Eppure, fermatevi qualche minuto a leggere la sua biografia: anche in questo caso potrebbero aspettarvi delle sorprese… perché non sarebbe la Regina del giallo senza qualche colpo di scena, non credete?
Agatha Mary Clarissa Miller nasce a Torquay
Agatha Mary Clarissa Miller nasce il 15 settembre 1890 in Inghilterra e precisamente a Torquay, nel Devon, in una famiglia benestante dell’alta borghesia. Il padre Frederick Alvah Miller è un ricco agente di cambio americano, la madre è figlia di un militare inglese. Cosa inusuale anche per i suoi tempi, Agatha non frequenta la scuola, ma viene educata soprattutto dal padre. Molto più piccola dei suoi due fratelli, Agatha si annoia spesso a stare in casa e impara da sola a leggere all’età di cinque anni, nonostante la madre Clara Boehmer volesse aspettare il compimento degli otto anni. Inizia leggendo i libri per ragazzi di Edith Nesbit, I cercatori di tesori e The railway children (I bambini della ferrovia), e certamente Piccole donne di Louisa M. Alcott. Le piacciono però anche le poesie e i thriller che giungevano dall’America. Agatha ha una fervida immaginazione: inventa amici immaginari, gioca con gli animali, danza e inizia a scrivere le prime poesie. Sempre a cinque anni, la famiglia si trasferisce temporaneamente a Parigi dopo aver affittato la casa di famiglia di Ashfield per economizzare. Nella capitale francese Agatha, accudita dalla governante Marie, impara un francese idiomatico, anche se scorretto nella pronuncia.
A undici anni muore il padre
A undici anni Agatha affronta un momento durissimo: il padre, provato dalle difficoltà finanziare, muore a 55 anni dopo una serie di attacchi di cuore. Clara è sconvolta e preoccupata per i soldi. Si parla di vendere Ashfield, ma madre e figlia in qualche modo trovano il modo per salvarla. Agatha in seguito affermerà che la morte di suo padre, avvenuta quando aveva 11 anni, segnò la fine della sua infanzia. Clara, infatti, è una donna dotata di grande fantasia che fatica a fare i conti con la realtà. Anche il padre non si poteva certo definire un esempio di virtù familiari, essendo un uomo più dedito al cricket e alle carte che alla famiglia. La vita comunque fino alla tragedia scorreva tranquilla.L’anno successivo alla disgrazia inizia a ricevere un’istruzione formale presso la Scuola per ragazze della signorina Guyer a Torquay, ma non riesce ad adattarsi alla disciplina imposta. Così, a quindici anni torna a Parigi, dove viene educata a Les Marroniers da mademoiselle Cabernet e poi dalla signorina Dryden. Quest’ultima serviva principalmente come scuola di perfezionamento. Prende lezioni di piano e di canto ed è così brava che avrebbe potuto diventare una pianista professionista. Peccato che la sua insuperabile timidezza glielo abbia impedito (meglio per noi lettori, visto come è andata, n.d.r.).
Inizia a scrivere per divertimento
A diciotto anni inizia a scrivere racconti per divertimento con l’amico di famiglia e scrittore Eden Philpotts, che dà alla ragazza consigli utilissimi per il suo futuro: “L’artista è solo il vetro attraverso il quale vediamo la natura, e più il vetro è chiaro e puro, tanto più l’immagine sarà perfetta e potremo vedere attraverso di essa. Non intrometterti mai“. Molto più tardi, alcuni di questi racconti saranno totalmente rivisti e pubblicati.
Al Cairo. E poi arriva l’amore
Nel frattempo, la salute di Clara peggiora e Agatha decide di tornare a casa. Nel 1910, le due donne si trasferiscono al Cairo e soggiornano per la stagione al Gezirah Palace Hotel. E’ un po’ difficile per noi immaginare la giallista come una It girl odierna, eppure il tempo della giovane Agatha trascorre sereno tra feste, vestiti da cocktail, nuove amicizie, e proposte di matrimonio. Ma è solo nel 1912 che Agatha conosce l’amore: incontra il suo futuro marito Archibald “Archie” Christie, un esperto aviatore che aveva chiesto di unirsi al RFC (Royal Flying Corps), la forza aerea inglese. E’ amore a prima vista: entrambi vogliono disperatamente sposarsi, ma non hanno soldi. Secondo l’autobiografia della scrittrice, erano attirati dalla “eccitazione per lo sconosciuto” più che dall’amore in sé. Riescono a sposarsi la vigilia di Natale del 1914, nella chiesa dell’Emmanuele di Clifton, Bristol, vicino alla casa dei genitori dello sposo, dopo che entrambi hanno vissuto in pieno l’inizio della prima guerra mondiale: Archie in Francia e Agatha sul fronte interno, nel distaccamento volontario in un ospedale pubblico gestito dalla Croce Rossa di Torquay. I due sposi trascorrono la loro brevissima luna di miele al Grand Hotel di Torquay, perché il 27 dicembre lui deve fare ritorno in Francia. Durante gli anni della guerra si incontrano di rado e solo nel gennaio del 1918, quando Archie viene inviato al War Office di Londra, Agatha sente iniziare davvero la sua vita da sposata.
Il 1919, un anno epocale per Agatha
ll 1919 è un anno epocale per Agatha. Con la fine della guerra, Archie trova un lavoro nella City e ci sono soldi sufficienti per affittare un appartamento a Londra. Il 5 agosto, Agatha dà alla luce la loro unica figlia, Rosalind. Il 1919 è anche l’anno in cui un editore londinese, John Lane di The Bodley Head, accetta di pubblicare The Mysterious Affair a Styles (Poirot a Styles Court) negli Stati Uniti e mette sotto contratto Agatha per altri cinque libri. Lane, il quarto ad aver ricevuto il manoscritto, insiste solo su un paio di modifiche al manoscritto, tra cui il capitolo finale, con l’epilogo in biblioteca. E pensare che Agatha Christie inizia a scrivere romanzi gialli solo per scommessa! Infatti, la sorella Margaret era convinta che non ne fosse capace e, giustamente, bisognava darle una lezione!
Entra in scena Poirot
Il mondo, dunque, conosce il mitico investigatore belga nel 1920. Da dove prese ispirazione per il personaggio di Hercule Poirot? Durante la prima guerra mondiale c’erano rifugiati belgi in molte parti della campagna inglese e Torquay non faceva eccezione. Sebbene non fosse basato su nessuna persona in particolare, Agatha pensava che un rifugiato belga, un ex poliziotto, potesse diventare un eccellente detective per The Mysterious Affair at Styles. Nasce così l’amato, odiato da Agatha, Hercule Poirot. Per la sua prima storia, Agatha aveva preso spunto dalle conoscenze sui veleni acquisite durante la prima guerra mondiale, nel suo lavoro come infermiera volontaria nel dispensario dell’ospedale.
Tommy e Tuppence
Dopo la guerra, Agatha continua a scrivere, sperimentando diversi tipi di gialli e thriller. In un primo momento crea Tommy e Tuppence, due investigatori dilettanti, che nel 1922 sono i protagonisti di The Secret Adversary (Avversario segreto). Il romanzo però non va benissimo, tanto che i due torneranno protagonisti solo sette anni dopo, nella raccolta di racconti Partners in Crime (Tommy e Tuppence: in due s’indaga meglio, 1929). Sempre nel 1922, lasciando Rosalind con la tata e la nonna, lei e Archie viaggiano attraverso l’allora Impero britannico per promuovere la Empire Exhibition del 1924, una mostra coloniale che si teneva a Wembley. Viaggiano in Sudafrica, Australia, Nuova Zelanda e Hawaii. Nel frattempo, continua a scrivere e, mentre si trova a Città del Capo, diviene anche la prima donna britannica a surfare in piedi. Nel 1923 esce il secondo libro di Poirot, The Murder on the Links (Aiuto, Poirot!). Nel 1924, il capo di Archie le ispira il personaggio di Sir Eustace Pedlar in The man in the brown suit (L’uomo vestito di marrone), ambientato in Sudafrica.
1925 – 1928, un periodo duro per Agatha
La coppia torna dal Grand Tour nel 1925 e la famiglia si stabilisce in una casa di nome, non a caso, Styles, nella periferia di Londra. Nello stesso anno, esce The Secret of chimneys (Il segreto di Chimneys), nel quale fanno la loro comparsa il sovrintendente Battle e Lady Eileen “Bundle” Brent., ma anche questo romanzo riceve un’accoglienza tiepida. A questo punto, Agatha Christie decide di cambiare editore, non soddisfatta dei termini economici del contratto firmato. Il contratto, infatti, prevede solo 25 sterline di anticipo e l’esclusione dagli utili prima della vendita di 2000 copie. Cerca così un agente, Edmund Cork di Hughes Massie & co, che le trova un nuovo editore: William Collins and Sons (ora HarperCollins). Per Agatha è un momento difficile: la sua adorata madre muore il 5 aprile del 1926 e la scrittrice si trova spesso sola in casa, mentre faticosamente cerca di scrivere un romanzo per Collins. La relazione tra Archie e Agatha ne risente pesantemente. Agatha è triste, confusa e neanche il successo di The Murder of Roger Ackroyd (L’assassinio di Roger Ackroyd, o anche Dalle nove alle dieci) che esce a giugno la risolleva. Archie finisce per innamorarsi di Nancy Neale, compagna di golf e amica di famiglia. Per Agatha è un durissimo colpo, tanto che senza preavviso ha un colpo di testa.
Scomparsa!
La notte del 3 dicembre 1926, Agatha lascia Rosalind alle cameriere senza dire dove stia andando. La mattina dopo la sua auto viene ritrovata abbandonata a diverse miglia di distanza, in fondo a un dirupo, ma di lei non c’è traccia. L’unico indizio è una lettera per il suo segretario nella quale dice di essere andata nello Yorkshire. Le battute di ricerca iniziano immediatamente. Iniziano tra la stampa e il pubblico diverse speculazioni su cosa possa essere accaduto, ma nessuno sa niente con certezza. Tale era la speculazione che il segretario di stanza del giorno, William Joynson-Hicks, fece pressione sulla polizia per fare progressi più rapidi. Addirittura vengono coinvolti i famosi scrittori del crimine Sir Arthur Conan Doyle, creatore di Sherlock Holmes, e Dorothy L Sayers, autore della serie di Lord Peter Wimsey. Conan Doyle, che si interessa di occulto, prende un guanto della Christie e lo porta a un medium, mentre Sayers analizza la scena della scomparsa, in seguito usandola nel romanzo Unnatural Death (1927). Tra le ipotesi più accreditate dal largo pubblico, una trovata pubblicitaria o il tentativo di far credere alla polizia che suo marito l’avesse uccisa per vendicarsi della sua relazione. Questa seconda ipotesi a livello di un giallo della stessa Christie. Alla fine, si scopre che Agatha è arrivata in qualche modo fino alla stazione di King’s Cross, da dove ha preso il treno per Harrogate. Alloggia allo Swan Hydropathic Hotel, ora Old Swan Hotel, dove si è registrata sotto il nome di Theresa Neale, di Cape Town. In pratica, la giallista si è registrata con il cognome della rivale. Harrogate a quel tempo era una città termale alla moda e tutti i frequentatori si vestivano in modo elegante. Agatha Christie non desta sospetti. Anzi, mostra di apprezzare molto la sua permanenza, unendosi spesso alle danze e all’intrattenimento. Alla fine, viene riconosciuta da un suonatore di banjo dell’hotel, Bob Tappin, che allerta la polizia. Quando Archie il 14 dicembre va a prenderla, Agatha sembra non riconoscerlo, facendolo aspettare nella hall dell’albergo mentre lei finisce di vestirsi per la cena.
Finzione o vera amnesia?
Recentemente, il biografo Andrew Norman crede di aver scoperto la vera ragione della sua scomparsa usando casi di studio medici. Secondo la sua ricostruzione, Agatha avrebbe potuto soffrire di una condizione medica rara ma sempre più riconosciuta nota come “stato di fuga”, ovvero amnesia extracorporea indotta dallo stress. Non lo sapremo mai con certezza. Certo è che, profondamente gelosa della sua privacy, da quel momento in poi Agatha ha sempre rifiutato di parlare di questa vicenda con amici o familiari e si è portata il suo segreto nella tomba. La fuga e il ritrovamento, tuttavia, non cambiano lo stato delle cose. Agatha e Archie rimangono separati; lei vive con Rosalind e il suo segretario Carlo a Londra e segue una terapia psichiatrica in Harley Street. Avendo bisogno di soldi e incapace di produrre nuovo materiale, il cognato Campbell Christie suggerisce di combinare i racconti di Poirot scritti per la rivista The Sketch, creando così nel 1927 The Big Four (Poirot e i quattro). Finalmente, accettando che il suo matrimonio sia finito, concede il divorzio ad Archie l’anno dopo, nel 1928. Agatha fugge immediatamente con Rosalind dall’Inghilterra verso le Isole Canarie, dove finisce The Mystery of the Blue Train (Il mistero del treno azzurro), il libro con cui aveva lottato mentre piangeva sua madre. Forse anche per questo, Agatha ha sempre definito questo romanzo “il peggior libro che abbia mai scritto“.
1929 – 1938, Agatha rinasce
Nell’autunno del 1928 Agatha realizza uno dei suoi sogni segreti, viaggiare sull’Orient Express. L’occasione nasce una sera da una conversazione casuale e Agatha non se la lascia scappare. In quel momento, la scrittrice ha già deciso che una vacanza solitaria nelle Indie Occidentali potrebbe aiutarla a riprendersi dalla rottura. Ma due giorni prima di partire, cena a casa di un amico a Londra e qui incontra una coppia che è appena tornata da Baghdad. Rimane così affascinata dai racconti sul Medio Oriente e delle scoperte sensazionali dell’archeologo britannico Leonard Woolley. Allora, il modo più semplice per raggiungere quei posti era il battello a vapore. Oppure c’era un’altra opzione: l’Orient Express, il treno che portava i viaggiatori a Baghdad via Istanbul. Il giorno seguente la scrittrice annulla il suo biglietto per la Giamaica e ne compra uno per Baghdad. Parte per Baghdad e da lì arriva nel sito archeologico di Ur, dove fa amicizia con i Wolley, Leonard e sua moglie Katherine, gli archeologi che gestiscono lo scavo. Katharine è una fan della Christie e le due donne fanno subito amicizia. Tornata in Inghilterra, Agatha invita i Woolley nella sua casa di Londra. I coniugi, a loro volta, la invitano a unirsi a loro per la successiva campagna di scavi a Ur. La Christie è ben felice di accettare e nel 1930 torna nel luogo che l’aveva tanto stregata. L’anno precedente, nel 1929, è uscito The Seven Dials Mystery (I sette quadranti), con di nuovo protagonista il sovrintendente Battle.
Il 1930, un altro anno epocale
Il 1930 è un altro anno fondamentale nella vita di Agatha Christie. Innanzitutto, a Ur incontra il venticinquenne Max Mallowan, che lavora come apprendista archeologo. Katherine Woolley gli chiede di mostrare i siti ad Agatha e la visita guidata diventa per entrambi una scintilla d’amore. I due diranno successivamente di aver trovato la compagnia dell’altro rilassante. Max chiede la mano di Agatha l’ultima sera della sua visita alla casa di famiglia di Ashfield e i due si sposano l’11 settembre 1930 nella chiesa di St Cuthbert a Edimburgo. Piccolo particolare curioso: Agatha, con un vezzo tutto femminile, ritocca leggermente verso il basso la sua età nel nuovo passaporto richiesto per la luna di miele. Max torna per l’ultima volta e da solo allo scavo dei Woolley, mentre Agatha fa ritorno a Londra per scrivere. Inizia così una routine di spostamenti abituale e soddisfacente per entrambi: trascorrono le estati ad Ashfield con Rosalind, il Natale con la famiglia della sorella di lei ad Abney Hall, il tardo autunno e la primavera agli scavi e il resto dell’anno a Londra o nella loro casa di campagna a Wallingford, Oxfordshire. La loro relazione è stata fortemente cementata dall’amore per i viaggi.
Arrivano Miss Marple…
Sempre nel 1930, appare per la prima volta il suo personaggio di maggior successo insieme a Poirot, che esordisce in The Murder at the Vicarage, La morte nel villaggio Miss Marple. Miss Marple ribalta completamente la figura del detective fin lì scelta dai giallisti: innanzitutto è la prima donna a svolgere indagini, e poi è zitella, anziana, provinciale, impicciona e astuta. E’ l’antitesi perfetta a personaggi famosi dell’epoca, come per esempio Sherlock Holmes o Maigret.
…e Mary Westmacott
Ed è ancora nel 1930 che Agatha si trasforma in Mary Westmacott, scrivendo il suo primo romanzo d’amore con questo pseudonimo, Giant’s Bread (Il pane del gigante). In seguito, per i romanzi d’amore userà sempre il nome di Mary Westmacott.
La fabbrica di salsicce (!)
Dopo un triennio di minore produzione, in termini di quantità, dal 1934 in poi di regola Agatha scrive due o tre libri l’anno, alimentando senza sosta quella che lei stessa ha definito una “sauge machine”, cioè una “una fabbrica di salsicce”. Nel triennio 1931-33 escono in sequenza The Sittaford Mystery (Un messaggio dagli spiriti, 1931) e due ritorni di Poirot, Peril at End House (Il pericolo senza nome, 1932) 1933 e Lord Edgware Dies (Se morisse mio marito). Nel 1934 esce Why Didn’t They Ask Evans? (Perché non l’hanno chiesto a Evans?), un giallo ingegnoso risolto da investigatori dilettanti, che purtroppo non hanno avuto chance in un giallo successivo. Sempre del 1934 è il secondo titolo come Mary Westmacott, Unfinished Portrait (Ritratto incompiuto).
L’influenza dei viaggi in Medio Oriente
La vita di Agatha, intanto, scorre tranquilla. Quando Max è a casa, di solito scrive un capitolo o due durante le mattinate tranquille ed esce il pomeriggio e la sera. L’atmosfera del Medio Oriente non l’ha mai abbandonata ed è grazie ai suoi numerosi viaggi che abbiamo potuto leggere capolavori come Murder on the Orient Express (Omicidio sull’Orient Express, 1934), Murder in Mesopotamia (Non c’è più scampo, 1936), Death on the Nile (Poirot sul Nilo, 1937), Appointment with Death (Appuntamento con la morte, o La domatrice, 1938) e They Came to Baghdad (Il mondo è in pericolo, 1951), così come diverse storie brevi scritte proprio in questo periodo. In contemporanea, Agatha pubblica un libro dietro l’altro, lasciando molto spazio alle avventure di Hercule Poirot, che non piace a lei ma il pubblico adora. Escono uno dopo l’altro: Three Act Tragedy (Tragedia in tre atti) e Death in the Clouds (Delitto in cielo) nel 1935, The A.B.C. Murders (La serie infernale), Murder in Mesopotamia (Non c’è più scampo) e Cards on the Table (Carte in tavola) nel 1936, Dumb Witness (Due mesi dopo) e Death on the Nile (Poirot sul Nilo) nel 1937, Appointment with Death (Appuntamento con la morte, o La domatrice) e Hercule Poirot’s Christmas (Il Natale di Poirot) nel 1938. Dumb Witness (Due mesi dopo) dopo è l’ultimo romanzo in cui vediamo comparire Hastings, prima dell’atto finale compiuto con Curtain (Sipario) quasi quarant’anni dopo.
1939 – 1945, di nuovo la guerra
La seconda guerra mondiale vede Max impegnato al Cairo, mentre Agatha rimane in Inghilterra, scrivendo e facendo volontariato al Dispensario dell’University College Hospital di Londra. Il ritmo dei romanzi pubblicati non subisce battute d’arresto, nonostante le difficoltà legate al nuovo conflitto. Anzi, in questo periodo Agatha produce alcuni dei titoli di maggior successo, alimentando quella fabbrica di salsicce con cui ironicamente chiamava i suoi lavori. Escono quindi Murder Is Easy (È troppo facile) e, soprattutto, Ten Little Niggers, o And Then There Were None (Dieci piccoli indiani, o…e non ne rimase neanche uno) nel 1939. Quest’ultimo, ha fatto di lei la scrittrice più venduta di tutti i tempi e tradotta in più di 50 lingue. “Era così difficile da realizzare“, ha scritto, “che l’idea mi ha affascinato.” L’idea è stata poi replicata da innumerevoli scrittori e sceneggiatori, ma all’epoca si tratta di una vera e propria rivoluzione del genere. Dieci persone vengono invitate da uno sconosciuto a passare un fine settimana su un’isola non collegata alla terraferma, al largo della costa del Devon, e tutti loro hanno commesso qualche colpa nel passato. Qualcuno riuscirà a salvarsi da un assassino determinato a farli fuori tutti?
Seguono Sad Cypress (La parola alla difesa) e One, Two, Buckle My Shoe (Poirot non sbaglia) nel 1940. Evil Under the Sun (Corpi al sole) e N or M? (Quinta colonna) nel 1941. The Body in the Library, Five Little Pigs e The Moving Finger (C’è un cadavere in biblioteca, Il ritratto di Elsa Greer e Il terrore viene per posta) nel 1942. Towards Zero e Death Comes as the End (Verso l’ora zero e C’era una volta) nel 1944. Sparkling Cyanide (Giorno dei morti) nel 1945.
1946 – 1973, verso il tramonto
Con il ritorno di Max alla fine della guerra, Agatha diviene meno prolifica e si gode i frutti del suo successo, anche economico. Nel 1946 torna Poirot in The Hollow (Poirot e la salma). Alla fine dello stesso anno, un recensore americano scopre e rivela la vera identità di Mary Westmacott. La regina del giallo subisce il contraccolpo, perché rimpiange la libertà perduta di scrivere senza la pressione di essere Agatha Christie. Gli anni ’40 e ’50, inoltre, la vedono impegnata nelle riduzioni teatrali dei suoi lavori, e il tempo dedicato alla sua fabbrica di salsicce diventa sempre meno. Nel 1947 quando chiedono alla regina Mary, cosa desideri come regalo di compleanno per i suoi ottantanni, la regina risponde “una commedia radiofonica di Agatha Christie”, una delle sue autrici preferite.
Tre topolini ciechi
Detto, fatto: la commedia radiofonica Three Blind Mice (Tre topolini ciechi) fu trasmessa per la prima volta sulla BBC nel 1947. L’anno successivo, Agatha Christie adattò il testo radiofonico facendolo diventare un racconto breve, che viene publbicato su Cosmopolitan e successivamente negli Stati Uniti con il nome nella collezione statunitense Three Blind Mice and Other Stories (Tre topolini ciechi e altri racconti). Il racconto non è mai stato pubblicato nel Regno Unito per l’insistenza della stessa Christie sul fatto che non dovrebbe scontrarsi con l’adattamento teatrale del 1952, The Mousetrap (Trappola per topi). Secondo la scrittrice, finché l’adattamento avesse funzionato nel West End di Londra (come ha fatto per oltre 60 anni), il racconto non doveva essere pubblicato. The Mousetrap è ancora oggi in scena nel West End. Nel 1971, inoltre, le viene assegnata la massima onorificenza concessa dalla Gran Bretagna a una donna: il D.B.E., Dama dell’Impero Britannico.
1948 – 1973, i romanzi
1948 Taken at the Flood (Alla deriva), 1949 Crooked House (È un problema), 1950 A murder is announced (Un delitto avrà luogo), 1951 They Came to Baghdad (Il mondo è in pericolo), 1952 Mrs McGinty’s Dead (Fermate il boia) e They Do It with Mirrors (Miss Marple: giochi di prestigio), 1953 After the Funeral (Dopo le esequie) e A Pocket Full of Rye (Polvere negli occhi), 1954 Destination Unknown (Destinazione ignota), 1955 Hickory Dickory Dock (Poirot si annoia), 1956 Dead Man’s Folly (La sagra del delitto), 1957 4.50 from Paddington (Istantanea di un delitto), 1958 Ordeal by Innocence (Le due verità), 1959 Cat Among the Pigeons (Macabro quiz), 1961 The Pale Horse (Un cavallo per la strega), 1962 The Mirror Crack’d from Side to Side (Assassinio allo specchio), 1963 The Clocks (Sfida a Poirot), 1964 A Caribbean Mystery (Miss Marple nei Caraibi), 1965 At Bertram’s Hotel (Miss Marple al Bertram Hotel), 1966 Third Girl (Sono un’assassina?), 1967 Endless Night (Nella mia fine è il mio principio), 1968 By the Pricking of My Thumbs (Sento i pollici che prudono), 1969 Hallowe’en Party (Poirot e la strage degli innocenti), 1970 Passeggero per Francoforte (Passenger to Frankfurt), 1971 Nemesis (Miss Marple: Nemesi), 1972 Elephants Can Remember (Gli elefanti hanno buona memoria) 1973 Postern of Fate (Le porte di Damasco).
L’ultima apparizione
L’ultima apparizione pubblica risale al 1974, quando presenzia all’anteprima della versione cinematografica di Omicidio sull’Orient Express, con Albert Finney nei panni di Hercule Poirot. La scrittrice lo giudica un buon adattamento, lamentandosi solo del fatto che i baffi di Poirot non siano abbastanza “lussuosi”.
Il testamento di Agatha
Dopo una carriera di enorme successo e una vita felice, Agatha muore pacificamente il 12 gennaio 1976. È sepolta nel cimitero di St Mary’s, a Cholsey, vicino a Wallingford. Questa signora eccentrica e dalla vita avventurosa, anche nel testamento non manca di riservare delle sorprese. Dal 1945 teneva chiuso nel cassetto Curtain: Poirot’s Last Case (Sipario), romanzo in cui Poirot esce definitivamente di scena, dopo essere tornato a Styles, dov’era ambientato il primo romanzo in cui appare, per risolvere un ultimo caso. Sipario avrebbe dovuto essere pubblicato solo dopo la dipartita della penna creatrice. Invece, viene pubblicato nel 1975, solo qualche settimana prima della morte di Agatha. Perché? Forse perché Agatha lo odiava così tanto da essersi voluta togliere un’ultima soddisfazione prima di lasciare questa terra?
Addio, Miss Marple
Il testamento prevedeva anche la pubblicazione di un romanzo postumo in cui Miss Marple dicesse addio ai suoi innumerevoli fan. Le volontà sono state rispettate con la pubblicazione di Sleeping Murder (Addio Miss Marple) nove mesi dopo la morte della celebre autrice. Se è vero che dietro la mite Miss Marple si nascondesse l’acutissima Agatha, è chiaro che questo romanzo non avrebbe mai potuto essere dato alle stampe prima della morte dell’originale vivente. Ma quando è stato scritto l’Addio? Nella sua autobiografia, Agatha fa pensare che sia stato scritto insieme a Sipario durante la guerra. Il regista John Curran, che ha pubblicato due libri basati sui quaderni segreti di Agatha, mette in dubbio questa versione, affermando che sarebbe stato scritto molto tempo dopo. A chi dobbiamo credere? Alla regina dell’inganno o a un suo estimatore? Secondo voi? Agatha non si sarà divertita con una sua personale Trappola per topi scrivendo quella che noi pensiamo sia la sua autobiografia, mentre in realtà architettava una delle sue geniali storie?
Sandra Petrignani e le case delle scrittrici. E’ già passato quasi un anno da quando, carica di aspettative, ho preparato valigie e attrezzatura del mestiere (cioè una vecchia macchina fotografica, un taccuino e una penna) per andare a fare una delle esperienze più entusiasmanti della mia vita, mettermi Sulle tracce delle grandi scrittrici per andare nei posti dove sono nate o hanno vissuto.
Quando mi è capitato tra le mani La scrittrice abita qui di Sandra Petrignani in prossimità dell’anniversario del viaggio, non potevo non prenderlo come un segno del destino. Soprattutto perché tra lei e me c’è una scrittrice in comune.
La trama
Dalla Sardegna di Grazia Deledda all’America di Marguerite Yourcenar, dalla Francia di Colette all’Oriente di Alexandra David-Néel, dall’Africa e Danimarca di Karen Blixen all’Inghilterra di Virginia Woolf. Un lungo viaggio in case-museo che, attraverso mobili e suppellettili, stanze e giardini, raccontano la storia sentimentale delle più significative scrittrici del Novecento. Da Parigi alla Provenza, dal Kenya al Maine, da Copenhagen al Tibet, Sandra Petrignani le cerca nei loro oggetti, interroga i loro diari, la poltrona in cui si sedevano, il portafortuna da cui non si separavano, ma anche le persone che ancora conservano un ricordo vivo di loro. Così il viaggio diventa un giro del mondo dove a ogni tappa è come se le protagoniste in persona aprissero la porta e svelassero i segreti della loro vita. Le mele nel tinello della Yourcenar e il suo cane ancora vivo, il tempio tibetano ricreato a Digne dalla David-Néel o la stanza chiusa che fu sua nel monastero del Sikkim dove si ritirò in meditazione, la Barbagia della Deledda con le fate e i folletti che influenzarono la sua fantasia, il grammofono della Blixen portato con sé dalla sua Africa in ricordo dell’uomo che aveva amato e perduto per sempre: Sandra Petrignani ascolta “la voce delle cose” e la traduce nelle storie di questo libro.
La voce delle case
L’idea di partenza è interessante: visitare le case delle scrittrici, nella supposizione che lì l’anima delle persone si riveli in tutta la sua essenza. Solo nella nostra casa, nell’intimità delle nostre cose, riusciamo a essere noi stessi, a rivelare chi siamo, attraverso gli oggetti, le fotografie, l’arredamento, gli abiti. Siamo nudi, agli occhi di chi vuole scoprire il nostro carattere e le nostre abitudini.
Le sei scrittrici, Grazia Deledda, Marguerite Yourcenar, Colette, Alexandra David-Néel, Karen Blixen e Virginia Woolf non hanno niente in comune. A volte si sono sfiorate o incontrate, ma rimangono mondi a se stanti. Il che rende chi legge libero di scegliere da quale capitolo e da quale autrice partire. Io sono partita da Virginia Woolf, perché ho scritto da poco una sua biografia e mi interessava conoscere qualche altro aspetto, non avendo visitato la casa che condivideva con il marito, ma solo il famosissimo Godrevy Lighthouse di Gita al faro. Cominciando dalla fine, e da una biografia che in parte conoscevo già, ho pensato che malauguratamente al saggio non sono state allegate le fonti da cui Sandra Petrignani ha preso le informazioni. Peccato, perché sarebbe stato invece utile non solo per approfondire alcune parti che mi hanno incuriosito, ma anche per verificare delle considerazioni che, nel caso di Virginia Woolf per esempio, rimangono nel limbo dell’opinione personale che su di lei si è fatta l’autrice del saggio e che forse non appartengono davvero alla storia della scrittrice.
Verificare le fonti è impossibile
Dico forse, perché, appunto, verificare attraverso le fonti è impossibile. Un limite dell’opera che secondo me affligge il lettore soprattutto quando si trova ad affrontare i capitoli delle scrittrici che conosce poco o non conosce affatto. Nel mio caso, è successo nel capitolo dell’esploratrice Alexandra David-Néel. Come è giusto che sia, delle biografie abbiamo soltanto dei cenni laddove servano per inquadrare meglio il personaggio alla luce della dimora in cui ha abitato, e non viceversa. Il che è probabilmente funzionale al tipo di monografia che Sandra Petrignani ha voluto realizzare, ma che lascia molte ombre nella ricostruzione delle vite. Salti temporali continui rendono difficile ricomporre la vita delle donne ritratte, probabilmente perché il lavoro sarebbe diventato immenso e un libro di 220 pagine sarebbe diventato un tomo di mille.
L’anima delle case e quella delle persone
Il merito principale è comunque quello di aver aperto le porte di queste case abitate da donne fuori dall’ordinario. Leggere fa venire voglia di preparare una valigia e partire immediatamente, per aprire le stesse porte e curiosare all’interno. Quello che però scaturisce è una distanza emotiva, uno stile scarno che poco rappresenta i sentimenti burrascosi delle donne raccontate. Sì, chiudendo come ho fatto io con Grazia Deledda, sembra quasi che le case siano vuote, come se l’anima delle scrittrici che vi hanno abitato le abbiano lasciate. Così non è, non può essere. Perché l’anima di una casa e l’anima delle persone che l’hanno abitata rimangono unite indelebilmente. E per sempre.
Inventa personaggi inquietanti, ambientazioni misteriose e condisce le sue storie con un mix di romanticismo e violenza unico nel suo genere, senza mai chiudere con un finale degno di questo nome, come se ogni suo lavoro non dovesse mai avere fine. Come il suo rapporto d’amore con le scogliere della Cornovaglia. Daphne du Maurier ha legato la vita reale e la finzione in modo che, forse, neanche lei sapesse più dove finiva una e iniziava l’altra. La sua biografia, infatti, non è certo da romance come quella di Rosamunde Pilcher, ma è degna di uno dei suoi romanzi. E di un alter ego, Rebecca, di cui mai è riuscita a liberarsi.
“What a pity I’m not a vagrant on the face of the earth,” du Maurier wrote in her diary at 21. “Wandering in strange cities, foreign lands, open spaces, fighting, drinking, loving physically. And here I am, only a silly sheltered girl in a dress, knowing nothing at all — but Nothing.”
“Peccato che non sia una vagabonda sulla faccia della terra”, scrisse a 21 anni nel suo diario.”Vagando in strane città, terre straniere, spazi aperti, combattendo, bevendo, amando fisicamente. Ed eccomi qui, solo una sciocca ragazza nascosta in un vestito, che non sa niente di niente”.
Dame Daphne du Maurier, Lady Browning
Dame Daphne du Maurier, Lady Browning, nacque a Londra il 13 maggio 1907, ultima di tre sorelle. I genitori, Gerald du Maurier e Moriel Beaumont, avevano entrambi un passato di attori teatrali. Gerald era stato anche impresario ed era figlio di George, scrittore e fumettista, nonché fratello di Sylvia, i cui figli ispirarono il Peter Pan di Sir James Matthew Barrie. Nel 1916 la famiglia Du Maurier si trasferì a Cannon Hall, una villa di stile georgiano ad Hampstead, Londra, quartiere considerato il sobborgo di intellettuali, artisti, musicisti e scrittori e dove ancora oggi sono ubicate alcune delle ville più costose del mondo. Daphne e le sorelle frequentarono la St. Margaret’s School, una scuola per ragazze di Oak Hill Park.
Una famiglia scomoda
Insomma, la vita di Daphne sembra iniziare nel migliore dei modi. Famiglia benestante, genitori artisti e un ambiente vivace in cui crescere. Ma la personalità complessa del padre ha un’enorme influenza sulla crescita delle figlie e sul loro futuro. Dicono di lui che fosse un uomo alla mano, divertente e un bravo imitatore. Daphne era la sua preferita, ma il suo amore eccessivo poteva diventare opprimente. Si comportava come un amico a cui poter confidare anche i più intimi segreti, ma guai se una delle figlie manifestava una qualsiasi volontà di rendersi indipendente. Diventava un padre “vittoriano”, rigido e intransigente. Daphne raccontava spesso di quanto fosse difficile vivere con lui ed essere figlia e nipote di personaggi famosi. Il suo successo come scrittrice arrivò quando Gerald, “D” come lo chiamava la figlia, era già morto; per lui, sarebbe stato probabilmente un colpo ferale essere messo in ombra dalla figlia. Non solo, negli ultimi anni alcune biografie non autorizzate suggeriscono che dietro i rapporti difficili tra padre e figlia ci fosse ben altro, come vedremo più avanti e come avevamo già visto per Virginia Woolf.
A Parigi l’incontro con il sesso
La scrittura diventa per Daphne una via di fuga dall’atmosfera familiare. Incoraggiata a scrivere da una governante, la ragazza usciva tutti i giorni per lunghe passeggiate vicino casa e camminando ideava trame e personaggi. Nel 1925 lascia Londra per frequentare una scuola di perfezionamento a Parigi e qui incontra una donna che cambierà la sua vita. Daphne s’innamora, infatti, della preside della scuola, di dodici anni più grande. Non è solo il suo primo amore, ma è anche una persona che la incoraggia a scrivere, a coltivare un’arte e a vivere una vita segreta, che sarà poi fonte continua d’ispirazione per i suoi libri.
The boy in the box
Naturalmente, a casa e non solo Daphne continua a nascondere quel rapporto proibito, così come nasconde altre storie d’amore, per esempio quella con Gertrude Lawrence nel 1948. Anche perché sembra che la Lawrence abbia avuto un flirt anche con il padre dell’autrice. Il rapporto con la sua sessualità è complesso: la scrittrice odia la parola lesbica e non si considera bisessuale. Chiama quella parte della sua personalità “The boy in the box”, il ragazzo in scatola, intendendo dire che sentiva di possedere un cuore di ragazzo dentro un corpo di donna. Questa duplicità è chiaramente percepibile nell’ambiguità di fondo che sotterraneamente pervade i suoi romanzi. D’altra parte, anche il padre, che era conosciuto per essere fortemente omofobo, in realtà secondo Daphne nascondeva una natura sessuale fortemente ambigua.
A Fowey, in Cornovaglia
Dopo aver completato gli studi, torna in Inghilterra per seguire la famiglia che nel frattempo si è spostata a Fowey, in Cornovaglia, in una casa chiamata Ferryside. Proprio a Fowey c’è una casa elisabettiana, Menabilly, da sempre di proprietà della nobile famiglia Rashleigh e che è stata l’ispirazione, insieme a Milton Hall, Cambridgeshire, per “Manderley”, la casa dei coniugi de Winter nel romanzo Rebecca (1938). Come Menabilly, l’immaginario Manderley era nascosto nei boschi e non poteva essere visto dalla riva.
Il padre Gerald
Il rapporto con il padre continua a essere complesso e burrascoso. I vicini di casa non possono fare a meno di notare che lui sia estremamente “tattile” con la sua figlia preferita, tanto da risultare spesso “imbarazzante”. Daphne incoraggia queste intimità inappropriate. “Abbiamo superato il limite“, ammette nel 1965, “e l’ho permesso, mi ha trattato come un’attrice che interpretasse un ruolo romantico in una delle sue commedie“. Durante l’adolescenza, l’atteggiamento di Daphne verso suo padre cambia bruscamente. Comincia a rendersi conto delle sue frequenti scappatelle con giovani attrici e reagisce con un misto di gelosia e profondo risentimento per l’umiliazione causata a sua madre. Una delle sue molte amanti era Gertrude Lawrence, che Daphne odia profondamente “quella maledetta cagna” ma con cui più tardi lei stessa avrà una relazione. Forse, sussurra qualcuno, come vendetta postuma per rovinarle la reputazione nell’ambiente teatrale.
Daphne e Francis Scott Fitzgerald
A 19 anni, il fotografo Cecil Beaton la ritrae in primo piano, con i capelli acconciati e le spalle scoperte, in una posa fresca e giovane e allo stesso tempo sensuale. La foto viene scelta da Penguin per la copertina del romanzo di Francis Scott Fitzgerald “Tender is the Night”, senza però citare il nome di Daphne du Maurier nei credits.
Il debutto
Nel 1931, a soli 23 anni, grazie anche all’aiuto di uno zio editore Daphne pubblica il suo primo libro The Loving Spirit, Spirito d’amore, la storia di una famiglia di piccoli armatori della Cornovaglia. “The loving spirit fu ispirato dal senso di libertà che la mia nuova esistenza a Ferryside riuscì a portare“. Ferryside era un edificio in granito costituito in origine da un’officina, un cortile e una banchina di un vecchio cantiere navale. Nei suoi 200 anni di vita, è ancora oggi funzionante e visitabile, la banchina originale è stata trasformata in un giardino domestico, il soppalco ospita camere da letto e un bagno, e l’ex negozio di barche è divenuto il salotto della famiglia. Le famiglie che negli anni ’20 davano nuova vita a vecchi ruderi, trasformandoli in case per le vacanze, diedero un impulso notevole all’economia cornica del periodo. Solo che per Daphne, quella che doveva essere una casa per le vacanze, si trasforma nel luogo del cuore e le fornisce ispirazione per la sua prima prova di autrice.
Il matrimonio
Successivamente, mentre gli altri parenti tornano a Londra, decide di rimanere a Fowey. L’anno successivo, nel 1932, Daphne sposa sir Frederick Arthur Montagne Browning, maggiore dell’esercito ed ex atleta olimpico di bob, con un’intima cerimonia in Cornovaglia. L’unione causa al padre di Daphne una crisi nervosa. Dall’unione nascono tre figli: Tessa (1933), Flavia (1937) e Christian (1940), tutti ancora viventi. Per l’attività del marito, la coppia nel 1939 si trasferisce ad Alessandria d’Egitto, dove Daphne scrive Rebecca, la prima moglie, il suo romanzo più conosciuto, lasciando le prime due figlie in Inghilterra, con le tate e i nonni, “Io non sono una di quelle madri che vivono per avere i loro marmocchi con loro tutto il tempo“.
Nel 1934 Gerald muore a 61 anni. Daphne non partecipa al funerale, ma scrive una sua biografia, rivelando quanto fosse vanitoso, amante dell’alcol e di umore instabile.
Jamaica Inn (Taverna della Giamaica, 1936)
Cinque anni dopo il suo esordio, Daphne ottiene il suo primo grande successo. Jamaica Inn è stato anche il primo suo romanzo a essere portato sul grande schermo. L’attore Charles Laughton acquistò i diritti del film e nominò Alfred Hitchcock come regista. Hitchcock conosceva bene i Du Maurier, avendo già lavorato con il padre attore-manager, ma aveva dei dubbi sul progetto, soprattutto per la tendenza di Laughton a voler comandare su tutto, lasciando poco spazio al contributo creativo della regia. Come previsto da Hitch, Laughton dominò il film, mentre Daphne Du Maurier arrivò a odiarlo e Hitchcock a ignorarne l’esistenza.
Rebecca (1938)
Rebecca viene pubblicato nel 1938, quando la scrittrice ha 31 anni, ed è subito un successo clamoroso, l’opera e il personaggio con i quali verrà poi identificata e riconosciuta per tutta la vita. Rebecca finisce per diventare la sua ossessione, un’ombra dalla quale non riuscirà mai a liberarsi. Tanto che nel 1943 la scrittrice andò a vivere in affitto proprio a Menabilly, rimanendoci fino al 1964, quasi come se volesse identificarsi con l’eroina della sua storia più famosa. E’ incredibile come a volte la vita reale e quella romanzesca si intreccino: Rebecca, infatti, nasce dopo che Daphne scopre casualmente un fascio di lettere d’amore scritte al marito dalla sua ex fidanzata, Jeannette Louisa Ricardo, detta Jan, una donna dai capelli neri di straordinaria bellezza. Parente dell’economista David Ricardo, Jan potrebbe essere definita una Kim Kardashian dell’epoca. Al centro della movimentata vita sociale londinese, Jan si riconobbe nel personaggio di Rebecca. Anche se lei e Daphne non si incontrarono mai, infatti, Daphne scrisse questo romanzo per esorcizzare l’ombra della prima promessa sposa del marito. Lei e Browning avevano annunciato per ben due volte il matrimonio, disdicendo entrambe le volte. Due anni dopo, Browning aveva sposato Daphne. Quest’ultima, tuttavia, era convinta che l’uomo fosse ancora innamorato di Jan, fino a diventarne ossessivamente gelosa. In quelle lettere, a colpirla in modo particolare fu la “R” Ricardo nella firma di Jan. Ricordate Rebecca? La seconda moglie trova una dedica di Rebecca per Max dentro un libro che appartiene all’uomo e odia la calligrafia di Rebecca, soprattutto la firma, con quella “R” che sovrasta le altre lettere, quella “R” tentacolare che la seconda signora de Winter vede ovunque a Manderley. D’altra parte, la stessa gelosia aveva caratterizzato i rapporti con il padre Gerald, con lei che soffriva quando si rendeva conto che il padre non era solo suo.
In Italia il romanzo è uscito nel 1940 col titolo La prima moglie. Anche i diritti cinematografici sono stati venduti immediatamente per diecimila sterline e poco dopo sempre Alfred Hitchcock dirige Laurence Olivier e Joan Fontaine in un film di grande successo. Daphne du Maurier è un’autrice acclamata. Ciò significa che da lei ci si aspettano altri bestseller.
Le accuse di plagio
Quando Rebecca viene pubblicato in Brasile, il critico Álvaro Lins sottolinea le molte somiglianze con A Sucessora, un libro scritto nel 1934 da Carolina Nabuco. Secondo la stessa scrittrice e il suo editore, la Du Maurier avrebbe copiato non solo la trama principale, ma anche situazioni e interi dialoghi. Quando la polemica esce sui giornali, Daphne Du Maurier scrive al New York Times di non aver mai sentito parlare né del romanzo né della scrittrice fino all’anno precedente e che le somiglianze erano dovute semplicemente a una trama piuttosto comune (?). Nel 2002 il New York Times. Ha ripreso la questione. Secondo il quotidiano, Carolina Nabuco avrebbe dichiarato di aver ricevuto pressioni dalla United Artists, che produceva il film di Hitchcock, perché firmasse un documento in cui affermava che le somiglianze erano solo una coincidenza, dietro lauto compenso, ma l’autrice si rifiutò.
Super criticata nonostante milioni di copie vendute
Plagio o no, il destino di Daphne è segnato. Celebrata dal pubblico, sforna un best seller dietro l’altro, ma mai nella sua lunga carriera riuscirà a vincere un premio letterario? Perché? Secondo una recente, e più unica che rara, intervista rilasciata da suo figlio Kits, i critici la bollano come “autrice romance di bassa lega”. Cosa la stessa scrittrice attribuisce alla sua popolarità e alle massicce vendite. Anche Stephen King, a sua volta enormemente criticato per la sua prolificità, la difende: Nel 1993, descrive Rebecca come “un libro che ogni aspirante scrittore popolare dovrebbe leggere, se non altro per il suo coraggio e il suo controllo narrativo. I critici possono sghignazzare, ma è impossibile fare questo genere di cose a meno che tu non abbia un ritmo quasi perfetto nella tua testa“.
I critici, tuttavia, sembrano ignorare quello che il pubblico e il mondo del cinema amano: romanticismo, psicodramma gotico, crimine e intrighi sessuali. Le pessime recensioni la gettano nello sconforto, nonostante la ricchezza accumulata. “You don’t know how hurtful it is to have rotten, sneering reviews, time and time again throughout my life. The fact that I sold well never really made up for them”. “”Non sai quanto sia doloroso aver ricevuto recensioni disgustose, beffarde, più e più volte nella mia vita. Il fatto di aver venduto bene non le ha mai compensate“. Per fortuna, però, l’amore per la scrittura è più forte di qualsiasi recensione negativa. E Daphne continua a scrivere.
Donna a bordo (1941)
Anche in quest’altro romanzo storico, sempre ambientato in Cornovaglia alla fine del XVII secolo, Daphne rivela una parte di se stessa. La protagonista, Lady Dona Saint Columb, fugge con i figli dalle convenzioni londinesi e dal marito per rifugiarsi nel maniero di Navron, vicino a Helford. Qui scopre che la casa è stata occupata dal “francese”, un pirata bretone con il quale lei si trova subito in sintonia. Dona vuole quella libertà che sa di non poter avere, se non a prezzo di enormi sacrifici, e arriva a vestirsi da marinaio pur di partecipare a una spedizione da pirata. Non è difficile rintracciare nella trama il “boy in the box”, il lato maschile, che nella scrittrice è così forte e lotta per uscire. Anche stavolta prende ispirazione dalla vita reale. Il marito si allontanava così spesso che Daphne, i suoi figli e la loro tata furono invitati a stare con Paddy e Henry Puxley (Christopher) che vivevano a Langley End, vicino a Hitchin nell’Hertfordshire. Daphne e Christopher hanno una relazione, che viene scoperta dal marito, rientrato improvvisamente dall’estero. Non ci sono scenate, ma Daphne è costretta a lasciare Langley End e a fare ritorno anticipatamente a Fowey, abbandonando definitivamente il suo sogno romantico. Donna a bordo, forse non a caso, è l’unico romanzo vicino al romance che Daphne abbia mai scritto.
Il ritorno nell’amata Cornovaglia e il rapporto con i figli
Nel 1943 la famiglia Browning torna definitivamente in Inghilterra e Daphne realizza il suo sogno: prendere in affitto Menabilly e andarci a vivere con i figli. Il marito continua a spostarsi per lavoro, ma lei decide di volta in volta se seguirlo o meno. In una lettera all’amica Ellen Doubleday, l’autrice individua il problema nel suo successo professionale: “Le persone come me, che hanno una carriera, mettono davvero in discussione il vecchio rapporto tra uomini e donne. Le donne dovrebbero essere morbide, gentili e dipendenti. Spiriti disincarnati come me hanno torto a prescindere. “Il rapporto con il marito è quasi inesistente, tanto che secondo lei anche lui ha un’amante, una ventitreenne militare, quello con i tre figli è complicato: Daphne viene giudicata spesso una madre distante, fredda quasi, a causa di una evidente fragilità psicologica e dei frequenti alti e bassi cui è soggetta. In realtà, ama tantissimo i suoi figli e loro la ricambiano, tanto che ancora oggi ne difendono strenuamente la memoria. Anche recentemente, hanno ricordato come la mamma volesse essere riconosciuta per quello che era: una dannatamente brava narratrice di storie. A Menabilly, Daphne aveva fatto appendere un ritratto a grandezza naturale di Gerald sulla scala principale. Daphne a volte si fermava di fronte a lui, guardandolo e mormorando gentilmente: “Oh D! Oh D!” Il rapporto complesso con il padre continua anche dopo la morte.
La collina della fame (Hungry Hill, 1943)
Quando esce questo romanzo, addirittura Daphe viene accusata di scrivere solo per soldi e per farne un adattamento cinematografico. Cosa che puntualmente avviene nel 1947, con Margaret Lockwood, una delle attrici britanniche più famose dell’epoca, con la scrittrice che lavora attivamente come co-sceneggiatrice all’adattamento.
Mia cugina Rachele (1951)
E’ leggermente meno conosciuto di Rebecca, ma altrettanto fortunato sia nel mondo letterario sia in quello cinematografico. Dal libro, infatti, sono stati tratti due film: uno nel 1952, diretto da Henry Koster, con Olivia De Havilland nella parte della seducente vedova Rachel. Uno l’anno scorso, intitolato semplicemente Rachel e interpretato da Rachel Weisz. Nel romanzo, di nuovo storico e di nuovo ambientato in Cornovaglia, Philip Ashley, orfano dei genitori, viene allevato dal cugino Ambrose Ashley. Per ragioni di salute Ambrose parte per il continente, lasciando Philip, poco più che ventenne, a casa. Dopo qualche mese arriva a Firenze dove conosce una cugina, Rachel, vedova di un conte italiano. Ben presto i due si sposano. Insospettito dal silenzio di Ambrose, Philip si reca a Firenze, dove apprende che il cugino è morto e Rachele se n’è andata. Ritornato a casa, Philip comincia a odiare Rachele, finché non la conosce. Se ne innamora e il giorno del suo venticinquesimo compleanno, in cui diviene legalmente un adulto, le regala tutta la proprietà e i gioielli di famiglia, proponendole di sposarlo. A quel punto però Rachele rifiuta…. Philip comincia ad avere dei sospetti: Ambrose è veramente deceduto per cause naturali? Daphne rimane delusa dall’adattamento del film di Koster, perché tutti i temi i temi più impegnativi del romanzo, la colpevolezza maschile, la dipendenza economica delle donne sugli uomini, la paura dell’autonomia femminile, vengono diluiti per favorire la storia di base.
Gli uccelli (1953)
“Se la storia avesse coinvolto avvoltoi o rapaci, non mi sarebbe piaciuta”, disse Hitchcock intervistato sull’omonimo film in uscita. “L’attrazione di base per me è che parliamo di uccelli normali e che vediamo tutti i giorni. Capisci cosa intendo?” L’ha capito senz’altro Tippi Hedren, che per colpa sua ha avuto un esaurimento nervoso. Il regista Alfred Hitchcock, infatti, per rendere più credibili le scene dell’attacco dei volatili, fece davvero arrivare sul set stormi di uccelli impazziti che assalirono la giovane attrice. In realtà, l’aggressione degli uccelli potrebbe rappresentare, ma non è sicuro, una metafora degli attacchi per via aerea subito da Londra durante la seconda guerra mondiale. Anche stavolta, arriva puntuale un’accusa di plagio. L’autore Frank Baker è convinto che la trama sia troppo simile a quella del suo romanzo Uccelli, pubblicato nel 1936 con l’editore Davies. Il quale era il cugino di Daphne. Coincidenze? Anche stavolta la Du Maurier nega e Baker, pur considerando di fare causa agli Universal Studios, decide di rinunciare perché sconsigliato dalla costosità dell’operazione.
Il capro espiatorio (1957)
Altro romanzo e altra trasposizione John è un mite professore inglese che tutti gli anni va in vacanza in Francia, dove si limita a osservare le vite altrui. Alla fine di una vacanza uguale a tutte le altre, in attesa di partire, seduto al bar di una stazione di provincia tra viaggiatori, uomini soli, famiglie e bambini urlanti, incontra se stesso. Il suo sosia perfetto, il conte Jean de Gué. Un legame profondo, stretto in una notte d’alcol e confessioni, li incatena. Al mattino John si sveglia stordito, nudo, derubato di tutto, al suo fianco solo gli effetti personali del sosia. Obbligato a prenderne il posto, l’anonimo insegnante si trova intrappolato nella personalità arrogante e seduttiva del nobile, ne diventa l’ombra. Il gioco di identità lo porterà molto vicino a perdere la coscienza di sé, fino a confondere la sua realtà con quella del sosia.
La morte del marito e l’addio a Menabilly
Negli ultimi anni di vita, sempre di più il marito aveva finito per assomigliare al padre: entrambi bevevano troppo. Entrambi avevano problemi e soffrivano di attacchi debilitanti di cupa depressione, nonostante la facciata brillante che mostravano all’esterno. Nel 1957 Frederick Browning inizia a soffrire di un forte esaurimento nervoso e due anni più tardi viene costretto al ritiro. Sembra che il “reale” motivo della malattia fosse la sua passione per la principessa Elisabetta, di cui nel 1948 era divenuto Tesoriere. Di sicuro, c’erano altre due amanti a Londra. Nel 1963 viene coinvolto in uno scandalo: sotto l’influenza di droghe e alcolici, causa un incidente automobilistico in cui due persone rimangono ferite. Muore a Menabilly, il 14 marzo 1965, per un attacco di cuore. In seguito alla sua morte, Daphne prende in affitto Kilmarth, la casa dei giardinieri della tenuta di Menabilly, continuando a scrivere finché la salute e la vecchiaia non glielo impediranno, come una reclusa, in completa solitudine.
Gli altri lavori e gli ultimi giorni
Nominata Dame Commander dell’Impero britannico nel 1969, Daphne pubblica senza sosta i suoi lavori fino al 1981. Nel 1977 riceve il premio Grand Master Award by the Mystery Writers of America. Il suo ultimo lavoro esce postumo nel 1989, subito dopo la sua morte. Cornovaglia magica è l’autobiografia di una scrittrice solitaria, innamorata della terra che l’ha adottata. L’autrice racconta e rilegge la sua vita attraverso i suoi viaggi e i suoi romanzi ispirati tutti dall’amore per questa terra. Magica, misteriosa, inesplorata, la Cornovaglia è vista e “rivisitata” attraverso gli occhi della scrittrice, assumendo quasi la forma di un testamento spirituale. Subito dopo averla terminata, infatti, Daphne du Maurier muore, il 19 aprile 1989. Il 16 aprile, tre giorni prima di cedere alla broncopolmonite a 81 anni, Daphne sfida il vento e la pioggia per un’ultima nostalgica visita alla suo adorato Menabilly. Dopo la sua morte, i figli assecondano le sue ultime volontà e spargono le ceneri nei campi che circondano la sua ultima abitazione.
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