Il terzo giorno inizia con una passeggiata nell’Isola dei musei, dove, lo dice il nome stesso, si trova un considerevole numero di musei, di importanza internazionale. L’intera area è stata dichiarata nel 1999 patrimonio dell’umanità dall’UNESCO.
Non potendo, sempre per questioni di tempo, visitare tutti i musei, ho scelto quello che per me è più rappresentativo: il Pergamonmuseum. Anche si chiama museo di Pergamo, in realtà è costituito da tre aree, perché ospita una collezione di antichità classiche, una di antichità del vicino Oriente e una di arte islamica. Le prime due, a mio parere, sono le migliori, ma un’occhiata anche all’arte islamica a fine visita non fatevela mancare.
Si parte subito alla grande, perché appena entrata mi sono trovata davanti la ricostruzione della Porta di Ishtar, da cui nel VI secolo a.C. si accedeva alla città di Babilonia. E’ interamente ricoperta con tasselli di ceramica blu e le mura sono decorate con leoni, draghi e tori, i simboli delle principali divinità babilonesi. Assolutamente meravigliosa, da sola varrebbe la visita, ma le sorprese sono appena iniziate. Dalla porta di Ishtar, proprio come in passato, si accede a un’altra sala, dove incredibilmente gli archeologi sono riusciti a ricostruire parte della Porta del mercato di Mileto, un capolavoro di architettura Romana, il reperto archeologico più grande del mondo ospitato in un museo. Il lavoro certosino con cui è stata innalzata la posta è un eccezionale esempio di valorizzazione moderna del genio antico. Qui ho ritrovato di nuovo quella sensazione che Berlino mi ha dato più volte in questa settimana, questo contatto continuo tra passato e futuro, un fluire costante tra ordine e sregolatezza, un anelito alla grandiosità che può restituirci cose belle, oppure portare il mondo sull’orlo del disastro.
In confronto a questi due esempi il resto della visita è andato in discesa, anche perché purtroppo fino al 2019 colui che dà il nome al museo, l’Altare di Pergamo, sarà in ristrutturazione e quindi impossibile da vedere. Peccato, davvero, sarebbe stato un giusto completamento. Per la cronaca, compreso nel prezzo del biglietto c’è l’audioguida, che è stata pensata per guidare letteralmente il visitatore all’interno delle sale.
Uscita da lì, mi sono concessa una passeggiata rilassante sotto il (raro, mi dicono) sole berlinese. L’isola è pedonale e un luogo di pace, nonostante i tanti piccoli locali che affollano il lungofiume.
Mi sono fermata in uno di questi e ho deciso di assaggiare una delle specialità della casa: il currywurst. Vi voglio dare un consiglio: non prendetelo nei tanti chioschetti che lo offrono. Vale la pena di spendere qualcosa in più e ordinarlo in un buon ristorante. La mia prima impressione, infatti, è stata negativa. Annegato in una salsa di pomodoro e ketchup, l’ho trovato moscio e per niente invitante. Quasi quasi ho preferito le patatine fritte con cui mi è stato servito. Come ho detto, l’impressione è stata ribaltata quando l’ho assaggiato di nuovo in un ristorante: niente a che vedere con il primo (ma della cucina berlinese parlerò in un’altra puntata).
Il riposo è finito, proprio sul lungofiume c’è un altro museo da visitare, il Museo della DDR, che da dieci anni colleziona tutto ciò che riguarda il quarantennio della Repubblica Democratica Tedesca (1949-1990). Stavolta le audioguide non ci sono, perché il DDR-Museum è costruito come una serie di sale interattive, che aprono finestre (e cassetti) su ogni aspetto della vita nell’ex repubblica democratica. E’ incredibile come a un certo punto sembra di poterli rivivere, quegli anni. Si parte con la vita quotidiana: cosa studiavano, cosa mangiavano, dove vivevano, quali sport sceglievano, che lavori facevano cos’era contenuto nelle scrivanie dei burocrati. Che macchine guidavano? Una, la Trabant, che ordinavano dieci anni prima per riceverla dieci anni dopo. Vuoi farti un giro? Sali in macchina e con un simulatore potrai guidare dentro un quartiere. La sfida è riuscire a uscirne. Sfida persa, almeno per quanto mi riguarda. Dopo una serie di curve, curve, curve, in mezzo a palazzi altissimi, sono rimasta senza benzina. Sospetto che all’epoca fosse molto comune. Scesa da lì, mi sono infilata nella stanza di un collaboratore della STASI, la polizia segreta della DDR, e ho ascoltato le telefonate degli oppositori del regime socialista. Subito dopo, la parte più divertente: ho digitato un interno sul citofono, mi hanno risposto in tedesco una cosa del tipo “sali, xx piano”. Accanto c’era un ascensore: l’ho preso, ho digitato il piano, le porte si sono chiuse e un suono ha simulato la partenza degli ascensori. Non vi nascondo che io e gli altri ci siamo guardati leggermente preoccupati…quando le porte si sono aperte, sul retro, siamo stati catapultati dentro un tipico appartamento di Berlino est, perfettamente arredato, pure con la finta pioggia che s’intravede dall’esterno della finestra. Un televisore trasmetteva il telecinegiornale. Dopo aver spiato nella casa del Grande Fratello, aprendo anche frigorifero e cassetti in camera da letto, con scoperte sorprendenti, la visita è sostanzialmente finita. Lo consiglio veramente, è divertente e istruttivo allo stesso tempo. E non avete idea di quanta gente rinunci per paura a prendere l’ascensore! Perdendo praticamente tutta la seconda parte della visita.
All’uscita mi sono sentita quasi una cittadina della Germania Est. L’atmosfera un po’ soffocante del passato recente doveva essere in qualche modo controbilanciata. Allora, niente di meglio che il Lustgarden (Il giardino dei piaceri) di fronte al Duomo per rilassarmi e fare qualche foto poco impegnativa. Costruito nel 1573, il giardino ha avuto una storia travagliata e i più svariati utilizzi, come un po’ tutto qui, fino ad assumere la funzione attuale di luogo prediletto dai berlinesi per prendere il sole all’aperto. Potevo io esimermi dall’utilizzarlo come gli autoctoni?
La terza puntata finisce qui. Vi aspetto domani per la quarta, dove entreremo in una sala da tè tagika, gireremo per gli otto cortili di Rosenthaler straße e vi farò conoscere la mia piazza preferita. Vi racconterò anche come e perché ho partecipato anch’io alla Breakfast run…