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King’s Abbot, la tranquilla ? campagna inglese

A King’s Abbot l’attività principale è…Per il primo BookcClubPec del 2023 abbiamo scelto la regina del giallo, Agatha Christie, e un suo romanzo molto, molto controverso, L’assassinio di Roger Ackroyd. Perché? Andiamo avanti nella lettura e lo scopriremo. Ora, per questa prima settimana di dibattito, ci concentremo sull’ambientazione.

La trama

Già dalla trama, capiamo qualcosa del posto in cui ci troviamo. King’s Abbot è un tipico paesino della campagna inglese dove non succede mai nulla di speciale. Un giorno però qualcosa accade: l’uomo più ricco del paese, Roger Ackroyd, viene inspiegabilmente assassinato. Chi è stato? E perché? Vi avevo già raccontato della mia inquietudine quando sono andata a trovare Agatha Christie nella sua cittadina natale, Torquay. Ricordate che vi avevo detto? Il primo aggettivo che mi viene in mente per descrivere l’atmosfera di Torquay è “inquietante. Pensate ad Agatha e alla mente brillante di una ragazzina che trasforma questa sensazione in racconti di successo. E’ la stessa atmosfera che ritroviamo in televisione quando guardiamo Barnaby, per fare un esempio. 

King’s Abbot

Ne L’assassinio di Roger Acroyd, il dottor Sheperd, il narratore della storia, descrive così King’s Abbot: Il nostro paese, King’s Abbot, è un paese come tanti altri. La città più vicina, Cranchester, dista circa dodici chilometri. Abbiamo una grande stazione ferroviaria, un piccolo ufficio postale e due empori, che sono in perpetua rivalità tra loro. Le nostre risorse e i nostri passatempi intellettuali si possono sintetizzare in una sola parola: il pettegolezzo.

Agatha Christie 

Cosa diceva Agatha Christie sull’ambientazione di un romanzo? “Non c’è bisogno di inventarla…c’è…è reale. Esiste già attorno a noi. Basta scegliere…un treno, un ospedale, un albergo, un paesino. Ma su una cosa non si può transigere: devono esistere”. 

King’s Abbot esiste davvero?

Ma certo, potremmo mai mettere in dubbio le parole di Agatha Christie? King’s Abbot è in realtà Castle Combe, un villaggio delle meravigliose Cotswold. Direi la location ideale per la storia che ci sta raccontando? Furbo Poirot: in pensione si è scelto un buen ritiro niente male! Vi piacerebbe ritirarvi in un paesino del genere?

Village-of-Castle-Combe-UK

Via ai commenti!

E noi lo sappiamo bene che le sue ambientazioni esistevano veramente, vero? Abbiamo tutti gli elementi e stiamo leggendo già da una settimana. Parliamo, allora, di ambientazione. Vi ritrovate in qualcuna delle caratteristiche di cui abbiamo parlato? La ritrovate ne L’assassinio di Roger Acroyd? Dove è ambientato? Come descrive l’ambiente in cui si muovono i suoi personaggi? Vi fa entrate nell’atmosfera del racconto? Raccontatemi i vostri pensieri nei commenti!

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Agatha Christie è una scrittrice che non ha davvero bisogno di presentazioni. E’ popolarissima da quasi un secolo e di lei sappiamo, o pensiamo di sapere, tutto. Tutto quello che lei ha deciso di raccontarci. Eppure, fermatevi qualche minuto a leggere la sua biografia: anche in questo caso potrebbero aspettarvi delle sorprese… perché non sarebbe la Regina del giallo senza qualche colpo di scena, non credete?

Margaret Atwood e l’infelicità con l’uomo

Margaret Atwood è una delle autrici viventi più quotate e da poco è stato stampato uno dei suoi primi lavori, La vita prima dell’uomo. Io l’ho ribattezzato “L’infelicità con l’uomo”, perché la lettura di questo romanzo certo non risolleva l’animo e la fiducia nel genere umano. Adesso vi racconto.

Trama

Una coppia apparentemente moderna, libera, aperta: lei, Elizabeth, colleziona amanti senza che Nate, suo marito, ne soffra veramente; lui stesso frequenta una donna, ma questo non compromette, anzi sembra cementare, la loro unione. L’essenziale, dopotutto, è «poter contare l’uno sull’altra». Ma quando il suo ultimo amante si suicida e Nate intreccia una relazione con una giovane paleontologa, il mondo di Elizabeth sembra crollare, e la donna viene assalita da domande esistenziali alle quali non riesce a dare risposta. Nate, per parte sua, non sa scegliere tra le due donne, con l’unico risultato di rendere entrambe infelici…

Il triangolo no

Il triangolo no, non l’avevo considerato, cantava Renato Zero. Invece, Margaret Atwood lo considera e ne fa il centro di questa storia, in cui il lettore si trova a sbirciare dallo spioncino della porta la vita di una coppia sposata e degli amanti che si affaccendano intorno. In un’atmosfera apparentemente tranquilla, eppure densa di rabbia repressa, risentimento, insoddisfazione, infelicità. Un’unione apparentemente solida, che naufraga nel tran tran quotidiano e nella noia. Apparentemente i due non se ne accorgono, o fanno finta di non rendersene conto. Forse, aspirano a rimanere quello che diventano molte coppie col passare degli anni: dei conviventi che crescono insieme le figlie, mantenendo vite separate. Senonché, una tragedia interrompe questo binario verso il nulla.

Indifferenti e civili

Il suicidio di  Chris costringe Elizabeth, Liza, a mettersi di fronte a uno specchio, dove quello che vede non le piace. Come non è piaciuto a me, nonostante gli sforzi di Margaret Atwood di dare delle giustificazioni riferendosi al passato molto difficile della protagonista. Elizabeth non mi piace: la trovo fredda, egoista, cattiva. Ho fatto come Nate, “Ho rinunciato a interrogarmi sulle sue ragioni. Non capisco mai perché fa una certa cosa”. Più avanti il perché si capisce, certo, da anni ormai Elizabeth usava tutta la sua energia per salvare se stessa”. La stessa energia che deve usare il lettore per andare avanti nella lettura. Nate, Elizabeth e Lesje sono tristi, tristi dentro. Chi per un motivo, chi per l’altro, non prendono in mano la propria vita. Pensano che comportarsi in modo civile sia sufficiente per andare avanti. Il che rende assordante la mancanza di civiltà che invece regola i loro rapporti nel profondo. Sembra quasi una replica in salsa canadese de Gli indifferenti, mi perdoneranno il paragone ardito i fan di Margaret Atwood. I quali fan dicono che in questo lavoro il tratto è ancora un po’ acerbo. Mi fido, non ho ancora termini di paragone per poter dire la mia. E’ però un’avvertenza che mi sento di dare a chi deciderà di leggerlo: tenete presente che è una Margaret Atwood agli esordi. La mia speranza è che la sua fiducia nel genere umano sia cresciuta col tempo. Chi la conosce bene mi saprà dire. 

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Agatha Christie per il primo book club 2023. Vuoi leggere con noi?

E’ Dame Agatha Christie, la regina del giallo, la protagonista del primo BookcClubPec del 2023. Pronti a partire per questa nuova lettura di gruppo? Tra i suoi libri, tutti famosi e tutti straordinariamente scritti, ho scelto L’assassinio di Roger Ackroyd. Perché? Il perché lo svelerò andando avanti con la lettura: per ora, posso solo dirvi che possiede un finale strepitoso ed è un unicum nella produzione della scrittrice inglese. E direi anche nel genere giallo in generale! Sono riuscita a incuriosirvi? Procuratevi il libro, iniziamo da lunedì. Intanto, vi lascio qualche informazione sull’autrice  e la trama del libro.

Agatha Christie 

Agatha Christie è una scrittrice che non ha davvero bisogno di presentazioni. E’ popolarissima da quasi un secolo e di lei sappiamo, o pensiamo di sapere, tutto. Tutto quello che lei ha deciso di raccontarci. Eppure, fermatevi qualche minuto a leggere la sua biografia: anche in questo caso potrebbero aspettarvi delle sorprese… perché non sarebbe la Regina del giallo senza qualche colpo di scena, non credete?

La trama

King’s Abbot è un tipico paesino della campagna inglese dove non succede mai nulla di speciale. Un giorno però qualcosa accade: l’uomo più ricco del paese, Roger Ackroyd, viene inspiegabilmente assassinato proprio quando stava per leggere una lettera che avrebbe fatto luce su un misterioso suicidio. 

Che ne dite? Vi piace il titolo che abbiamo scelto? Io sono già intrigata, lo confesso. Per ora iniziamo a leggere, vi do appuntamento alla prossima settimana con la prima analisi, l’ambientazione de L’assassinio di Roger Ackroyd.

Buona lettura!

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Poirot a Styles Court, il primo romanzo di Agatha Christie e anche quello in cui fa la sua comparsa Hercule Poirot.

Anne Berest, chi ha inviato La cartolina?

Anne Berest è la mia prima scoperta del 2023. Pensavo di sapere tutto su nazismo, ebrei e deportazione. Invece, avevo sottovalutato un aspetto fondamentale: la storia la scrivono i vincitori. E ai vincitori non piace ricordare cosa è successo in tempo di guerra. Soprattutto, se la storia alla fine tira fuori la verità. Ecco cos’è stato per me questo libro: un po’ saggio, un po’ autobiografia, un po’ (credo) romanzo.

Trama

Nel 2003 la madre di Anne Berest riceve una strana cartolina anonima sulla quale sono scritti soltanto quattro nomi, Ephraïm, Emma, Noémie e Jacques, ovvero i nonni e gli zii morti ad Auschwitz. Lì per lì pensa a uno scherzo di cattivo gusto, la mette in un cassetto e se la dimentica. Quasi vent’anni dopo, però, Anne Berest decide di scoprire chi l’abbia mandata. È l’inizio di un’indagine a ritroso nel tempo in cui Anne ricostruisce la storia della sua famiglia, ebrei russi approdati a Parigi dopo una rocambolesca fuga. Dieci anni di pace prima che la Francia sia invasa dalla furia nazista e la persecuzione degli ebrei diventi un incubo che avrà per quella famiglia un tragico epilogo. Alla fine, Anne scoprirà chi ha mandato la cartolina, ma la cosa non è importante quanto il risultato delle sue ricerche, che la porterà a capire cosa abbia significato essere ebrei durante il Novecento e cosa significhi oggi.

Una neomamma che si chiede da dove viene 

Il libro di Anne Berest ha molti pregi. Uno dei quali è presentarci una famiglia di ebrei non osservanti, che vivono esattamente come qualsiasi laico nel proprio Paese. Ad Anne serve una rottura, in questo caso il suo diventare madre, per interessarsi davvero alle sue origini. Anche perché nella sua famiglia c’è molto di taciuto. La nonna non amava ricordare la sua tragedia e ne parlava poco, quasi sempre alla nipote. Che per pudore, o intuendo che fosse qualcosa di troppo grande per lei, evitava di parlarne alla madre. Queste figure di donna, nei loro silenzi, sono molto potenti. In quante famiglie succede lo stesso? In tante. Siamo abituati alla figura del superstite come a colui, o colei, che deve tramandare la memoria perché certi fatti non accadano più. Invece accadono ancora oggi, sono sotto i nostri occhi. E non tutti vogliono parlarne. O denunciare. O addirittura ricordarli. “Nei momenti di instabilità economica e sociale aumenta la paura del diverso, dell’altro, che sia donna, straniero, migrante o ebreo. Per questo è importante ricordare le tragedie del passato”, afferma la scrittrice.

Un viaggio nel passato

La cartolina rompe il silenzio. Chi l’ha mandata? E perché? Anne Berest e la madre si mettono alla ricerca della persona che l’ha spedita. Così facendo, Anne scopre che la madre già in passato aveva tentato qualche ricerca. Purtroppo senza grandi successi, perché Myriam (nonna di Anne e madre di Lélia) è stata per tutta la vita una figura sfuggente. Anne a un certo punto dice una cosa che mi ha colpito molto: “ci guardava e sembrava che nei nostri sguardi, nelle nostre risate, vedesse qualcun altro. Era lì, ma da un’altra parte”. La cartolina rappresenta il sottile filo col passato, leggendo capirete perché. Intanto, posso dirvi che la cartolina raffigura l’Opéra Garnier, con il timbro del Louvre. Entrambi gli elementi sono importanti. “Non siamo mai stati religiosi ed era come se la nostra identità ebraica esistesse attraverso le definizioni degli altri. Il passato continuava a entrare nel presente. Era giunto il momento di indagare la storia della mia famiglia e mi è subito tornata in mente la cartolina“.

Il puzzle si ricompone

E così, passo dopo passo, tassello dopo tassello, Anne Berest riesce a ricostruire la storia dei suoi antenati, dei bisnonni e dei prozii che non sono più tornati dalla deportazione. E con loro, la storia e le figure di chi è stato causa o spettatore degli eventi che hanno portato alla tragica fine di questa famiglia. Myriam si è salvata per caso e per fortuna. Gli altri componenti della famiglia avrebbero potuto salvarsi, se solo Ephraïm avesse dato ascolto agli avvertimenti e non alla sua volontà di trasformarsi in un francese in tutto e per tutto. E’ interessante anche come Anne Berest ci mostri senza filtri la differenza di giudizio tra lei e la madre, tra la prima generazione nata dopo la guerra e l’ultima nata durante la guerra. Tra la passione di chi ha subìto e la razionalità di chi non ha vissuto.

“Mamma, non ti sembra strano che allevano maiali pur essendo ebrei?”

Se ne fregavano completamente! …poteva avere un senso nei Paesi caldi…ed Ephraïm non era osservante“.

“Forse il fatto che il direttore agricolo dice di non essere competente è una forma di resistenza. Non occuparsene è un modo per impedire che le cose vengano fatte”.

“Sei un’ottimista. Non so proprio da chi hai preso”. 

“Smettila! Non sono ottimista, penso solo che si debbano prendere in considerazione le due facce della medaglia. In tutta questa storia mi affascina pensare che in una stessa amministrazione pubblica, quella francese, possano coesistere stronzi e persone come si deve”. 

Le due facce della medaglia

Questo è un altro punto molto interessante, che fa di questo libro, secondo me, una buona lettura per i ragazzi da consigliare a scuola. Innanzitutto, esplora il ruolo dei Paesi vincitori della seconda guerra mondiale nella discriminazione prima e nella deportazione poi degli ebrei. Ruolo di cui non si parla mai, o solo di sfuggita. Eppure, anche in Francia c’erano i campi di concentramento. I fratelli di Myriam finiscono a Pithiviers, nella Loira. Prima “accolgono” i giovani, poi le altre categorie, per rispettare i numeri imposti dai tedeschi. Perché questa distinzione?

“Lo so, sembra strano, perché abbiamo in testa le immagini di intere famiglie arrestate insieme, figli, genitori, nonni… Ma esistevano vari tipi di arresto. Il progetto del Terzo Reich , lo sterminio di milioni di persone, era talmente di ampia portata che hanno dovuto scaglionarlo su vari anni. Abbiamo visto come in un primo tempo le ordinanze puntassero a neutralizzare gli ebrei per impedire loro di agire. Hai capito il giochino?”. “Sì, separare gli ebrei dalla popolazione francese, allontanarli fisicamente, renderli invisibili”. “Addirittura nella metropolitana, dove non potevano più salire nei vagoni dei francesi…”. “Ma non tutti sono rimasti indifferenti”. 

No, non tutti sono rimasti indifferenti

Anne Berest ci racconta di persone che hanno aiutato, o provato ad aiutare, gli ebrei. Molte sono donne, anche di loro si parla poco nella storia dei vincitori, di solito uomini: Janine Picabia, la sorella di nonno Vicente, una delle poche donne a capo di una rete di resistenza, Gloria. La madre di Janine, Gabrielle Picabia, un’artista prestata alla resistenza. Adélaïde Haas Hautval, medico e psichiatra francese, imprigionata nel campo di concentramento di Auschwitz, e prima nel campo francese di Pithiviers dove conobbe la sorella di Myriam Noémie e la scrittrice Irène Némirovsky, curava i prigionieri e si rifiutò di collaborare con la sperimentazione medica nazista. È stata nominata Giusta tra le Nazioni nel 1965. Samuel Beckett, anche lui si unì alla resistenza.

I palazzi raccontano

E ci racconta di luoghi che conosciamo bene, anche se forse meno bene per la loro storia. Come l’Opéra Garnier, che durante la guerra diventò il posto di ritrovo e di divertimento dei nazisti. O come l’ufficio postale del Louvre, il più grande di Parigi e aperto h24, per questo il preferito da chi voleva inviare notizie ai familiari. Vi avevo detto sopra che erano dettagli importanti…non a caso nella foto in evidenza del blog c’è proprio l’Opéra, che ho visitato durante il viaggio a Parigi

E ci racconta tanto altro. Per esempio, come la Francia abbia tentato di seppellire sotto un tappeto elegante i fatti avvenuti durante la guerra e come altre figure abbiano lottato, e ancora lottino, per far emergere la verità, Ma temo che finirei per annoiarvi. Quello che posso fare, è consigliarvi questo libro, dopodiché ognuno attiverà gli approfondimenti che ritiene utili in base ai suoi interessi. Ma non fatevelo sfuggire, questo posso senz’altro dirlo.

Avete altri libri da suggerirmi? Avete dei ricordi da condividere? Scrivetemi nei commenti.

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La piccola principessa di Frances Hodgson Burnett

La piccola principessa è uno degli ultimi lavori di Frances Hodgson Burnett e anche uno di quelli di maggior successo. C’è tutto: posti esotici, rovesci della situazione, mistero, buoni sentimenti. Chi dice che i bambini di oggi non apprezzino i classici di una volta, non ha mai letto Frances Hodgson Burnett, è evidente. E allora il mio consiglio di oggi per la calza della Befana è proprio “La storia di Sara Crewe”, che dal lontano 1905 verrà a trovare qualche bimbo fortunato il 6 gennaio. 

Trama

Sara Crewe è una bambina rimasta orfana che viene costretta a lavorare nello collegio di Londra che la ospitava per pagarsi vitto e alloggio: la perfida Miss Minchin la trasferisce in soffitta assegnandole le mansioni più umili, ma lei, grazie al suo cuore generoso, è sempre pronta ad aiutare le sue piccole amiche, dimostrando grande nobiltà d’animo. La soffitta diventa così un luogo magico dove compaiono stravaganti e simpatici personaggi e dove le storie narrate dalla bambina aiutano lei e le sue compagne a non perdersi d’animo.

Bambini “moderni”

La forza di Frances Hodgson Burnett è senza dubbio quella di saper tratteggiare bambini comuni, coi loro pregi e difetti. Se ne Il giardino segreto Mary è viziata, scontrosa e decisamente antipatica, qui Sara è sicuramente di buon cuore, ma perde le staffe con una certa facilità e, come si direbbe oggi, quando si arrabbia non le manda certo a dire. Per questo i romanzi di Frances Hodgson Burnett hanno superato la prova del tempo e sono diventati dei classici. Tutti possiamo ancora riconoscerci e partecipare alle vicissitudini di questa piccola orfana. 

Le ciambelle

La parte del romanzo che si svolge al panificio, con la moglie del fornaio e la mendicante Anna, è la mia preferita. Frances Hodgson Burnett ha scritto questo romanzo dopo un viaggio in Europa con la famiglia. Sicuramente ha visto mendicanti bambini a ogni angolo, come ci ha raccontato Charles Dickens, e avrà ascoltato la storia di Maria Antonietta, che Sara nomina come esempio di forza contro il mondo. Per questo, forse, sceglie le ciambelle, con punto di vista enormemente e meravigliosamente bambino, come metafora per sfamare chi ha bisogno. 

 Una storia attuale

Una storia ancora oggi godibilissima e attuale, che fa riflettere i piccoli lettori sull’importanza di essere e rimanere generosi. Perché per quanto possiamo stare male, c’è sempre qualcuno che ha più bisogno di noi. E le nostre opere buone, torneranno indietro con gli interessi. Poi, nella vita reale questo non sempre accade, e forse nessuna scimmietta indiana verrà a trovarci, ma perché non fantasticare?

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