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Quando le montagne cantano, di Nguyễn Phan Quế Mai

Quando le montagne cantano, di Nguyễn Phan Quế Mai è uno dei romanzi più acclamati degli ultimi tempi. Mi sono, quindi, lanciata con fiducia, ma non è andata esattamente secondo le aspettative. Ora vi racconto.

Trama

Un paese in guerra. Una famiglia divisa. Dal loro rifugio sulle montagne, la piccola Huong e sua nonna Dieu Lan sentono il rombo dei bombardieri americani e scorgono il bagliore degli incendi che stanno devastando Hanoi. Fino a quel momento, per Huong la guerra è stata l’ombra che ha risucchiato i suoi genitori, e adesso quell’ombra sta avvolgendo anche lei e la nonna. Tornate in città, scoprono che la loro casa è completamente distrutta, eppure non si scoraggiano e decidono di ricostruirla, mattone dopo mattone. E, per infondere fiducia nella nipote, Dieu Lan inizia a raccontarle la storia della sua vita: degli anni nella tenuta di famiglia sotto l’occupazione francese e durante le invasioni giapponesi; di come tutto fosse cambiato con l’avvento dei comunisti; della sua fuga disperata verso Hanoi senza cibo né denaro e della scelta di abbandonare i suoi cinque figli lungo il cammino, nella speranza che, prima o poi, si sarebbero ritrovati. Quando la nuova casa è pronta, la guerra è ormai conclusa. La saga di una famiglia che si dipana lungo tutto il Novecento, in un Paese diviso e segnato da carestie, guerre e rivoluzioni. 

Interessante, sulla carta

Sulla carta, la trama era interessante. Tre generazioni di donne, un Paese, il Vietnam,  devastato e diviso dalla guerra, la lotta per la sopravvivenza e un’allodola che, nonostante tutto, quando canta sembra che cantino anche le montagne. Poetico, ispiratore. Peccato che nel romanzo non vi sia traccia di tutto questo. O meglio, c’è una sorta di reportage storico, didascalico, dove succede questo, e poi quest’altro, e poi oh! che fortuna, e poi oh! perché proprio a noi. E via così, in una sorta di telenovela che va avanti pagina dopo pagina senza cambiare tono o prospettiva. Scorrevole, questo sì. E’ un romanzo che si finisce in qualche giorno senza grande difficoltà. Ma cosa resta?

Il timore di affondare il coltello

Per quanto mi riguarda, resta la perplessità sul perché sia stato tanto acclamato. Per le disgrazie che si susseguono? Ma quelle già Vivere! ce le aveva raccontate con ben altro spessore. Per l’ambientazione “esotica”? Forse, questo è già più convincente. Per una bella copertina, dico io. Quella sì, l’ho apprezzata. Per il resto, la storia raccontata mi ha lasciato poco. E’ stata, come posso dire, la mancanza di tono adeguato a suscitare perplessità. La scrittrice appare lontana anni luce da quello che racconta, sembra quasi che abbia avuto timore di affondare il coltello nella carne. Ma questa è una vicenda umana dove il coltello è stato affondato e rigirato nella piaga più e più volte. Com’è possibile non sentirlo? Eppure, non l’ho sentito, non mi è arrivato quel dramma che ci sarebbe dovuto essere. Va bene la pacificazione, va bene porgere l’altra guancia, va bene l’amore, va tutto bene…ma fino a un certo punto. La guerra lascia morte, distruzione, povertà, famiglie decimate e separate. E questo orrore, se, come dice nelle interviste, era il suo obiettivo, va raccontato affondando le mani nella terra. “Oh, Guava, un tempo pensavo che il nostro destino fosse nelle nostre mani, ma ho imparato che, quando c’è una guerra, le persone sono solo foglie che cadono a migliaia, a milioni, a causa dell’imperversare della tempesta”.

Le nostre storie sopravvivono

Spero che non mi troviate troppo tranchant nel giudizio. Questo è il primo libro di Nguyễn Phan Quế Mai, che non vive in Vietnam. Penso e spero che i prossimi lavori saranno più emozionanti, anche sulla scia del successo che le è piovuto dal cielo. Resta in me, almeno per ora, solo un’infarinatura di una storia che conoscevo già in parte e che vorrei approfondire. Se avete suggerimenti, sappiate che sono ben accetti.  “Comprendi perché ho deciso di raccontarti della nostra famiglia? Se le nostre storie sopravvivono, noi non moriremo, neanche quando i nostri corpi non saranno più su questa Terra”.

Voi che mi dite? Quando le montagne cantano vi è piaciuto? 

p.s. secondo me nel finale c’è una svista, o un errore di traduzione, non so. Non ne posso parlare per non fare spoiler, ma sono passati troppi anni perché Guava possa parlare in quel modo. Quando lo leggerete, fateci caso. E ditemi che ne pensate.

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Chiara Gamberale, per dieci minuti fai una cosa nuova

Chiara Gamberale dice: immaginati fare una cosa nuova per dieci minuti per dieci anni. Quante esperienze nuove avremmo provato? Questo titolo di Chiara Gamberale sta per traguardare i dieci anni di vita, ma solo adesso mi sono decisa a leggerlo. Cosa mi ha lasciato? Venite che vi racconto. In massimo 10 minuti, prometto.

Trama

Dieci minuti al giorno. Tutti i giorni. Per un mese. Dieci minuti per fare una cosa nuova, mai fatta prima. Dieci minuti fuori dai soliti schemi. Per smettere di avere paura. E tornare a vivere. Tutto quello con cui Chiara era abituata a identificare la sua vita non esiste più. Perché, a volte, capita. Capita che il tuo compagno di sempre ti abbandoni. Che tu debba lasciare la casa in cui sei cresciuto. Che il tuo lavoro venga affidato a un altro. Che cosa si fa, allora? Rudolf Steiner non ha dubbi: si gioca. Chiara non ha niente da perdere, e ci prova. Per un mese intero, ogni giorno, per almeno dieci minuti, decide di fare una cosa nuova, mai fatta prima. Lei che è incapace anche solo di avvicinarsi ai fornelli, cucina dei pancake, cammina di spalle per la città, balla l’hip-hop, ascolta i problemi di sua madre, consegna il cellulare a uno sconosciuto. Di dieci minuti in dieci minuti, arriva così ad accogliere realtà che non avrebbe mai immaginato e che la porteranno a scelte sorprendenti. Da cui ricominciare. Chiara Gamberale racconta quanto il cambiamento sia spaventoso, ma necessario. E dimostra come, un minuto per volta, sia possibile tornare a vivere.

Niente connessione

Per apprezzare questo libro, secondo me, bisogna entrare in connessione con la protagonista. Cosa che, purtroppo, a me non è riuscita. Lo spunto iniziale era interessante, ma alla fine neanche poi tanto per chi ha curiosità e voglia di provare cose nuove. Rimane l’interesse per il percorso di Chiara, che da un giorno all’altro si ritrova senza la coperta di Linus del marito poi, fidanzato prima, fidanzatino ancora prima. Che fare? Andare dalla psicologa per farsi aiutare e ricevere da lei una ricetta particolare: buttati su cose nuove. Cosa che lei fa, non c’è dubbio. Ma possiamo pensare che una trentenne la prima cosa a cui pensi sia lo smalto fucsia? Facciamo finta che sia un modo come un altro per iniziare a cambiare, magari in modo soft. Ma possiamo pensare che una trentenne sposata non sappia cucinare nulla, neanche un piatto, e che riuscire a non bruciare un pancake sia una grande conquista? Può darsi, sicuramente succede. Allora però dobbiamo chiederci: chi cucinava in casa? Il marito? E le pulizie, chi le faceva? Sempre il marito? Oppure Chiara si comporta e agisce come una che ha sempre avuto una collaboratrice domestica in casa e non lo dichiara?

Il cinese (possibile spoiler)

E poi, Chiara non conosce i negozi della sua zona, neanche uno. Eppure, l’amico che viene a trovarla dopo tanto tempo dice “sei sempre stata una che conosceva tutti”. Allora, cos’è successo? Chiara si è ripiegata? Non può essere stato il trasferimento a Roma da Vicariello, se andava all’università e “conosceva tutti”. O no? Cosa non ci sta raccontando? Tutte queste incoerenze iniziano a disturbarmi, finché non arriva il colpo finale: (Attenzione, possibile spoiler) il cinese che non solo è nervoso, ma al successivo incontro si scusa e le dice che è triste perché il figlio non sarà a casa per Natale! Il cinese? Si scusa? Si giustifica? E’ triste per Natale? A’ Chia, come direbbe il fioraio sotto casa, tutto a posto?

Occasione sprecata

Insomma, ho usato un po’ di ironia, mi perdonerete. Reputo questo libro di Chiara Gamberale  una grande occasione sprecata, dove i personaggi, Chiara su tutti, sono evanescenti, irrisolti, poco realistici. E questo, alla fine, brucia anche il pancake. Vediamo se Maria Sole Tognazzi Francesca Archibugi riusciranno a completare il quadro tratteggiato da Chiara Gamberale. Le riprese di “10 minuti” sono finite già da un po’, e il film dovrebbe uscire in tempo per festeggiare il decennale dell’uscita del romanzo, a novembre 2023. Vedremo. Intanto, sappiamo che nel cast ci sono Barbara Ronchi,Margherita BuyFotinì Peluso e Alessandro Tedeschi

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Lemon, di Kwon Yeo-Sun. Chi è l’assassino?

Kwon Yeo-Sun con Lemon dà vita a un giallo non giallo, nel senso che gli indizi per scoprire cosa sia successo alla povera Kim Hae-On ci sono. Ma non è questo che la scrittrice coreana vuole raccontarci veramente. No, quello che vuole metterci davanti è lo specchio dell’età adulta, in cui nessuno dei personaggi si riconosce più. Venite che vi racconto.

Trama

Kim Hae-On muore il giorno dopo la finale dei mondiali di calcio in Corea del Sud. Il suo corpo, vestito solo di un abito giallo, viene ritrovato in un parco. La polizia individua subito due sospetti tra i compagni di scuola: il rampollo Shin Jeong-Jun, sulla cui macchina la ragazza è stata vista salire la sera del delitto, e Han Ma-nu, che afferma di averla incrociata di ritorno da una consegna in motorino. Ma i due hanno un alibi e così il caso si chiude senza un colpevole. C’è però qualcuno che non si arrende. Qualcuno convinto che la soluzione si nasconda proprio nei segreti degli studenti. Qualcuno talmente sconvolto dalla morte della ragazza da modellare il volto e il fisico fino ad assomigliarle. Il suo nome è Da-On: Hae-On era sua sorella, e la sua ricerca non avrà termine fino a quando non avrà scoperto la verità.

La custode di mia sorella

Il contesto euforico dei mondiali di calcio in Corea del Sud nel 20o2, Kim Hae-On, Shin Jeong-Jun, Han Ma-nu, Tae-Rim e Sang-Hui sono tutti compagni di classe, alle prese con sentimenti assoluti di amicizia, rabbia, gelosia, che i festeggiamenti per l’evento sportivo amplificano. Il globo segue le dirette televisive calcistiche, mentre un gruppo di adolescenti continua a muoversi nel suo piccolo mondo. A seguire questo piccolo mondo in diretta c’è Dae-Hon, la sorella minore di Hae-Hon e, in un certo senso la sua custode. Custode con un rapporto di amore-odio verso la sorella, tanto che la morte della ragazza avrà sulla sua vita e sul suo futuro un impatto ancora più devastante.

Salt continui di spazio e tempo

In realtà, però, quella di Dae-Hon non è l’unica voce che sentiamo. Sono tre i punti di vista, non vi dico di chi per non rovinare la lettura, perché almeno su uno dei tre potreste avere dei dubbi. E va bene così, Kwon Yeo-Sun spariglia le carte con salti temporali e salti di voce, meccanismo che potrebbe mandare in leggera confusione chi legge. Per quanto mi riguarda, è forse l’aspetto che mi è piaciuto di più. Insieme all’analisi psicologica di Dae-On, della quale ho sentito tutta la sofferenza. Con una sorpresa finale.  

Più di un punto di domanda

Sugli altri, invece, rimaniamo in superficie. Troppo. Di alcuni non sappiamo quasi niente, anche se sarebbe fondamentale per capire il contesto in cui è avvenuto l’omicidio. E fare un’ipotesi che sia un po’ più che campata per aria. Perché alla fine Kwon Yeo-Sun ci lascia con più di un punto di domanda. Quello che questo romanzo centra veramente è la riflessione sull’impatto che la morte ha sulle nostre vite. A volte, semplicemente impedisce di andare avanti, soprattutto se il dolore e il trauma avvengono in età adolescenziale. Gli adulti all’epoca dei fatti da questa narrazione sono esclusi o quasi, eppure ancora ci sono. Perché?

Lasciamo stare Parasite

Libro che mi è piaciuto e che, secondo me, merita una seconda lettura di alcuni passaggi per cogliere gli indizi che Kwon Yeo-Sun sparge a piene mani. Libro che piacerà a chi frequenta il mondo asiatico, forse un po’ meno agli altri. Libro che, fossi un regista, prenderei in mano per farne un buon film, lasciando stare Parasite. Citato per marketing, ma completamente assente nelle dinamiche e nella storia.

Curiosità

Questo è il primo romanzo di Kwon Yeo-Sun tradotto per il mercato internazionale e nasce come un racconto, pubblicato nel 2016 con il titolo “You Do Not Know”. Con lo stesso titolo, il racconto è stato anche trasposto a teatro. 

Voi che mi dite? Conoscete quest’autrice? Vi piace?

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Il principe serpente di Elizabet Hoyt cerca vendetta

Lentamente, ma arrivo. Con Il principe Serpente chiudo la trilogia Princes trilogy di Elizabeth Hoyt. Che in italiano diventa Il principe e il tormento. Anche in questo caso, nessun principe, però torniamo ai nobili, un visconte. Che incontra il suo angelo mentre medita vendetta. Saranno di nuovo scintille. Vi racconto tutto, seguitemi. 

Trama

Sul sentiero deserto che conduce dalla cittadina di Maiden Hill a Craddock-Hayes House, nel Kent, la splendida e generosa Lucinda s’imbatte nel corpo riverso per terra di un giovane uomo, gravemente ferito ma bello come un dio. Uno scontro tra malfattori? Tutto il contrario. Simon, sesto visconte di Iddesleigh, è rimasto vittima di un agguato e ha avuto la peggio. Ben presto Lucy scopre in lui un fascino irresistibile, ma il loro idillio è destinato a durare ben poco perché l’acerrimo nemico di Simon intende chiudere in fretta la partita. A qualsiasi costo, e calpestando ogni sentimento.

Stessa ambientazione

Anche in chiusura siamo sempre in Inghilterra, sempre nello stesso anno, il 1760. Abbiamo una donna che rischia di non riuscire a sposarsi, anche perché continua a rifiutare pretendenti. E un uomo assetato di sangue e vendetta. Cieco, in preda ai suoi fantasmi. Ma non così cieco da non accorgersi di aver incontrato una donna eccezionale.

Elizabeth Hoyt

Considerando che questa è la trilogia di debutto di questa scrittrice, confermo che mi piace molto, anche se purtroppo in italiano leggiamo una versione tagliata e questo inevitabilmente va a discapito della qualità generale dei romanzi. Che è comunque intuibile, i personaggi non sono scontati, le battute brillanti e una morale che chiude degnamente la storia raccontata. Stavolta, la favola che intramezza la storia vera è raccontata da Simon, il protagonista. Nome che fa andare il pensiero va ai Bridgerton, che stanno tra l’altro per tornare.

Nel principe leopardo viriamo sul mistery

Nel principe serpente Elizabeth Hoyt mette da parte il mistery che aveva dominato Il principe leopardo per buttarsi nella vendetta pura. Simon fa in modo di incontrare strategicamente i suoi nemici per farli fuori, uno a uno. Quando avrà termine questa spirale di vendetta? Quando la sete di sangue sarà sopita? Potrebbe essere troppo tardi, allora.

Consigliato

In ogni caso, confermo che quest’autrice merita una chance. Come vi ho già detto dopo le precedenti letture, è adatta a chi cerca una lettura d’amore non impegnativa con scene di eros non troppo spinto.

— Tua madre era una donna, non un ideale. — Il capitano sospirò. In quel momento, in piedi con la camicia da notte e il berretto, appariva vecchio, ma anche severo e deciso. — Le persone sbagliano, gli ideali no. Credo che sia la prima lezione da imparare, in ogni matrimonio.

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Il principe corvo di Elizabeth Hoyt strega Anna

Il principe leopardo viene stanato

Gaia Servadio e La cucina in valigia

La vita è un viaggio e, per alcuni fortunati come Gaia Servadio, il viaggio è anche un lavoro. Lo sguardo aperto e franco di questa ragazza in copertina, Gaia Servadio da giovane, mi ha convinto a chiedere in prestito questo piccolo libro in biblioteca. Così leggero, nel formato e nella forma, che sono riuscita a finirlo in pochi giorni. Ora vi racconto cosa ne penso.

Trama

Gaia Servadio racconta i suoi viaggi, i luoghi che l’hanno colpita, le inchieste che ha condotto per giornali e televisioni, a cominciare dalla BBC. Londra, l’Italia, in particolare la Sicilia («prima dell’arrivo di Dolce & Gabbana»), la Cina, e naturalmente il Medio Oriente, ma in generale un po’ tutto il mondo. L’autrice non dà ricette sulla vita e sull’esistenza, le ricette di questo libro sono proprio vere e servono a preparare una buona cena, o un pranzo. Attraverso gli alimenti sa spargere una leggerezza che contagia il lettore. Una leggerezza di storie, incontri, eventi, che sembra dirci molto più del mondo di tanti libri e di tanti saggi seri e rigorosi. Alla fine, la lettura di queste storie ci conferma ancora una volta, come la vita sia sempre e solo una questione di stile e di misura.

Non una necessità, ma una passione

«Secondo alcuni la vita è un viaggio. Lo è senz’altro nel mio caso, e in valigia mi porto dietro la cucina. Non una necessità, ma una passione che ha accompagnato la mia storia». Una passione nata durante l’infanzia, come quasi tutte le passioni durature. Racconta Gaia, e il figlio, curatore di questo libro per lei, che il padre amava la cucina “povera”. Personalmente, trovo odioso questo termine. Preferisco semplice, con pochi ingredienti di facile reperibilità. Solo i cinesi, dice Gaia Servadio, si possono permettere di mescolare cinquanta ingredienti in quel pentolone geniale del wok. Tutti gli altri possono accontentarsi di molto, molto meno. 

Chi era Gaia Servadio?

Ed ecco che Gaia Servadio ci porta in viaggio con lei, come ha fatto a suo tempo con i figli Allegra (ex moglie di Boris Johnson, n.d.r.) e Orlando. Scorrazziamo per  la Cina e il Medio Oriente, passando per l’Umbria e le ricette romane del papà. Usiamo erbe aromatiche e pitte. Ma facciamo tutto a occhio, senza pesare niente, alla come viene viene, si direbbe dalle mie parti. E forse questo è proprio il difetto di questo piccolo diario: non essendoci la proprietaria, le ricette sono spesso approssimative, frutto dell’esperienza e non di studio. Ma chi era Gaia Servadio? La sua figura esce poco, non essendo famosa come il dirimpettaio Tiziano Terzani, sarebbe stato utile arricchire questo suo ricordo con più dati biografici, con qualche articolo da lei scritto nel tempo, con la sua storia personale mescolata ai viaggi. Aspetti che forse il figlio non conosce, o vuole tenere per sé. Rimane a chi legge la passione: questa sì, emerge forte e chiara.

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