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La Fame senza fine di Knut Hamsun

Su Knut Hamsun, premio Nobel 1920, si è detto di tutto e di più. Che fosse un simpatizzante nazista, e per questo fu rinchiuso in un ospedale psichiatrico, che aderisse al panteismo, che i suoi libri meritavano di essere bruciati in piazza, cosa che effettivamente accadde. Fame è il suo primo, grande successo. Ci sono voluti quasi due anni per finirlo: l’ho preso, lasciato, ripreso, lasciato di nuovo. A un certo punto, questa Fame si è placata e sono arrivata alla parola Fine. Ora vi racconto cosa penso di questo romanzo così controverso.

Trama

Un giovane scrittore passa un periodo di solitari deliri e tortuose riflessioni nella città di Christiania. Vari personaggi lo sfiorano e scompaiono, ma unica vera e costante compagna, inesorabile antagonista, è la fame. Visionario della fame, il giovane scrittore scopre il carattere fantomatico e oppressivo della vita urbana, si inoltra negli infiniti sottosuoli della mente, lascia infine che esploda la sua rabbia fisiologica contro una società che sembra affinare sempre più, col tempo, le sue torture.

Fame di vivere

Se penso che è stato scritto nel 1890, il primo aggettivo che mi viene in mente è “moderno”. Narrazione veloce, vita di città, una Oslo che all’epoca si chiamava Christiania. Un giovane scrittore che ha Fame, in tutti i sensi. Ha fame di vivere, ha fame di scrivere, ha fame di amare. Ha fame vera e propria, soprattutto. Il ritmo è ansiogeno, sembra per 3/4 il delirio di un pazzo. Uno squilibrato che cerca in tutti i modi di sopravvivere, escogitando le strategie più strampalate per riuscirci, raccontando storie, a sé e agli altri, abbordando donne per strada, facendosi rinchiudere in prigione. Dice di se stesso di essere un giornalista con ambizioni di scrittore, ma tutte le grandi idee che gli vengono, finiscono inevitabilmente in un nulla di fatto, perché gliene viene una ancora più grandiosa.

Eppure

Eppure, ogni tanto qualcuno che gli dà credito lo trova. E allora, riesce a sopravvivere per un altro po’, ma a un certo punto anche io ho perso le speranze di vederlo risorgere. A questo punto, quando la sconfitta sembra ormai certa e di questo accanimento uno non ne può più, improvvisamente il ritmo accelera, invece di decelerare. Questa città,  Christiania, non è ospitale. O, forse, è il protagonista a non essere tagliato per questa vita. Perché le risorse le avrebbe, ma le dissipa. Non sono i contatti umani che vuole, perché cinismo e ironia si mescolano a ogni nuovo incontro. Non sono i soldi che gli interessano, non è il tenore di vita che cerca, non è il grande romanzo che sogna. Cerca, cerca…ma cosa cerca? Forse un mondo diverso, forse un’utopia, forse qualcuno a cui volere bene. O forse no, forse assistiamo semplicemente al delirio di onnipotenza di un artista disperato e affamato. Che alla fine una via d’uscita la trova. O forse no…

In cerca di Utopia

Quello di Knut Hamsun è un romanzo a cui ho pensato e ripensato sia quando l’ho lasciato in sospeso, sia quando sono riuscita a finirlo. Alla fine, il protagonista avrà trovato la sua strada? Sarà riuscito a risalire dall’abisso di quell’osso di carne macilenta vomitato per strada? Chissà. L’autore ha avuto una lunga vita e ha superato tutte le contestazioni. Si è opposto all’imperialismo britannico e dell’Unione Sovietica, ma simpatizzava per Hitler. Considerando le note biografiche e come finisce il romanzo, purtroppo per fare spoiler non posso dire di più, sospetto che il giovane e poi non più giovane, abbia continuato a girovagare in preda alla Fame. In cerca di Utopia, probabilmente. Knut Hamsun e la seconda moglie comprarono una fattoria, con l’idea “di vivere del lavoro della fattoria, con la scrittura per sbarcare il lunario“. Alla fine, Knut Hamsun avrà trovato la sua pace? 

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Clive Cussler e la punta dell’Iceberg

Clive Cussler e Iceberg. Si può scegliere un romanzo per la copertina ghiacciata? Sì, soprattutto se sono giornate di grandissimo caldo, in cui anche leggere fa fatica. Iceberg è uno dei primi romanzi di Clive Cussler e il primo che leggo in assoluto, quindi prima di dare un giudizio mi sono confrontata con le opinioni dei cultori di questo autore, scomparso due anni fa al termine di una vita prolifica per quanto riguarda le pubblicazioni. Ora vi racconto com’è andato il mio primo approccio alle sue avventure.

Trama

Il romanzo prende le mosse tra le sterminate distese di ghiaccio dell’Artico. Lì, stritolato dagli iceberg, giace il relitto di un lussuoso yacht che racchiude i corpi dei quindici passeggeri e uno sconvolgente mistero, destinato a creare immense ricchezze o tremende sciagure. Per scoprirlo, ma soprattutto per opporsi ai deliranti piani di Oskar Rondheim che minacciano la sicurezza del pianeta, esiste una sola persona, Dirk Pitt, che ancora una volta verrà coinvolto in mirabolanti avventure e in imprese rischiose.

Un campo già seminato

Intanto, riconosco a Clive Cussler che possiede una grande fantasia, anche se in Iceberg si muove su un campo già seminato in precedenza da altri autori. Con una sostanziale differenza: mentre gli scrittori che hanno preceduto Iceberg volevano dominare il mondo per il loro puro piacere, eliminando tutti gli ostacoli che si dovessero presentare contro questo obiettivo, questo di Clive Cussler ha lo stesso scopo. A fin di bene, però, per assicurare il benessere dei popoli in condizioni di povertà. Una sorta di Robin Hood dei ghiacci.

Il superuomo

Bisogna dire che questa organizzazione super potente ha uno strano modo di ottenere l’obiettivo, visto che usa gli stessi metodi dei precedenti, (tipo Spectre), cioè l’eliminazione di chiunque si frappoga al loro disegno benefico. Fortunamente, c’è un superuomo che risolve la drammatica vicenda a prezzo di sacrifici personali e correndo gravi pericoli. E qui il mio giudizio non sarebbe molto positivo, se non avessi letto i commenti dei suoi lettori storici, che parlano di un Dirk Pitt ancora giovane e lontano dalle grandi avventure che segneranno il suo futuro. Allora, sospendo il giudizio. 

Buon libro da ombrellone

In sostanza, senza nulla togliere alla bravura di Clive Cussler nel raccontare fatti e situazioni che nella realtà è difficile che possano accadere, direi che Iceberg è un buon libro da leggere  oziosamente sdraiati a bordo piscina o sul terrazzo, come estremo tentativo di trovare un po’ di refrigerio a una calura senza fine.

Voi che ne dite? Siete fan di Clive Cussler? Quali titoli mi consigliate?

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Gli Stivali di gomma svedesi di Henning Mankell

Stivali di gomma svedesi è l’ultimo romanzo di Henning Mankell, conosciuto per i romanzi polizieschi che hanno come protagonista Wallander. Un’elegia alla vecchiaia e un inno alla vita che continua, nonostante tutto. Il protagonista, un medico ormai in pensione che vede andare a fuoco la sua casa. E, con lei, i ricordi di una vita. Ma chi aveva interesse a colpirlo in questo modo? 

Trama

In una notte d’autunno, mentre un vento freddo soffia da nord, Fredrik Welin si sveglia colpito da un bagliore improvviso. La sua casa, ereditata dai nonni materni in una sperduta isola del Mar Baltico, sta bruciando. Prima di fuggire e lasciarsi alle spalle un cumulo di cenere, Welin riesce a infilarsi un paio di stivali di gomma. Calzano entrambi il piede sinistro. A settant’anni, oltre a quegli stivali spaiati, una roulotte e una piccola barca, non gli è rimasto più nulla. Anche le poche persone intorno a lui sono sfuggenti: la figlia Louise che non ha mai veramente conosciuto, l’ex postino in pensione Ture Jansson dalle mille malattie immaginarie e Lisa Modin, la giornalista della stampa locale di cui inaspettatamente si innamora. Tormentato da dubbi e rimorsi, ora che ha perso tutti gli oggetti che costituivano la sua stessa esistenza, Welin sente di trovarsi sulla soglia di un confine umano, parte del gruppo di persone che si stanno allontanando dalla vita. Mentre l’inverno avvolge l’arcipelago al largo di Stoccolma, si continua a indagare sulle cause di un disastro che non rimarrà isolato. E il fuoco che torna a divampare sembra quasi voler illuminare un buio per qualcuno insostenibile. 

Gli elementi per piacermi c’erano tutti, ma…

Un anziano medico lascia la professione per un errore grave e si ritira nella sua casa su un isolotto svedese. Lì, vive senza molti contatti, ma una notte la sua casa va a fuoco. Chi è il piromane? Qualche paziente danneggiato? Oppure…? All’inizio, non si comprende chi avesse interesse a bruciargli casa, anche se secondo la polizia l’incendio è sicuramente doloso. Tra i sospettati ci finisce addirittura lui, solo che altre case subiscono la stessa sorte.

..rimane un po’ di amaro in bocca

A questo punto il mistero s’infittisce, non si comprende chi sia il misterioso incendiario e perché dia  fuoco a queste case, essendo una piccola comunità dove tutti si conoscono da sempre. Si fa largo il sospetto che sia uno di loro il responsabile di questi incendi. Fin qui tutto bene. Senonché, alla fine non sappiamo nulla delle motivazioni. Henning Mankell le tiene per sé e lascia un po’ di amaro in bocca. Sicuramente un romanzo ben scritto, da Henning Mankell non ci si può aspettare niente di diverso, anche se il lungo percorso narrativo diventa un po’ ripetitivo. In tutto questo, si intersecano i rapporti personali del medico, con sua figlia e con una giornalista, per la quale comincia a provare un tenero sentimento. E lo stato d’animo del protagonista, nel tramonto della vita, quando anche la provenienza di un paio di stivali diventa di fondamentale importanza.

Una certa insoddisfazione

Peccato che Henning Mankell decida di puntare più sulla riflessione filosofica che sul racconto giallo in sé. In sostanza, dà vita a un buon romanzo, che però lascia una certa insoddisfazione.

Voi che ne dite? Vi piacciono gli autori scandinavi? Cosa mi consigliate di leggere? 

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Finché il caffè è caldo, romanzo o sceneggiatura?

Finché il caffè è caldo, “caso letterario” del 2020, finisce casualmente nelle mie mani e io, senza sapere quasi niente, inizio a leggerlo. Qualche minuto dopo, rialzo la testa perplessa: ma, ma…è un romanzo o una sceneggiatura? Ora vi racconto.

Trama

In Giappone c’è una caffetteria speciale. Si narra che finché il caffè è caldo sia possibile rivivere il momento della propria vita in cui si è fatta la scelta sbagliata, si è detta l’unica parola che era meglio non pronunciare, si è lasciata andare via la persona che non bisognava perdere. Ma c’è una regola da rispettare: bisogna assolutamente finire il caffè prima che si sia raffreddato. Qualcuno si siede su una sedia con davanti una tazza fumante. Fumiko, che non è riuscita a trattenere accanto a sé il ragazzo che amava. Kòtake, che insieme ai ricordi di suo marito crede di aver perso anche sé stessa. Hirai, che non è mai stata sincera fino in fondo con la sorella. Infine Kei, che cerca di raccogliere tutta la forza che ha dentro per essere una buona madre. Ognuna di loro ha un rimpianto. Ma tutte scoprono che il passato non è importante, perché non si può cambiare. Quello che conta è il presente che abbiamo tra le mani. Quando si può anco decidere ogni cosa e farla nel modo giusto. La vita, come il caffè, va gustata sorso dopo sorso, cogliendone ogni attimo.

Titolo hot della zona rossa

Intanto, ragionando come farebbe un asiatico, mi chiedo se sia un caso che abbia finito il romanzo proprio il 6 giugno, giorno in cui un doodle ricorda la nascita nel 1851 di Angelo Moriondo. E chi è, direte voi? Un torinese, l’inventore della macchina da caffè espresso moderna, presentata all’Expo 1884 di Torino. Questo è un periodo in cui, per caso o anche no, mi capitano serie e libri su questo argomento. Sarà perché ne bevo troppo? Haha! Può darsi. Tornando a noi. Finché il caffè è caldo è stato uno dei titoli hot, è proprio il caso di dire, del 2020. Quando altrove impazzava il Dalgona coffee, in Italia le persone confinate in casa impazzivano per questo titolo Garzanti. Qual è il motivo di tanto successo?

Le ragioni del successo

Provo a capire. Innanzitutto, una copertina e un titolo accattivanti. Un tema che fa sempre presa: poter tornare nel passato e correggere gli errori. Un’ambientazione che piace sempre: un bar dove succedono cose fantastiche. E le regole da seguire per riuscire nel proprio obiettivo, incontrare qualcuno che si è già incontrato in precedenza lì. In verità, le regole sono tante e un po’ stringenti. Artefizio probabilmente necessario a far sì che si accorciasse la platea degli interessati. Il tavolo in cui potersi sedere, infatti, è uno solo e ci si può sedere solo in rari momenti in cui non è occupato da una donna misteriosa.

Come la sceneggiatura di un film

Quello che non funziona, secondo me, è il modo in cui Toshikazu Kawaguchi, al suo esordio come scrittore, decide di far svolgere gli eventi. Cioè come se Finché il caffè è caldo fosse la sceneggiatura di un film o, peggio, un soggetto un po’ più esteso. I personaggi e gli accadimenti si muovono come se fosse un canovaccio sul quale poi innestare una scena. Niente di più. Non c’è pathos, non c’è calore, a parte il fumo che esce dal cafffè. Dei personaggi non sappiamo quasi niente, alcune storie vengono troncate, altre non partono proprio (chi è la donna che legge? Temo che non lo sapremo mai), in quella finale c’è un’eccezione alla regola, ma forse neanche lo scrittore se n’è accorto. O c’è un motivo? Non conoscevo nulla dell’autore di Finché il caffè è caldo e, dopo qualche pagina, sono andata a controllare. Effettivamente è uno sceneggiatore e sulla base di questo romanzo è stato realizzato un film nel 2018 (il romanzo è datato, del 2010). Indovinate come s’intitola il film? Café Funiculi Funicula, così, senza accento finale. Evito di commentare, ma se volete lasciare un commento fate pure 🙂 

cafè funiculi funicula
La locandina del film Cafè funiculi funicula

Un grande potenziale

Finché il caffè è caldo posso dirlo: un grande potenziale non sfruttato, credo che la mia incursione in questa serie finisca qui. Sì, perché nel frattempo ne sono stati pubblicati altri due, sempre sullo stesso argomento. Il successo non si discute, se piace ai lettori piace a tutti. Probabilmente, il fascino di una possibilità di redenzione, di tornare nel passato (o nel futuro) per parlare con una persona cara, supera di gran lunga i difetti stilistici e narrativi. Il consiglio che mi sento di darvi, però, è questo: se vi piace la letteratura asiatica, sappiate che troverete una profondità e una ricerca linguistica senza pari. Cercate altro, perché troverete delle gemme preziose. Alcune cerco e cercherà di presentarvele qui, se avrete pazienza di leggermi. Iscrivetevi alla newsletter per non perdere gli aggiornamenti, è facile (box in homepage in alto a destra) e non stresso più di una volta al mese.

Intanto ditemi: a voi Finché il caffè è caldo è piaciuto? E perché? 

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La fattoria degli animali di George Orwell è qui

La fattoria degli animali è uno di quei libri che ho letto durante l’adolescenza e che ho riscoperto grazie agli audiolibri, anche stavolta di radioplaysound. Come definire quest’opera di George Orwell? Una favola brutale, che in fondo incarna la condizione umana. Sono passati quasi ottant’anni dalla sua pubblicazione, eppure certi fatti e certi comportamenti sono rintracciabili pure nelle vicende che ci toccano da vicino. Ma venite che vi racconto.

Trama

Il fattore Jones possiede una fattoria, ma non è in grado di governarla: è alcolizzato, incompetente e crudele contro gli animali, che sfrutta senza pietà. Una sera tutti gli animali si riuniscono intorno a Vecchio Maggiore, un anziano e saggio maiale, che narra loro di un sogno che ha fatto, un mondo dove gli animali sono liberi dall’uomo e si autogestiscono, vivendo in armonia. Vecchio Maggiore muore da lì a poco. Un giorno Jones dimenticata di dare da mangiare agli animali e questi, esasperati, lo cacciano via. Il ruolo di guida viene assunto da due maiali: Napoleone e Palla di Neve.

Una favola brutale

L’audio parte e già sai che l’atmosfera generale stride con quella che apparentemente sembra una vicenda destinata a prendere una piega positiva. Che cattivoni gli umani, gli animali sì che sanno far andare avanti una fattoria con criteri di uguaglianza e solidarietà reciproca. Ma via via che la lettura procede, questi animali iniziano a incarnare i difetti e i pregi degli umani, in una sorta di favola brutale, dove sai che qualcosa succederà. Non sai cosa, però l’inquietudine cresce.

I livelli di lettura

La fattoria degli animali si presta a diversi livelli di lettura. Può essere letta come un’allegoria delle vicende storiche in cui George Orwell era immerso. Può essere letta come una denuncia sociale sulle condizioni abbrutite dei lavoratori, in nome di una produzione senza fine. Può essere letta, certamente, anche come una favola classica. Tutti i livelli sono accumunati dal motto: tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri. A cui aggiungerei che non solo, alla fine, non sono tutti uguali neanche nel regno animale, ma che la disuguaglianza è favorita dalla “distrazione” delle masse, che non ricordano, non si oppongono, non combattono per i loro diritti. Si fanno convincere, con le buone o le cattive. Ci vedo molto dei tempi moderni, cambiano forse gli strumenti, ma non i risultati. 

I personaggi

I personaggi sono il perno su cui si muove la storia e George Orwell riesce a renderli indimenticabili. Se fate attenzione alle loro caratteristiche, ritroverete molti personaggi della scena politica e sociale odierna. Il povero Palla di Neve, accusato di essere l’untore di qualsiasi cosa succeda, Napoleone il dittatore, con il suo portavoce Clarinetto, il Vecchio Maggiore, che muore prima di veder compiuta la rivoluzione, il saggio che si esprime con metafore semplici, che tutti possono capire. Godrano e Trifoglio, gli animali semplici, che si sfiancano di lavoro e aiutano gli altri, i cani e le pecore, mai nominati singolarmente ma che si muovono solo in gruppo, i primi per reprimere le sommosse, le seconde per farsi spaventare da qualsiasi slogan. Nella critica classica, a ogni nome troverete associato un personaggio storico. Il vecchio maggiore è Lenin, Napoleone Stalin, Gondrano e Trifoglio i lavoratori, i cani la polizia e le pecore le masse, Palla di Neve è Trotsky. E così via. Ma passati quasi ottant’anni dalla prima pubblicazione, avvenuta nel 1945, possiamo dire che gli animali incarnino dei fenotipi eterni. E’ così che va il mondo, direbbero gli anziani.

La fine è spettacolare

La fine de La fattoria degli animali è spettacolare e dà un senso profondo all’intera vicenda. Che fine faranno gli animali? La fattoria degli animali sopravvivrà o gli umani la riconquisteranno? Questo lo lascio scoprire a voi. Vi posso dire che alcuni degli animali rimangono nel cuore. Forse, perché inconsciamente ci vediamo noi stessi. Se avete voglia, ditemi nei commenti in quali animali vi rispecchiate. 

°°°

Ognuno aveva i suoi seguaci e scoppiavano spesso violente contese. Di solito, grazie ai suoi discorsi brillanti, al consiglio aveva la maggioranza Palla di Neve, ma Napoleone era più abile a ottenere il consenso tra una riunione e l’altra. Aveva successo soprattutto tra le pecore.

Deboli o forti, ingenui o scaltri, siamo tutti fratelli.
Tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri.

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