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Aprile è il più crudele dei mesi – Derek Raymond

Sarà vero che aprile è il più crudele dei mesi? T. S. Eliot pensava di sì, ed evidentemente è d’accordo anche il titolista italiano del romanzo di Derek Raymond di cui vi parlo oggi. Considerato il padre del noir inglese, Raymond non esita a scandagliare i bassifondi dell’animo umano. Luoghi inaccessibili, dove non c’è più spazio per la pietà e l’unico imperativo è sopravvivere.

Trama 

In un magazzino sulle rive del Tamigi viene rinvenuto il cadavere orrendamente mutilato di un uomo. La scena del crimine fa pensare a un’esecuzione, il lavoro di un professionista. Il quale, chissà perché, ha deciso di lasciare dietro di sé una macabra traccia. L’indagine è affidata alla squadra della sezione Delitti irrisolti e al sergente che la guida, un uomo duro e disilluso ma che conosce il senso più profondo del proprio mestiere. In una Londra grigia, il sergente e i suoi uomini si ritrovano invischiati in una partita sottile e pericolosa, in cui il killer gioca con chi gli dà la caccia come il gatto con il topo, protetto dalla propria inafferrabilità e dagli ambienti corrotti all’interno delle alte cariche della polizia e del governo. Un lavoro sporco, rischioso, perché scoprire l’autore del delitto questa volta significa scoperchiare un vaso di Pandora di crimini e impunità. 

Crudo

Crudo. E’ il primo aggettivo che mi viene in mente per descrivere questo romanzo. Tanto che una signora seduta vicino a me in autobus mi ha guardato inorridita dopo aver sbirciato una pagina. Niente di così scandaloso, intendiamoci, ho letto di peggio. E’ solo che, poveretta, le è capitato uno dei passaggi più “diretti”. Ma torniamo al romanzo. Come in ogni noir che si rispetti, l’ambientazione è cupa, torbida, squallida. Tanto che l’indagine sul crimine, che all’inizio sembra banale, viene affidata sezione Delitti irrisolti, che a sua volta l’affida al suo uomo peggiore. O migliore, dipende dai punti di vista. Il mistero è presto svelato: sappiamo fin dall’inizio chi sia stato, il ragionamento del detective è semplice e lineare. Il problema è capire perché e trovare le prove.

Spy story

Dopo una prima parte scoppiettante, il ritmo tende un po’ a calare nella parte centrale. Il protagonista, di cui non sappiamo nome e cognome, diventa quasi caricaturale. Ok, è il più bravo di tutti e per questo considerato meno di zero. D’accordo, si è fatto sulla strada e usa un linguaggio da scaricatore di porto perché così riesce a entrare in sintonia con i suoi “clienti”, i delinquenti comuni che gli affibbiano. Poveretto, ha un passato tragico, che l’ha reso dipendente dal lavoro e dalla voglia di aiutare il prossimo. A volte, però, la ripetizione di questi elementi rischia di annoiare. Tra l’altro, improvvisamente Derek Raymond fa virare il crime in una spy story, che richiede un certo sforzo per essere seguita.

Le relazioni tra i personaggi il vero punto di forza

La storia, comunque, è avvincente e costruita benissimo. Il parallelo con fatti realmente accaduti, vedi i recenti avvenimenti di Salisbury, la rende più che credibile. L’ironia che attraversa l’intera narrazione non solo alleggerisce i passaggi più cruenti, ma riesce a divertire pure nei momenti meno opportuni. Il finale, da questo punto di vista, è da maestro. La parte che ho apprezzato di più è quella delle relazioni interpersonali tra i personaggi. I battibecchi con il capo, odiato come qualsiasi capo sulla faccia della terra, fanno molto ridere. Chi di noi non ha sognato di potersi rivolgere così a un suo superiore? Il quale superiore è il contraltare del nostro protagonista: si odiano e non lo nascondono, ma insieme sono complementari e si migliorano l’uno con l’altro. Una coppia perfetta. Come perfetta è la coppia che forma con l’assassino. Ed è qui che la penna di Derek Raymond si supera. La capacità di comprendere l’animo umano gli fa provare repulsione, certo, ma nello stesso tempo lo mette in grado di entrare nella mente dello psicopatico e di stabilire con lui, se non una relazione, almeno una connessione. Ecco che, quindi, il serial killer, apparentemente incapace di provare emozioni, si apre col nostro e gli mostra una finestra sul suo sentire più profondo. Derek Raymond promosso. Se non a pieni voti, è certamente una lettura che consiglio agli appassionati del genere.

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Il caso Jane Eyre – Jason Fforde

Ironizzare su uno dei grandi classici della letteratura inglese si può? Sì, si può e forse si deve, soprattutto se il risultato è un romanzo come Il caso Jane Eyre. Jason FForde si prende bonariamente gioco dei lettori appassionati di Jane Eyre e della sua scrittrice, Charlotte Brontë con un guazzabuglio pieno di ironia e storie parallele in cui alla fine ci interessa solo una cosa: Jane e Mr Rochester avranno il loro finale?

Trama 

È un 1985 diverso, in un mondo dove i libri sono il bene più prezioso. E i confini tra realtà e fantasia sono più morbidi del consueto. Mycroft, vecchio inventore, escogita un sistema per entrare di persona in romanzi e poesie. Acheron Hades, criminale diabolico, se ne appropria e rapisce “Jane Eyre” dal manoscritto originale di Charlotte Brontë: a indagare arriva Thursday Next, Detective Letteraria. Reduce dalla guerra di Crimea (che imperversa da centotrent’anni), ha in sospeso un amore. Le indagini la riportano a Swindon, sua città natale; sbarcata da un dirigibile di linea, salta in groppa a una fuoriserie decappottabile dai mille colori. Riuscirà a salvare Jane Eyre e a rimettere in sesto la sua vita?

Quest’uomo è geniale 

Confesso che dopo aver letto I misteri di Chalk Hill di Susanne Goga ero un po’ titubante all’idea di affrontare un nuovo romanzo che si ispirasse alla mia amatissima Jane Eyre. Invece, mi sono divertita molto a leggerlo, in alcuni passaggi quasi con le lacrime agli occhi. L’idea è fantastica, tanto che a più riprese ho pensato “quest’uomo è geniale”, seguito da “perché non ci ho pensato io”? Chi di noi amanti dei libri, infatti, non sogna un mondo dove la letteratura sia una cosa importante? Magari non ai livelli fantascientifici immaginati da Jason FForde, ma insomma, un po’ più di considerazione ci piacerebbe, giusto? Una protagonista che si chiama Giovedì prossimo, poi, è tutto un programma. Anzi, un Cronoprogramma, magari pianificato dalla CronoGuardia di cui fa parte il padre di Thursday, libero di fare avanti e indietro nel tempo, a fare che non l’ho ancora capito, e di passare ogni tanto a trovare la figlia facendo fermare il tempo e l’azione. Considerando che lo scrittore è soprattutto uno sceneggiatore, manca solo lo stop alla fine della scena. I personaggi sono tutti azzeccati e uno più strambo dell’altro. Vincono la palma gli anziani zii, Mycroft l’inventore e lei, Polly, suo malgrado sperimentatrice delle sue invenzioni. Poi, c’è il paziente Landen Park-Laine, l’ex fidanzato che a dispetto di quanto afferma non ha mai dimenticato la sua Thursday e colleghi quantomeno curiosi, come Victor Analogy.

Jason, dov’è Jane Eyre?

Insomma, un mondo a dir poco variopinto, dove tutti sembrano strambi e dove c’è sempre tanta confusione. Talmente tanta che, se devo rintracciare un difetto nel libro, è proprio quello di aver lasciato un po’ in disparte la protagonista del titolo. Jane Eyre è un’eroina dura e pura: che fine le ha fatto fare Jason Fforde? Rimane sempre in disparte e silenziosa: ma perché, Jason? Avresti potuto utilizzarla di più e farla emergere. E’ o non è un’eroina? Comunque, a parte questa notazione, consiglio Il caso Jane Eyre a tutti gli amanti della lettura e della letteratura che abbiano voglia di sorridere un po’ della loro passione.

Passaggi 

Non era la prima volta che il manoscritto di Martin Chuzzlewit veniva trafugato. Due anni prima era stato trafugato dalla sua teca da un guardiano che voleva solo leggere il libro nella forma originale e immacolata. Schiacciato dai sensi di colpa e dalla difficoltà di decifrare la calligrafia di Dickens al di là della terza pagina, finì per confessare e il manoscritto fu recuperato.

Non era come l’avevo immaginata. Pensavo che Thornfield Hall fosse più grande e arredata con maggiore sfarzo. C’era un forte odore di cera e al primo piano si gelava. La casa era ben poco illuminata e i corridoi si perdevano in un buio nero come l’inchiostro. Era austera e poco accogliente. Notai tutto questo, ma soprattutto notai il silenzio; il silenzio di un mondo senza macchine volanti, traffico e grandi città. L’era industriale era appena agli inizi; il pianeta aveva raggiunto la sua data di scadenza. 

Il profumo – Patrick Süskind

L’inizio della primavera è il momento giusto per finire un romanzo che s’intitola Il profumo, di Patrick Süskind. Sentite quest’aria frizzantina e il profumo dei fiori che inonda i parchi? Ecco, nel romanzo del tedesco profumo e fetore s’intersecano, si compenetrano, si fondono, fino a rendersi quasi indistinguibili. Al contrario, l’umanità emerge in tutto il suo ripugnante olezzo.

Trama 

Jean-Baptiste Grenouille, nato il 17 luglio 1783 nel luogo più puzzolente di Francia, rifiutato dalla madre, rifiutato dalle balie perché “non ha nessun odore”, rifiutato dagli istituti religiosi, riesce a sopravvivere a dispetto di tutto e di tutti. E, crescendo, scopre di possedere un dono inestimabile: una prodigiosa capacità di percepire e distinguere gli odori. Forte di questa facoltà, di quest’unica qualità, Grenouille decide di diventare il più grande profumiere del mondo, e il lettore lo segue nel suo peregrinare tra botteghe odorose, apprendista stregone che supera in breve ogni maestro passando dalla popolosa e fetida Parigi a Grasse, città dei profumieri nell’ariosa Provenza. L’ambizione di Grenouille non è quella di arricchirsi, né ha sete di gloria; persegue, invece, un suo folle sogno: dominare il cuore degli uomini creando un profumo capace di ingenerare l’amore in chiunque lo fiuti, e pur di ottenerlo non si fermerà davanti a nulla.

Romanzo brutale e spietato 

Il romanzo è sato scritto da Patrick Süskind nel 1985 e in tempi relativamente brevi è diventato ormai un classico. Dai lettori è parimenti esaltato o disprezzato, non suscita vie di mezzo. Nel mio caso, devo dire con rammarico di aver faticato ad arrivare alla fine. Ho sviluppato antipatia per Grenouille fin dall’inizio e l’autore stesso lo definisce “un ratto”. Secondo me il ratto ha più sensibilità di questo personaggio senza odore. Patrick Süskind scardina l’idea che abbiamo della Francia di fine ‘700, e questo è il primo merito che gli attribuisco. Il mondo, infatti, non era affatto come ci viene rappresentato nei film e gli uomini non andavano certo in giro profumati, come avevo già avuto modo di capire visitando il Jane Austen Centre di Bath

Non ho sentito odori

Per 2/3 del romanzo ho affrontato descrizioni su descrizioni di profumi, odori, puzze e chi più ne ha più ne metta, senza ahimé sentire alcun odore. Poi, improvvisamente il romanzo accelera il ritmo, quando Grenouille incontra un uomo che potrebbe risolvere il suo destino e anche l’agonia del lettore. Invece niente, le vicende rendono Grenouille trionfante nonostante se stesso. Il romanzo, per fortuna, si riscatta nel finale, nelle ultime due pagine, in cui finalmente tutto acquista un senso. Grenouille non ha odore perché l’umanità si tappa il naso e nasconde le nefandezze di cui si rende protagonista sotto profumi che nascondono ma non coprono. Soprattutto, l’umanità venera come dei esseri che non hanno nulla di eccezionale se non un profumo capace di attirare le folle. Quelle stesse folle che, però, saranno disposte ben presto a cannibalizzare i propri idoli e a farli a brandelli. Quanti esempi di questa umanità puzzolente abbiamo avuto nel mondo?  Patrick Süskind è tedesco e nato nel 1949, ha proprio dentro casa un esempio fulgido di questa idolatria folle e senza senso. 

Ne uccide più la gola…- Douglas Clark

Con Ne uccide più la gola…, secondo romanzo dell’anno, chiudo la raccolta della serie Il giallo Mondadori “L’alta cucina del delitto” iniziata con “La ricetta del diavolo” di Ellery Queen e completata dal racconto “Morte in ascensore” di Cornell Woolrich, che avevo già letto in precedenza. Stavolta, una triade di ispettori deve stabilire se una donna, morta dopo aver cenato da un’amica, sia stata assassinata o se si sia trattato solo di una tragica fatalità…

Trama 

“Veleno” dice l’impulsivo ispettore Green. “E’ evidente.” Ma l’astuto sovrintendente Masters non è persuaso. E all’autopsia non risulta la benché minima traccia di veleno. Causa della morte di Daphne Bymeres: emorragia cerebrale e paralisi cardiaca. E’ morta in casa di un’amica, dopo un pranzetto delizioso. Perché, poi, tanti sospetti? Il medico curante si rifiuta di firmare il certificato e guarda caso l’amica è l’amante del marito di Daphne, anch’egli medico… Alt! andiamo piano con le conclusioni affrettate! In ogni modo, come è stata ammazzata? Ma sarà davvero un crimine o si tratta solo di una tragica fatalità?

Un giallo tranquillo, ma non troppo

Il romanzo rischia di essere prevedibile, perché tutti gli elementi porterebbero verso la colpevolezza annunciata del marito e dell’amante di lui. Invece, la trama costruita da Douglas Clark regge. Perché più di una persona avrebbe avuto dei motivi per uccidere, perché fin dall’inizio i lettori vengono messi al corrente dei ragionamenti che fa la polizia. Perché non basta aver capito chi è stato, servono anche le prove. Oppure, vuoi vedere che siamo di fronte a un suicidio attuato per far incolpare i traditori? Perché, infine, c’è anche un filone parallelo rosa che non guasta. Chi è stato è abbastanza chiaro fin dall’inizio anche al lettore. Ma come fare a dimostrarlo? Un giallo leggero e godibile per due o tre serate di evasione.

La ricetta del diavolo – Ellery Queen

Il primo romanzo dell’anno è un giallo e fa parte di una raccolta di due libri e un racconto della serie Il giallo Mondadori, che s’intitola “L’alta cucina del delitto”. Il racconto è “Morte in ascensore”, di cui vi ho già parlato qualche tempo fa e scritto dall’autore americano Cornell Woolrich nel 1938. “La ricetta del diavolo”, invece, è del 1966 e fa parte dei gialli apocrifi di Ellery Queen. Una donna scompare mentre sta preparando “lo stufato dello studente“. Cosa le sarà successo? 

Trama 

Terry Miles, bella e disinibita, è scomparsa un venerdì pomeriggio dopo aver detto a due vicini di casa, Ben e Farley, che doveva uscire per un appuntamento. Cosa le è successo? E’ stata rapita? Uccisa? Entrambe le cose? Le piste possibili non si contano, a partire da un marito per nulla preoccupato. Ma per il capitano della polizia Bartholdi, un posto speciale tra gli indizi spetta a uno stufato con troppa cipolla.

L’inventore del genere noir

Ellery Queen è una firma prestigiosa nell’ambito dei gialli. In realtà dietro lo pseudonimo si nascondevano due penne, come nel caso di Sveva Casati Modignani. I Queen sono due cugini che hanno dato vita a quello che oggi sarebbe chiamato un brand. Quindi, nel tempo hanno concesso l’utilizzo del nome a diversi ghostwriter, che hanno continuato a scrivere libri a loro nome anche quando la produzione originale era ormai esaurita. “La ricetta del diavolo è uno di questi” ed è stato in realtà scritto da Fletcher Flora, uno scrittore americano morto due anni dopo averlo finito. E’ bene tenerlo presente durante la lettura, perché in effetti si capisce quasi subito di non essere di fronte a Ellery Queen nelle sue produzioni migliori. Il romanzo comunque, seppur breve, è appassionante. L’autore è bravo a disseminare indizi e a far capire che lo stufato dello studente ha un ruolo centrale. Ma quale? Alla fine gli elementi del giallo ci sono tutti, compresa la suspense, quindi l’ho letto con piacere. L’unica cosa a non convincermi del tutto è una mossa a sorpresa dell’assassino che poteva avere sì una motivazione, ma secondo me non quella che gli viene attribuita a posteriori! Non posso dire di più per non fare spoiler, ma se dopo averlo letto volete parlarne scriviamoci 🙂 

Per la ricetta dello “stufato dello studente” clicca qui.