Il 29 aprile ha aperto a Roma, e per la prima volta in Italia, la mostra Goya Fisionomista, a cura di Juan Bordes. Dopo mesi di chiusura di tutti i luoghi d’arte, non mi è sembrato vero e mi sono precipitata. Non ci crederete, c’ero solo io a quell’ora! E adesso vi racconto com’è andata e cosa potrete vedere.
Fino al 18 settembre 2021
Ospitata dall’Instituto Cervantes nella Sala Dalí di Piazza Navona, dopo essere stata a Madrid, Bordeaux, Algeri e Praga, la mostra rimarrà aperta fino al 18 settembre 2021. La rassegna raccoglie 38 incisioni di Francisco Goya appartenenti a tre delle sue famose serie: Los Caprichos (I capricci, 29 incisioni), Los Disparates (Le sciocchezze, 5 incisioni) e Los Desastres (I disastri, 4 incisioni). Una selezione che analizza i rapporti dei volti di Goya con i trattati di fisiognomica dell’epoca e si completa con 109 riproduzioni di illustrazioni del XVIII e XIX secolo.
I legami di Goya con le teorie fisiognomiche
La mostra analizza il rapporto tra i volti più significativi dei suoi personaggi e le teorie fisiognomiche pubblicate tra il Settecento e l’Ottocento. Rivelando l’interesse di Goya per la fisionomia, in parte scaturito da un suo viaggio in Italia, dove le ristampe di Giovanni Battista della Porta erano popolari in un momento in cui la scienza studiava il riflesso della malattia mentale nei volti delle persone. Una pseudoscienza che cercava l’animalità del volto umano e delle sue espressioni, e che faceva parte del sapere popolare sin dal XVI secolo. Per dimostrare che Goya fosse a conoscenza di queste teorie, la mostra evidenzia i parallelismi tra le litografie dell’artista spagnolo (insieme ad ingrandimenti fotografici dei volti dei suoi personaggi) e i grandi album fisionomici di Le Brun o l’enciclopedia di Moreau de la Sarthe (1806-1809). Grazie a questi paragoni, le fonti di Goya diventano evidenti, con un allestimento che mette a confronto le varie opere, mostrandoci tre tipi di fisionomie: animale, patologica e degradata. La caratteristica essenziale dei volti creati da Goya, infatti, è la brutalità, poiché le emozioni sono mostrate nella loro forma più pura.
Da vedere?
Se amate il pittore spagnolo, sì, da vedere. Anche se non c’entra nulla, mi ha ricordato Madrid e il periodo oscuro di Goya, con la deformazione e la ferocia dipinte sui volti dei personaggi rappresentanti. E poi, che ve lo dico a fare, quando esci, un giro di piazza Navona e dintorni è d’obbligo, altrimenti il leone s’arrabbia! :p
Giorni e orari
Organizzata dall’Instituto Cervantes e dalla Real Academia de Bellas Artes de San Fernando, la mostra si può visitare gratuitamente dal martedì al sabato dalle ore 16 alle 20, su prenotazione scrivendo cenrom@cervantes.es. Indirizzo: Roma, Piazza Navona, 91. La visita dura, più o meno, 30 minuti.
Lascio Chuncheon, fiume che scorre quando arriva la primavera, per immergermi direttamente nel paesaggio fiabesco del Tempio che si riflette sul mare liscio, Haeinsa (해인사, Heinsà in italiano, dove Sa sta per “tempio maggiore”). E’ uno dei tre gioielli coreani, templi buddisti di particolare importanza. Il tempio Haeinsa è il secondo più rilevante, perché al suo interno custodisce i Tripikaka coreani. Che è anche il motivo per cui vi consiglio di sceglierlo come tappa del vostro tour in Corea del Sud.
Tripikaka coreani
I Tripikaka coreani sono delle scritture buddiste scolpite su 81.258 blocchi di stampa in legno, che Haeinsa ospita dall’anno 1398 e che fanno di questo tempio il secondo in ordine di importanza dopo Tondosa, il primo perché è il più grande e soprattutto perché rappresenta Buddha stesso. Tanto è vero che è l’unico a non avere una statua di Buddha all’ingresso. Ma torniamo ai nostri Tripikaka. I Tripikaka sono l’insieme delle Scritture buddiste scolpite su 81.258 blocchi di stampa in legno, realizzati durante la dinastia Goryeo (918-1392) e oggi patrimonio dell’UNESCO. Il valore storico dei Tripitaka Koreana deriva dal fatto di essere la collezione più completa ed accurata di trattati, leggi e scritture buddhiste, in cui non è stato trovato alcun errore negli oltre 52 milioni di caratteri cinesi organizzati in 6.568 volumi e 1.496 titoli. Ogni tavoletta è lunga 24 centimetri e larga 70, mentre lo spessore varia fra i 2,6 e i 4 centimetri e il peso fra i 3 e i 4 chili. I compilatori della versione coreana incorporarono altre antiche versioni e vi aggiunsero versioni scritte da monaci rispettabili. La qualità delle incisioni su tutte le tavolette è attribuita al Precettore nazionale Sugi, che le controllò attentamente in cerca del più piccolo errore. Proprio per la loro accuratezza, sulle Tripitaka Koreana sono basate le versioni giapponesi, cinesi e di Taiwan.
Scampati alla distruzione
Purtroppo oggi possiamo vederli solo dall’esterno, protetti da grate in legno che ne assicurano la conservazione. E’ come se fossero in carcere, conservati come sono in quattro edifici nella parte più antica e più alta del tempio, Janggyeong Panjeon. Una costruzione fatta ad hoc per le tavole e che nei secoli è scampata a incendi, invasioni e distruzioni. Addirittura, durante la guerra di Corea avrebbe dovuto essere bombardato, senonché il pilota si rifiutò di obbedire agli ordini. Anche se li ho visti solo da lontano, sono molto suggestivi. Sarà perché quando li ho visitati non c’era quasi nessuno, ma mi è sembrato quasi di poter respirare il lavoro silenzioso e paziente dei monaci che li hanno creati.
Il Tempio Haeinsa
Anche se il motivo principale per visitare il tempio sono i codici, il tempio in sé merita una visita. E’ stato fondato durante il terzo anno del regno di re Ae-jang (802) da due monaci Suneung e Ijung. Il nome “Haein” ha origine dall’espressione “Haeinsammae di Hwaeomgyeong” (scrittura buddista), che significa “il mondo veramente illuminato di Buddha e la nostra mente naturalmente incontaminata”. Un’altra interpretazione del nome, invece, fa riferimento allo stato mentale del Buddha, talmente rilassato da essere come il mare calmo, che riflette le cose per come esse realmente sono. I due significati, comunque, in un certo senso si incontrano. Sia come sia, l’atmosfera è davvero quella incontaminata del mare calmo, anche se costruito in montagna. A partire dalla prima porta, Iljumun, che nella maggior parte dei templi buddisti coreani ogni sattva deve superare per diventare un Buddha, che è considerata un’opera rappresentativa dell’architettura antica. Il sentiero continua in salita attraverso la Porta dei Quattro Re Celesti che custodisce il tempio e il Bullimun, o “porta della non dualità”, che rappresenta l’unicità di tutte le cose. All’interno dell’area principale del tempio, che si trova a un livello più alto rispetto alle porte d’ingresso, ci sono circa una dozzina di sale. Il principale, Daejeokgwangjeon, è dedicato a Vairocana Buddha, che rappresenta l’eterna verità dei precetti esposti nelle scritture buddiste.
Yeongji, lo stagno della riflessione
Uscendo dal tempio, fermatevi a rimirare questo stagno. A parte la bellezza dei colori, ha una storia curiosa. Sembra, infatti, che la regina madre Heo, la moglie di re Kim Suro, del Regno Gaya, nella sua vita si recò sul Monte Gaia diverse volte, per vedere i suoi sette figli che avevano rinunciato alla mondanità per ritirarsi sul monte. La regina, però, non era in grado di scalare il monte, per motivi di salute. Per lei fu quindi creato questo stagno, che in determinate ore riflette la sommità del monte e il tempio Heinsa. Volgendo lo sguardo alle sue acque, la regina poteva pregare e ammirare il monte. Da qui, il nome di “stagno della riflessione”. Se guardate bene l’acqua in foto, lo vedrete anche voi.
God of War
Solo nel 2012, e solo una volta, il tempio di Heinsa è stato utilizzato per un kdrama: God of war, un drama in costume basato su una storia vera. E’ un kdrama che devo assolutamente vedere, anche perché non sono riuscita a trovare foto degli esterni.
Come arrivare al Tempio di Heinsa
Haeinsa si trova sul monte Gaya, nella provincia del Gyeongsang Meridionale, ed è tuttora un attivo centro di insegnamenti Seon. Per arrivarci, la maniera più semplice è arrivare in treno a Daegu (2 ore da Seoul), fare 13 fermate di metropolitana e prendere un bus dalla stazione di Daegu Seobu Terminal (costo, 8100 won) fino alla fermata Haeinsa Temple, l’ultima, verificando prima gli orari di apertura a seconda della stagione. Haeinsa è l’ultima fermata. Prima che l’autobus si fermasse, un signore è salito e ci ha chiesto 3.000 won a persona. Li ha però chiesti solo agli stranieri e non vi so dire se si tratta di un’offerta “volontaria”, come credo, o un pagamento dovuto, dal momento che poi nessuno ci ha chiesto di far vedere il biglietto. Più probabile che si tratti di una richiesta “spintanea”, comunque poco costosa. Dal punto in cui vi lascia l’autobus, dovete tornare leggermente indietro e seguire i cartelli per circa 1 km. Sarà comunque pieno di donne che vendono cibo e altri prodotti lungo la strada, quindi non potrete sbagliare. Troverete il tempio dopo circa mezz’ora di camminata. Altrimenti, è sempre possibile arrivare in macchina o taxi. Oppure, se siete nella regione per una visita più lunga, potreste approfittare per fare trekking arrivandoci a piedi, soprattutto in autunno dove i colori caldi delle foglie giallorosse vi cattureranno.
Train to Busan
Ora per me è tempo di ripartire e di prendere un altro treno. Un train to Busan…
Il gatto che leggeva alla rovescia è il primo titolo della serie di gialli di Lilian Jackson Braun “Il gatto che…” (The Cat Who…) i cui protagonisti sono il giornalista Jim Qwilleran e i gatti siamesi Koko e Yum Yum. In questo primo romanzo c’è solo Koko ed è proprio grazie al suo fenomenale intuito che gli indizi per la soluzione del caso verranno a galla.
Trama
Jim Qwilleran ritorna al giornalismo dopo un lungo periodo di inattività. Percy, giovane direttore del Daily Fluxion, affida a Qwill la rubrica sul mondo dell’arte per “controbilanciare” i problemi che il critico, George Mountclemens III, causa dopo ogni suo articolo. Per un caso Qwill affitta un appartamento proprio da Mountclemens, che vive come un eremita e che ha per unico amico un gatto siamese, Kao K’o-Kung. Tra il giornalista e il gatto nasce subito un’amicizia. Presto Qwill capisce che il mondo dell’arte nella cittadina è pieno di invidie, rivalità e trucchi per accaparrarsi i migliori posti nelle gallerie. Problemi che alla fine sfociano in una serie di delitti. Qwill, con l’aiuto del gatto Koko, che ha la straordinaria capacità di leggere alla rovescia, tornerà suo malgrado al vecchio lavoro di cronista, indagando come sempre a modo suo.
Un gatto con grande personalità
Un giallo molto carino, che consiglio a chi predilige letture senza violenza, garbate e con personaggi caratteristici. Come il nostro cronista, del quale in questo primo romanzo sappiamo poco o niente, ma che ha sicuramente una grande personalità. Come Kao K’o-Kung, detto Koko, il gatto siamese con il quale inaspettatamente fa amicizia. Mi piacerebbe leggere anche gli altri, perché credo che piano piano la scrittrice dipanerà altre informazioni. Per esempio, il nostro giornalista/detective beve succo di pomodoro. Il che mi fa pensare a un passato burrascoso, come anche il suo trasferimento e il fatto che non abbia lavorato per un po’, ma vedremo. Per ora posso dire che l’ambientazione nel mondo dell’arte funziona ed è gradevole, i personaggi anche e Koko, be’, Koko è un vero personaggio, in tutti i sensi. Piacerà molto soprattutto agli amanti dei gatti, che si ritroveranno in alcune descrizioni del gatto siamese. Se amate il giallo classico troverete quello che fa per voi e attenzione…troverete indizi sparsi qui e là, se volete giocare al detective potrete farlo.
Mantova, “Questa è una bellissima città, e degna c’un si mova mille miglia per vederla”.
“This is a wonderful city, it would be worth traveling a thousand miles to see it”.
Torquato Tasso, 1586
Mantova, Capitale italiana della cultura 2016, nella lista dei patrimoni dell’umanità dall’UNESCO, regno dei Gonzaga per secoli. Soprattutto, scrigno di tesori da aprire e scoprire con stupore, quasi. Perché non avrei mai pensato di trovare un concentrato di così tanta bellezza in pochi metri quadri. Quello che segue è il giro che ho fatto io, nell’ordine spero razionale che consente di visitare il più possibile anche con poco tempo a disposizione. Sono rimasta tre giorni e questo è quello che sono riuscita a vedere, senza correre, assaporando ogni minuto dell’atmosfera rinascimentale in cui mi sono ritrovata immersa per un attimo.
Cosa fare a Mantova
Piazza delle Erbe
E’ il punto da cui ho iniziato il giro della città. Di forma tipicamente rinascimentale, offre subito un bellissimo colpo d’occhio, con la sua forma tipicamente rinascimentale. Piazza delle Erbe è stata a lungo il centro amministrativo e politico della città, sulla quale si affacciano alcune delle sue più importanti architetture: il Palazzo della Ragione, il Palazzo del Podestà, la Rotonda di San Lorenzo e la Torre dell’Orologio.
Il Palazzo della Ragione
Costruito in epoca medievale tra il XI e il XII secolo, venne edificato per concentrare lì ogni funzione civile, amministrativa o giudiziaria. Purtroppo ho visto poco perché è circondato da impalcature che ne nascondono la facciata e che non si sa quando e se verranno rimosse. Anche questo palazzo, infatti, è stato danneggiato dal terremoto del 2012. Di fronte al palazzo, si teneva, e si tiene ancora oggi, un mercato millenario. Devo dire che, considerando il prestigio della location, fossi l’amministrazione curerei maggiormente qualità e aspetto dei banchi.
La Torre dell’Orologio
Accanto al palazzo, su richiesta del marchese Ludovico III Gonzaga, venne costruita dall’architetto Luca Fancelli la Torre dell’Orologio, sulla quale è ancora ottimamente conservato l’orologio astronomico. Al tempo, l’orologio era in grado di calcolare non solo ore, posizioni dei pianeti, alba e tramonto, ma anche segni zodiacali e fasi lunari, che in epoca rinascimentale erano di grandissimo interesse ovunque. E pure oggi, direi.
La Rotonda di San Lorenzo
E’ la chiesa più antica di Mantova. Costruita nel XI secolo per volontà di Matilde di Canossa, potente feudataria sostenitrice del Papato, la struttura è un esempio di arte romanica. Probabilmente fu costruita sopra un precedente edificio romano. Di forma circolare, come le sue gemelle, all’esterno è caratterizzata da affreschi in stile romanico-lombardo. Sarà che l’ho visitata nel tardo pomeriggio, ma ha un’aura di mistero fascinosa. Vi consiglio di non perderla.
La casa del Mercante
Guardando la Rotonda di San Lorenzo, sulla destra noterete una casa dallo stile orientaleggiante. E’ la casa del mercante Boniforte da Concorezzo, che si stabili’ a Mantova nel 1455 e volle così ricordare i suoi viaggi. Sotto il portico, incisi sull’architrave, ci sono gli oggetti che il mercante vendeva nella bottega: cucchiai, coltelli, piatti, bilance, eccetera. Una vetrina ante litteram, insomma.
Il Palazzo del Podestà
Fu costruito dal podestà di Mantova, Laudarengo Martinengo. Il bresciano fu una figura di rilievo per la città: su sua commissione, sulla facciata del palazzo verso piazza Broletto fu allocata la statua di “Virgilio in cattedra”.
Basilica di Sant’Andrea
Alle spalle di Piazza delle Erbe, è stata realizzata su progetto di Leon Battista Alberti. Custodisce nella cripta i Vasi sacri, reliquia del sangue di Cristo, e la cappella funeraria di Andrea Mantegna, l’artefice del Palazzo Ducale.
Piazza Broletto e la Vecia
Anche questa piazza, la naturale prosecuzione di Piazza delle Erbe, è molto caratteristica. Il principale motivo di interesse per me, oltre alla fontana dei delfini al centro, è la facciata del duecentesco Palazzo del Broletto. In una nicchia ad arco acuto, un ignoto artista veronese del XIII secolo ha scolpito una statua che rappresenta “Vergilius Mantuanus Poetarum Clarissimus”. Ovvero il sommo poeta Virgilio, che proprio a Mantova era nato. I mantovani la chiamano affettuosamente “La Vecia”, la Vecchia, o più poeticamente “Vecia Mantua”, la Vecchia Mantova. Proprio alla vecia ogni forestiero doveva rendere omaggio quando entrava per la prima volta in città. E così ho fatto anch’io, ponteggi permettendo.
Palazzo Ducale e il Castello di San Giorgio
E qui siamo arrivati a uno dei Palazzi più importanti di Mantova, se non il più importante. Dietro Piazza Sordello, proseguendo da Piazza Broletto, sorge il Palazzo Ducale. L’edificio è stato per molti secoli la dimora dei Gonzaga ed è stato progressivamente esteso, tanto che oggi lareggia è la sesta per estensione in Europa, dopo Vaticano, Louvre, Versailles, Caserta e Fontainebleau. Che poi chiamarlo edificio è anche scorretto, perché gli edifici sono diversi, aggiunti via via che aumentavano i membri della famiglia residenti, e tutti collegati da corridoi, gallerie, cortili e giardini. Sarò banale e scontata, lo so, ma la Camera degli Sposi nel Castello di San Giorgio è il motivo principale per cui vi consiglio di andarci. Peccato che la facciano vedere per prima, non so per quale motivo. Fossi il curatore del palazzo, la lascerei come ultima sala da visitare, perché oggettivamente oscura tutte le altre. Si chiama così, però non aspettatevi una camera da letto. Era in realtà una camera di rappresentanza, quella che doveva lasciare a bocca aperta gli ospiti per la magnificenza e l’opulenza degli allestimenti. E se lascia noi a bocca aperta, figuriamoci all’epoca. La stanza, anche detta Camera Picta, è celebre per gli affreschi che ricoprono le pareti, opera di Andrea Mantegna. Il veneziano ha fatto un capolavoro, riuscendo con gli affreschi a celebrare superbamente una famiglia che dalle origini contadine si era elevata fino a diventare una dinastia, riuscendo addirittura a far eleggere uno dei suoi membri, Francesco, cardinale. Tutto il complesso è secondo me estremamente elegante e ricco, ma non kitsch. Anzi, se fossi un’arredatrice di interni o una orafa mi farei un giretto da queste parti per studiare un gusto intramontabile nei secoli!
Museo Archeologico Nazionale
Uscendo dal Palazzo Ducale, vi suggerisco una capatina al museo archeologico, lì accanto, dove ho trovato un’altra chicca. Nel 2007, nell’area archeologica di Valdaro, sono stati trovati “gli amanti di Mantova”, o anche “gli amanti di Valdaro”. La scoperta eccezionale, risalente al neolitico, di due corpi di un’uomo e una donna abbracciati e insolitamente inumati in un’unica tomba. I due sono stati sepolti di fianco, faccia a faccia, incrociati in un abbraccio che coinvolge anche gli arti inferiori. Be’, vi devo dire che la vista è emozionante. Chissà che storia tragica nascondono i due poveretti.
Basilica Palatina di Santa Barbara
Rappresenta il sogno del principe Gugliemo Gonzaga, un luogo in cui dovevano svolgersi celebrazioni religiose della massima solennità. Sembra che l’edificio custodisse alcuni grumi della terra intrisa del sangue del Cristo, il Sacro Graal in pratica. Una chiesa riccamente decorata, che doveva mostrare l’importanza della famiglia. Gonzaga, appassionato musicista, fece costruire al suo interno un organo da Graziadio Antegnati, dotando la chiesa di una cappella musicale di prestigio e di un’acustica eccezionale. Guglielmo si era fatto costruire un palchetto di fronte all’organo, per seguire le messe senza mescolarsi alla folla e ascoltare la musica con più attenzione. Ancora oggi sono visibili i danni del terremoto del 2012, che fece crollare il cupolino del campanile. La chiesa è aperta la domenica, ore 10-18 e gli altri giorni su richiesta.
Cattedrale di San Pietro
Principale luogo di culto della città, presenta uno stile romantico e gotico insieme. La ristrutturazione dell’architetto Giulio Romano le ha conferito uno stile simile alla Basilica di San Pietro a Roma.
Palazzo Te
Te, da tiglieto, località di tigli, oppure da tegia, dal latino attegia, capanna. Mantova, infatti, era anticamente circondata da quattro laghi formati dal corso del fiume Mincio, quindi potevano esserci tigli, ma anche capanne di pescatori. Poco distante dall’isola su cui sorse la città si trovava un’altra isola denominata sin dal medioevo Teieto (poi abbreviato in Te) collegata con un ponte alle mura meridionali della città. Tigli o capanne? I mantovani propendono per la prima, a me non dispiace la seconda. Conosciuto come “Palazzo dei lucidi inganni”, l’edificio era circondato da boschi e da un lago, ormai non più esistente, che lo rendevano affascinante e al tempo stesso sospetto. Non a caso è detto anche Palazzo del piacere, perché il padrone di casa Federico II Gonzaga, figlio di Francesco II e Isabella d’Este, qui si intratteneva con la sua amante. Una donna sposata, di cui era follemente innamorato. Una storia che quasi ricorda quella di Carlo e Camilla…d’altra parte, una delle sale non a caso è dedicata a Psiche e Amore. Come recita una scritta alla parete, è un palazzo per il tempo libero e lo svago, per l’onesto ozio del principe, che ritempra le forze nella quiete. E chi non ne vorrebbe uno?
Palazzo d’Arco
Questo ve lo consiglio per chiudere in bellezza il giro di Mantova. Il Palazzo D’Arco venne iniziato nel 1784 per volere del conte Gherardo D’Arco, che da Trento si trasferì a Mantova per matrimonio. Il Palazzo e’ stato abitato dalla famiglia D’Arco fino agli anni ’70. Cioè finché l’ultima discendente, la contessa Giovanna, non ha deciso di donarlo in eredità alla città di Mantova. La cosa stupefacente è che il palazzo è come se fosse ancora vissuto. Gli arredi, le stanze, i quadri alle pareti, tutto rimanda ai fasti del tempo che fu. La contessa Giovanna è stata lungimirante, perché se non avesse lasciato testamento, probabilmente il palazzo sarebbe stato smembrato. Invece, guardate nella foto che biblioteca meravigliosa. E il circolo della lettura che si teneva in una stanza appositamente adibita. Sapete come si giudicava il successo di un pomeriggio? Dalle quantità di tazze di tè da lavare. Più tazze venivano usate, più il dibattito era acceso. Da vedere assolutamente. Il prezzo comprende una visita guidata a cura della Fondazione che gestisce il palazzo.
Ulteriori suggerimenti
Gita in barca sul Mincio
Non avrei potuto trovare di meglio per rilassarmi un po’ dopo aver girato come una trottola per le piazze e i palazzi mantovani. Sul Mincio è nato il poeta Virgilio, del Mincio scrivono anche Dante nella Divina Commedia e Giosuè Carducci. Non a caso, quindi, il Mincio è anche detto “Fiume dei poeti”. L’imbarcadero è nei pressi del Castello di San Giorgio e la gita dura un’ora e mezza. Comprende due dei tre laghi che il Mincio forma all’altezza di Mantova e l’oasi naturale del WWF. Il contesto è semplicemente meraviglioso, con una natura padrona che si prende i suoi spazi e offre il suo spettacolo migliore tra luglio e agosto, quando sul lago Superiore fiorisce il Fiore di Loto nelle sue grandi aiuole galleggianti: foglie verdi anche di un metro di diametro sulle quali nascono grossi fiori bianchi. In realtà, la specie è infestante, perché trapiantata qui artificialmente e quindi richiede periodicamente un grosso lavoro di manutenzione per contenere le radici. Nel lago di Mezzo, invece, domina la castagna d’acqua, i cui frutti si raccolgono nel tardo autunno e si mangiano, dopo averli cotti a lungo. Poi abbiamo incontrato ninfee, felci, salici, popolati di cormorani, aironi cinerini, e chi più ne ha più ne metta. L’opera dell’uomo si vede sporadicamente nelle case sul fiume, che ancora resistono all’abbattimento, e nelle fornaci industriali dell’800, ormai in disuso. Pensate che la Fornace Morselli, che s’incontra nel tragitto, ha fornito il cotto antico del Teatro alla Scala di Milano. La gita costa 9 euro dal lunedì al sabato, 10 euro nei festivi. Anche gli animali possono salire a bordo.
La bancarella dei libri di Piazza delle Erbe
Dopo essere usciti dalla Rotonda di San Lorenzo o dalla Basilica di Sant’Andrea fermatevi a quella che in città è una vera e propria istituzione. Fino al 1983 è stata gestita da Giovanni Piubello, a quanto mi dicono un personaggio fortemente carismatico. E’ stato scrittore, bancarellaro ed editore di se stesso. Praticamente un self ante litteram, a parte una breve parentesi con Rizzoli. Dal punto di vista privilegiato della bancarella su una delle piazze principali della città, è stato uno straordinario osservatore della vita cittadina nella sua patria d’adozione, ed era amato dai mantovani che trovavano nella bancarella sotto i portici Broletto un dimesso ma profondo uomo di cultura. Di lui, ovviamente alla Bancarella oggi gestita dal suo aiutante, ho acquistato Il primo libro dei bottoni, di cui a breve vi racconterò.
L’Edicola di via Frattini 4
Attirata come al solito dalle riviste, nell’edicola ho trovato un altro personaggio cittadino. L’edicolante-filosofo Walter Tojari fa guerra alle fake news. Come? Con la carta, dice. Fermatevi a farci due chiacchiere: vi racconterà che organizza presentazioni di libri e appuntamenti musicali. Oppure fermatevi all’interno ad ammirare le riviste di ogni tipo. Ci sono anche quelle dei femminili anni ’50. perché secondo questo edicolante illuminato “la carta è l’ultimo baluardo contro le innumerevoli bufale che circolano quotidianamente”.
La biblioteca comunale Teresiana
La metto qui, da una parte, sola soletta, perché purtroppo l’ho trovata chiusa. Fondata dall’Imperatrice Maria Teresa d’Austria, fu aperta al pubblico il 30 marzo 1780 come Imperial Regia Biblioteca. Dicono che sia molto bella e ancora oggi perfettamente funzionante come biblioteca pubblica.
Gli eventi di Mantova
Il principale, per noi amanti dei libri, è il Festival della Letteratura, che si tiene a settembre. Il 15 agosto, invece, al Santuario delle Grazie di Curtatone (vedi più in basso) circa 150 madonnari si riuniscono sul piazzale del santuario per dare vita a una sfida a colpi di gessetti colorati. Io ci sono passata per caso proprio quel giorno e mi sono divertita a votare i miei preferiti.
Cosa vedere nei dintorni di Mantova
Sabbioneta
Sabbioneta è un piccolo comune, con una storia pressoché unica, tanto che è stato inserito nell’elenco dei patrimoni dell’umanità dell’UNESCO. In pratica, è un modello di“città ideale”. In origine un semplice borgo fortificato, fu ricostruito da Vespasiano Gonzaga secondo le proporzioni e l’ideale di armonia simboleggiate nel disegno dell’uomo vitruviano di Leonardo da Vinci. Peccato che poi morto Vespasiano il progetto sia fallito. Per nostra fortuna possiamo ancora ammirarne la pianta, una stella intatta con sei baluardi sulle punte. Alla città ideale si accede da Porta Vittoria, la più antica, e da Porta Imperiale. Da vedere ci sono Il Palazzo Ducale, il Palazzo del Giardino, residenza privata del duca, e il Teatro all’Antica, primo esempio di teatro stabile in Europa. Il teatro rimarrà chiuso fino al 30 settembre 2019, però il biglietto dei due palazzi comprendeva anche la visita della sinagoga.
Solferino
Ci sono stata di sera, per prendere il fresco come i mantovani, che quando fa molto caldo si spostano in collina. Solferino è un posto che trasuda storia: sulla rocca ebbero luogo gli scontri decisivi della battaglia del giugno 1859: la collina fu aspramente contesa dalle truppe francesi e austriache per la sua posizione strategica. Tanto strategica che la chiamavano “La spia d’Italia”. Se ci andate di giorno, dal tetto potrete ammirare il panorama dall’alto, con la campagna, il Lago di Garda e la torre di San Martino della battaglia. Nella chiesa di San Pietro in Vincoli, invece, sono conservati 1413 teschi e le ossa dei caduti.Il memoriale Nei pressi del parco che circonda la rocca c’è un memoriale che ricorda Henry Dunant, un filantropo svizzero. In cerca di Napoleone per motivi suoi, si ritrova ad aiutare i feriti proprio a Solferino durante le battaglie più cruente. Tornato in Svizzera, pubblica un libro denuncia Un souvenir de Solferino. Da lì nascerà poco dopo la Croce Rossa Internazionale.
Cavriana
Cavriana è un altro paese collinare, che si trova a poca distanza da Solferino. Ha origini preistoriche e fu abitata dai Romani. Ancora oggi mantiene l’originaria struttura di borgo fortificato dominato dalla torre e fungeva da residenza estiva dei Gonzaga Il castello fu distrutto dagli austriaci alla metà del Settecento e oggi rimangono solo la Torre Medievale e le mura. Una curiosità: durante la Battaglia di Solferino e San Martino del 1859, ospitò nella Villa Siliprandi l’imperatore Francesco Giuseppe alla vigilia dello scontro e l’imperatore vincente Napoleone III la notte successiva.
Curtatone, Santuario delle grazie
Se rimane un po’ di tempo libero prima di ripartire, vi suggerisco una capatina al Santuario delle Grazie di Curtatone. Si trova a circa 8 km dal centro di Mantova, ci arrivate anche in bicicletta o a piedi. Fu costruito tra il 1399 e il 1406 da Francesco I Gonzaga, come voto alla Madonna durante la peste che in quegli anni affliggeva la città. L’interno è spettacolare, anche se da fuori non si direbbe proprio. Nel 1517 frate Francesco da Acquanegra si è inventato un’impalcata lignea che riveste la parte mediana delle pareti con nicchie che ospitano statue in cartapesta, cera e legno, e altri numerosi ex voto. Al centro della chiesa, pende dal soffitto un coccodrillo impagliato. Leggenda vuole che questo edificio sia stato costruito per volere del popolo, che desiderava ringraziare la Madonna di averlo liberato da un coccodrillo divoratore di uomini che infestava le paludi manovane. Nei secoli il santuario è stato arricchito negli arredi e nelle decorazioni, perché a ogni “miracolo” venivano aggiunti ex voto. C’è il condannato a morte che si è salvato perché si è rotta la corda, pardon, la Madonna ha tagliato la corda; un guerriero vicino al suo cannone che si è salvato dalla morte; il condannato a essere buttato in un pozzo, poi graziato, eccetera. Pensate, solo nel corso di un restauro recente ci si è accorti che le stoffe dei manichini sono vere e non di cartapesta o altro materiale. Il santuario custodiva anche il più importante nucleo di armature italiane, databili tra i secoli XV e XVI, scoperte negli anni ’20 e oggi conservate nel Museo Diocesano di Mantova.
Cosa mangiare a Mantova
C’è l’imbarazzo della scelta. Io ho provato i tortelli di zucca, speciali perché nel ripieno c’è l’amaretto; il salame mantovano e la pancetta, accompagnati dallo gnocco fritto; i capunsei, un primo speciale pur essendo semplicissimo pangrattato in brodo (questo ve lo farò presto); il panino col cotechino come street food, che però sarò stata sfortunata ma non mi è piaciuto granché; sui dolci mi sono dedicata un bel tris: torta Elvezia, Sbrisolona e Torta delle Rose, accompagnate da un bel Lambrusco mantovano frizzante. Altre specialità del posto sono i bigoli o polenta con luccio, gli agnolini di pasta all’uovo, il risotto alla pilota con salamella di maiale o quello col puntèl con salamella, costine o braciola di maiale, lo stracotto d’asino, il luccio in salsa verde, la peperonata. Come dolci, oltre a quelli che ho provato, ci sono la torta di tagliatelle, fatta con le tagliatelle avanzate, l’Anello di Monaco, dolce natalizio simile panettone con un buco al centro, lo zabaione, la torta greca e la bignolata, torta fatta con bignè allo zabaione, cioccolato e panna.
Come arrivare a Mantova
Treno: Mantova è raggiungibile da Verona, Modena e Milano. La stazione dista pochi minuti a piedi dal centro storico.
Aereo: l’aeroporto più vicino è quello di Verona. Altri aeroporti: Montichiari, Parma, Bologna e Orio al Serio.
Auto: autostrada A22 Modena-Brennero, A4 Milano – Venezia, uscite di Desenzano, Sirmione, Peschiera e Verona Sud, Autostrada del Sole A1, uscite di Parma Est e Reggio Emilia.
Camper (area sosta): Area Sparafucile – Via Legnago 1/A e Località Grazie di Curtatone – Parco Paganini via Fiera, 11.
Apre oggi alle Scuderie del Quirinale di Roma la mostraLeonardo Da Vinci. La scienza prima della scienza, che ho visitato ieri in anteprima e che mostra Leonardo nella sua dimensione ingegneristica e umanistica. Niente dipinti, quindi, bensì una bella panoramica dell’opera di Leonardo sul fronte tecnologico e scientifico. Ora vi racconto perché è da vedere assolutamente se siete nei paraggi.
La mostra
La mostra, organizzata dalle Scuderie del Quirinale con il Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia di Milano e insieme alla Veneranda Biblioteca Ambrosiana, celebra il genio di Leonardo a 500 anni dalla sua morte. Dalla formazione toscana, al soggiorno milanese, fino al tardo periodo romano, la mostra ripercorre l’opera di Leonardo sul fronte tecnologico e scientifico e traccia le connessioni culturali con i suoi contemporanei, per offrire una visione finalmente ampia di questa grande figura, spesso presentata come genio isolato.
Il percorso
Il percorso si articola in dieci sezioni, ognuna della quali ruota attorno a dieci disegni del Codice Atlantico di Leonardo, custodito nella Biblioteca Ambrosiana di Milano. Le opere di Leonardo vengono messe a confronto sia con i modelli storici della collezione del Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia di Milano, sia con i manoscritti di artisti e ingegneri del rinascimento. Sarà possibile ammirare un monumentale modello in gesso del Pantheon, i grandi portelli originali della chiusa di San Marco del Naviglio, i prototipi di aliante con cui Leonardo sognava che l’uomo riuscisse a volare e le macchine per la tessitura.
Leonardo: genio sì, ma non isolato
Al contrario, le sezioni della mostra rendono evidente non solo che Leonardo possedesse un approccio scientifico che applicava su più fronti, ma anche che i suoi interessi fossero strettamente connessi con il pensiero tecnico e umanistico dell’epoca. Seguendo il percorso, infatti, è possibile apprezzare Leonardo nella sua eccezionale abilità artistica e soprattutto nelle sue competenze ingegneristiche e umanistiche. Non era uno scienziato in senso stretto, ma del ricercatore e dell’uomo di scienza possedeva certamente l’approccio, di osservazione, misurazione e verifica, che lo avvicinano enormemente agli uomini di scienza che arriveranno dopo di lui.
La biblioteca di Leonardo
Inutile dirvi che la mia sezione preferita è quella dedicata alla biblioteca di Leonardo, che incredibilmente definiva se stesso “omo sanza lettere” per la sua formazione pratica. In realtà, la sua collezione di oltre 150 volumi, che per l’epoca era un numero ragguardevole, dimostra esattamente il contrario. Pensate che Leonardo non conosceva il latino e iniziò quindi a leggere testi in volgare come la Commedia di Dante o le traduzioni di classici di Ovidio e Plinio. Rendendosi presto conto che latino e matematica erano indispensabili per poter approfondire i suoi studi teorici, compì un faticoso processo di formazione studiandoli a Milano. Purtroppo la sua collezione è andata dispersa, con un’unica eccezione: il celebre Manoscritto Laurenziano, una copia del Trattato di architettura dell’ingegnere-artista Francesco di Giorgio Martini. Prestato dalla Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze, è l’unico volume appartenuto con certezza alla biblioteca di Leonardo perché arricchito di numerose annotazioni di suo pugno. Eccezionalmente in prestito dalla Bibliothèque di Ginevra, inoltre, uno dei due manoscritti del De Divina Proportione di Fra’ Luca Pacioli. Quest’ultimo è un famoso trattato di matematica realizzato per il duca Ludovico il Moro nel 1498 e illustrato da sessanta solidi basati sui disegni preparatori eseguiti da Leonardo. Ci sono poi altre chicche per noi bibliofili, come la copia del Leggendario Sforza Savoia. Il manoscritto, prestato dalla Biblioteca Reale di Torino, è considerato la summa della miniatura del Quattrocento. Segue poi una serie di testi e autori che Leonardo avrebbe potuto avere nella sua biblioteca. La ricostruzione della sua biblioteca è interessante perché ci permette di toccare con mano non solo la poliedricità dei suoi interessi, ma anche la vera essenza del suo genio: teoria e pratica che si fondono fino a rendere l’una e l’altra utili al progresso dell’umanità.
Informazioni utili
Le Scuderie del Quirinale si trovano a Roma, in via XXIV Maggio numero 16 e sono accessibili alle persone con ridotta o impedita capacità motoria o sensoriale. La mostra resterà aperta fino al 30 giugno 2019, da domenica a giovedì dalle 10.00 alle 20.00, venerdì e sabato dalle 10.00 alle 22.30. L’ingresso è consentito fino a un’ora prima dell’orario di chiusura. Tutti i biglietti includono l’audioguida in italiano e inglese.
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