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Margaret Atwood e l’infelicità con l’uomo

Margaret Atwood è una delle autrici viventi più quotate e da poco è stato stampato uno dei suoi primi lavori, La vita prima dell’uomo. Io l’ho ribattezzato “L’infelicità con l’uomo”, perché la lettura di questo romanzo certo non risolleva l’animo e la fiducia nel genere umano. Adesso vi racconto.

Trama

Una coppia apparentemente moderna, libera, aperta: lei, Elizabeth, colleziona amanti senza che Nate, suo marito, ne soffra veramente; lui stesso frequenta una donna, ma questo non compromette, anzi sembra cementare, la loro unione. L’essenziale, dopotutto, è «poter contare l’uno sull’altra». Ma quando il suo ultimo amante si suicida e Nate intreccia una relazione con una giovane paleontologa, il mondo di Elizabeth sembra crollare, e la donna viene assalita da domande esistenziali alle quali non riesce a dare risposta. Nate, per parte sua, non sa scegliere tra le due donne, con l’unico risultato di rendere entrambe infelici…

Il triangolo no

Il triangolo no, non l’avevo considerato, cantava Renato Zero. Invece, Margaret Atwood lo considera e ne fa il centro di questa storia, in cui il lettore si trova a sbirciare dallo spioncino della porta la vita di una coppia sposata e degli amanti che si affaccendano intorno. In un’atmosfera apparentemente tranquilla, eppure densa di rabbia repressa, risentimento, insoddisfazione, infelicità. Un’unione apparentemente solida, che naufraga nel tran tran quotidiano e nella noia. Apparentemente i due non se ne accorgono, o fanno finta di non rendersene conto. Forse, aspirano a rimanere quello che diventano molte coppie col passare degli anni: dei conviventi che crescono insieme le figlie, mantenendo vite separate. Senonché, una tragedia interrompe questo binario verso il nulla.

Indifferenti e civili

Il suicidio di  Chris costringe Elizabeth, Liza, a mettersi di fronte a uno specchio, dove quello che vede non le piace. Come non è piaciuto a me, nonostante gli sforzi di Margaret Atwood di dare delle giustificazioni riferendosi al passato molto difficile della protagonista. Elizabeth non mi piace: la trovo fredda, egoista, cattiva. Ho fatto come Nate, “Ho rinunciato a interrogarmi sulle sue ragioni. Non capisco mai perché fa una certa cosa”. Più avanti il perché si capisce, certo, da anni ormai Elizabeth usava tutta la sua energia per salvare se stessa”. La stessa energia che deve usare il lettore per andare avanti nella lettura. Nate, Elizabeth e Lesje sono tristi, tristi dentro. Chi per un motivo, chi per l’altro, non prendono in mano la propria vita. Pensano che comportarsi in modo civile sia sufficiente per andare avanti. Il che rende assordante la mancanza di civiltà che invece regola i loro rapporti nel profondo. Sembra quasi una replica in salsa canadese de Gli indifferenti, mi perdoneranno il paragone ardito i fan di Margaret Atwood. I quali fan dicono che in questo lavoro il tratto è ancora un po’ acerbo. Mi fido, non ho ancora termini di paragone per poter dire la mia. E’ però un’avvertenza che mi sento di dare a chi deciderà di leggerlo: tenete presente che è una Margaret Atwood agli esordi. La mia speranza è che la sua fiducia nel genere umano sia cresciuta col tempo. Chi la conosce bene mi saprà dire. 

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I sei giorni del Condor, un romanzo di fantasia?

I sei giorni del Condor, un romanzo anni settanta che segna l’esordio come scrittore di James Grady. Tutti più o meno conosciamo il film con Robert Redford che è stato tratto da questo romanzo. Il libro invece? E’ a pari livello? Ora vi racconto. 

Trama

Quando l’agente della CIA Malcolm rientra in ufficio dopo una pausa, trova i suoi colleghi morti, crivellati da colpi di arma da fuoco. Una strage terribile, e insensata: nella Sezione 9 del Dipartimento 17, infatti, Malcolm era stato assunto solo per leggere e schedare romanzi gialli. Un lavoro tranquillo, da semplice impiegato, che quel giorno cambia irreparabilmente. Malcolm, nome in codice Condor, diventa un bersaglio, al centro di una caccia senza esclusione di colpi che coinvolge CIA, FBI, polizia e killer espertissimi: Condor sa evidentemente qualcosa di troppo. Ed è entrato nel mirino di qualcuno che non lo lascerà andare facilmente.

Un romanzo di fantasia? 

I sei giorni del Condor è un romanzo interessante, che non lascia spazio a pause, in sostanza una lettura tutta d’un fiato. Un romanzo di fantasia? Non credo, credo invece che ci sia molto di reale. Servizi deviati che usano il potere a loro piacimento e che, se devono eliminare qualcuno che intralci i loro interessi, non esitano ad agire. E questo aspetto è ben evidenziato da questo romanzo, che ripeto, è mia opinione, seppur di fantasia nasconde in fondo una verità. D’altra parte, forse non per caso James Grady è stato giornalista di cronaca giudiziaria e ha lavorato come impiegato presso il Senato degli Stati Uniti. 

La vita non conta nulla 

Quello che colpisce in questa storia, è quanto la vita di gente normale non conti nulla. Tutti sono sacrificabili per i giochi di potere: un potere spietato, come dimostra chi si trova coinvolto suo malgrado, una volta usato va eliminato. Chiunque può diventare un essere umano di terza fascia, di bassa macellazione. In ogni caso, un romanzo che merita di essere letto, se non altro per ricordarci che come lasciamo il nostro rifugio, corriamo dei pericoli di natura imprecisata.

Curiosità

Per esigenze cinematografiche, al cinema I sei giorni del Condor è diventato I tre giorni del Condor, un film diretto da Sydney Pollack e interpretato da Robert Redford e Faye Dunaway, con la sceneggiatura dello stesso James Grady. Un gran film, che però non va comparato con il romanzo. La storia è sempre quella, ma con alcune variazioni importanti di luoghi e svolgimento dei fatti. 
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Gli Amabili resti di Alice Seibold

Da tanto volevo leggere questo romanzo di Alice Seibold e ora posso dire di non essermi sbagliata. E’ un romanzo che dà tanto, a chi è predisposto per cogliere il messaggio che lancia. Non aspettatevi un giallo classico. Non lo è. Anzi, non è per niente un “giallo”. Sappiamo tutto della vicenda, perché è Susie che ce lo racconta. Susie, una vita appena sbocciata che viene falciata dalla crudeltà umana, senza che nessuno degli adulti alzi un dito per difenderla. Ora vi racconto la mia personale lettura di Amabili resti e del perché gli amabili resti potrebbero non essere quello che vi aspettate siano.

Trama

Mi chiamavo Salmon, come il pesce. Di nome: Susie. Avevo quattordici anni quando fui uccisa, il 6 dicembre 1973. Ero prima che i bambini scomparsi iniziassero ad apparire sui cartoni del latte o fossero considerati come fatti di cronaca. Erano i tempi in cui la gente non pensava che certe cose non accadessero. La quattordicenne Susie è stata assassinata da un serial killer che abita a due passi da casa. È stata adescata da quest’uomo dall’aria perbene, che la stupra, fa a pezzi il cadavere e nasconde i resti in cantina. Il racconto è affidato alla voce di Susie, che dopo la morte narra dal suo cielo la vicenda. Susie racconta chi l’ha uccisa, cosa fa l’assassino, come avanzano le indagini, come reagisce la famiglia. Suo padre, opponendosi alla svolta che hanno preso le indagini della polizia, capisce chi è il vero assassino e, pur non avendo le prove, cerca d’incastrarlo. 

Un altro mondo in ” bolla”

Fin dall’inizio, Alice Seibold è abile a immergere il lettore in una “bolla”. Quella in cui si trova questa ragazzina, che quasi in maniera spassionata ci racconta di essere morta, come e per mano di chi. Quindi, fornisce al lettore fin dall’inizio tutti gli elementi per seguire la vicenda. Una vicenda che, anche per come è presentata sulle piattaforme e nella sinossi, sembra virare sul giallo. In realtà, questa è la storia di come una famiglia venga distrutta da un evento traumatico e da come, piano piano, riesca (forse) a riemergerne. Profondamente cambiata, profondamente traumatizzata, profondamente spezzata.

Vivere! Nonostante tutto

E’ questo che in realtà Alice Seibold vuole raccontare. La vita che prosegue, nonostante tutto, nonostante le perdite. Una vita che prosegue, in qualche modo, anche per chi non c’è più. Susie, però non può crescere, non sarà mai come i fratelli, sarà sempre la loro adorata Susie, la quattordicenne “fotografa naturalista”. Forse, questo è l’aspetto che mi ha commosso maggiormente: i sogni di questa quattordicenne spezzati dall’ingenuità, da un adulto malato che l’attira nella sua tana di morte. E per il quale, però, Susie non mostra mai astio, rancore. Perché l’orrore è troppo grande per essere compreso alla sua età. Lei rimane una bambina fiduciosa, più interessata alla sua famiglia che a condannare chi ha fatto del male. E la sua famiglia fa tenerezza: si spezza in due, chi persegue l’omicida come unica ragione di vita, chi si allontana per il troppo dolore. Tutti in cerca di un equilibrio ormai perduto. Sostenuti dai pochissimi amici che rimangono dopo un fatto del genere. Ruth e Ray sono capaci di affrontare il dolore e di continuare a far vivere Susie, anche se in vita avevano con lei un rapporto molto diverso. Ruth la conosceva appena, Ray l’amava. Eppure, entrambi la “sentono” e l’amano, a modo loro.

Da leggere perché 

Da leggere, per il messaggio di speranza che lascia, per la commozione che scaturisce, per la malinconia che lo attraversa. Non posso assegnare il tag cinque stelle per due motivi: il primo è il finale.  Alice Seibold costruisce, costruisce, costruisce e alla fine, quando dovremmo raggiungere l’acme per poi ridiscendere, sembra quasi che voglia trovare un pretesto per chiudere con un “e vissero tutti felici e contenti”, che stona con il racconto fin lì portato avanti e che mi ha lasciato insoddisfatta. Secondo: perché in un determinato frangente, che non posso rivelare perché sarebbe spoiler, Susie cambia registro e si comporta e parla come un’adulta? Secondo voi? 

Mi piaceva come una foto riuscisse a catturare l’istante prima che se ne andasse. 

Curiosità: 

Alice Seibold nei ringraziamenti nomina l’amica scrittrice Aimee Bender, autrice di Un segno invisibile e mio, altro consiglio di lettura per chi ama le storie fuori dai canoni.  

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Il paradiso può attendere: prima, c’è il Superbowl

Pronti per la notte del Superbowl? Mentre aspetto che scendano in campo i finalisti di quest’anno, Rams e Bengals, mi è tornato in mente un film di tanti anni fa, Il paradiso può attendere. Mi piace così tanto che ogni tanto lo riguardo e tempo fa, in un mercatino, ho trovato il romanzo tratto dalla sceneggiatura. Ovviamente non me lo sono fatto sfuggire…

Trama

Joe Pendleton, campione di football americano, muore in un incidente e si ritrova in paradiso, al cospetto del funzionario Mr. Jordan. Questi, scoprendo che il suo angelo custode ha commesso un errore e che Joe non sarebbe ancora dovuto morire, ordina all’angelo custode di rimettere l’anima nel corpo. Il corpo però è stato cremato e pertanto a Joe viene offerto come alternativa il corpo del ricco capitano d’industria Leo Farnsworth, in attesa di prendere il corpo di qualche altro giocatore di football. Joe accetta e prende possesso del corpo di Farnsworth, e con le nuove provvisorie sembianze si innamora di Betty, un’ambientalista militante. Determinato a giocare la finale del Superbowl, compra quella che era stata la sua squadra per riavere il suo ruolo di quarterback. Ma Farnsworth deve morire: che ne sarà di lui e Betty? 

Nel filone dei romanzi tratti dai film

Il romanzo è stato scritto da Leonore Fleischer, una scrittrice specializzata in romanzi tratti dai film. Di solito, si tratta di romanzi che vengono scritti sull’onda del successo di un film, per ampliare la portata dell’opera. Questo non fa eccezione: il libro si lascia leggere se teniamo presente che serve solo a ricordare il film e le scene che più abbiamo amato. Per curiosità: la sceneggiatura del film, invece, è stata scritta da Warren Beatty, anche protagonista del film, Casualmente, nel romanzo, e nel film, le squadre che si sfidano sono Steelers e Rams, i veri protagonisti del Superbowl 1979, l’anno in cui è uscito il film.

Sul campo, invece, per il Superbowl 2021 si sfideranno sempre Rams e Bengals. Chi vincerà? Tra qualche ora sapremo. Voi per chi tifate? 

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Sirene – Patty Dann

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Anne Mather e il castello di Darkwater

Anne Mather è un’espertissima scrittrice inglese di romance, una delle autrici di punta della casa editrice Harlequin. Due occhi neri a mandorla, Charade in Winter nella versione originale, è un titolo del 1977. E’ la storia di una ragazza che viene assunta come bibliotecaria, formalmente, prima di scoprire che il suo compito, in questo castello remoto e inaccessibile, sarà tutt’altro. Del resto, anche lei non è chi dice di essere…

Trama

Il parco del castello di Darkwater è immerso in una nebbia lattiginosa quando Kyla Thornton giunge davanti al cancello. Non lontano si sentono i cani abbaiare nel silenzio della notte che cala. Che posto sinistro!, pensa lei mentre ricorda che Joan, moglie di Oliver Morgan, il proprietario, è morta in circostanze misteriose. E’ stata pazza a imbarcarsi in quell’avventura per fare un colpo giornalistico. Che tipo sarà questo Oliver Morgan? E quale cupo segreto nasconde tra quelle mura grigie sepolte nel verde? Forse un dolce, tenero segreto con due neri occhi a mandorla?

Non c’è un elemento fuori posto

Che Anne Mather sia un’esperta scrittrice di romance si vede subito. Non c’è un elemento fuori posto e, come tutte le scrittrici inglesi, è brava nelle descrizioni della dimora e dell’ambiente circostante in cui si muovono i personaggi. Sa anche come catturare la curiosità della lettrice con un “mistero” che aleggia intorno al padrone di casa, lo scultore Oliver Morgan, e a una situazione familiare che non si può proprio definire classica.

Oliver e Kyla meno convincenti 

Un po’ meno convincente, a mio parere, la costruzione del rapporto tra Kyla e Oliver. Su cosa si basa, a parte l’attrazione reciproca? Non saprei dirlo. I due rimangono sempre un po’ sulle loro, ci sono poche occasioni d’incontro e tutto si svolge in un battibaleno. Presumo per mancanza di spazio, la novella avrebbe potuto essere allungata e diventare un buon romanzo, più esteso, con una descrizione maggiore delle persone che abitano la casa. Anche il Darkwater che dà il nome al castello, rimane lì, inutilizzato. Eppure, in apertura Oliver l’ha definito “pericoloso”, ma Kyla non lo vede mai. Peccato, Anne Mather avrebbe potuto sfruttarlo meglio. E la Sciarada del titolo (Charade), che senso ha? Questo è uno dei pochi casi in cui il titolo tradotto è migliore dell’originale. Rimane, alla fine, più di una curiosità insoddisfatta. A parte questi piccoli dettagli, la considero comunque una buona lettura per chi vuole rilassarsi e basta, con un vissero felici e contenti che non delude.

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