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L’Open vinto da Andre Agassi, aspettando Berrettini

E mentre aspettiamo con una certa trepidazione la finale di domani a Wimbledon di Matteo Berrettini, mai nessun italiano come lui, il pensiero vola come Pindaro a un campione del passato. Uno che si è rifiutato di giocare a Wimbledon perché non accettava le severissime regole sull’abbigliamento. Uno che in carriera ha vinto tutto, pur odiando lo sport che era stato scelto per lui dall’altrettanto severissimo padre. Ladies and gentlemen, His Majesty Andre Agassi.

Trama

Costretto ad allenarsi sin da quando aveva quattro anni da un padre dispotico ma determinato a farne un campione a qualunque costo, Andre Agassi cresce con un sentimento fortissimo: l’odio smisurato per il tennis. Contemporaneamente però prende piede in lui anche la consapevolezza di possedere un talento eccezionale. Ed è proprio in bilico tra una pulsione verso l’autodistruzione e la ricerca della perfezione che si svolgerà la sua incredibile carriera sportiva. Con i capelli ossigenati, l’orecchino e una tenuta più da musicista punk che da tennista, Agassi ha sconvolto il mondo del tennis, raggiungendo una serie di successi mai vista prima.

Botta e risposta tra padre e figlio

L’avevo già detto quando ho commentato il libro del padre di Agassi, Open e Indoor sembrano una specie di botta e risposta tra padre e figlio. L’autobiografia del figlio è stata, ed è tuttora, un grande successo di vendite e di pubblico. Il perché è da rintracciare prima di tutto nella capacità del giornalista J. R. Moehringer, non a caso premio Pulitzer, di cogliere gli aspetti essenziali del racconto di Andre Agassi. Poi, soprattutto, nella capacità di Andre di aprirsi completamente, di raccontare le ombre dietro le luci dello sport professionistico, la fatica, l’odio che sale per la fatica stessa, le sconfitte e i rimpianti. Oltreché, naturalmente, le cose belle dello sport e della vita. Molti hanno interpretato Open come un j’accuse nei confronti del padre, Mike Agassi, per averlo costretto a giocare a tennis fin dalla più tenera età, ma io non credo che fosse questo l’intento.

Le debolezze di un uomo

Penso, piuttosto, che Andre Agassi sia sempre stato sincero, quando giocava era un aspetto che qualsiasi detrattore gli avrebbe riconosciuto. Sincero quasi sempre, tranne quando ha tentato di nascondere la calvizie incipiente. Debolezza di uomo, quella. Che ci fa sentire ancora più vicini al grande campione. Come mi ha divertito leggere dei suoi primi approcci con la dea vivente del tennis, Steffi Graf. Cioè colei che diventerà sua moglie e la madre dei suoi figli.

A bordo campo inizia a a radunarsi una piccola folla che ci fissa a bocca aperta. Qualche fotografo scatta istantanee. Mi chiedo perché. E’ la rarità di un uomo e una donna che si allenano? O è perché sono catatonico e sbaglio una palla sì e due no? Da lontano si ha l’impressione che Steffi stia dando una lezione a un ebete a torso nudo.

Il lato oscuro della forza

La parte più interessante, per gli sportivi e per chi non lo è, rimane quella in cui descrive il suo turbolento rapporto con la sua professione. Sì, perché a certi livelli lo sport smette di divertire, di appassionare, di far stare bene e diventa una lunga, lunghissima nel suo caso, battaglia contro la fatica, i dolori, la noia e la difficoltà di essere sempre i primi, sempre i migliori, sempre al meglio, sempre sorridente. Andre Agassi ha il grande merito di aver aperto (Open) un varco verso il lato oscuro della forza. Non è tutto oro quello che luccica, il grande circo può distruggere e se Agassi ne è uscito vincente un po’ è merito suo, un po’ delle persone che lo hanno accompagnato, un po’ diciamolo, è che ci vuole tanta, tanta fortuna.

Dico ai tennisti: sentirete un sacco di applausi in vita vostra, ragazzi, ma nessuno sarà tanto importante per voi quanto l’applauso…dei colleghi. Spero che ciascuno di voi lo senta, alla fine. 

Intanto noi domani, comunque vada, applaudiremo Matteo Berrettini. Non sarà importante come l’applauso dei colleghi, ma per quello c’è tempo.

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Indoor: la nostra storia, Dominic Cobello con Mike Agassi

Mike Agassi. Per tutti i fan del tennista Andre Agassi Open è stata una lettura imperdibile. Ma anche Indoor, la replica per le rime del padre Mike, è un degno completamento di un quadretto familiare niente male.

Trama

“Avevo letto da qualche parte che il primo muscolo che un bambino sviluppa è quello che gli permette di puntare lo sguardo su qualcosa. Prima che Andre uscisse dalla maternità, progettai un attrezzo speciale per la sua culla: una palla da tennis appesa a una racchetta di legno. Ogni volta che qualcuno passava vicino alla culla, toccava la racchetta. E ogni volta gli occhi di Andre seguivano la palla. La mia teoria era che per lui sarebbe divenuto naturale, crescendo, vedere una palla da tennis che gli veniva incontro.” Per tutti coloro che hanno letto Open, Mike Agassi è il padre padrone ossessionato dall’idea di fare del figlio Andre un campione di tennis a tutti i costi, anche a quello di rubargli l’infanzia. È colui che ha costruito il terribile drago sparapalle che il figlio doveva affrontare ogni giorno per ore invece di giocare con i compagni. Insomma, quasi un mostro. Ma è proprio così? Questa è la verità di Mike.

J’accuse

Open di Andre Agassi è stato un grande successo di vendite e di pubblico. Il perché, secondo me, è da rintracciare intanto nella qualità della scrittura del giornalista J. R. Moehringer, non a caso premio Pulitzer. Poi, soprattutto, nella capacità di Andre di aprirsi completamente, di raccontare le ombre dietro le luci dello sport professionistico, la fatica, l’odio che sale per la fatica stessa, le sconfitte e i rimpianti. Oltreché, naturalmente, le cose belle dello sport e della vita. Molti hanno interpretato Open come un j’accuse nei confronti del padre, Mike Agassi, per averlo costretto a giocare a tennis fin dalla più tenera età. 

Padre padrone 

Di padri padroni è pieno il mondo dello sport e non solo. Un figlio di successo soddisfa l’ego di qualsiasi genitore, indipendentemente dal settore in cui il pargolo si mostra brillante e dotato. A quale prezzo però? Spesso calpestando i diritti del figlio a una vita normale, come quella di tutti gli altri. Ecco che allora Mike Agassi non ci sta, vuole dire la sua. E dice anche di non aver letto il libro del figlio, bugia!, ma che sicuramente tutto quello che scrive è vero. Dice anche che ha esagerato con i primi figli, causando l’abbandono precoce del tennis, e di essersi regolato meglio con Andre, la sua ultima carta da giocare. Pensa poveretti gli altri tre!

La determinazione è tutto

Ma perché Agassi senior è così fissato con il tennis? Lui, un armeno nato e cresciuto a Teheran in grande povertà, ricevette da un soldato americano una racchetta e fu subito grande amore. Anche se poi lui divenne un pugile di nome Emanoul Aghasi, così si chiamava prima di inglesizzare il nome, e partecipò anche alle olimpiadi. Una volta emigrato in America, il suo scopo nella vita è stato raggiungere un tenore di vita decoroso e  fare di uno dei suoi quattro figli un grande tennista. Ci è riuscito, perché secondo Mike la determinazione nella vita è tutto. Con un umorismo di fondo forse non voluto, pagina dopo pagina impariamo a voler bene a questo vecchietto un po’ ruffiano, un po’ bugiardo, un po’ tanto determinato a ottenere tutto quello che vuole nella vita.

Dipende dal risultato

Per qualsiasi fan di Andre Agassi, questa autobiografia è interessante. Racconta retroscena inediti visti dalla parte del papà, comprese le storie d’amore del campione, e ci fa scoprire quanto un’intera famiglia possa ruotare attorno a un solo sportivo. Che se riesce nella professione, diciamocelo, garantirà benessere a tutti. E’ sufficiente per giustificare la pressione eccessiva che i genitori mettono addosso ai figli? Come dico sempre io, dipende dal risultato. Perché se va bene, e vissero tutti felici e contenti. Come gli Agassi, tutti riuniti in una magione di Las Vegas con indirizzo Agassi boulevard.  Se va male, sono guai.

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