Confinati per due giorni a Ponza, l’isola “lunata”

Ponza. Vi scrivo appena sbarcata dal traghetto. Felice di sentirmi ancora viva. Il mare era piuttosto turbolento e io e due neonati abbiamo rischiato di rimanerci. Non fate commenti sui due miei compagni di avventura, vi scongiuro…Quest’anno passo il weekend di Pasqua su un’isola pontina, la più grande e la più conosciuta, Ponza. L’anno scorso l’avevo trascorsa a Sperlonga e mi è sembrata una buona idea fare il bis, andando a vedere cosa c’è di fronte al continente. Per fortuna, l’acquazzone che ha fatto alzare le onde e ballare la tarantella alla nave, al momento dell’attracco era quasi finito.

Dal porto, sono andata direttamente al piccolo albergo che ho prenotato, che si trova a circa 500 mt di distanza dallo sbarco e ottimo punto di partenza per escursioni sull’isola.

Quando sono entrata nella hall, la ragazza che mi ha accolto deve aver notato i capelli alla Mafalda e lo sguardo stralunato: “non le chiedo neanche com’è andato il viaggio”. Ecco brava, è meglio.

Mi raccomando, non spaventatevi: Ponza val bene un po’ di su e giù in mare, come vi racconterò ora.

Il giorno di Pasqua, su e giù per le calette

Domenica ci siamo alzati di buon’ora e dopo una ricca colazione siamo partiti per fare il giro di Ponza. Se non avete problemi fisici, vi consiglio di farlo a piedi, perché l’isola non è grande e siamo riusciti a vedere quasi tutti i punti d’interesse in una giornata e qualche…ehm…km di scarpinata. L’unico piccolo problema sono i piedi, che mentre vi scrivo stanno gridando pietà.

Il Frontone

Prima tappa, la spiaggia del Frontone, una delle più famose dell’Isola. Più frequentemente viene raggiunta via mare, ma il servizio è attivo solo d’estate, quindi noi siamo scesi per un sentiero piuttosto ripido. Troverete online descrizioni paurose del sentiero, ma vorrei tranquillizzarvi: niente che una persona in buona salute fisica non riesca a fare. Certo, quando inizierà la risalita l’unico pensiero fino alla cima sarà “ma chi me l’ha fatto fare”, però a quel punto potrete solo continuare ed entrare in modalità mantra yoga per spingervi al punto di partenza.

Il museo etnografico

Lungo il sentiero, prima di arrivare alla spiaggia, abbiamo incontrato per caso un cartello azzurro che indicava il museo etnografico. Incuriositi, ci siamo affacciati e abbiamo incontrato uno dei gestori della famiglia Mazzella, che con pazienza e affetto ha raccolto diverse testimonianze della vita sull’isola. Due su tutte mi hanno affascinato: la storia del soldato tedesco di origine russa che nel 1914 portò sull’isola la balalaica, uno strumento a corde della tradizione russa che lasciò come pegno d’amore a una ragazza ponzese non tornando però mai più a prenderlo e quella di zio…, che la mattina ascoltava la radio e voleva commentare, poi stizzito perché dall’altra nessuno gli rispondeva finiva per infuriarsi e spegnerla. Fuori dal “museo” c’è una piccola biblioteca, e mi sono tanto pentita di non aver portato con me libri per il bookcrossing, un calcio balilla e le sdraio per prendere il sole. Oppure, tavoli per assaggiare le specialità locali cucinate in una minuscola cucina. Noi abbiamo proseguito a destra fino agli scogli di tufo, che in epoca romana erano vasche di acqua sulfurea. Optando per il sentiero di sinistra, invece, saremmo arrivati al Fortino di Frontone, che a proposito si chiama così per la forma della roccia bianca che si affaccia sulla baia, che sembra appunto il frontone di un tempio greco. Non abbiamo camminato fino alla spiaggia del Frontone, che mi dicono in periodo estivo sia uno dei posti preferiti dai giovani per l’aperitivo al tramonto, perché il programma di escursione era bello intenso, ma l’ampia distesa avrebbe meritato almeno una passeggiata.

E poi abbiamo incontrato Fred

Ti rendi conto di quanto siano utili le lezioni di yoga quando la salita irta ti fa scoppiare i polmoni. A quel punto, o chiami qualcuno in soccorso, in effetti lì vicino hanno piazzato il poliambulatorio e non credo sia un caso, oppure come ho detto prima applichi il mantra dello yoga: muscoli antagonisti (glutei) al lavoro, sguardo fisso davanti a te e respirazione controllata. In qualche modo siamo arrivati su e siamo ripartiti per raggiungere i nostri obiettivi principali: la baia delle piscine naturali e Cala dell’acqua. Solo che all’altezza di Cala Feola abbiamo perso l’orientamento. Non aspettatevi di trovare cartelli e indicazioni, perché in tutta l’isola predomina il fai da te, ovvero giri e rigiri per viuzze e scalette finché se sei fortunato arrivi da qualche parte. Per fortuna ci ha affiancato Fred, che al collo portava la targhetta Sauron ma non si è ribellato al suo nuovo nome. Abbiamo capito che ci chiedeva di seguirlo e d’istinto ci siamo “accodati”, è proprio il caso di dire, a lui. Incredibilmente, si è mosso con abilità tra le suddette viuzze e scalette fino a portarci proprio dove volevamo!

Le piscine naturali

La baia delle piscine naturali si trova in un tratto di costa libero, non in concessione. Il mare e il vento con il tempo hanno scavato due conche naturali, le piscine, di acqua bassa e calda. La prima è chiusa tra le rocce e unita alla seconda tramite due archi naturali. Scendendo le scale, s’incontra la prima, chiusa interamente tra le rocce, unite al mare aperto e alla seconda piscina tramite due archi. La seconda piscina è meno chiusa dell’altra e con l’acqua più bassa. D’estate devono essere uno spasso per grandi e piccini.

Lo scoglio della tartaruga

Sempre seguendo Fred, siamo tornati sulla strada principale e da lì abbiamo visto lo Scoglio della tartaruga. Il perché del nome è intuibile dalla forma. Mi ha ricordato lo Scoglio dell’elefante che avevo visto in Cornovaglia. Ed è subito amore

Le Forna

Finalmente, dopo un altro tratto di strada tutto in salita, siamo giunti in località Le Forna e prima di scendere alla Cala dell’acqua, ci siamo riposati su una panchina di fronte alla chiesa mangiando panini. Per fortuna, avevamo più fame che sete, perché Fred si è rivelato una buona forchetta e da solo si è spazzolato metà del nostro pranzo.

Dopo la breve sosta, siamo scesi alla Cala.

La Cala dell’acqua

In epoca romana, la Cala dell’acqua era importante, perché qui i romani avevano trovato l’unica fonte sorgiva dell’isola, ora purtroppo chiusa. Da qui, ovviamente, il nome che porta ancora oggi. In parte ora è anche deturpata dai resti di una miniera di bentonite che nel 1935 hanno pensato bene di estrarre dalla parete sovrastante e che poi è stata chiusa nel 1975.

Forte di Papa

Dall’alto abbiamo anche scorto il Forte di Papa, realizzato alla fine del 1700 su richiesta di Papa Paolo III, dei Farnese. Costruito in posizione strategica, doveva sorvegliare i mari che dividono l’isola dal continente. Noi non ci siamo arrivati, ma se volete vederlo da vicino, basta proseguire lungo la strada principale asfaltata.

Ciao, amico Fred

Per noi è tempo di fare marcia indietro e di salutare il nostro amico Fred, che forse perché restio agli addii, o più probabilmente perché trascinato da un suo amico a quattro zampe che l’ha raggiunto al galoppo, è sparito così com’era apparso, senza salutarci. Ciao amico Fred, sei stato un’ottima guida.

Chiaia di Luna

Scendendo a ritroso lungo la panoramica che abbiamo già affrontato in salita, arrivati quasi al porto abbiamo incontrato un altro punto molto conosciuto dell’isola, la Baia di Chiaia di Luna, chiamata così per la curvatura a mezzaluna della spiaggia, chiusa alle estremità dalla roccia bianca all’estremità. La spiaggia è la più grande di Ponza e fino a qualche anno fa si poteva raggiungere attraverso un tunnel di 170 metri circa costruito dagli antichi romani. Oggi purtroppo la spiaggia è raggiungibile solo via mare e a rischio e pericolo dei natanti, perché anche la roccia che la sovrasta è friabile e a rischio crolli. Purtroppo, spiace dirlo, è uno degli esempi italici di incuria delle numerose testimonianze che il passato ci ha lasciato, non solo perché il tunnel avrebbe bisogno di essere seriamente ristrutturato per permettere ai cittadini di tutto il mondo di godere di tanta bellezza, ma anche perché, pensate, sulla cima della scogliera, che da 100 metri di altezza cade a picco sulla cala, c’era una necropoli romana che oggi è ormai in gran parte distrutta. Che dire, provo tanta malinconia quando penso a quello che ho visto l’estate scorsa in Inghilterra e a come so che tratterebbero i resti romani se ne avessero così tanti.

Il porto

Ormai il sole sta tramontando, è ora di tornare alla base, portando con me i pensieri malinconici. C’è ancora spazio per un giro del porto, meraviglioso a quest’ora, dove la sagra del casatiello ponzese, che è in pieno svolgimento, rovina un po’ ma non troppo l’atmosfera romantica che in estate deve aver fatto capitolare chissà quanti innamorati. Purtroppo, oltre a passeggiare oziosamente per la banchina, rimirando la vista del mare aperto e quella del villaggio con le sue casette colorate, deliziose, possiamo fare ben poco. I ristoranti sono quasi tutti chiusi, quindi non posso raccontarvi come si mangia in zona. Posso dirvi con certezza, però, che i prezzi non sono teneri e i due tre posti in apparenza più invitanti lì abbiamo visti in alto, a Le Forna.

In stanza faccio un conteggio spannometrico dei km percorsi con l’aiuto di google maps: 15! Direi che una bella doccia calda e dieci ore di sonno sono gli unici desideri da esprimere alla luna ponzese.

Pasquetta

I ponzesi passano il giorno di pasquetta sul Monte Guardia, a divertirsi con scampagnate e picnic. Fa caldo, la primavera si è finalmente affacciata, dopo un mese di marzo che ci raccontano è stato molto duro, Noi, invece, rimaniamo in zona porto, deserto e completamente sguarnito, perché rimangono tre cose importanti da fare: scegliere la calamita giusta, visitare il cimitero e le cisterne romane.

La calamita

La calamita giusta per fortuna ci appare al secondo o terzo negozio di souvenir in cui ci affacciamo. Non avete idea di quanto tempo sono capace di perdere su questa parte dei viaggi. Perché la calamita ha lo scopo fondamentale di farmi rivivere le sensazioni provate ogni volta che apro il frigorifero. Il che succede abbastanza spesso, eh eh. Non divaghiamo: la calamita raffigura una scarpa da ginnastica dentro cui è racchiusa Ponza. Così ricorderò per sempre la giornata ridenominata “la sfacchinata di Pasqua”.

Il cimitero

Il cimitero è situato su una collina sopra il porto e costituisce un ottimo punto di osservazione. Se avete tempo, andateci. Oltre a portare un saluto ai defunti, cosa sempre buona e giusta, potrete godere di una vista stupenda sul mare e sugli scogli. Il custode è stato così gentile da indicarci una piccola sagrestia, con una finestrella da cui osservare dall’alto un panorama spettacolare. Sulla strada per il cimitero abbiamo potuto anche “intuire” i resti di una villa costruita, sembra, dall’imperatore Augusto, con annesso tempio, per farne una residenza di villeggiatura. Un po’ come la villa di Tiberio che ho visitato a Sperlonga. In quel caso, però, i resti permettono di immaginare la pianta della villa così com’era. A Ponza, invece, ci sono oggi degli orti digradanti verso il mare e null’altro.

Le grotte di Pilato

A livello del mare, è ancora possibile ammirare le grotte di Pilato, un complesso di caverne collegate con il mare e tra di esse da cunicoli, scavate nel banco roccioso sottostante la villa. Non essendo stagione di navigazione con la barca, noi siamo riusciti a scorgerle sul traghetto di ritorno. Appena parte, guardate verso destra e riuscirete a vederle bene. Sono costituite da quattro vasche coperte e una scoperta, per questo si è sempre pensato che servissero come allevamento di pesci, che è ancora oggi l’ipotesi più accreditata. Accanto alla quale, però, si sta facendo spazio un’altra ipotesi, ossia che potesse trattarsi di uno stabilimento balneare, perché al loro interno sono stati trovati resti di colonne e statue collegato alla villa sovrastante da una scaletta scavata nella roccia. Non è stupefacente la modernità degli antichi? Il nome, invece, è ricollegabile al famoso Ponzio Pilato, in origine solo Pilato, che deve l’aggiunta di Ponzio proprio al periodo in cui fu mandato a Ponza per governarla.

Il confino

Ponza, infatti, era considerata luogo in cui confinare gli esiliati, o le persone non gradite, fin dall’antichità, non solo in epoca fascista. Qui furono confinati, tra gli altri, Giulia, la figlia di Augusto, Ponzio Pilato, Sandro Pertini, Pietro Nenni, lo stesso Mussolini alla fine della guerra, prigionieri slavi, albanesi e greci e innumerevoli altri. Tutto sommato, da quello che ho visto, direi che non dev’essere stato troppo difficile per loro adattarsi nella terra d’esilio.

Le cisterne della Dragonara e del Corridoio

Sempre a proposito di romani, vi consiglio caldamente di passare alla pro loco, gli uffici si trovano al porto, e di prenotare una visita alle due cisterne romane più vicine. Da aprile e per tutto il periodo estivo, le visite sono cinque al giorno. Noi non sapevamo che per pasquetta non erano previste visite al mattino, ma ci tenevamo tantissimo a vederle prima di ripartire e il presidente della pro loco Emilio Aprea ci ha gentilmente accompagnato all’interno per consentirci di ammirarle.

Perché vi garantisco che di pura e semplice ammirazione si tratta. La prima cisterna, quella della Dragonara, è perfettamente conservata. Scavata nel tufo dell’isola, presenta più corridoi a volta, posti su file parallele che si incrociano con navate perpendicolari. Questo metodo di scavo, ci ha spiegato la guida, serviva a formare una scacchiera di pieni e di vuoti che anche con il massimo riempimento d’acqua non avrebbe creato problemi ai pilastri di sostegno. I pavimenti e le pareti sono rivestiti di coccio pesto, un materiale naturale (di riciclo, diremmo oggi) che rendeva impermeabile la vasca, mentre una serie di condotte in entrata e in uscita garantiva il corretto funzionamento idraulico.

Se pensate che stiamo parlando di popoli antichi, e che fino a quarant’anni fa l’acqua potabile proveniva da lì sotto, non possiamo non stupirci di quanto genio possedessero. Peccato solo che gli antichi romani siano considerati più all’estero che in Italia. Anche questo non smette di stupirmi. So che l’ho detto anche qualche paragrafo sopra, ma repetita iuvant.

La seconda cisterna, del Corridoio, è altrettanto interessante e si trova a poca distanza dalla prima. Qui la guida ci fa notare le differenze stilistiche e concettuali con la precedente, dovute essenzialmente alle modifiche di era borbonica compiute sulle pareti. Inoltre, mentre l’altra ha sempre conservato la sua funzione originaria, rimanendo attiva fino ai giorni nostri, questa nel tempo è diventata deposito di rifiuti e solo recentemente è stata “liberata dal confino” e restituita ai cittadini.

Ripartire

Risaliamo all’esterno e la luce del sole ci colpisce in faccia. E’ davvero ora di andare, il traghetto ha già acceso i motori. Saluto Ponza con un arrivederci, almeno spero. Conservo negli occhi e nella mente i colori pastello delle case che contrastano con il blu profondo del mare, le scogliere che la proteggono tutt’intorno, la luna, che sull’isola lunata viene tutte le notte a specchiarsi a metà, e quel mix di trasandatezza e bellezza che caratterizza la giovine Italia, che fiera della sua bellezza se ne fa un vanto e non lavora per conservarla.

A lei, Ponza, do appuntamento per una sortita estiva e a voi al prossimo Diario di bordo.

Informazioni pratiche

Come arrivare

Ponza può essere raggiunta con diversi mezzi di trasporto: – in aereo, gli aeroporti più vicini sono quelli di Roma e Napoli. Da qui, il trasferimento ai porti d’imbarco può avvenire con i treni regionali, fino a Formia e Anzio e da qui ai porti d’imbarco con taxi o a piedi percorrendo circa un chilometro; con il taxi, auto a noleggio o elicottero. In auto fino agli imbarchi di Formia (tutto l’anno), Terracina e Anzio nella stagione estiva. Sull’isola è vietata la circolazione alle automobili dei non residenti nei mesi estivi.

Dove dormire

Ho dormito al Piccolo Hotel Luisa, che vi consiglio se cercate una soluzione di base e comoda. Vi suggerisco comunque di prenotare per tempo, soprattutto nel periodo estivo, perché l’offerta di alloggi su un’isola microscopica è inevitabilmente limitata.

Ulteriori informazioni

Per ulteriori informazioni, visitate i siti della pro loco di Ponza  o www.visitponza.it. Oppure chiedete a me, sarò felice di aiutarvi per quanto possibile.

Urla nel silenzio – Angela Marsons

Venticinque anni di tentativi e porte in faccia dalle case editrici e poi, all’improvviso, Angela Marsons con il suo “Urla nel silenzio” trova un editore, scala le classifiche e diventa una scrittrice ai primi posti in classifica in Gran Bretagna e altri dieci Paesi nel mondo. Sembra fantascienza, eppure a volte i miracoli accadono. Se non altro per questo, valeva la pena di dare una sbirciatina al suo primo thriller per capire il motivo di un successo planetario.

La trama

Cinque persone circondano una fossa vuota. A turno, ognuno di loro è costretto a scavare per dare sepoltura a un cadavere. Ma non è il corpo di un adulto, è troppo piccolo. Una vita innocente è stata sacrificata e un oscuro patto di sangue è stato siglato. E il segreto delle cinque persone sarà sepolto sotto quella terra. Anni dopo, la direttrice di una scuola viene uccisa brutalmente: è il primo di una serie di agghiaccianti delitti che stanno insanguinando la Black Country inglese. Nel corso delle indagini, ritorneranno alla luce anche i resti del corpicino sepolto tempo prima da quel misterioso gruppo di persone. La detective Kim Stone viene chiamata a indagare per fermare il killer prima che colpisca ancora. Per farlo, dovrà confrontarsi con i demoni del proprio passato…

Luci e ombre di un romanzo d’esordio

Inizio con il dire che questo è un romanzo d’esordio. Particolare importante per soprassedere su alcuni particolari che in altro contesto mi avrebbero fatto chiudere immediatamente il libro. Tralasciando, quindi, delle vere e proprie ingenuità, la storia si segue. Purtroppo, come ripeto spesso quando mi cimento con generi diversi dal giallo classico, l’imprinting che scrittrici come Agatha Christie danno ai propri lettori ti segnano per sempre.

Dico purtroppo perché l’attenzione ai particolari diventa un mantra da seguire e se a metà libro hai già capito tutto, divertirsi con i colpi di scena finali diventa difficile. In più, la protagonista per ¾ del libro sembra un Clint Eastwood in gonnella senza un grammo di fascino alla Callaghan. Per fortuna, sua e di chi legge, il vero colpo di scena non riguarda l’indagine, ma un’azione di Kim che, tutto sommato, le rende onore. Anche se ci sarebbe da discutere sulla credibilità di quello che decide di fare. Non posso dire di più per non fare spoiler, ma se l’avete letto e ne volete parlare scrivetemi.

La Black Country

A parte la prevedibilità delle situazioni e il tratteggio piuttosto stereotipato dei personaggi principali e dei comprimari, la vera nota interessante è l’ambientazione nella Black Country, un’ex area industriale vagamente localizzabile tra Birmingham e Wolverhampton, da cui l’autrice stessa proviene. L’orfanotrofio intorno a cui gira tutta la storia esiste davvero. E’ ispirato alla Brickhouse children’s home, davanti alla quale Angela passava spesso davanti da ragazza. “Mi sono sempre chiesta cosa succedesse là dentro”, spiega ora. Speriamo non quello che immagini nel libro, rabbrividisco io.

Consigli per aspiranti autori

Voglio dare un’altra occasione ad Angela, anche se per ora è un ni. Se non altro, per la grande determinazione che la contraddistingue e per i consigli che da scrittrice ormai affermata vuole dare ad altri aspiranti autori: “So che è un cliché, ma non arrendetevi mai. C’è sempre la possibilità che la fortuna giri dalla vostra parte. Io ne sono la prova vivente”.

Forza Angela, sei tutti noi!

Altri libri scritti da esordienti 

Le imprevedibili conseguenze dell’amore – Jill Mansell

“Allora, qual è il verdetto?” Fece una smorfia. “Orrenda. Come hai detto tu, non regge il confronto con la Cornovaglia”. Un romance scoppiettante, divertente, ingegnoso. Erano secoli che non ne leggevo uno così e finalmente quello giusto mi ha scelto.

La trama

Orla Hart è una scrittrice che fa sognare milioni di lettrici in tutto il mondo raccontando romantiche storie d’amore. Tuttavia, dopo essere stata stroncata da una recensione e tradita dal marito, ora sembra aver perso il tocco magico e vuole solo farla finita. Così , si ritrova a decidere se buttarsi o no da una scogliera. Millie, una ragazza che in quel momento sta lasciando l’ennesimo fidanzato, la vede e corre a dissuaderla. Orla vede in lei la salvezza, anche della sua carriera. Le due stringono un patto: Millie le racconterà tutto quello che accade nella sua vita privata e Orla prenderà spunto per scrivere il romanzo della vita. Solo che innamorarsi non rientra nei piani di nessuna delle due…

I love Cornovaglia

Avete presente quei romanzi che vi fanno credere di essere voi a sceglierli e invece sono loro che vogliono venire a casa con voi? Le imprevedibili conseguenze dell’amore è uno di questi. L’ho trovato al mercatino a un prezzo irragionevole, in senso positivo, e la trama mi incuriosiva. Punto. Non ho approfondito oltre. D’altra parte, era quasi regalato. Torno a casa, leggo le prime righe e ci sono Orla e Millie su una scogliera.

Fermi, fermi. Un attimo. Scogliera? Vento? Gran Bretagna? Vuoi vedere che…? Sìììì”! E’ ambientato nel luogo del mio cuore. Quella Cornovaglia che fatico a lasciarmi alle spalle. Ma poi, perché dovrei? E’ così bello poter sognare di tornarci, un giorno.

Non divaghiamo, stiamo parlando di libri, non del posto più pazzesco del mondo. Dunque, non vi sfuggirà che il romanzo mi ha preso subito, anche grazie alla penna ispirata della scrittrice di Bristol. Brillante esempio di romance che ha tutti gli ingredienti per attrarre la lettrice più esperta del genere: situazioni inverosimili ma credibili, personaggi adorabili e ben costruiti, ambientazione da sogno, colpi di scena piazzati al punto giusto e dialoghi non scontati.

Sì, se non l’avete letto e vi piace il genere, vi consiglio decisamente e caldamente di leggerlo, anche perché lo troverete facilmente a buon prezzo.

I protagonisti

Millie e Orla sono due protagoniste spassose, i loro uomini attraenti e mai banali, amiche e parenti altrettanto tondi. E poi Luke, lo sciupafemmine, un gentleman come pochi. Il finale, poi, non è per niente scontato e chiude degnamente tutta la storia costruita prima. Se avete il sospetto, come me, che Hugh si ispiri a Hugh Grant non vi preoccupate, l’attore verrà citato e saprete per certo di non aver sbagliato!

Le uniche cose che mi hanno lasciato perplessa sono l’età di Orla, che per tutto il libro ho pensato fosse più anziana di quanto in realtà non fosse, almeno credo perché non viene mai detto esplicitamente quanti ne abbia, e la copertina della cover italiana. Che c’azzecca una ragazza mora e liscia quando Millie è bionda e riccia? Sarà forse Orla e quindi avrei dovuto capire subito che non aveva l’età che mi sono immaginata per 400 pagine? Come direbbe qualcuno, ai posteri l’ardua sentenza. Nel frattempo, mi metto subito in cerca di un altro romanzo di Jill!

Northanger Abbey, o l’anti eroina Jane Austen

Northanger Abbey non è uno dei romanzi più conosciuti di Jane Austen, ma per chi ha visitato Bath, o ancora meglio per chi vuole visitare Bath, è una lettura imprescindibile. Possiedo da tempo immemorabile la versione inglese però, chissà mai perché, non l‘avevo mai preso in mano. Era decisamente tempo di rimediare all’affronto nei confronti di zia Jane, vi pare?

La trama

Catherine Morland, una diciassettenne ingenua, ha come unica passione la lettura di romanzi gotici. La ragazza abita in un villaggio di campagna e viene invitata dai vicini di casa a trascorrere un periodo di vacanza nella cittadina di Bath: qui ha i primi approcci con una società fatta di apparenza e sentimentalismo, tra un ballo, una sera a teatro e una passeggiata nella via principale. Sempre qui incontra due famiglie agli antipodi: i Thorpe e i Tilney, i cattivi e i buoni. Il viaggio di Catherine all’Abbazia di Northanger, ospite dei Tilney, la porterà a fantasticare di vivere una situazione simile a quella dei suoi romanzi preferiti. Sino a immaginare un delitto mai compiuto e a ricercare nei cassetti documenti persi nel tempo, ottenendo sempre nella realtà grosse delusioni. Catherine adora Henry Tilney, ma all’improvviso il padre, il Generale Tilney, decide di far terminare anzitempo il soggiorno di Catherine. Ciò provoca una frattura con la famiglia della ragazza. Cos’è successo? Perché questa decisione scortese? Tra Catherine ed Henry, quindi, è tutto finito prima ancora di cominciare?

Siamo tutte anti eroine come Catherine

In apertura, un avvertimento mette in guardia il lettore. Northanger Abbey, pur essendo stato acquistato nel 1803 da un editore, è uscito solo nel 1818, quando l’autrice era ormai deceduta. E solo perché la famiglia ne ha riacquistato i diritti. Il perché ciò sia avvenuto, sempre secondo quanto scritto nell’avvertimento, non è dato sapere. Comunque, la postilla vuole solo avvisare che alcuni particolari potrebbero risultare obsoleti, visto che sono passati ben tredici anni dal momento in cui sono stati pensati. La nota mi ha fatto sorridere: perché è destino piuttosto comune oggigiorno che alcuni titoli pubblicati non siano poi dotati della giusta promozione e rimangano quindi a impolverare gli scaffali (in effetti, rileggendola, anche questa nota potrebbe costituire un dato storico per i posteri che dovessero in essa imbattersi, n.d.r.).

Di nuovo a Bath

Secondo, perché leggendo il romanzo dopo aver visitato Bath l’anno scorso, ed essendo questo il motivo principale se non esclusivo per cui l’ho scelto come lettura, devo dire che con una certa sorpresa mi sono ritrovata a passeggiare di nuovo per le strade della cittadina, proprio come ho fatto quando l’ho vista dal vivo! Questo déjà-vu si è materializzato proprio grazie alle minuziose descrizioni di Jane Austen, perché Bath sembrava esattamente quella che ho visto io! Il Crescent, Milsom street, Pulteney street, le passeggiate lungo il corso principale, oggi pieno di negozi. Senza contare l’atmosfera gotica, che la scrittrice usa per prendersi gioco delle mode dell’epoca, e che è ancora così visibile nell’architettura british. Insomma, un romanzo interessante non solo per la vicenda che racconta, ma anche per la rappresentazione di un modo di vivere che è come un’immersione viva nella storia. Addirittura a un certo punto accenna al profumo alla lavanda, che le donne usavano per coprire odori poco piacevoli. Bello, mi è piaciuto tornare ai bei giorni da poco trascorsi. E anche scoprire una Jane Austen molto meno formale di quanto pensassi: giocosa, ironica e pungente sugli aspetti più tradizionali della società neoclassica, che stava per virare verso l’epoca regency mostrandone già i segni.

Catherine incarna la nostra anti eroina Jane?

Ho un sospetto sul perché l’editore abbia deciso di non pubblicare subito Northanger Abbey. In effetti, il generale Tilney incarna perfettamente la figura di un nobile dell’epoca: falsamente complimentoso, avido e ipocrita. Può darsi che il povero editore si sia riconosciuto in questi tratti spietati, chissà. Certo è che la storia in sé, pur scorrendo leggera senza grandi colpi di scena, è molto ben scritta da una giovane ragazza di campagna, poco più che ventenne, già fortemente consapevole di una condizione femminile che obbligava le donne a cercare un buon partito e a studiare tutte le “arti” che facessero di lei una buona moglie. Guai se, come la nostra povera Catherine, una bambina nasceva con grande fantasia ma senza essere portata per nessuna di queste e senza un patrimonio adeguato! Era destinata certamente a diventare, nella migliore della ipotesi, un’anti eroina. Ed è proprio per questo che ancora oggi la troviamo così simpatica e tifiamo per lei, o no? Perché, in fondo in fondo, siamo tutte anti eroine come lei. Così come accadeva allora, quando Catherine, in fondo in fondo, incarnava proprio la nostra anti eroina Jane.

Che ne pensate di questa lettura? Siete d’accordo con me sul fatto che dietro Catherine si nasconda Jane? Soprattutto, a voi Northanger Abbey è piaciuta?

Leggi anche:

Sulle tracce delle grandi scrittrici, a Bath da Jane Austen

Altre curiosità su Jane Austen

Il tratto dell’estensione – Adua Biagioli Spadi

Talvolta la realtà si spunta rende soli e ci sparpaglia,

ci rende esploratori di un ideale possibile

di un percepire ancora e presenza.

Ma quando l’elastico a colori sfumando si allenta

cerco io uno sguardo fermo da non spartire mai

afferrando le sbavature di molteplici verità,

mi inchino prudente al varco limpido dello scoglio.

E’ una delle suggestive poesie contenute nel nuovo libro di Adua Biagioli Spadi, “Il tratto dell’estensione”, edizioni La vita felice. L’autrice mi ha gentilmente inviato un estratto e io volentieri, in questa settimana dedicata alle donne, segnalo il lavoro di questa poetessa toscana contemporanea. Se il 10 marzo vi trovate nei dintorni di Pistoia, non perdete la presentazione nella Biblioteca San Giorgio, dalle 17 in poi.

Ho paura di quello che scriverò

La raccolta poetica è suddivisa in tre sezioni, tutte aperte da una citazione di David Grossman: La linea fragile, Il segno possibile, Perdersi non più. In copertina, l’autrice ha scelto di raffigurare la sezione aurea di Fibonacci. Sapete che anch’io amo le connessioni tra letteratura, scienza e matematica e, anche se un libro non si giudica dalla copertina, non potevo non incuriosirmi e non andare a cercare il nesso tra il segno matematico, la piccola rosa rossa depositata alla base e il contenuto delle poesie. Ho rintracciato il collegamento nella ricerca di equilibrio dell’uomo, che oscilla continuamente tra le pulsioni della passione e dell’istinto, la rosa, e l’anelito alla stabilità e linearità della vita. Una stabilità che quando l’equilibrio viene a mancare, per i colpi che la vita stessa ci infligge o per le cose belle che possono accadere, inevitabilmente provoca un’accelerazione, la spirale, il desiderio di ripiegarsi su noi stessi, nonostante una spinta inevitabile al cambiamento che ci fa muovere e tornare all’equilibrio più determinati e più consapevoli di prima.

Come afferma la poetessa in apertura, infatti,

Alcuni stati d’animo,

non sono che evoluzioni dell’apprendere.

L’evoluzione, una condizione che ci rende un tutt’uno con il cosmo, con la società in cui viviamo, dal quale non potremmo, neanche volendo, rimanere distanti. Il singolo apprende, si evolve e cresce. La società civile fa lo stesso: crescono le conoscenze, l’apprendimento sale e il mondo si evolve, si estende. O dovrebbe, salvo poi fare dei passi indietro giganteschi quando il meccanismo sociale s’inceppa. Ecco che allora torniamo al disequilibrio, alla spinta verso il cambiamento e alla passione, a una rosa che si apre e che ci fa scoprire la meraviglia della vita, pure nelle sue difficoltà. E’ a questo punto che da una linea fragile, noi stessi chiusi in un animo scosso,

Ogni accadimento sottrae qualcosa

porta in un limbo

al faro rotto e ai frantumi delle foglie

la svirgolata viola sopra l’occhio perde i sensi,

i pensieri furono intarsi del non so più chi sono

torniamo a intravedere altre possibilità, attraverso un segno che dice “guarda, hai sofferto, hai conosciuto e ora riuscirai di nuovo a vedere”.

Ma quando l’elastico a colori sfumando si allenta

cerco io uno sguardo fermo da non spartire mai

afferrando le sbavature di molteplici verità,

mi inchino prudente al varco limpido dello scoglio.

Fino a ritrovare il nostro vero io. Cambiato, forse. Pieno di segni, probabile. Ma più vivo e forte che mai.

il tempo ci disarma, ha la forza dell’unire e del dividere

porta via il pensiero e lascia quieti

memoria dimenticata, digiuni eppure senza fame.

Informazioni sulla raccolta Il tratto dell’estensione

Adua“Il tratto dell’estensione”, edizioni La vita felice, si trova in libreria e in tutti gli store online al prezzo di 8,50 euro, in offerta fino al 7 maggio 2018 (al termine, costerà 10 euro).

Se volete sapere qualcosa di più sull’autrice, o dove si terranno le prossime presentazioni, visitate il suo sito internet: www.aduabiagioli.it

Nel 2019, la raccolta ha vinto il Premio nazionale di poesia, narrativa, fotografia, cortometraggi e pittura Alberoandronico, XII edizione, dopo essere stata selezionata tra quelle di oltre 600 concorrenti. Premiazione il 15 Marzo ore 16 in Campidoglio – Roma. Brava Adua!

 

Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra. maggiori informazioni

Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo.

Chiudi