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Ich bin Berliner/6: Sachsenhausen

Sachsenhausen. Tranquillità. Pace. Silenzio. Desolazione.

Orrore.

Silenzio.

Lacrime.

La mia visita a Sachsenhausen è tutto questo, e anche qualcosa d’inesprimibile a parole.

Cos’è Sachsenhausen? Era un campo di concentramento nazista che si trova a circa 35 km a nord da Berlino, a Oranienburg, e che venne utilizzato principalmente per i prigionieri politici dal 1936 fino alla fine del Terzo Reich nel maggio 1945. Successivamente, Oranienburg entrò a far parte della zona di occupazione sovietica, quindi la struttura venne usata come campo speciale fino al 1950.

Non avevo mai visto prima un campo di concentramento, ma ero convinta che tutti i film e i libri sull’argomento mi avessero in qualche modo preparato a quello che avrei trovato.

No, proprio no.

Nella cittadina si arriva facilmente con un treno e c’è un autobus alla stazione che porta direttamente al campo, anche se volendo si può andare a piedi. L’impatto direi che è leggero. Casette singole, la posta, la farmacia, il giornalaio. La tranquillità assoluta. Poi, una sottile inquietudine si fa strada ancora prima di entrare. Il paragone è blasfemo, ma sembra il quartiere delle Casalinghe disperate, perfetto all’apparenza, marcio dentro. Le case sono attaccate al campo, quando avevo sempre pensato che fossero stati costruiti fuori dai centri abitati per non avere testimoni del massacro.

Invece, qui sembra che sia perfettamente inserito nella comunità. L’audioguida conferma il sospetto: la popolazione sapeva, sapeva e accettava. Il giro è costruito in modo da non impressionare fin dall’inizio, lasciando al visitatore il tempo di “acclimatarsi”. Il primo edificio che incontro è la casa del generale, dentro un giardino che oggi ospita diverse lapidi spontaneamente donate dai parenti di alcune vittime. Vedo un signore che passeggia con un mazzo di fiori in mano e mi rendo conto di non aver pensato a un omaggio. Per terra ci sono tante piccole pigne, mi sembrano ideali per rimediare. La pigna è associata metaforicamente all’eternità e all’immortalità. Il pino, infatti, è un sempreverde, non ingiallisce e non perde le foglie. Non so chi siate, né dove siate sepolti, ma oggi questa pigna è per voi.

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Per voi, che oggi siete FREI, LIBERI.

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Arbeit macht frei

Il famigerato slogan “Arbeit macht frei”, “il lavoro rende liberi” mi fa capire che sto per entrare davvero nel campo.

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Una volta attraversato il cancello, mi sono ritrovata in un campo vasto, una landa desolata, perché come me anche gli altri sono ammutoliti improvvisamente. Il campo è vasto, si sente solo il vento sugli alberi e qualche cornacchia ogni tantoimg_5022. M’innervosisce la perfezione geometrica con cui è stato pensato e progettato. Dalla cima della Torretta A, che si trova sopra il cancello, le SS di guardia potevano raggiungere e uccidere tutti i prigionieri con una mitragliatrice e se qualcuno provava a scappare veniva subito individuato. Le fabbriche in cui lavoravano i prigionieri sono state dismesse, rimane solo il perimetro riempito di sassi, per far capire com’erano collocate all’epoca. Alcune baracche sono state ricostruite quando il sito è diventato museo.

In mezzo al campo c’è poi una specie di mezzaluna, la cosiddetta “via delle scarpe“, dove i prigionieri percorrevano per km su km terreni di diversa consistenza, costruiti appositamente per testare la suola delle stivali che sarebbero poi stati utilizzati dai soldati tedeschi. In quel momento si è affacciato un pensiero sgradito, quanto fosse grottesco aver appena assistito a una maratona, dove si consumano suole in un’attività divertente, e dover poi immaginare quanto massacrante fosse questo “lavoro” per i prigionieri.

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Il campo di Sachsenhausen era completo di tutto: prigione, cucina, lazzaretto, infermeria. L’infermeria è quasi alla fine del giro ed è veramente orribile, nel vero senso della parola. Due padiglioni con sotterranei comunicanti, in cui i medici nazisti compivano i loro esperimenti, soprattutto sui bambini.  A un certo punto la gola mi si è strozzata, dovevo uscire subito di lì, respirare aria, tornare all’aperto.

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Mi sono seduta su un muretto, alle prese con sentimenti di rabbia, impotenza, nonostante tutto incredulità, smarrimento. Come, come sia stato possibile tutto questo, rimarrà probabilmente un mistero per tutti quelli che non l’hanno vissuto. Come, come queste atrocità vengano compiute ancora oggi, può essere spiegato solo con l’incapacità dell’uomo di imparare dai propri errori. E con la capacità dell’uomo di tacitare la propria coscienza.

Il post sarebbe dovuto terminare con il resto della giornata. Mi perdonerete se rimando a domani il resto.

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Leggi anche: 

Ich bin Berliner/1: I ragazzi dello zoo di Berlino

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Ich bin Berliner/5: corri, runner, corri. Che io mi riposo…

Ma quanto è bello alzarsi la mattina presto e andare a vedere quelli che si ammazzano di fatica correndo? Al solo pensierimg_4966o di quanto arriveranno stravolti e sconvolti ti senti già meglio, la città ti sembra più bella e le gambe ti spingono a fare una lunga e bella passeggiata. Perché la finirai senza stramazzare al suolo e senza che nessuno chiami l’ambulanza.

Haha, amici podisti, naturalmente sto scherzando. E’ che casualmente mi sono trovata a Berlino proprio la settimana della famosissima maratona e non potevo certo perdermi, io, anfibio umano, il fiume di 40.000 persone che allo start hanno inondato i “fori imperiali” che dalla porta di Brandeburgo costeggiano il Tiergarten, praticamente il Central Park berlinese. Uno spettacolo nello spettacolo, una massa umana che corre felice verso il traguardo di una vita, che sia un record o solamente…finirla.

Diciamo che ho fatto la stalker e per un po’ vi ho seguito, facendo su e giù con la metro. Alla fine, mi sono diretta verso Gendarmenmarkt, dove avevano posizionato un rifornimento che offriva…birra! ai corridori. Ho visto pure che qualcuno la prendeva. Meno male che era quella analcolica, dicono buona tra l’altro.  img_4968 img_4975 img_4982 img_4983

Il Gendarmenmarkt (“Mercato dei Gendarmi”) è una piazza sulla quale si affacciano le chiese gemelle Deutscher Dom e Französischer Dom e il Konzerthaus. La piazza ospita anche la statua di Schiller ed è considerata una delle più belle di Berlino. Personalmente non mi ha fatto impazzire, direi che un breve giro è più che sufficiente.

Tornando verso l’arrivo della maratona, che finisce dov’è iniziata, ho incontrato l’ambasciata americana, con l’orso statua della Libertà, e il memoriale ebraico.

Più tardi, circumnavigando di nuovo il Tiergarten, ho incontrato la Colonna della Vittoria, simbolo della vittoria militare prussiana nel 19° secolo, è oggi un emblema della comunità gay e un punto panoramico da cui osservare la città per i turisti. Salendo solo 280 scalini, infatti, si arriva 67 metri di altezza.

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Stavolta ammetto che mi sono risparmiata la faticaccia in favore della mia prima cena tipica, a Unten den Linden, “la strada dei tigli”. Il ristorante si chiama Nante-eck e io ho scelto il Preussischer Landsknechtspieß, lo spiedino prussiano, che hanno presentato direttamente in padella, infilzato su uno spadino e circondato di verdure buonissime. Un boccale di birra a innaffiare il leggero pasto e tutti a nanna. Domani sarà la volta di un luogo che mai nessuno avrebbe dovuto visitare. Eppure, purtroppo…

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Ich bin Berliner/4: questo tè è very, very smoky!

“Dai, vieni anche tu”

“Mah, non lo so…”
“Non hai la tuta?”
“Sì, quella in valigia la metto sempre…”
“E allora? Su, vieni”.
E’ così che mi hanno convinto a partecipare alla Breakfast run, una non competitiva di 6 km che precede la maratona di Berlino del giorno dopo e che finisce con una colazione, da qui il nome evocativo.

Breakfast run

Avrei mai potuto resistere al dolce richiamo del mio pasto preferito? Giammai, e infatti mi presento puntuale alle 9 meno qualcosa sul luogo del delitto, lo Charlottemburg Schloss di cui vi ho già ampiamente narrato. Posto qualche foto per farvi capire che popolazione di matti anima l’evento. Per la serie, il giorno prima ti diverti, il giorno dopo muori. Per fortuna, io la 42 km del giorno dopo l’ho corsa dagli spalti! Puntuali come orologi tedeschi, alle 9 in punto hanno dato il via e questa folla impazzita di travestiti si è riversata sulle strade. Per fortuna a Berlino sono larghe, perché vi assicuro che eravamo veramente tanti. Direzione: Olympiastadion, meglio conosciuto come lo stadio delle Olimpiadi hitleriane del 1936, quelle di Jesse Owens, per intenderci. I berlinesi ci accompagnano dai balconi, salutando e suonando campanacci.
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E’ proprio un bel momento, una festa dello sport. Io con la scusa di dover fotografare a destra e sinistra m’impegno veramente poco, ma allo stadio voglio arrivarci, perché così mi danno questa benedetta colazione! A un certo punto vedo le bandiere, eccoci, ci siamo. La signora peruviana che corre accanto a me e che ogni tanto si ferma per riposarsi facendo finta di aspettare qualcuno, che secondo me 6517era rimasto a Lima, scatta in avanti e la perdo di vista. Ha approfittato della mia sosta per fotografare un passeggino legato a un palo con la catena. Pazienza, entrerò allo stadio da sola: percorro il tunnel, sempre con calma girando un video, e poi, finalmente, il campo da gioco! La pista! Ce l’ho fatta! Faccio il mio bel giro di campo, resistendo all’impulso che anima gli altri di fingersi centrometristi pronti allo scatto, salgo le scale e il sospirato momento è arrivato: piovono krapfen come se non ci fosse un domani. Buoni da morire, meno male che ho evitato di affaticare il fegat6535o!

Alexanderplatz

In pace con il mondo, evito di pensare che la bomba calorica della colazione ha superato di gran lunga il dispendio energetico della corsa, perché sempre di corsa mi traslo verso Alexanderplatz, la mitica piazza della canzone di Milva, considerata il centro della parte orientale della città. La piazza, non Milva. Lo ammetto: la delusione si è fatta sentire, forte e chiara. Mi ha fatto lo stesso effetto di Pest quando ho visitato Budapest la prima volta: il peggio dell’occidente, cioè le insegne commerciali, innestato su palazzi spartani, che poco o niente c’entrano. Sorry, dico no ad Alexanderplatz, che vale comunque una visita veloce perché qui trovate la fontana dell’amicizia e dei popoli, la Torre della televisione, uno dei simboli della città, e l’orologio universale, che mostra l’orario in tutti i fusi in cui è divisa la superficie terrestre. Ok, due foto e passo oltre, domandandomi come mai sia così amata dai turisti di tutto il mondo. Una viuzza là, due di qua e hoplà, mi ritrovo casualmente, guarda il destino, nel mio luogo di ritrovo preferito.

Hackescher Markt

Una piazza pedonale adiacente all’omonima stazione dei treni di fine ‘800, miracolosamente sopravvissuta alle bombe della seconda guerra mondiale. Un posto piacevole in cui fermarsi a mangiare qualcosa, o ad ascoltare il menestrello di strada seduti sul muretto, o a girare per il mercatino del giovedì o del sabato, come nel mio caso. Qualche bancarella e poi, sempre rigorosamente per caso, mi sono infilata nel tunnel paradisiaco degli Hackeschen Höfe. In pratica sono otto cortili interni comunicanti, che collegano abitazioni private, laboratori e negozi. Da perderci la testa: eleganti, tranquilli, dopo la caduta del Muro sono stati ristrutturati e ora ospitano un cinema, un teatro, caffetterie e negozi di design e boutique di moda. Se passate per Berlino, vi consiglio caldamente di visitarli, soprattutto se siete architetti, chissà che non vi venga qualche buona idea per riqualificare le periferie moderne. Io li ho visitati nell’ordine in cui vengono indicati all’ingresso, ma potete anche decidere di girare in ordine sparso.

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Sala da tè tagika

Alla fine di questo bel giro, se ci mettete anche la faticaccia della corsa mattutina, penso proprio di essermi meritata una sosta ristoratrice, no?. Rimanendo sempre all’interno del quartiere ebraico, poso le mie doloranti membra su un tappeto e ordino un tè russo. D’altra parte, mi trovo in un locale che si chiama Tadschikische Teestube, cioè una sala da tè tagika.
La signora che prende l’ordinazione mi osserva e mi avverte: “It’s smoky”.
“Okay”, faccio io.
“It’s very smoky”.
“Okkaaayyyy”, replico io.
Pensa che sia stordita, o cosa?
Era smokimg_4963y smoky, nel vero senso della parola. La povera signora ha tentato di avvisare questa stordita che si sarebbe ritrovata a fumare una sigaretta bevendo tè! Mai assaggiata una cosa del genere. Non mi sono pentita di averlo scelto, ma chissà come avrà ridotto i miei poveri polmoni, già belli allargati dalla corsa!
Vi aspetto domani con la quinta parte del mio Berlin trip: la famosissima maratona di Berlino. Seguita da una very, very lauta cena tipica.

Ich bin Berliner/3: Il giardino dei piaceri del Grande Fratello

 

Il terzo giorno inizia con una passeggiata nell’Isola dei musei, dove, lo dice il nome stesso, si trova un considerevole numero di musei, di importanza internazionale. L’intera area è stata dichiarata nel 1999 patrimonio dell’umanità dall’UNESCO.

Non potendo, sempre per questioni di tempo, visitare tutti i musei, ho scelto quello che per me è più rappresentativo: il Pergamonmuseum. Anche si chiama museo di Pergamo, in realtà è costituito da tre aree, perché ospita una collezione di antichità classiche, una di antichità del vicino Oriente e una di arte islamica. Le prime due, a mio parere, sono le migliori, ma un’occhiata anche all’arte islamica a fine visita non fatevela mancare.

Si parte subito alla grande, perché appena entrata mi sono trovata davanti la ricostruzione della Porta di Ishtar, da cui nel VI secolo a.C. si accedevaimg_4888 alla città di Babilonia. E’ interamente ricoperta con tasselli di ceramica blu e le mura sono decorate con leoni, draghi e tori, i simboli delle principali divinità babilonesi. Assolutamente meravigliosa, da sola varrebbe la visita, ma le sorprese sono appena iniziate. Dalla porta di Ishtar, proprio come in passato, si accede a un’altra sala, dove incredibilmente gli archeologi sono riusciti a ricostruire parte della Porta del mercato di Mileto, un capolavoro di architettura Romana, il reperto archeologico più grande del mondo ospitato in un museo. Il lavoro certosino con cui è stata innalzata la posta è un eccezionale esempio di valorizzazione moderna del genio antico. Qui ho ritrovato di nuovo quella sensazione che Berlino mi ha dato più volte in questa settimana, questo contatto continuo tra passato e futuro, un fluire costante tra ordine e sregolatezza, un anelito alla grandiosità che può restituirci cose belle, oppure portare il mondo sull’orlo del disastro.

In confronto a questi due esempi il resto della visita è andato in discesa, anche perché purtroppo fino al 2019 colui che dà il nome al museo, l’Altare di Pergamo, sarà in ristrutturazione e quindi impossibile da vedere. Peccato, davvero, sarebbe stato un giusto completamento. Per la cronaca, compreso nel prezzo del biglietto c’è l’audioguida, che è stata pensata per guidare letteralmente il visitatore all’interno delle sale.

Uscita da lì, mi sono concessa una passeggiata rilassante sotto il (raro, mi dicono) sole berlinese. L’isola è pedonale e un luogo di pace, nonostante i tanti piccoli locali che affollano il lungofiume.

Mi sono fermata in uno di questi e ho deciso di assaggiare una delle specialità della casa: il currywurst. Vi voglio dare un consiglio: non prendetelo nei tanti chioschetti che lo offrono. Vale la pena di spendere qualcosa in più e ordinarlo in un buon ristorante. La mia prima impressione, infatti, è stata negativa. Annegato in una salsa di pomodoro e ketchup, l’ho trovato moscio e per niente invitante. Quasi quasi ho preferito le patatine fritte con cui mi è stato servito. Come ho detto, l’impressione è stata ribaltata quando l’ho assaggiato di nuovo in un ristorante: niente a che vedere con il primo (ma della cucina berlinese parlerò in un’altra puntata).

Il riposo è finito, proprio sul lungofiume c’è un altro museo da visitare, il Museo della DDR, che da dieci anni colleziona tutto ciò che riguarda il quarantennio della Repubblica Democratica Tedesca (1949-1990). Stavolta le audioguide non ci sono, perché il DDR-Museum è costruito come una serie di sale interattive, che aprono finestre (e cassetti) su ogni aspetto della vita nell’ex repubblica democratica. E’ incredibile come a un certo puimg_4909nto sembra di poterli rivivere, quegli anni. Si parte con la vita quotidiana: cosa studiavano, cosa mangiavano, dove vivevano, quali sport sceglievano, che lavori facevano cos’era contenuto nelle scrivanie dei burocrati. Che macchine guidavano? Una, la Trabant, che ordinavano dieci anni prima per riceverla dieci anni dopo. Vuoi farti un giro? Sali in macchina e con un simulatore potrai guidare dentro un quartiere. La sfida è riuscire a uscirne. Sfida persa, almeno per quanto mi riguarda. Dopo una serie di curve, curve, curve, in mezzo a palazzi altissimi, sono rimasta senza benzina. Sospetto che all’epoca fosse molto comune. Scesa da lì, mi sono infilata nella stanza di un collaboratore della STASI, la polizia segreta della DDR, e ho ascoltato le telefonate degli oppositori del regime socialista. Subito dopo, la parte più divertente: ho digitato un interno sul citofono, mi hanno risposto in tedesco una cosa del tipo “sali, xx piano”. Accanto c’era un ascensore: l’ho preso, ho digitato il piano, le porte si sono chiuse e un suono ha simulato la partenza degli ascensori. Non vi nascondo che io e gli altri ci siamo guardati leggermente preoccupati…quando le porte si sono aperte, sul retro, siamo stati catapultati dentro un tipico appartamento di Berlino est, perfettamente arredato, pure con la finta pioggia che s’intravede dall’esterno della finestra. Un televisore trasmetteva il telecinegiornale. Dopo aver spiato nella casa del Grande Fratello, aprendo anche frigorifero e cassetti in camera da letto, con scoperte sorprendenti, la visita è sostanzialmente finita. Lo consiglio veramente, è divertente e istruttivo allo stesso tempo. E non avete idea di quanta gente rinunci per paura a prendere l’ascensore! Perdendo praticamente tutta la seconda parte della visita.

6433All’uscita mi sono sentita quasi una cittadina della Germania Est. L’atmosfera un po’ soffocante del passato recente doveva essere in qualche modo controbilanciata. Allora, niente di meglio che il Lustgarden (Il giardino dei piaceri) di fronte al Duomo per rilassarmi e fare qualche foto poco impegnativa. Costruito nel 1573, il giardino ha avuto una storia travagliata e i più svariati utilizzi, come un po’ tutto qui, fino ad assumere la funzione attuale di luogo prediletto dai berlinesi per prendere il sole all’aperto. Potevo io esimermi dall’utilizzarlo come gli autoctoni? 

La terza puntata finisce qui. Vi aspetto domani per la quarta, dove entreremo in una sala da tè tagika, gireremo per gli otto cortili di Rosenthaler straße e vi farò conoscere la mia piazza preferita. Vi racconterò anche come e perché ho partecipato anch’io alla Breakfast run…

Ich bin Berliner/2: Luisen e Marlene ballano da sole

Dopo essermi ambientata, si fa per dire, in città, il secondo giorno è iniziato il giro vero e proprio. Berlino è una città grande, stracolma di cose da vedere. Una settimana non basta e, per farsela bastare, non resta che trottare per ore ogni giorno.

Charlotte Schloss

Prima destinazione: Charlottenburg Schloss, una delle più antiche residenze degli elettori di Brandeburgo, la famiglia Hohenzollern. Nel corso di due secoli è stata continuamente ammodernata, arredata e allargata. Vi dico subito che il prezzo è variabile in funzione delle aree che si vogliono visitare: l’antica residenza, il nuovo padiglione, di stile più contenuto, il bellevue, i giardini e il mausoleo. Io li ho visti tutti, ma l’unico che secondo merita veramente è il primo, l’edificio più antico. Se avete poco tempo, vi suggerirei di limitarvi a quello. Anche la possibilità di fare foto si paga a parte.

In ogni caso, il nucleo originario della residenza fu realizzato per volere della regina Sophie Charlotte alla fine del XVII secolo. Per questo alla sua morte l’intero castello fu a lei intitolato, anche se la vera padrona di casa è stata in fondo Luisa, l’amGalleria Dorataata consorte di Federico III. La cupola del corpo centrale, alta 48 metri e sormontata dalla statua della Dea Fortuna, è diventata uno dei simboli di Berlino. Il complesso è stato gravemente danneggiato dai bombardamenti durante seconda guerra mondiale e quasi completamente ricostruito.

Il barocco

Agli Hohenzollern piaceva lo stile barocco ripreso dai grandi maestri dell’architettura italiana del seicento, gli arredi sfarzosi e le decorazioni che richiamano le divinità e i miti degli antichi. Uno degli esempi più mirabili è la cosiddetta Galleria Dorata, l’antica sala da ballo lunga 42 metri in cui una volta si intrattenevano sovrani e nobili. E poi alla fine dell’antica dimora, quando stavo per Napoleone uscire, eccolo lì davanti a me, il quadro raffigurante Napoleone che tutti i libri di storia riproducono. Lì, di fronte a me!

Dritta

Il biglietto d’ingresso al Castello include la possibilità di passeggiare all’interno del parco, il cui stile riprende quello dei giardini di Versailles. Se non avete fretta, una bella passeggiata nel parco, seguita da una breve visita del mausoleo dove riposano i padroni di casa, può fare da preludio a una sosta ristoratrice nel caffè del parco, veramente incantevole.

Filmhaus (casa del cinema)

U6364n caffè ed è già ora di rimettersi in marcia verso il Museum für Film und Fernsehen, alla Filmhaus (casa del cinema), situata all’interno del Sony Centre di Potsdamer Platz. Il museo ripercorre la storia del cinema tedesco, con particolare insistenza sugli anni del cinema muto e del bianco e nero. Non è un caso che il Festival di Berlino si svolga a poca distanza da qui  in Marlene Dietrich Platz. Protagonisti assoluti  la diva immortale Marlene Dietrich, Olympia di Leni Riefensthal, girato durante le olimpiadi naziste del 1938, i capolavori classici dell’Espressionismo tedesco, come Il gabinetto del dottor Caligari e Metropolis, di Fritz Lang. Poi, devo dire che non si capisce esattamente il salto logico che dalla Hollywood degli anni d’oro ci porta direttamente al futurismo e alla fantascienza. E’ come se il cinema tedesco fosse rimasto nel buio degli anni ’40. Forse è parte dell’anima di questa metropoli, il continuo salto temporale tra passato e futuro.

Potsdamer Platz e il Sony center

All’uscita, Potsdamer Platz e il Sony center meritano uno sguardo rilassato che li abbracci circolarmente in un solo colpo d’occhio. La piazza, infatti, è un perfetto esempio del salto temporale di cui parlavo. Potsdamer Platz non è una piazza vera e propria, ma una zona circolare costituita da tre aree: Daimler City, Sony Centere Besheim Centre. Quella che prima degli anni ’90 era una zona far west dove il Muro separava la parte Est da quella Ovest, ora è un centro vivace, frequentatissimo sia di giorno sia di notte, perché esempio positivo di mix azzeccato di case, shopping, business e vita notturna. Perfetto per buttarsi anima e corpo nello spirito effervescente della capitale teutonica.

La seconda puntata finisce qui. Domani vi racconterò di come Berlino continui a sembrarmi la città dei contrasti e del salto temporale e il mio incontro con la famigerata DDR.

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http://www.pennaecalamaro.com/2016/10/05/ich-bin-berliner3-il-giardino-dei-piaceri-del-grande-fratello/