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Grandi scrittrici: a Torquay da Agatha Christie

Lascio Bath e la sua aria regency per cambiare completamente epoca, atmosfera e panorama. Il viaggio letterario continua e per raggiungere Torquay non posso che emulare Hercule Poirot e Miss Marple scegliendo il loro mezzo preferito. Come ricorderà chi ha letto i libri di Agatha Christie, infatti, nessuno dei due personaggi guidava e spesso arrivavano nelle località che poi sarebbero diventate teatro dei delitti in treno. Ovviamente quando sul treno stesso non succedeva qualcosa di tragico, come nel caso famosissimo dell’Orient Express. A mio rischio e pericolo, quindi, faccio il biglietto per Torquay, che costa 33 sterline. Il viaggio dura 2 ore e mezza circa e prevede due cambi, uno a Bristol Temple Meads e uno a Newton Abbot. Chiedo all’addetto di segnarmi i nomi delle due località e lui molto cortesemente mi stampa un biglietto con l’indicazione esatta delle stazioni e della durata del viaggio. La prima parte è più lunga e il treno è veloce, la seconda dura meno di un quarto d’ora su un treno vecchio stampo, quelli della speranza per intenderci. Come ho già scritto da qualche parte, prendere i mezzi pubblici è secondo me un modo per avvicinarsi di più alle persone del posto e anche stavolta non posso fare a meno di notare che cortesia, tono di voce basso e assenza di telefonate siano un registro comune. Poi, ma questo vale per l’intero viaggio, ho visto che leggere è il passatempo preferito della maggioranza dei passeggeri. Infatti ho anche fotografato qualche titolo per andare a curiosare online al ritorno. Il genere preferito a occhio mi è sembrato, indovinate un po’?, Thriller, of course. Tornando alla cortesia, la signora accanto a me, giuro, senza che le chiedessi nulla, non solo si è offerta di caricarmi il cellulare solo perché mi ha visto con il carica batterie in mano, ma l’ha anche staccato al momento giusto, cioè qualche minuto prima della fermata per darmi il tempo di preparare i bagagli senza rischiare di dimenticarlo attaccato! Santa british donna! Tra la stazione e il centro della cittadina ci saranno poco meno di due chilometri di lungomare da percorrere. Gambe in spalla, approfitto per dare  una prima occhiata distratta.

Torquay

Che vi devo dire, sarà che sono facilmente influenzabile, sarà che il luna park nella IMG_6079 (2)mia testa fa tanto Stephen King, sarà quello che volete, ma il primo aggettivo che mi viene in mente per descrivere l’atmosfera di Torquay è “inquietante”. Il cielo è plumbeo, la spiaggia deserta, i gabbiani gridano, le famiglie si radunano all’interno di questo parco giochi marino che mette tristezza solo a guardarlo e il fish and chips che prendo durante il tragitto per spezzare la fatica, mi guarda dal piatto e mi fa un triste ciao ciao. Quando arriviamo in cima alla collina, la famiglia che ci accoglie non fa che rafforzare quest’impressione: perfetta, troppo perfetta. E’ tutto perfetto: la casa, il sorriso della signora, l’accoglienza che ci riservano, il giro della casa che ci fanno fare e i biscotti al cioccolato che ci offrono, insieme a tè e acqua aromatizzata al cetriolo e alla menta. Non giudicatemi un’ingrata, ma tutto questo splendore un po’ mi acceca. Dove tengono il cadavere? Ci cambiamo, facciamo una piccola esplorazione dei dintorni e mettiamo a punto il programma della prossima giornata. Agatha, a noi due!

Siamo fortunati, perché nel frattempo la ditta di noleggio auto ci ha risposto: tutto ok, possiamo passare a prenderla. La padrona di casa ci fa trovare una colazione coi fiocchi, leggera come quella che facciamo di solito, e ci avviamo verso l’area di noleggio, sempre a piedi. Non è vicinissimo e ci inoltriamo verso i quartieri meno abbienti, o che almeno così sembrano all’apparenza. Prendiamo la macchina e salutiamo allegramente la ragazza terrorizzata che ci ha dato le chiavi. Le abbiamo infatti confessato che è la nostra prima volta con la guida a sinistra. E il suo panico direi che è ampiamente giustificato, visto che rischiamo di prendere tutta la fila di macchine parcheggiate appena l’accendiamo.

Kents Cavern

In qualche modo riusciamo ad arrivare, e a parcheggiare, il che non è banale come sembra, nei pressi della Kents IMG_6010 (2)Cavern. Se passate per Torquay, è un tour che vi consiglio caldamente di fare, soprattutto se come noi incappate in una giornata uggiosa. Dieci sterline il biglietto singolo per gli adulti, 9 quello ridotto per partecipanti dai 3 ai 15 anni, 38 sterline quello cumulativo per quattro persone, adulti o bambini. Se lo comprate online sul sito delle caverne risparmiate qualcosa, soprattutto su quello cumulativo. Il tour è guidato, inizia a orari prestabiliti e dura un’ora e mezza. Non è prevista traduzione, quindi è consigliabile un livello d’inglese non proprio base, anche se penso sia divertente anche in mancanza. Le guide sono ragazzi bravi a intrattenere bambini e adulti con giochi di luce, effetti speciali, racconti, leggende e similitudini. Avreste mai pensato che una roccia potesse somigliare a Michael Jackson? Eppure vi assicuro che è così. Se proprio devo trovare un difetto, ma proprio a cercare il pelo nell’uovo, direi che la visita è improntata su un’attività ludica per famiglie, mentre il sito può certamente suscitare interesse anche in appassionati di storia e preistoria, un target che preferirebbe un tour meno didattico e più approfondito. La Kents Cavern, infatti, è una grotta di roccia calcarea naturale, che si è formata sotto il mare circa 385 milioni di anni fa. È composta di corallo e ossa dei pesci, che si sono compattati insieme fino a formare una massa solida. Nel corso di milioni di anni, la massa di roccia si è spostata lungo la crosta terrestre attraverso le piastre tettoniche fino a giungere dov’è attualmente. Circa 2,5 milioni di anni fa un fiume sotterraneo cominciò ad erodere l’interno della massa e a creare il sistema di grotte che possiamo ammirare oggi. Interessante anche la storia della sua scoperta: i priIMG_6012 (2)mi ad avvventurarsi furono nel 1500 gli abitanti di Torquay più coraggiosi. Solo nel 1825 le ricerche divennero scientifiche, quando un giovane prete irlandese, father John Macenery, fu accompagnato lì da un amico e cominciò gli scavi, dando ai tunnel i nomi che hanno ancora oggi. Pensate che per molti anni le sue scoperte vennero tenute segrete perché contraddicevano sia le teorie religiose sia quelle scientifiche dell’epoca. Comunque, direi che l’impostazione giocosa del tour corrisponde sostanzialmente a una predilezione anglofona per il learning by doing e forse, tutto sommato, strizza l’occhio alla maggioranza dei visitatori, persone in vacanza al mare che nei giorni di pioggia cercano un diversivo. Se amate il genere, sappiate che all’interno delle caverne potrete anche sposarvi e che sono aperte tutto l’anno, con una temperatura fissa di 14 gradi. Portatevi una felpa pesante!

Il museo di Torquay

A poca distanza dalle caverne c’è l’altro appuntamento imperdibile di Torquay, un’altra carta da giocarsi quando il sole sparisce dietro le nubi: il museo cittadino. Imperdibile soprattutto per la sala dedicata ad Agatha Christie, perché il resto non lo definirei memorabile. Anche il museo sembra impostato su una didattica per bambini che probabilmente è funzionale ai principali utenti, cioè le scuole. Una sala egizia, una preistorica, una (a sorpresa) dedicata a una mostra su Star Wars e un’altra alle favole e poi lei, la regina del giallo, Agatha Christie, che giustamente ha un posto d’onore all’interno e che da sola vale il prezzo del biglietto (6,45 sterline per adulti, la metà nella fascia 3-16, apertura dal lunedì al sabato dalle 10 alle 16).

All’entrata della sala, alcune gigantografie ritraggono Agatha da giovanissima, quando ancora non era l’artista celebre che tutti conosciamo. Poi ci sono alcuni suoi effetti personali, decine di prime edizioni dei suoi romanzi, la macchina da scrivere, la sua IMG_6028 (2)pelliccia, le note scritte a mano, gli appunti iniziali di quello che poi diventerà Assassinio sul Nilo, le fotografie, i costumi di Poirot e Miss Marple. Una targhetta ci tiene a specificare che oggi le pellicce non vengono quasi più utilizzate, ma che una volta erano di gran moda e l’autrice vestiva come una signora. La mia coscienza ecologica non si era sentita tradita, ma probabilmente hanno preferito non rischiare. Nella galleria, alcuni pannelli informativi illustrano con grande chiarezza fatti anche poco conosciuti della sua vita e del suo lavoro, dalla sua infanzia ad Ashfield, fino agli anni successivi, trascorsi a Greenway (ma di questi aspetti vi parlerò più approfonditamente nel focus a lei dedicato, n.d.r.). Soprattutto, i curatori della mostra puntano sullo studio e il salotto di Poirot, interamente ricostruiti, compresi mobili, libri, immagini e perfino i camini del suo appartamento Art Deco IMG_6054 (2)di Londra.

I mobili e gli oggetti, finti ma che riproducono fedelmente i veri mobili d’epoca, sono stati utilizzati per l’adattamento TV di Poirot e donati al museo nel 2013, al termine dell’ultimo episodio. L’attore David Suchet, quasi universalmente riconosciuto come il miglior interprete di Poirot, ha visitato poco dopo il museo per vedere e filmare i mobili mentre stava girava un documentario intitolato “Essere Poirot”. L’attore ha anche gentilmente prestato al museo il bastone da passeggio che accompagna fedelmente Poirot nelle sue indagini. Il giro mi piace e mi appassiona, come tutto quello che riguarda Agatha, però devo anche dire che gli ambienti ricostruiti perdono molto del loro fascino cinematografico. Che i mobili siano finti e a buon mercato è palese e mi sembra quasi di trovarmi su un set a riprese finite e troupe a festeggiare la fine chissà dove, non so se rendo l’idea. Gli unici pezzi veri, e si vede, sono la credenza, un pezzo pregiato di Art Deco, e la sedia dello studio, che il museo ha acquisito grazie alla donazione della casa editrice di Agatha Christie, HarperCollins.

Al piano terra, la mostra di Star Wars non è male e ci sono anche i costumi per travestirsi. Cosa potevo scegliere io? Naturalmente Darth Vader, anche perché non ho trovato quelli di Yoda. L’unico piccolo problema è che mi sono accorta un po’ tardi…ehm…di essere ripresa dalle telecamere e per una che si era presentata alla cassa tutta seria e studiosa a chiedere informazioni su Agatha Christie non è proprio il massimo. Meno male che almeno indossavo la maschera, perché quando già pensavo di risolvere uscendo a testa bassa dal museo mi sono accorta che dovevo obbligatoriamente ripassare davanti alle casse perché nel frattempo il cancello principale era chiuso essendo finito l’orario di entrata.

L’Agatha Christie mile

IMG_6114Con italica faccia tosta, mi sono tolta dall’impaccio facendo finta di studiare attentamente la mappa dell’Agatha Christie mile. Cos’è? Un omaggio di Torquay alla sua illustre cittadina, che ripercorre i punti principali a lei legati con targhe commemorative posizionate su (quasi) ogni punto.

Ma del mio personale Agatha Christie mile vi parlerò nella prossima puntata

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Sulle tracce delle grandi scrittrici: a Bath da Jane Austen

jane austen entrataIn realtà quando arrivo al Jane Austen Centre, al 40 di Gay Street, è ancora un po’ presto per prendere il tè e infatti lei mi aspetta all’entrata con un’espressione da sfinge. Da queste parti il galateo è una cosa seria J

Comunque Jane è una ragazza gentile e infatti mi fa entrare subito. Subito dopo aver acquistato il biglietto, che costa 11 £, veniamo fatti accomodare di fronte a uno schermo da cui parte un video introduttivo, che ci spiega tra l’altro che Jane Austen visse davvero in Gay Street, ma al numero 25. Subito dopo, un ragazzo in costume ci porta in un’altra sala, dove di nuovo ci sediamo mentre lui ci introduce alle vicende della famiglia d’origine di Jane Austen, di cui illustra l’albero genealogico e i principali avvenimenti della vita di ognuno, corredandoli da informazioni base sulla società di allora e la posizione della famiglia al suo interno (tutte informazioni che approfondirò nel focus dedicato alla scrittrice, n.d.r.). In realtà, sta riassumendo quello che vedremo subito dopo nelle vere e proprie sale del museo. La visita guidata è finita, da qui in avanti la mostra prosegue con foto e oggetti d’epoca, le lettere fitte fitte che scriveva alla sorella, pannelli espositivi che ripercorrono le tappe principali della sua vita, arazzi fatti a mano e statue a grandezza naturale. La prima che incontro è quella del secondo fratello, che visse quasi sempre all’estero perché aveva abbracciato la carriera militare. Ci viene IMG_5975consentito di toccare quasi tutto e anche di annusare dei flaconi di profumo per capire “di cosa sapevano le donne al tempo di Jane”. Ehm…ecco…penso di immaginarlo e non doveva essere piacevole. Lavavano tutti i giorni solo il viso e quindi avevano bisogno di mascherare l’odore del corpo con essenze. Nel diciannovesimo secolo cominciò a svilupparsi un gusto per i profumi che anticipava il moderno sviluppo del settore. Grazie a una spugna inumidita, le signore bagnavano l’interno dei vestiti per assicurarsi che il profumo persistesse tutto il giorno. Le fragranze che andavano di moda allora erano tre: lavanda, fiori d’arancio e acqua di rose, che spesso mescolavano tra loro per personalizzare il profumo. Tra i tre il mio preferito, scontato direi, è la lavanda. Oppure ci hanno fatto assaggiare gli Oliver biscuits di Bath, inventati da un medico del 1700 per i suoi pazienti delle cure termali e diventati nel tempo un prodotto tipico della città. L’ultima sezione è la più divertente. Ci aspettano un tavolo con teiera e tazza di tè (senza tè), un armadio IMG_5974zeppo di vestiti, cappelli, scialli e ventagli e una statua a grandezza naturale di Mr. Darcy. Naturalmente, tutti impazziti con i travestimenti e le foto con lui nelle pose più bizzarre. Prima di uscire, un’altra sorpresa in cima alle scale: due scrivanie e la possibilità di scrivere messaggi con pennino, calamaio con inchiostro viola o rosso e carta intestata. Ultima tappa il negozio di souvenir, purtroppo ahimè un po’ sguarnito e che mi ha lasciato a mani vuote. Il Jane Austen Centre merita una visita? Ni. Sicuramente sono uscita sapendone di più sulla scrittrice, ma il prezzo alto rispetto ai materiali e la mancanza di giocosità delle assistenti di sala, vestite in costume ma più attente a rimettere tutto in ordine che a intrattenere le persone, hanno sedato in parte l’entusiasmo iniziale. Ho la sensazione che anche altri la pensassero come me, perché sono stata l’ultima a uscire e ho notato la fretta con cui alcuni hanno attraversato il museo.

Pazienza, il pomeriggio è appena iniziato e c’è ancora tempo per girare la città. Il ponte Pulteney è da non perdere. Costruito nel 1773, è uno degli unici quattro ponti al mondo che ospita negozi su entrambi i lati. Sembra IMG_5977quasi di stare su Ponte Vecchio a Firenze, che infatti è uno dei quattro, anche se il progetto sembra si sia ispirato al ponte di Rialto a Venezia. Scendendo sulle rive del fiume Avon, a breve distanza s’incontra il Recreation Ground (The rec), un complesso sportivo utilizzato dal Bath Rugby Football Club, uno dei più antichi ancora esistenti, per le partite casalinghe.

La giornata ormai volge al termine, anche perché è quasi ora di fare i bagagli e ripartire, ma c’è spazio per un ultimissimo pigro giro senza meta (a proposito di rugby…) e per una pausa dolce nella panetteria di una catena cornica. Mi sembra un delitto assaggiare piatti tipici prima del tempo, perciò mi accontento di un pezzo di torta, la cornish heavy cake, una cioccolata calda e una panchina. Passa un tizio, versione rutto libero. Mi scappa da ridere, ma vi giuro, non per lui, per l’ironia della situazione. “Sorry”, mi dice. Benvenuti nella real England.

Alla prossima puntata con Torquay e la seconda scrittrice, sua Maestà del brivido Agatha Christie.

Bath e il gossip degli antichi romani alle terme

Il viaggio letterario inizia a Londra, più conveniente come prezzo rispetto ai voli su Bristol o Newquay. Con la metro, fermata Kensington, abbiamo raggiunto la Victoria Coach Station e acquistato alla macchinetta automatica il biglietto per Bath, con partenza quasi immediata e al prezzo di circa 7 euro a persona. Infatti dopo dieci minuti ci hanno fatto salire a bordo. La stazione è molto ordinata, tengono le porte chiuse e fanno entrare i passeggeri solo quando il pullman è pronto a partire e solo dopo aver esibito il biglietto. In teoria, il pullman avrebbe dovuto essere low cost, ma mi sono ritrovata su un mezzo a cinque stelle, semivuoto e dotato di bagno, wifi e presa per la corrente. Un’ora e mezza di percorso tranquillo in mezzo alla campagna inglese del Somerset e l’autista ci ha “scaricato” alla stazione degli autobus di Bath, in pieno centro. La stanza che abbiamo preso in affitto si trovava a circa un quarto d’ora di lontananza, sul lungofiume. Non vicinissima ai luoghi di maggiore interesse, considerando che dopo un po’ le valigie hanno cominciato a pesare il triplo, ma comoda per acquisti al supermercato e soprattutto economica. Se prenotate in alta stagione o a ridosso del viaggio, e non avete problemi ad affrontare una passeggiata quotidiana per arrivare in centro, vi suggerirei di allontanarvi leggermente dalla zona più affollata e di cercare nelle zone collinari adiacenti. Anche perché potreste fare scoperte inaspettate.

Rastrellatori di comete

Per esempio, su un lato del fiume che taglia Bath, ho notato due poltrone-monumento, un binocolo e un bloc notes. Incuriosita, mi sono avvicinata. Si chiama “The Comet Sweepers”, dello scultore Patrick Haynes, e ricorda i fratelli Friedrich IMG_5865William e Caroline Herschel, due astronomi che la sera si sedevano in giardino e osservavano il cielo, lui con un telescopio e lei prendendo appunti. Friedrich ha scoperto così facendo una robetta come il pianeta Uranio. Che incontri magnifici ti offre la vita. Lasciati i bagagli, siamo tornati in centro. Giusto il tempo di fare un giro veloce, decidere il programma del giorno dopo in base alle distanze e fermarci in un ristorante tailandese molto curato esteticamente. Il cibo non è stato poi all’altezza della prima impressione, ma la cucina a vista era comunque rassicurante.

Le terme romane di Bath

Il giorno successivo, l’intenzione iniziale era cominciare dalle famosissime terme romane. Poi, però, mi sono accorta che nella piazza adiacente una soprano intratteneva le persone sedute sulle panchine che circondano la piazza stessa e non ho potuto fare a meno di fermarmi. Finito l’intermezzo, mi sono messa in fila per entrare. L’attesa non è stata eccessiva, nonostante il nutrito gruppo di turisti. Sono aperte dalle 9 alle 18 e costano 15,50 sterline compresa l’audioguida (anche i bambini pagano circa la metà). Il mio consiglio è di evitare l’ora di punta, perché la visita dura almeno due ore, perlomeno se come me siete appassionati di antichità romane, e verso la tarda mattinata gli ambienti inizieranno a riempirsi di persone, scolaresche, fotografi seriali e chi più ne ha più ne metta. Quindi, cercate di entrare all’apertura o di calcolare bene il tempo per uscire alla chiusura avendo visto tutto. In ogni caso, meritano la spesa, l’attesa e le gomitate all’interno. Considerate che l’intera città è oggi sotto tutela UNESCO per la numerosità degli edifici dichiarati Patrimonio dell’Umanità.

Aquae Salus

L’insediamento ha origine antiche: secondo la leggenda, Bath fu fondata circa 2800 anni fa da re Bladud, padre di re Lear, che guarì dalla lebbra grazie alle proprietà terapeutiche delle paludi fangose della zona. Nel 44 d.C. i romani fondarono la città di Aquae Sulis, costruirono il vasto complesso termale, che ancora oggi possiamo in parte ammirare, e il tempio dedicato alla dea Sulis Minerva. Nel XVIII secolo, inoltre, la città divenne una località termale alla moda. Ricordatevi quest’uIMG_5870ltimo particolare, dopo capirete perché. Le terme sono conservate perfettamente. Anche se non più in funzione, tecnicamente potrebbero ancora essere utilizzate come una vera e propria spa moderna. L’impatto all’entrata è subito forte, perché si esce su una terrazza, circondata di statue di epoca vittoriana raffiguranti imperatori romani e governatori della Britannia, che sovrasta la vasca più grande. Sembra di stare sugli spalti di una piscina.

Il bagno del Re

Ed è così, in effetti: la King’s bath, costruita attorno alla fonte d’acqua originale, è magnifica. A quel punto non vedi l’ora di scendere in basso, per bagnarti le mani, immortalarti sul bordo oppure, come ho visto fare a tanti, tirare una IMG_5875monetina esprimendo un desiderio. Anche se d’impatto scenico, compreso un antico romano che con una tavoletta gioca con i numeri romani, insegnando a scriverli ai bambini che si avvicinano curiosi, la piscina grande è solo l’inizio. Seguendo il percorso dell’audioguida, abbiamo attraversato diverse sale con i resti del tempio dedicato alla dea Sulis Minerva, degli oggetti di uso quotidiano che testimoniano l’intensa attività commerciale e sociale dell’epoca, la fonte sacra, dove l’acqua sgorga naturalmente a 46°, la sauna e gli spogliatoi. Verso la fine, un’invidia profonda per gli antichi che IMG_5914 (2)entravano in questo paradiso e che avevano a disposizione una serie di vasche di acqua calda e fredda. Mi sono soffermata sulla piscina di acqua fredda circolare profonda 1,60 m. V’immaginate cosa doveva essere buttarsi là dentro? Alcuni video alla parete mostrano il tuffo e le urla disumane dei coraggiosi! Eheh, doveva essere proprio divertente passare una giornata alle terme. Come mi avevano già spiegato a Sofia, era il luogo prediletto dai romani, e dalle romane, per le chiacchiere gossipare, un po’ quello che sono oggi i social per noi. In queste, poi, potevano addirittura gettare nella fonte sacra messaggi di vendetta. Per scriverli, si servivano di scrivani che chiarissero la richiesta, per non disturbare inutilmente gli dei con un messaggio confuso e scritto male.

Sulinus 

Mi ha fatto morire l’esempio del messaggio di Sulinus, indirizzato al ladro di tunica che aveva agito mentre lui faceva il bagno. Sulpinus chiedeva l’intercessione degli dei, a meno che il ladro non si fosse fatto avanti, chiarendo i motivi o restituendo la tunica! Sublime, davvero. Prima di andare via, anche tu se vuoi puoi affrontare una prova di coraggio, cioè bere l’acqua a 46° che sgorga naturalmente da una fontanella. Le espressioni dei turisti all’assaggio sono state comiche. Per fortuna avevo già fatto il battesimo del fuoco proprio a Sofia e quindi ho aspettato cinque minuti con il bicchiere in mano. Il tempo di far perdere all’acqua l’odore e il calore. Dopodiché, ho bevuto acqua minerale pregiata a temperatura ambiente.

Royal Crescent 

IMG_5939Dopo una pausa panino dentro il Royal Victoria Park ho dato un’occhiata veloce al Royal Crescent e al Circus prima di incamminarmi verso il reale obiettivo della giornata. Zia Jane, aspettami, arrivo! Conteniamo l’entusiasmo, please, siamo inglesi. Dicevo, Crescent e Circus sono due complessi immobiliari, in parte privati, in parte adibiti a museo, albergo o assegnati a un fondo, che danno a Bath un aspetto classico. In realtà, si tratta di due esperimenti, rispettivamente, di John Wood il Giovane e il Vecchio, due architetti sospettati di massoneria, che avrebbero voluto simboleggiare il sole e la luna, simboli per l’appunto massonici.

Solo che non ho tempo per le logge, devo recarmi al 40 di Gay Street per prendere un tè con Zia Jane…Austen.

 IMG_5976Domani vi racconterò com’è Mr. Darcy dal vivo e cosa ho visto nel Jane Austen Centre

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Il mio viaggio letterario: sulle tracce delle grandi scrittrici

Cerco da giorni di radunare le idee per proporre un resoconto di viaggio che abbia un minimo di senso per chi legge, ma devo confessare che mai come stavolta razionalizzare pensieri, emozioni e sensazioni mi sembra un compito fuori dalla mia portata.

D’altra parte, non voglio rinunciare all’idea di riuscire a convincere qualcuno di voi a vivere quest’esperienza magnifica e unica nel suo genere. Quindi, ho radunato le forze per riuscire a descrivere nel miglior modo possibile un viaggio letterario e due settimane intense, fantastiche, divertenti come non mai, intrise di leggende, magia, storia, letteratura e fantasia.

Parto da una premessa: la Gran Bretagna è un Paese organizzato e accogliente, che mette in grado i visitatori di decidere che genere di viaggio vogliano fare e garantire le condizioni giuste per vivere un’esperienza unica e per niente faticosa dal punto di vista pratico. Dal punto di vista fisico, invece, un viaggio letterario itinerante come quello che ho scelto io è abbastanza faticoso, ma ovviamente potrete modulare luoghi da visitare e percorsi da affrontare in base alle vostre possibilità. 

Consigli utili

Faccio un’altra premessa prima di partire con la descrizione del viaggio per darvi subito qualche informazione pratica, così se già vi ho annoiato con i preamboli potete saltare il resto:

  • non serve pianificare nel dettaglio l’intero itinerario prima di partire. Anzi, secondo me è preferibile che vi lasciate qualche porta aperta per l’istinto del momento;

  • soprattutto se non partite in altissima stagione, potreste optare per la prenotazione da casa di due o al massimo tre notti, per poi scegliere direttamente sul posto dove dormire. In Gran Bretagna, infatti, l’ospitalità presso guest house o pub è molto diffusa, quindi non avrete problemi a trovare la sistemazione che fa al caso vostro;

  • partite con scarponi per la montagna o scarpe da trekking. Quando vedrete infradito e scarpe da ginnastica lisce sulle scogliere ringrazierete il cielo di essere stati previdenti;

  • anche se non sembra, perché il sole è birichino e si fa desiderare, potrebbe esservi utile portare una crema solare. E tanta acqua;

  • per i trasporti, regolatevi secondo le vostre esigenze. Nessuna strada è a pagamento, la benzina non costa molto e il traffico non uccide. D’altra parte, il servizio di autobus e treni arriva praticamente dappertutto, i parcheggi sono quasi sempre a pagamento e alla guida a sinistra serve un po’ per abituarsi. Io ho optato per un mix di tutti quanti ed è stato parte del divertimento.

Mi sembra di aver detto tutto. Adesso inizio a raccontarvi il viaggio letterario, partendo prima da una descrizione generale e complessiva delle due settimane, per poi entrare nel dettaglio delle singole giornate.

Giuro che è l’ultimo preambolo: sentitevi liberi di chiedermi qualsiasi informazione di dettaglio, nel limite delle mie conoscenze cercherò di rispondere a tutto.

L’idea

Allora, l’idea era questa: fare un giro dell’Inghilterra del Sud andando nei luoghi di nascita o di ispirazione di alcune grandi autrici, per capire se davvero l’ambiente abbia una grande influenza sulla capacità di trasmettere emozioni attraverso le parole. Nell’ordine, ho incontrato Jane Austen, Agatha Christie, Rosamunde Pilcher, Virginia Woolf, Daphne Du Maurier. Girando ho incontrato anche altri autori, alcune autrici locali e anche un celebre cantante, ma di questo vi parlerò nel dettaglio delle singole giornate. Chiaramente, visto che l’obiettivo erano le autrici, dal punto di vista degli spostamenti il giro non è razionale al 100%, perché ci sono stati particolari e aneddoti che ho appreso solo sul momento e mi sono diretta lì dove mi portava il cuore, però mi sento di consigliarvelo lo stesso. Primo, perché è stato stupendo, secondo perché con piccoli accorgimenti potete modificarlo come volete. L’unico errore che ho commesso, se di errore si può parlare, è non aver lasciato la Cornovaglia per ultima, perché ve lo assicuro, dopo averla vista tutto il resto vi sembrerà inevitabilmente noia!

Le tappe del viaggio letterario

Il tour ha toccato le seguenti località: Bath, Torquay, Looe, Polperro, Mousehole, Penzance, St. Michael’s Mount, Marazion, Land’s End, Porthcurno, Cape Cornwall, St. Ive’s, Godrevy, Lizard Peninsula, Kynance Beach, Lizard Point, Mullion, Tintagel, Boscastle, Jamaica Inn, Salisbury, Seven sisters, Winchester, Goring on Thames, Londra.

Nei prossimi post vi racconterò ogni giornata nei minimi particolari, con un focus a parte per ogni scrittrice incontrata. Non mancheranno anche le mie sperimentazioni dei piatti che mi sono piaciuti di più. Anzi, se volete una potete già trovarla (e provarla). Insomma, se seguirete il racconto fino in fondo, con tutto il materiale che ho raccolto penso che arriveremo insieme fino a Natale! 🙂

Dove il vento dell’est soffia ancora: secondo giorno a Sofia

Secondo giorno a Sofia, la capitale della Bulgaria. Due giorni intensissimi, in uno degli ultimi avamposti dell’Est che fu. Dopo il primo giorno di ambientamento, oggi è tempo di trottare. Vi racconto tutto, venite con me.

Il mercato delle donne e il Mercato centrale

DopoIMG_5800 il Sofia free tour di ieri, oggi ho un programma intenso. E’ domenica e fuori c’è un sole caldo e invitante. L’ideale per le prime tappe, tra l’altro entrambe attaccate all’albergo, il Zhenski Pazar Women’s Market o “Il mercato delle donne” e Central Market Hall (Tsentralni Hali) o Mercato centrale. Un giro anche veloce al mercato delle donne non dovete farvelo scappare, perché è uno di quei posti che non sembra essere stato minimamente toccato dal passare del tempo. Secondo me nell’800 era esattamente così come lo vediamo ora, con vecchietti che offrono mercanzie sul ciglio della strada e botteghe alimentari con prodotti di uso quotidiano. Non è un mercato per turisti, anzi, a parte me non ne ho visti altri in giro, anche perché oltre a qualche banchetto di frutta e verdura dal punto di vista dello shopping non è che offra molto. Eppure, penso che mi pentirò per sempre di non aver comprato delle ciotole di ceramica che il venditore voleva vendermi per pochi euro: “masterchef, masterchef”, probabilmente l’unica parola in inglese oltre ai prezzi che conosceva. Il mercato non è molto grande e alla fine mi sono ritrovata quasi per caso davanti all’entrata del mercato centrale. Che però ho trovato un po’ deludente. Forse, di mattina presto era anIMG_5810cora addormentato anche lui e sarebbe stato meglio visitarlo in un orario più centrale. O forse, avendo appena fato colazione, non c’era niente di mangereccio ad attrarmi particolarmente.

Monte Vitosha e la chiesa di Boyana

Pazienza, non volevo perdermi la gita fuori Sofia e ho soprasseduto. Direzione: Monte Vitosha e la chiesa di Boyana. Per gli appassionati d’arte è una trasferta imperdibile, considerato anche che si trova a non più di 10 km dal centro città. Quando arrivo è ancora presto e non c’è tanto movimento. All’arrivo, il tassista che mi ha accompagnato mi dice che abbiamo davanti la macchina del presidente della Bulgaria, che abita poco più in là, e che vorrebbe aspettarmi, ma io preferisco essere libera di rimanere sul monte quanto voglio senza pensieri. Faccio il biglietto e poi mi dirigo verso la chiesetta e una piccola porta chiusa. Non sono sicura che si entri da lì, ma d’altra parte non vedo altre possibilità nei paraggi. Chissà perché mentre aspetto mi vengono in mente i fratelli Grimm e la casa nel bosco. Per fortuna, dopo qualche minuto arrivano altri sparuti turisti e ci mettiamo in fila. Un custode apre la porta subito dopo e ci fa cenno di entrare. L’ambiente è microscopico: c’è una piccola anticamera, dove l’uomo ci fa segno di lasciare zaini, buste e qualsiasi bagaglio ingombrante e possiamo passare avanti. Nella sala principale, piccolissima, ci attende una ragazza, che nel tipico atteggiamento bulgaro rimane silenziosa e distante, ma disponibile a dare indicazioni su richiesta. Qui vi do un suggerimento: non abbiate paura di chiedere. Io l’ho sommersa di domande e ho avuto sempre soddisfazione. Anche perché senza chiedere dettagli mi sarebbero sfuggite la maggior parte delle particolarità. Sembrava quasi un disco, a domanda iniziava a rispondere a macchinetta. Poi silenzio. Domanda, macchinetta. Silenzio.

Vasiliy da Tarnovo

L’autore degli affreschi non è certo. Vengono attribuiti a un pittore bulgaro di epoca medievale di nome Vasiliy proveniente da Tarnovo, la vecchia capitale dell’impero bulgaro. La loro importanza consiste nella cura dei particolari e nel realismo delle forme. La prospettiva tridimensionale in affreschi del 1259, cioè pochi anni prima della nascita di Giotto, li ha fatti definire “Rinascimento bizantino”, accostandoli al Rinascimento vero e proprio. Anzi, dai bulgari Vasily viene considerato addirittura un precursore del rinascimento, con cui non poteva esserci stato alcun contatto, anche se ovviamente questa impostazione sembra più frutto del patriottismo che di ricerca storica. Comunque, rimane una testimonianza interessante, che l’Unesco ha inserito tra i patrimoni protetti dell’umanità e che per fortuna non è stata distrutta, come gli stessi bulgari volevano fare agli inizi del ‘900! Prima dell’uscita, anche il severo custode si ammorbidisce e vuole mostrarci qualche dipinto della sala d’attesa. E’ più gentile, ora che si è assicurato non abbiamo fatto danni. E’ ora di lasciare spazio ai turisti successivi, la visita dura in tutto non più di dieci minuti ma io mi ritengo soddisfatta. Al ritorno, decido di prendere l’autobus ma sbaglio direzione. L’autista, che approfitta della fermata per scendere e andare a riempire la bottiglietta d’acqua alla fontanella, mi risponde un secco “no!” quando gli chiedo se il suo autobus va verso il centro. Cambio carreggiata e vado dall’altra parte. Dopo dieci minuti passa l’autobus 64, semivuoto, che mi lascia in un parco dopo poche fermate.

Vitosha boulevard

Una passeggiata di circa 2 km in semi periferia e mi ritrovo all’inizio di Vitosha boulevard, nel giardino IMG_5813delle fontane. Acqua benedetta, dopo la passeggiata. E’ ormai ora di pranzo e la fame si fa sentire. Scelgo un locale internazionale nei pressi dove mangio un’insospettabilmente ottima tortilla messicana con panini al formaggio, riservando per la sera la prova della cucina bulgara. Nel pomeriggio ritorno nei due posti che mi avevano più colpito durante il Free Sofia tour: la Rotonda di San Giorgio e la cattedrale di Aleksandr Nevskij. La prima non mi colpisce particolarmente. All’esterno sembra monumentale, ma l’interno è scuro meno imponente e la cosa che mi è rimasta davvero impressa, a parte le figure dei ventidue profeti sotto la cupola, è lo spiritoso cartello affisso in tutte le lingue al portone d’entrata: “egregi ospiti, la visita del tempio è gratuita. Vi preghiamo di comprare gli oggetti del tempio, con questo riceverete la benedizione di Dio (grazie) e aiuterete la conservazione del patrimonio culturale. Grazie”. Dubito che l’intenzione fosse di essere spiritosi, ma l’effetto è esattamente questo!

La cattedrale di Aleksandr Nevskij 

Da lì mi dirigo direttamente alla cattedrale di Aleksandr Nevskij passando per il parco della Chiesa russa di San
IMG_5827Nicola, però m’imbatto casualmente in un mercatino di cimeli sovietici e antiquariato e una sosta è d’obbligo anche se alla fine non trovo niente che mi attiri davvero. Anche la cattedrale di Aleksandr Nevskij è più imponente vista dall’esterno, mentre all’interno è piuttosto scura, anche se in stile italiano decorato con alabastro e materiali pregiati. Il custode mi fa cenni esagerati per impedirmi di usare un telefono che comunque non avrei utilizzato. Ci mancherebbe altro, con tutti i cartelli che vietano foto, lo rassicuro sul fatto che non ho nessuna intenzione di trasgredire. Siamo partiti male, ma decido di rifarmi poco dopo. Le pareti sono coperte da dipinti e affreschi, la maggior parte dei quali raffiguranti santi bulgari e russi, nonché da icone che i fedeli utilizzano per il rituale ortodosso, ovvero un’invocazione seguita da un bacio sull’immagine, gesto che vedo fare a più persone. Sono convinta che quella su cui la maggior parte delle persone si soffermano sia quella di San Giorgio e torno all’attacco del custode per chiederglielo. La sua reazione è stata fantastica, travalicando ogni cultura e ogni popolo: prima mi ha guardato pensieroso, poi afflitto da evidente pena per un’eretica mi ha risposto “quello è Dio”. Ah, so sorry. Poi, evidentemente impietosito dall’empia, mi ha fatto cenno di seguirlo e mi ha portato di fronte a un dipinto d’angolo, molto più grande. “Quello è San Giorgio”, mi dice gentilissimo. Non c’è niente da fare, il carattere dei bulgari di Sofia è questo: prima scontrosi, poi disposti ad aiutarti in tutti i modi. Ricordatevelo, quando andrete a trovarli.

Il Teatro Nazionale Ivan Vazov e il mercato dei libri all’aperto di Piazza Slaveykov

IMG_5778Prima di cena ho ancora spazio per una sosta ai giardini municipali di fronte al Teatro Nazionale Ivan Vazov, uno degli edifici più belli della città secondo me. E’ qui che vedo come ai sofioti piace trascorrere il tempo libero quando il meteo lo permette, all’aperto, giocando a scacchi, con i tifosi di uno o dell’altro giocatore che si accaniscono come se fosse una partita di calcio, o improvvisando balli di gruppo in mezzo al parco con l’accompagnamento dei musicisti di strada. Al centro dei giardini ho anche trovato una vetrina di prestito libri che non potevo non fotografare. Meno male che erano tutti in cirillico, altrimenti avrei fatto la tessera. Al mercato dei libri all’aperto di Piazza Slaveykov, invece, non ho trovato purtroppo nulla che valesse la pena di comprare. Un giretto lo merita comunque, la piazza è completamente invasa dalle bancarelle e abbellita da panchine che simulano lo scaffale di una libreria e da una panchina, dove sedersi a fare due chiacchiere con le statue di bronzo di due scrittori bulgari, padre e figlio. C’è anche una libreria molto carina da segnalare, per chi ama il genere vintage inglese, la Elephant bookstore in Shishman 31, poco distante dal Palazzo di Giustizia.

Il Kavarma

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La giornata sta giungendo al termine, è ora di trovare una osteria bulgara e assaggiare i piatti tipici del posto. Sono fortunata, ne trovo una senza pretese a poca distanza dalla zona centrale di Sofia. La proprietaria mi offre una postazione che sicuramente riserva ai turisti, piena di cimeli e di vestiti tradizionali appesi alle pareti. Trovo l’allestimento un po’ kitsch, però apprezzo la cortesia. Il cibo è buono, anche se le porzioni abbondanti non mi consentono di provare troppi piatti. Scelgo il kavarma, un piatto unico piatto popolare della Bulgaria, che è in pratica uno spezzatino di maiale, agnello o pollo, con aggiunta di cipolla, funghi, peperoni, IMG_5794melanzane e formaggio, che mi hanno presentato in una ciotola di terracotta identica a quelle che purtroppo non ho comprato la mattina al mercato delle donne. Che peccato! Come dolce, ho preso uno yogurt bulgaro ai frutti di bosco che mi è piaciuto molto e anche facile da replicare a casa con yogurt greco misto a panna. Ad accompagnare il tutto, naturalmente la birra locale più famosa, la kamenitza. Avrei voluto assaggiare anche il vino, che dicono non sia affatto male, ma non c’è stato il tempo. Può essere un buon motivo per tornare, oltre alla mia ciotola non acquistata? Forse.

Intanto, è ora di andare via da Sofia. Saluto i bulgari e la loro capitale con сбогом (arrivederci)!

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