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Mario Testino, A beautiful world non globalizzato

Trovo bellissimo che Madonna negli ultimi anni si sia avvicinata così tanto alle sue origini da passare i suoi compleanni in Italia.
Quest’anno a Roma, dove l’abbiamo vista fotografata ai Musei Vaticani e mentre prendeva l’aperitivo a Piazza Santi Apostoli.
Ma Liza vostra ha fatto 2+2 e, soprattutto, il giorno prima era andata a vedere la mostra di Mario Testino a Palazzo Bonaparte, cioè nei pressi del famoso aperitivo in centro.

Che c’entra Madonna con Mario Testino?

Eh, avrete visto mille volte la foto della nostra icona pop preferita scattata dal fotografo. Ma non solo: Mario Testino dice di dovere a Madonna la sua grande notorietà, perché è stata lei a proporlo a Gianni Versace, lanciandolo così nell’olimpo della moda.
Olimpo da cui, nella terza parte della sua vita, Mario Testino è sceso, per riavvicinarsi alle sue origini. Quell’America del Sud che aveva lasciato da ragazzo per inseguire il suo sogno.
Curiosa la vita: in vecchiaia, cerchiamo le nostre radici lì dove si sono formate.

La mostra

L’idea nasce, infatti,  nel 2007, quando il fotografo decide di immortalare i costumi tradizionali della città di Cusco, in Perù, suo Paese Natale. Da lì, Mario Testino ha attraversato più di 30 Paesi, concentrando la sua arte sull’esplorazione dell’unicità culturale e tradizionale che ancora si trova in un mondo apparentemente globalizzato.

“Nei miei viaggi mi sono reso conto che quando un paese perde il legame tra la sua storia e il suo abito tradizionale, qualcosa di veramente prezioso è andato perduto”, dice lui.

Ed effettivamente nella mostra gli abiti tradizionali sono valorizzati enormemente, sembrano quasi sfilate di moda. Tanto che anche i costumi più vicini a noi, tipo quelli siciliani o sardi, sembrano quasi irriconoscibili. O forse siamo noi, come dice Mario Testino, che abbiamo perso il contatto con la storia?

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Altre mostre a Palazzo Bonaparte 

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Vienna in 48 ore, tra la Sacher e un Bacio di Klimt

Vienna in 48 ore è un po’ poco, è vero. Ma non sempre c’è molto tempo libero per viaggiare. E allora che si fa? Si fa come Ethan Hawke e Julie Delpy in Prima dell’alba, il film. Si cammina di notte e fino all’alba, per riprendere il treno (loro), o l’aereo (io), la mattina dopo. Venite che vi racconto.

Il bacio di Klimt

Il bacio di Klimt è uno dei motivi per cui spostarsi vale sempre la pena.  Chi di noi non l’ha mai visto? Nessuno. E’ perennemente in ogni gadget, tazza, shopper bag, quaderni e penne, ovunque. Forse troppo. Tanto che vi dirò, non mi aveva mai fatto battere il cuore. E invece. E invece, vederlo dal vivo wow, hanno dovuto chiamare i rinforzi per smuovermi da lì. Il fatto è che c’è talmente tanta gente, che bisogna avere pazienza, conquistarsi lo spazio e poi, una volta ammirato, lasciare il posto ad altri. In teoria. In pratica, è difficile che succeda, perché il quadro è ammaliante, da sindrome di Stendhal quasi. Il significato dell’opera dell’artista viennese è il trionfo della potenza vivificatrice dell’eros sulle differenze tra uomo e donna, che nel dipinto si fondono nell’oro. Che meraviglia! Non perdetelo, mi raccomando. Si trova all’Österreichische Galerie Belvedere, al primo piano. 

La Sacher Torte

Dopo aver assaggiato la Sacher torte a Trieste nel primo locale aperto in Italia da chi si vanta di possedere la ricetta originale,  il Caffè Sacher di Vienna, e aver dichiarato che non ne avrei mai mangiata un’altra in vita mia, ci ho ripensato. A questo punto, dato che sono sul posto, perché non provare la Sacher dei rivali? E così, eccomi a occupare un minitavolo da Demel, di solito strapieno di gente, ma basta scegliere un orario poco battuto per sedersi tranquillamente. Quindi, Caffè Sacher o Demel? Dipende dai gusti, per quanto mi riguarda dico Caffè Sacher. Anche per il particolare della panna, che servono solo su richiesta del cliente. Concordo, zuccheri non necessari, che rovinano il gusto ricco della torta.

Hundertwasserhaus

E’ un edificio particolare, nato come complesso di case popolari  nel 1986 per opera dell’architetto e artista Friedensreich Hundertwasser.  Le case sembrano formare un puzzle colorato, con forme ondulate e  rami che escono dalle finestre. La forma e i colori degli edifici invitano a pensare che è possibile cambiare il mondo. Nelle vicinanze, c’è anche un piccolo centro commerciale, realizzato nello stesso stile, oltre al Museo Hundertwasser, dove sono esposte le opere del creatore di questi palazzi. Vi dirò, non mi ha fatto impazzire: bella l’idea, ma probabilmente dell’originale destinazione non rimane nulla o quasi. Se qualcuno di voi ha più informazioni, che confermino o sconfessino questa mia sensazione, scrivete nei commenti.

I trasporti

Vienna è ben servita, credo che ci siano pochi dubbi in merito. Sono rimasta così poco che ho preferito girare a piedi per vedere il più possibile, ma Vienna ha una rete di tram eccezionale e per il turista vale la pena spostarsi con questo patrimonio dell’umanità. I collegamenti da e per l’aeroporto sono altrettanto comodi. All’andata, ho preso la metropolitana leggera; al ritorno, un pullman comodissimo che gira h24 e porta direttamente in aeroporto, a qualsiasi ora. Il pullman è stato la tappa finale della mia notte di passeggiate a Vienna, indimenticabile.

Dove alloggiare

Ho soggiornato nel quartiere degli artisti, perché lì ho trovato un albergo con buon rapporto prezzo-qualità, e ve lo consiglio. Il quartiere si chiama Spittelberg e si trova vicino al quartiere dei musei. Comodissimo, tranquillo e di recente tornato alla moda, con le sue botteghe artigiane e artistiche. Una nota di demerito la prende per il cibo, perché i posti consigliati non si sono rivelati all’altezza delle aspettative, ma sicuramente è stata sfortuna. Per mangiare vi consiglierei di spostarvi, o di mangiare in albergo direttamente.

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Mister OK, il 2024 parte male

Quest’anno è andata male, la tradizione di Mister Ok è stata rispettata solo in parte. Dal 1946 i romani si riuniscono su Ponte Cavour per dare il benvenuto al nuovo anno. Oggi il sole si è nascosto, ma la folla si è affacciata lo stesso sulle sponde del biondo Tevere. Solo che c’è stato un fuoriprogramma. Ora vi racconto.

 Il quartetto

Il quartetto si presenta al completo: Maurizio Palmulli, settantenne e attuale Mister Ok, che si tuffa con Marco Fois, Simone Carabella e Valter Schirra. E così, esattamente a mezzogiorno, partono i tuffi. 

Inizia Simone Carabella con un tuffo a candela

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A seguire, Valter Schirra, con un tuffo ben eseguito e il gesto di Mister Ok a indicare che va tutto bene quando riemerge. 

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Chiude, l’airone Marco Fois. 

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Rimane solo il protagonista, Mister OK, al secolo Maurizio Palmulli. Ma qui c’è il colpo di scena: Mister OK quest’anno non ce la fa, rinuncia, per malanni fisici. Però è qui, a festeggiare con gli altri, e come grida qualcuno tra la folla: “a volte, ci vuole più coraggio a fermarsi che ad andare avanti”. Noi li aspettiamo tutti l’anno prossimo, puntuali a Ponte Cavour!

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Perché Mister Ok?

Ve lo spiego qui.

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Vi piace questa tradizione romana? Cosa succede dalle vostre parti il primo dell’anno? Raccontatemi nei commenti!

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Trieste, una città che scrive è una città libera

Trieste. Sì, James Joyce. Ok, Umberto Saba. D’accordo, Italo Svevo. Certo, tutto giusto. Ma anche una città poliglotta, culturalmente vivace, che scrive. Sui muri, soprattutto. Si dice che l’anima di una città sia custodita dalle sue pareti.Nel caso di Trieste, è indubbiamente vero. Grazie al musical Il fantasma dell’Opera, per la prima volta in Italia, finalmente sono riuscita a visitarla. Venite che vi racconto.

Molo Audace

Se abitassi a Trieste, penso che starei qui tutte le sere, estate e inverno. Si chiama così, o meglio, è stato ribattezzato così, in onore  del cacciatorpediniere Audace, la prima nave della Marina Militare Italiana arrivata a Trieste il 3 novembre 1918. Anche oggi, devi essere audace per dichiararti dinnanzi a un tramonto così spettacolare. Credo, infatti, che sia uno dei posti più romantici che abbia mai visto. Se non sei in coppia, sembra che porti comunque fortuna percorrere i 2oo metri della passerella, bora o non bora, e arrivare a toccare la rosa dei venti posta alla fine del molo nel 1925 e costruita con il bronzo dei cannoni austro-ungarici. Fate l’amore non fate la guerra, sembra dirci. Come non essere d’accordo?

Piazza Unità d’Italia 

E’ la piazza principale di Trieste, quella che è stata testimone di tutti gli avvenimenti storici che hanno forgiato la città e l’hanno resa quella che vediamo ora. Circondata e difesa ai tre lati dal palazzo del governo in stile liberty, quello delle Assicurazioni Generali e del Lloyd Triestino e, l’ultimo arrivato, il palazzo del Municipio. L’ultimo lato è libero, ma non è sempre stato così, per guardare il mare. O essere guardati, dipende dai punti di vista. Il mare una volta invadeva la piazza e oggi vediamo delle luci blu sul pavimento dove prima c’era lo spazio per ormeggiare la barca. E’ una piazza maestosa, da attraversare giorno e notte per andare verso il mare o in uno dei mille locali che affollano il centro storico. E’ anche sede di concerti e qui ci sono alcuni dei caffè letterari più famosi e frequentati della città, di cui vi parlerò nel dettaglio più avanti. 

Castello di Miramare

Una gita che vi consiglio di fare, se avete abbastanza tempo. Non tanto e non solo per il castello, ma per l’ambiente circostante e il viaggio in traghetto per arrivarci. La visita può trasformarsi in una fantastica gita. Il Castello di Miramare è un elegante edificio realizzato in pietra d’Istria bianca che sorge sulla punta del promontorio carsico di Grignano, a pochi km dal centro città di Trieste.
L’edificio fu costruito tra il 1856 e il 1860 come dimora dell’arciduca Massimiliano d’ Asburgo e della sua consorte, la principessa Carlotta del Belgio. E anche oggi, dà proprio l’impressione di una casa abitata, non tanto di un museo. Solo che nessuno la abita più da decenni. E sapete perché? Sul Castello di Miramare pare che circoli una leggenda secondo la quale dormirci porterebbe sfortuna: i primi due proprietari ebbero una fine tragica e anche ai successivi non andò meglio, furono tutti infelici o danneggiati in qualche modo. Tanto che uno degli ultimi occupanti preferì dormire in tenda nel giardino! Sembra incredibile che un luogo così ipnotico possa portare sfortuna, eppure…sarà la natura a ribellarsi? Le scogliere sono selvagge e non vogliono essere domate. Allora non ci resta che girare per il parco, dove si potrebbe tranquillamente stazionare tutto il giorno. Certo, che strana la vita: Massimiliano e Carlotta qui avrebbero potuto trascorrere un’eterna luna di miele e invece…lui assassinato e lei tornata in Belgio dopo essere rimasta vedova.

Lungomare di Barcola e Faro della Vittoria

Purtroppo non ho avuto abbastanza tempo per visitare con calma questa parte di Trieste, ma se voi avete più giorni, fatelo. Il lungomare l’ho visto e fotografato dal traghetto che mi portava al Castello di Miramare (vedi sopra). Dal faro, si gode una vista spettacolare sul golfo ed è aperto al pubblico, con entrate contingentate. Spero di potervene parlare più approfonditamente la prossima volta!

Stabilimento La Lanterna

Anche detto El Pedocin, questo bagno ha una particolarità: è l’unico stabilimento in Italia in cui uomini e donne fanno il bagno e prendono il sole separati…da un muro. In acqua, però, c’è solo un cordolo a separarci, quindi chi vuole darsi un bacetto frettoloso e di nascosto può farlo ❤️
Nelle due ore di relax che mi sono concessa per staccare dal caldo cittadino, c’era una donna che ha fatto il bagno vestita, altre che vivevano il mare in assoluta naturalezza. Non vi dico come ho fatto io il bagno, non avevo previsto questa pausa e non ho portato con me il costume da bagno! 🙂
Insomma, assoluta anarchia per tutte, come è giusto.
L’ingresso costa 1 euro per tutta la giornata e all’interno troverete docce, bagni e bar. Gli animali non sono ammessi.

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Teatro Romano

Splendido, come tutti i teatri romani, in pieno centro, un po’ buttato lì. Pare che all’epoca della costruzione nel sito ci arrivasse il mare. E che sia stato piano piano sepolto dalle costruzioni intorno, per essere poi riscoperto nel 1938. Anche oggi, secondo me non è valorizzato abbastanza, solo gli amanti della storia romana si fermeranno a guardarlo ammirati. Peccato, l’ennesima bellezza seminascosta dall’incuria dei tempi moderni. Pensate come doveva essere scenografico in tempi antichi, con il mare ai suoi piedi.

Cattedrale di San Giusto

Sorge sulla sommità dell’omonimo colle che domina la città e solo per questo vale una visita, soprattutto se arrivate a piedi dalle scalette. Se avete abbastanza tempo, anche l’interno merita una visita. Altrimenti, giratele intorno e scoprirete una parchetto con resti romani, dove passare una mezz’ora di pace e tranquillità, e il castello di San Giusto. E’ un’area dove rilassarsi dalle fatiche della giornata. 

Castello di San Giusto

E’ una fortezza-museo dove sicuramente vale la pena di entrare, anche perché è considerato uno dei simboli della città. Io, purtroppo, sono arrivata all’ora di chiusura, anticipata per un concerto serale. C’era la cantante Alice quella sera e mi sono fermata a sentire le prove. Come me, anche tutte le persone che si stavano rilassando nel parco adiacente (vedi sopra).

Risiera di San Sabba

Volevo visitare la risiera di San Sabba da quando ho letto il romanzo di Kirk Douglas, Danza con il diavolo, che in parte è ambientato proprio qui. Come dice il nome, la risiera nacque tra fine Ottocento e inizio Novecento come stabilimento industriale per la lavorazione del riso. Cessata la produzione, a partire dal 1930 fu utilizzato dall’esercito come magazzino, fino a diventare una caserma nel 1940. In seguito all’occupazione del territorio da parte delle forze tedesche, l’ex opificio fu utilizzato come campo di prigionia provvisorio per i militari italiani catturati dopo l’8 settembre 1943 e successivamente trasformato in campo di detenzione. Dopo la liberazione e fino ai primi anni Sessanta, divenne poi campo di raccolta per profughi in fuga durante la “cortina di ferro”. Oggi, è un memoriale come quelli dei campi che si trovano in Germania. Inutile dire che la visita è dovuta, triste e anche commovente, per alcuni reperti, lettere soprattutto, che sono state raccolte ed esposte. Fa meno impressione, forse, perché conserva la struttura di uno stabilimento industriale abbandonato, nonché il nome di quella fabbrica. Ma le anime di chi qui ha lasciato la vita, si respirano lo stesso. Ci sono arrivata con una lunga passeggiata dal centro città fino in periferia, tornando poi indietro con un autobus. Se avete abbastanza tempo, vi consiglio di fare lo stesso, la distanza non è eccessiva e vedrete una Trieste diversa. Come vi consiglio di non perdere questa visita. 

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san sabba edificio principale logo

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Canal Grande

Mentre camminate per fatti vostri nel centro città, finirete per imbattervi nel Canal Grande di Trieste, e improvvisamente sarà Venezia. E’ stato infatti realizzato da un veneziano a metà del 1700 perché le navi in arrivo potessero scaricare le merci in centro città,  è navigabile e si trova nel cuore del Borgo Teresiano. Per chi ama la fotografia e la letteratura, è una tappa imprescindile. E’ circondato di Palazzi, uno più bello dell’altro, ed è attraversato da due ponti pedonali, Rosso e Verde, e una passerella. Sul Ponte Rosso mi aspetta una vecchia conoscenza, vado a presentarmi.

Ponte Rosso e la statua di James Joyce

Proprio lui, il mio amato James Joyce. Sì, lo so, la cara Virginia Woolf non sarebbe d’accordo, ma che posso farci? Gente di Dublino ancora oggi è uno dei miei libri preferiti, prima o poi dovrò rileggerlo e parlarvene. Tornando alla statua di Joyce: si presta a mille foto curiose. L’avrei preferita rivolta verso il mare, ma chissà: Joyce lo guardava il mare quando passava di lì? Nel Museo di Joyce non ne parlano.

Museo Joyce

Il museo che Trieste ha dedicato a Joyce si trova a due passi dal b&b che ho scelto per soggiornare, quindi non potevo non farci una capatina. Nato nel 2004 grazie a una donazione privata, sancisce il lungo rapporto che lega lo scrittore irlandese alla città e si trova al secondo piano della Biblioteca Civica Hortis. All’interno, c’è anche il museo sveviano dedicato a Italo Svevo, proprio a sottolineare il rapporto profondo tra i due.  Il museo raccoglie e conserva materiali e documenti originali sul periodo trascorso da Joyce a Trieste, contiene una biblioteca con le edizioni delle sue opere, strumenti critici in varie lingue e una collezione completa delle maggiori riviste di argomento joyciano in lingua inglese. Considerato anche il costo esiguo, se siete joiciani come me, non potete non rendere omaggio con una visita. 

Cosa mangiare

A Trieste si mangia non beve, benissimo, e c’è un’usanza divertente. Vai in un’osteria tipica e lasci fare all’oste. Io ne ho scelto uno che  mi ha suggerito il proprietario del b&b in cui ho alloggiato. E’ antipatico, però cucina bene. E allora, nessun problema. Alla fine non era neanche antipatico, solo umorale. Da lui ho assaggiato per la prima volta in vita mia i sardoni in Savòr , cioè alici con le cipolle, marinate nell’aceto bianco. A casa, invece, mi sono riportata il Presnitz,  un arrotolato di pasta sfoglia ripieno di un trito di frutta secca, cacao e rum, e la Putizza, un lievitato tipico pasquale che però si trova nelle pasticcerie tutto l’anno. A Trieste ha anche aperto una sede dell’Hotel Sacher di Vienna e io non potevo non assaggiare il famoso dolce austriaco dai detentori (?) della ricetta originale. Sono uscita pienamente soddisfatta. Non parliamo poi dei caffè letterari, una vera benedizione per ogni lettore e scrittore che si rispetti. Ma ve li immaginate mentre stazionano in questi ritrovi per intellettuali e discutono, pensano, scambiano informazioni e pareri, per poi tornare a casa nella solitudine della propria carta e penna? Io sì, come se fossero qui, ora, al mio fianco.

Dove alloggiare

Ho soggiornato nella centrale ma non troppo via di San Michele, e ve la consiglio perché mi sono trovata molto bene. La via è abbastanza trafficata, ma il quartiere è tranquillo e vicinissimo a tutti i punti storici e ai servizi.  Il b&b che ho scelto è vecchio stampo, con una cucina in comune e la colazione preparata dal proprietario, con la possibilità di chiacchierare al tavolo con gli altri ospiti. Attenzione solo alla scelta dell’alloggio, perché le case sono antiche e molte non hanno l’ascensore, quindi non accessibili a chi ha problemi di deambulazione o un’età avanzata. Chiedete prima di prenotare.

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Copenaghen: la felicità? Una porta che si apre

Copenaghen. Una porta che si apre, finalmente. Quella dell’aeroporto, dove non mettevo piede da un po’. E quella del viaggio, dentro me stessa e non solo. Copenaghen, il Nord Europa, Hygge, design, tranquillità. Un periodo non facile, questo, e voglia di staccare la spina. Ma cos’è la felicità? E cosa c’entra con le porte? Venite che vi racconto questo viaggio alla ricerca della felicità.

Un passo indietro

Partiamo da Søren Kierkegaard, teologo e filosofo esistenzialista danese, e da una delle sue frasi più famose. «La felicità è una porta che si apre dall’interno: per aprirla, bisogna umilmente fare un passo indietro». E il passo indietro, per chi come me visita per la prima volta il nord Europa, è osservare senza giudicare. Perché Copenaghen è una città piccola, con pochi abitanti, con uno sviluppo relativamente recente e pochi monumenti da visitare. Per questo troverete scritto in molte guide che “bastano due giorni per visitarla. E’ vero, per girarla bastano due giorni. Ma per sentirla? Facciamo un passo indietro. 

kierkegaard statua con logo

Hygge

Qui devo introdurre questo concetto, che sembra facile, ma non lo è. Oppure, potrebbe essere confuso con un’operazione di marketing per vendere la Danimarca ai turisti. Probabile che in parte ci sia anche questo, ma Hygge (Hyu-ga la pronuncia) è soprattutto un modo di sentire, di vivere, di relazionarsi con gli altri e con se stessi. E’ una filosofia di vita, la realizzazione pratica di quello che Kierkegaard sosteneva teoricamente. E’ un termine intraducibile, di dubbia origine, che si avvicina al concetto di benessere, di pietas nel senso latino del termine. Se la Hallyu coreana è un’onda che proietta la Corea del Sud all’esterno, l’Hygge danese proietta noi stessi verso gli altri, perché se la comunità funziona e si stringe, l’individuo vive bene, ha tempo da spendere per sé e per le persone care, vive in un contesto cui sente di appartenere. Ama trascorrere il tempo con gli amici e la famiglia e ricercare piaceri semplici, che lo facciano stare bene. Ecco, questo in sintesi è Hygge. Che ne pensi? Credi alla possibilità di vivere in questo modo? Non ero molto convinta all’inizio, ma questo è quello che ho visto e percepito. Ora vi dirò dove ho visto l’hygge a Copenaghen e dove, invece, non c’è e dovrebbe esserci.

Cosa vedere a Copenaghen

C’è l’imbarazzo della scelta, ma dato che di solito è una di quelle città cui le guide online attribuiscono due-massimo tre giorni di visita, mi limiterò a dirvi quello che ho visto io, in pieno spirito hygge. Cioè senza correre e affannarmi inutilmente, proprio come fanno i danesi. Anche perché ho trovato un caldo a dir poco anomalo e non avevo seguito il principale consiglio hygge da dare a tutti: vestitevi a cipolla! Stavolta non metterò le attrazioni in base al giro che ho fatto, ma solo in ordine rispetto a quanto mi sono piaciute. La città è girabile tranquillamente secondo le tappe che più vi aggradano, la metropolitana è efficiente e arriva ovunque, ci sono barche e biciclette in quantità per assicurare mobilità sostenibile. Insomma, l’imperativo è rilassatevi e godetevela.

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Nyhavn e Il giro dei canali

Se avete tempo, affittatevi una barchetta e andatevene a zonzo per i canali, ma attenzione a non essere falciati dagli autobus di linea, che suoneranno senza pietà. Per mancanza di spazio, ho scelto la crociera sui canali di un’ora, che parte a tutte le ore a un prezzo ridicolo, circa 7 euro a persona. Non fatevela mancare, mi raccomando. Primo, perché durante il giro vi faranno vedere posti che probabilmente non riuscirete a vedere da vicino, secondo perché è proprio rilassante. Toccherete con mano quanto si godano la vita i danesi, in barca con l’aperitivo, su spiaggette improvvisate con un tuffo in acqua, sulle banchine del porto a chiacchierare o ascoltare musica.

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La pace dei sensi, veramente. Io ho scelto il tramonto perché i colori sono spettacolari, anche se ho pagato con una sirenetta totalmente in ombra. Che però il giorno dopo era in pieno sole, quindi poco male. La crociera è fantastica anche perché mi ha dato un assaggio di come stiano costruendo i nuovi edifici e quartieri, all’insegna del design e della vita in comunità.

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Dopo essere scesi dalla barca, il quartiere Nyhavn offre di tutto e di più per mangiare. Alcune delle cose che ho assaggiato le trovate in basso, nella sezione Cosa mangiare a Copenaghen. Questo tratto di porto è famoso per gli smørrebrød, che dovete necessariamente accompagnare col grappino locale, lo Snaps.

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Il diamante nero della biblioteca reale

Una biblioteca futuristica, che affaccia su un canale,  costruita con materiali di granito nero proveniente dallo Zinbawe e vetro affumicato e vetrate di 6 metri per 2,5 metri. Un gioiello di architettura, che cambia sfumatura nel corso della giornata, a seconda del riflesso del sole. Pensavo fosse tutta scena e quando l’ho vista durante la mini crociera dei canali, confesso che non mi ha fatto tutta questa impressione. E poi, lo Zimbabwe, spero che non ci siano problemi di etica e diritti umani dietro questa magnificenza. Dall’interno, però, è tutta un’altra storia. Gli otto piani, tutti accessibili, sono completi di balcone- corridoio a forma di onda che permettono una visita a 360° dello spazio accessibile. Soprattutto, l’edificio è un punto di riferimento per studenti, ricercatori e semplici appassionati, dato che ospita mostre permanenti e temporanee di fotografia e un numero notevole di volumi. Sono rimasta poco, purtroppo il tempo a disposizione non era moltissimo, ma rispecchia in pieno il mood hygge della citttà. Non solo per l’atmosfera pacifica che regna all’interno, nonostante una spaziosa caffetteria, ma anche per la vista sull’acqua, le centinaia di biciclette parcheggiate fuori, le persone con libri o caffè in mano sedute sugli argini a chiacchierare o studiare.

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L’edificio, poi, è collegato con l’antica biblioteca, dall’interno e dall’esterno. Basta attraversare la strada e ci si ritrova a salutare la statua di Kierkegaard (sempre lui, quello della porta che si apre da cui siamo partiti) nei giardini del vecchio edificio. Futuro e passato che si intrecciano, guardare avanti senza dimenticare quello che è stato. Molto, molto hygge. Ho attraversato i giardini per andare al mio vero obiettivo, la torre rotonda.

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La torre rotonda

La Rundetårn (torre rotonda) di Copenaghen è un edificio che ha tanto da dire. Intanto, ospita l’osservatorio astronomico più antico d’Europa ancora in funzionamento. In secondo luogo, dalla cima si gode una vista a 360 gradi sulla città, come sulla Tour Montparnasse di Parigi o la Seoul Tower coreana. La torre fu costruita nel 1642 per volere di Re Cristiano IV,  proprio per creare il primo osservatorio astronomico di Copenaghen. Per arrivare in cima, bisogna inerpicarsi in salita su per una rampa a spirale. Dopo sette giri e mezzo e un semaforo che dà il via libera alle ultime scalette, si arriva al Belvedere della Torre Rotonda, situato a 34,8 metri d’altezza. Putroppo l’unica via di accesso sono queste minuscole e ripide scalette, quindi l’ultimo tratto non è accessibile a persone con disabilità e anche quello precedente è faticoso. Perché il re l’ha voluta così? Perché voleva raggiungere la cima dell’osservatorio in sella al suo cavallo. E ancora oggi i manutentori salgono con un carrellino elettrico, visti in diretta. Prima o dopo la salita al belvedere,  tanto per spezzare il fiato, ci si può fermare all’antica biblioteca, oggi trasformata in spazio espositivo, e alla soffitta delle campane, che però al momento è chiusa per restauro. 

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La sirenetta

Criticatissima da residenti e turisti e sito preferito dai danesi per dimostrazioni e deturpazioni varie. Criticata, perché? Per la posizione decentrata, perché meno maestosa di quanto sembri in foto, per l’espressione triste…queste alcune delle rimostranze che ho letto in giro. Innanzitutto, la posizione non è per niente decentrata, la sirenetta viene raggiunta sia dalle imbarcazioni sia da terra. Dopo essere scesi dalla metropolitana, c’è un po’ di strada da fare attraverso un bel parco. E’ probabile che i danesi abbiano scelto quella posizione per lasciarla tranquilla. Negli anni, è stata tutto fuorché tranquilla, ma questa è un’altra storia. La storia della statua risale al 1913, anno in cui il figlio del fondatore del Birrificio Carlsberg decise di fare un regalo alla città, affidandone la creazione allo scultore Edvard Eriksen. Come modella per la statua, lo scultore scelse sua moglie, ispirandosi a un balletto del 1909. Non è maestosa, è vero, è questo la rende umana. Molto umana. Come l’espressione triste. Non è vero che aspetta il principe, attenzione! Lo leggerete ovunque, ma non è la verità. Aspetta un bambino buono a cui sorridere. Piange, invece, se incontra un bambino cattivo. E voi? Che bambini siete? Buoni o cattivi? A me ha sorriso il sole dietro le sue spalle, e pare sia evento abbastanza raro. Mi ha ricordato la storia della costola di balena di Verona che vi ho già raccontato. La sirenetta non può aspettare il principe, perché un’anima immortale non può dipendere dall’amore di un uomo. E il principe di Hans Christian Andersen era già sposato, non sarebbe potuto tornare…ma anche questa è una storia che un giorno vi racconterò meglio. 

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Fontana di Gefion

Scendendo a sud lungo la riva del canale, ho incontrato la Fontana dedicata alla dea Gefion, raffigurata mentre sprona quattro grossi buoi legati a un aratro. Dice la leggenda  che Gefjun avesse chiesto della terra al re di Svezia e che questi le avesse promesso un regno grande quanto quello che sarebbe riuscita ad arare in una notte. La donna, allora, trasformò i suoi figli in buoi e scavò un’enorme quantità di terra, che venne riversata nel mare creando la Zelanda. Zelanda è l’isola su cui si trova Copenaghen. Anche questa statua è stata donata alla città da Carlsberg e, da una certa prospettiva, sembra quasi che Gefjun voglia colpire con la frusta il campanile della chiesa anglicana di St. Alban, che è lì nei pressi. Sarà un caso? Chissà. 

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Strøget

E’ un’isola pedonale del centro storico, la più lunga d’Europa, chiusa agli estremi dalle due maggiori piazze della città, la piazza del Municipio e Kongens Nytorv. Merita un giretto, i negozi sono belli ed è curata. Nei dintorni è pieno di locali in cui fermarsi dopo aver fatto shopping. Sempre che il biglietto aereo vi consenta di allargarvi con gli acquisti!

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Il cambio della guardia

Questa è stata una tappa imprevista, non avevo pensato di fermarmi per il cambio della guardia. Diciamo che è stato il cambio della guardia a fermare me, perché mi trovavo nella piazza quando hanno effettuato la sostituzione delle postazioni. Non è il vero e proprio cambio della guardia, che avviene in pompa magna a mezzogiorno, però mi è piaciuto molto, è stata una scena divertente e anche molto ravvicinata. Quando c’è qualcuno a palazzo, sventola la bandiera danese, così tutti i danesi sanno che qualcuno dei reali è in casa. Non è anche questo molto hygge?

cambio della guardia

Cosa mangiare a Copenaghen

Vi diranno e leggerete ovunque che Copenaghen è cara, ha prezzi altissimi, quasi inavvicinabile. Guardate bene la data in cui è stato scritto questo commento. Oggi, con i prezzi alle stelle, è diventata non dico abbordabile, ma sicuramente molto simile a qualsiasi ristorante di medio livello in Italia. Dato che anch’io avevo letto questi commenti sui prezzi, per andare sul sicuro ho preso un albergo con prima colazione. Ho fatto bene? Non lo so. Sicuramente era abbondante e ottima, tanto da farmi saltare anche i pranzi. Ma in giro ho visto tanti di quei bar con lievitati golosissimi e la fila per entrare, che forse sarebbe stato meglio rinunciare e andare all’avventura. Il caffè a me è piaciuto, è un caffè lungo servito in tazza da cappuccino, l’ho ordinato al ristorante per terminare la cena e ci ho messo tre ore per finirlo…haha. Ero convinta di aver ordinato il caffè in tazzina!

Questo è quello che sono riuscita ad assaggiare io:

Smørrebrød

Il nome significa sandwich, ma in realtà sembra più una bruschetta di pane non tostato. Quella che ho mangiato io è stata presentata al tavolo scomposta, cioè con un pezzo di pane di segale spalmato di burro e gli ingredienti intorno, da aggiungere a piacere. Nel mio caso, salmone, aneto, insalata e cipolla. Buono, niente da dire. Una bruschetta fa sempre il suo dovere. Il pane danese è veramente eccezionale e fa la differenza, in tre giorni ne ho assaggiati diversi tipi e tutti ottimi. Accostatevi, quindi, allo smørrebrød senza paura. Di locali e localini che lo propongono ne troverete tantissimi: io l’ho considerato un antipasto per la cena, ma volendo può essere anche pranzo veloce con più assaggi. L’unica cosa importante da ricordare, è che va accompagnato con lo Snaps, un’acquavite tipica che ricorda la grappa. Non troppo forte, l’abbinamento è vincente, provate.

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Stegt flæsk

Se trovate Stegt flæsk e mangiate carne, ordinatelo perché i danesi lo considerano il loro piatto più rappresentativo. E’ composto da fettine di maiale arrosto con salsa al prezzemolo e contorno di patate. La particolarità è nel tipo di preparazione e cottura, che rende la cotenna delle fettine molto croccante, come la crosta della porchetta, per intenderci.

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Aringhe marinate

Le aringhe marinate sono buone a tutte le latitudini, non siete d’accordo? A volte sono farcitura dello smørrebrød, a volte, come nel mio caso, presentate come antipasto a sé.

Salmone

Altro piatto tipico, il filetto di salmone al forno con patate duchessa, servito su un pezzo di massello di rovere e accompagnato da burro alle erbe. Basta e avanza per una cena da re o regina. 

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Wienerbrød

Qui bisogna aprire un capitolo a parte. I wienerbrød, letteralmente pasticceria viennese, sono i famosi danesi che mangiamo anche noi. Solo che a Copenaghen li fanno in tutte le fogge e farciture possibili e immaginabili. Ai danesi, infatti, amano trascorrere ore e ore nei caffè o nelle pasticcerie a fare…niente. Solo tempo di qualità: chiacchierare, stare in compagnia, gustare un buon caffè lungo o un succo di frutta. Molto hygge anche questo! I miei wienerbrød preferiti sono quelli alla cannella, che fanno tanto Natale tutto l’anno.

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I biscotti danesi

Me li sono portati a casa, con la famosa biscottiera che tutti abbiamo visto piena di aghi e fili nella nostra infanzia. In verità, io le ho sempre viste anche prima di diventare scatola contenitore, quindi li conosco bene. Quelli che ho scelto, presi all’aeroporto e in offerta, sono infinitamente più buoni di quelli che conoscevo. Forse per il sentore di vaniglia, più forte. O forse solo perché mi ricordano l’infanzia, chissà. Comunque, ve li consiglio, acquistateli.

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Grød

E’ un dolce al cucchiaio che in teoria servono dopo pranzo o cena e che, invece, ho trovato nella colazione dell’albergo. Infatti secondo me è più da colazione, ma sono gusti. E’ di fatto un porridge con frutta fresca sopra, personalmente non lo prenderei dopo i pasti principali. 

Sportskage

E’ la specialità della pasticceria La Glace, molto conosciuta a Copenaghen e che non potrete non notare durante una passeggiata a Strøget. E’ stata inventata proprio dalla pasticceria per lo spettacolo “Sportsmænd”, presentato per la prima volta il 18 novembre 1891 al Folketeatret di Nørregade. La “torta sportiva” è composta da granella di torrone, panna montata, base di amaretti e bignè di pasta choux caramellati. Trovo divertente che una bomba calorica del genere si chiami “sportiva”. Sportiva perché per smaltirla devi fare molto, molto sport! Sono stata indecisa fino all’ultimo se prenderla o no e alla fine ho ceduto. Ho preso una fetta e l’ho mangiata su una panchina lì vicino. Mi è piaciuta soprattutto la panna, freschissima. Considerando anche il prezzo non proprio abbordabile, pazzia da fare se siete molto, molto golosi. 

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Informazioni utili

L’aeroporto si trova a poca distanza e girare la città è molto semplice. E’ piccolina e non farete fatica ad orientarvi. Tutte le case o gli alberghi centrali o semicentrali vanno bene, perché gli spostamenti sono rapidi e h24. Per quanto riguarda gli abbonamenti per i trasporti, valutate bene cosa attivare. Io ho preso una mini card 24 ore all’aeroporto e una seconda mini card 24 ore per tornare in aeroporto, lasciando il secondo giorno senza trasporti perché ho girato a piedi. Dal punto di vista economico, mi è convenuto così rispetto alla card 72 ore. Discorso che vi sembrerà un po’ nebuloso, ma se guardate i prezzi dei vari abbonamenti potrete farvi un’idea di quello che vi conviene di più in base alle vostre esigenze di spostamento. Poi ci sono anche noleggio biciclette o barche, ma non ne ho usufruito. Dico solo che molte guide vi spaventeranno dicendo che i danesi sfrecciano in velocità in bicicletta, ma posso dirvi che non è vero. Affittatele tranquillamente se vi piacciono le due ruote.

Che ne dite? Vi piace l’idea di un giretto in Danimarca? Se avete altre curiosità o domande, scrivetemi nei commenti! 

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