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Bridget Jones, buon compleanno Helen Fielding!

Anche le ragazze crescono. Helen Fielding, la creatrice di Bridget Jones, compie 60 anni e mi sembrava giusto festeggiarla leggendo finalmente uno dei libri della saga. Ho scelto l’ultimo, Bridget Jones, mad about a boy, semplicemente perché la piattaforma del treno che mi stava portando a sciare lo aveva in lista. Confesso di non essere una sua fan, però vi dirò onestamente cosa ne penso, come sempre.

La trama

Bridget Jones è diventata grande. È ancora ossessionata dai chili, frequenta gli amici di sempre, ma ora deve occuparsi da sola dei suoi figli, dopo che la scomparsa di Mark Darcy l’ha lasciata precocemente vedova. Bridget è come sempre alla ricerca di equilibrio e sbarca su twitter, dove conosce Roxter. Un ragazzo parecchio più giovane di lei. Con in testa questi e altri problemi, inciampa tra un ostacolo e l’altro della sua nuova vita da mamma single. Intanto twitta, dimagrisce e butta giù elenchi di cose da fare. Soprattutto, vuole riprendere la vita amorosa, a dispetto di quella che alcuni, con espressione odiosa e sorpassata, si ostinano a chiamare mezza età. Solo che non è facile stare dietro a un ragazzo famoso, al gruppo delle madri dei compagni di scuola dei figli e all’insegnante di educazione fisica Mr. Wallaker, che la fa sentire come se di anni ne avesse sette.

Lei non è tanta, è troppa

Come ho dichiarato in premessa, è il primo romanzo della serie che leggo. Per le altre puntate mi sono limitata a vedere i film, che mi sono piaciuti ma non mi hanno mai fatto impazzire e non solo perché Renée Zellweger non è tra le mie attrici preferite. E’ che ho sempre trovato il personaggio di Bridget sopra le righe. Con lei e accanto a lei è sempre tutto troppo. Lei non è tanta, è troppa. Attenzione, non sto parlando di peso, che è il problema su cui si fissa e che invece nasconde naturalmente altro. Comunque non divaghiamo. Dicevo, è troppa. Solo che, come sempre, quando i film nascono da un romanzo, soprattutto se il film in questione ha successo, bisognerebbe sempre tornare all’origine, cioè alla penna che l’ha creato. In realtà ho iniziato a leggerlo per un motivo banale e casuale: mi trovo su un treno e la piattaforma offriva poca scelta. Tra andata e ritorno, Bridget dovrei riuscire a finirla, ho pensato. E così è stato.

Un disastro su tutta la linea

Vi dirò, l’ho trovato spassoso e non così banale come la ragione per cui l’ho aperto. Dai commenti dei fan storici della serie, ho capito che questa conclusione non è proprio piaciuta. Secondo me più che altro perché Helen Fielding decide di togliere di mezzo Mark Darcy e questa cosa alle lettrici storiche non è andata giù. Nel mio caso poco male, io ho sempre preferito Daniel! E anche lui qui non è messo benissimo. D’altra parte, tra un protettivo e un lazzarone, la scrittrice preferisce una via di mezzo più adatta a una…età di mezzo. Già, la cosa più interessante del romanzo è proprio che la protagonista ha passato da un pezzo l’età per combinare pasticci eppure lei continua a essere un disastro su tutta la linea. Solo che ai tormenti sulla singletudine ha aggiunto quelli sulla vecchiaia, la paura di non essere una buona madre, i tormenti di una madre sola costretta a fare da padre. Allora, saggiamente, decide di buttarsi sui…social network e i toy boy. Con pessimi risultati, sia nell’uno sia nell’altro caso. Anche lei si ritrova come Murakami in A sud del confine, a ovest del sole nella fase delle riflessioni pesanti sulla propria vita e le proprie scelte. Come ho scritto in quel caso, “Noi, invece, rincorriamo la giovinezza, i divertimenti, seguiamo un modello di vita che ci impone la società, o la famiglia, a volte senza mai davvero prendere le redini della nostra esistenza”. Riuscirà Bridget a invertire la rotta e a ritrovare un equilibrio? Questo ve lo lascio scoprire nel caso decidiate di leggerlo.

Un’anima bambina governerà il mondo

Mi limito però a osservare che applicare i canoni del chick lit a una Bridget Jones ultracinquantenne e riuscire a far funzionare la trama non è da tutti ed Helen Fielding in questo è una maestra. Se la facesse bere di meno e se non avesse scelto il gufo come metafora del suo amore passato, c’erano altri mille animali tra cui scegliere, l’avrei promossa a pieni voti.

Ma ora è tempo Helen Fielding at a book signing for Bridget Jones: Mad About the Boy at Foyles bookshop in Londondi festeggiare. Quindi, in alto i calici e brindiamo: buon compleanno Helen. Ad altre dieci, cento, mille Bridget che non nascondono un’anima bambina. L’ironia delle donne che si ribellano alla “chat delle madri“ prima o poi governerà il mondo!

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Biscotti, dolcetti e una tazza di tè – Vanessa Greene

Vanessa Greene per il suo debutto sceglie una favola leggera e senza pretese, da leggere in una o due serate fredde, in compagnia di una tazza di tè. Naturalmente vintage! Per un attimo Alison fissò il vuoto, poi tornò fra le sue amiche con un sorriso. «Bisogna godersi la vita finché si è giovani e in salute, non credete?». Jenny sollevò con una mano un bicchiere di limonata, e con l’altra il cartone di pizza. «Ehm… Allora faremmo meglio a darci da fare. Non ci resta ancora molto tempo», disse guardando le altre.

La trama

Jenny ha ventisei anni, lavora nell’editoria e sta organizzando il matrimonio dei suoi sogni. Maggie gestisce un negozio di fiori e si è lasciata alle spalle un rapporto doloroso. Alison ha sposato il suo primo amore e ha due figlie. Tre donne in tre fasi diverse della vita si ritrovano un giorno in un mercatino dell’antiquariato a contrattare per accaparrarsi lo stesso servizio da tè. Per uscire da quella strana situazione decidono di acquistarlo in società e condividerlo. Giorno dopo giorno, tazza di tè dopo tazza di tè, tra chiacchiere, pettegolezzi e piccoli segreti, finiranno per scoprire un’amicizia che cambierà le loro vite.

Biscotti, tè e…vino a fiumi

L’attacco del libro di Vanessa Greene è piacevole. Tre donne che girano per un mercatino s’imbattono in un servizio da tè, che per motivi personali o lavorativi vorrebbero acquistare. Ovviamente, un’incauta lettrice sarebbe portata a pensare che il venditore faccia partire un’asta tra le tre, oppure che litigando finiscano per romperlo. Invece no, le tre donne in questione si accordano quasi subito per utilizzare a turno il servizio in questione. Da questo incontro casuale, nasce una bella amicizia al femminile, pur essendo Jenny, Allison e Maggie in situazioni personali ed età differenti. Il titolo originale, infatti, è The Vintage Teacup Club, il Club del servizio da tè vintage, e come quasi sempre accade è più azzeccato di quello tradotto, anche se l’avrei intitolato “Club del tè e del vino“. Perché le tre donne prendono l’abitudine di incontrarsi e raccontare quello che accade nelle loro turbolente vite, scolando nel frattempo litri di tè e di vino. Una lo racconta addirittura in prima persona ed è una scelta curiosa, forse nata con l’intenzione di movimentare un po’ la narrazione, e neanche tanto azzeccata.

Quasi una favola

Il romanzo di Vanessa Greene può infatti essere considerato quasi una favola e come tale secondo me dovrebbe essere letto, in uno o due pomeriggi freddi con in mano una tazza di tè, possibilmente vintage. Non ci sono grandi agganci con la realtà: le protagoniste svolgono lavori di moda nei libri del genere romance, una è fiorista, l’altra editor di una casa editrice e la terza confeziona candele artigianali che consentono alla famiglia di sopravvivere pur in presenza di figli e un marito disoccupato. Anche i personaggi maschili sono piuttosto stereotipati, mariti indolenti o traditori e fidanzati innamorati ma infantili , tutti però funzionali alla fiaba che l’autrice vuole raccontare. Nulla turba più di tanto un’atmosfera idilliaca rafforzata dal contesto in cui si muovono, un piccolo villaggio inglese di quelli resi famosi da tante scrittrici britanniche, dove i rapporti sociali sono semplici e soddisfacenti. Il contrario di quello che descrive J. K. Rowling ne Il Seggio vacante! Le storie d’amore e lavorative andranno esattamente come chi legge si aspetta che vadano e direi che da una lettura di San Valentino non ci si può, e non ci si deve, aspettare niente di diverso.

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A sud del confine, a ovest del sole – Haruki Murakami

Sono ospite in una locanda letteraria in montagna. In una stanzetta arredata per la lettura, con scaffali di legno, poltroncine e un servizio da tè d’argento, l’angolo di un libro spunta sotto una colonna orizzontale di volumi appoggiati distrattamente su una mensola. E’ Haruki Murakami, uno dei miei autori contemporanei preferiti, che mi sta chiamando. Adotto il romanzo che mi ha scelto e inizio a leggerlo in camera. Accendo il bollitore e mi preparo un tè forte: ho solo due giorni per finirlo e poi lo dovrò riconsegnare agli albergatori. Leggo l’incipit. E’ una storia d’amore. Bene, iniziamo…

La trama

Hajime è nato “nella prima settimana del primo mese del primo anno della seconda metà del ventesimo secolo”. Per questo i suoi genitori gli hanno dato quel nome, che significa «inizio». Il desiderio più grande di Hajime è essere un ragazzino normale, ma a differenza dei compagni di scuola è figlio unico. Poi, un giorno, in classe arriva Shimamoto. Anche lei è figlia unica, e una leggera zoppìa sembra isolarla ulteriormente dal mondo. Shimamoto e Hajime diventano amici e trascorrono pomeriggi interi ad ascoltare dischi di jazz. Quando i genitori di Hajime si trasferiscono in un’altra città, l’amicizia tra i due s’interrompe. Hajime cresce, si laurea, trova lavoro, si sposa, fa figli. A trentasette anni si direbbe realizzato: ha moglie, due figlie, gestisce un locale jazz di successo. Finché, in una serata di pioggia, a un tavolo del suo locale si siede Shimamoto. La sua improvvisa ricomparsa manda tutto all’aria: certezze, convinzioni, l’immagine di sé che Hajime aveva faticosamente costruito, quell’impressione di normalità che aveva inseguito dall’adolescenza in poi. Improvvisamente, Hajime sente il bisogno di rimettere tutto in discussione.

Tempus fugit

Haruki Murakami ha scritto questo romanzo a 42-43 anni, più o meno. Cioè quando era leggermente più vecchio del suo protagonista e, forse, nel momento in cui si sentiva smarrito e in preda a riflessioni pesanti sulla propria vita e sulle proprie scelte. Certo, è sempre un azzardo leggere elementi autobiografici nell’opera di uno scrittore, perché se è vero che la creatività è alimentata da esperienze e fatti personali, è altrettanto verosimile che la rielaborazione del pensiero creativo porti il romanziere ad astrarsi da vicende unilaterali per porsi su un piano di riflessione collettiva e universale. Sta di fatto, tuttavia, che Hajime possiede un locale jazz notturno, come Haruki Murakami prima di diventare famoso, e che il protagonista sia uno sportivo, come il narratore. Il resto riguarda tutti noi a una certa età, chi più chi meno: un grande amore del passato che si rifà vivo, se non fisicamente almeno nella coscienza, e una pulsione al cambiamento che si fa strada quando ormai tutto sembra incanalato nei binari dell’abitudine. Confessiamocelo: chi non ha mai avuto dubbi sulle proprie scelte? Chi non si è sentito smarrito all’idea di invecchiare piano piano senza rendersene conto? Chi non ha pensato, anche solo per un attimo, di buttare tutto all’aria e ricominciare da capo? Così, solo per il gusto di sentirsi vivi.

Hajime e Shimamoto e quello che poteva essere e non è stato

Ecco perché la storia tra Hajime e Shimamoto è una metafora di quello che poteva essere e non è stato, delle scelte del passato che condizionano il presente e della nostalgia per tutto ciò che potevamo raggiungere ed essere e che è fuggito via, con il tempo. Stavolta non ci sono visioni oniriche, non c’è soprannaturale, evento raro nella produzione del giapponese. Tempus fugit, semplicemente. Gli antichi lo sapevano bene e lo sapevano dire in due parole. Noi, invece, rincorriamo la giovinezza, i divertimenti, seguiamo un modello di vita che ci impone la società, o la famiglia, a volte senza mai davvero prendere le redini della nostra esistenza. Un’esistenza che comunque vada sarà di breve durata. Solo il deserto, strano a dirsi e anche solo a pensarsi, sopravvive sempre, come diceva Walt Disney. Tutto il resto muore. Anche noi , con il nostro carico di sogni. E, forse, anche i nostri amori. Qui, però, il discorso si fa più complicato, e giustamente Haruki Murakami si ferma prima di dare una risposta definitiva. Che forse non c’è e non potrà mai esserci. Perché le ceneri degli affetti, sparse nel fiume, sfoceranno nel mare e torneranno pioggia. Mettiamo via l’ombrello e guardiamo verso l’altro la prossima volta che piove. Le gocce che ci finiscono sul viso potrebbero essere il bacio del nostro amore.

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Rosamunde Pilcher, una vita da romance

Tutti conoscono le sue meravigliose descrizioni dei paesaggi della Cornovaglia, che fanno sognare da oltre 30 anni milioni di lettrici, e ci scommetterei anche lettori, in tutto il mondo. Sto parlando della signora inglese dei romance Rosamunde Pilcher. Come già vi ho raccontato, quando ho voglia di una lettura riposante e rassicurante, scelgo uno dei suoi romanzi, perché so fin dall’inizio che mi condurranno in porti sicuri. E dopo essere finalmente riuscita a vedere coi miei occhi quella terra meravigliosa, ho fame di tutto ciò che mi parli di lei.

Ma a chi appartiene la penna che ci trasporta in un universo favoloso fatto di piccoli avvenimenti e grandi sentimenti? Ho faticato per raccogliere tutte queste informazioni e, dopo diversi giorni di lavoro, posso affermare con un certo orgoglio che nessuna fonte sia più completa. Vi presento la regina del romance inglese, Dame Rosamunde Pilcher. Se volete sapere tutto su di lei, continuate a leggere. Scoprirete che la sua vita è stata affascinante come le sue storie. 

La biografia

Una gentile e dimessa signora inglese che ha posato penna e calamaio nel 2000, per raggiunti limiti di età. Oggi, a quasi 94 anni, sembra goda di ottima salute (aggiornamento. Rosamunde ci ha lasciato oggi, 6 febbraio 2019. Ha goduto di ottima salute fino alla fine, quando un ictus improvviso l’ha portata via). Rosamunde Scott, infatti, è nata il 22 settembre 1924 a Lelant, un piccolo villaggio nei pressi di St. Ives, in Cornovaglia, dove io sono passata in un giorno troppo tempestoso per potersi fermare a visitarlo. Racconta che all’età di sette anni, durante un lungo viaggio in macchina, il padre le diede un blocco per farle passare il tempo e lei ne approfittò per scrivere una storia. Si definisce “una figlia dell’India britannica“. Suo padre, infatti, ha lavorato in Birmania, ora Myanmar, dal 1924, anno della sua nascita, fino al 1938. “Tornava a casa ogni quattro anni“, Quando lei aveva solo 4 anni, sua madre andò a trovarlo e rimase in Birmania per un anno, durante il quale Rosamunde Pilcher rimase con una zia in Scozia. “Non abbiamo pensato alla separazione. L’accettavamo e basta“.

Gli studi

Dopo aver studiato alla St. Clare’s Polwithen School, Rosamunde Pilcher si trasferisce con la famiglia a Cardiff perché il padre viene arruolato in Marina. Rosamunde prosegue gli studi prima alla Howell’s School Llandaff e poi presso il Miss Kerr-Sanders’ Secretarial College di Londra fino al 1939, quando lo scoppio della guerra cambia tutto. Rosamunde interrompe la scuola e nel 1940 entra nel Foreign Office. Passa due anni a Portsmouth, prestando servizio per il Royal Naval Service femminile prima di fare domanda per andare in Francia. Invece, la sua nave si dirige verso l’Asia e lei si ritrova nello Sri Lanka. Mentre si trova a Ceylon, invia un racconto prima a suo padre e poi decide di mandarlo anche alla rivista Woman and Home. Il giornale glielo pubblica e da questo momento lei diventa ufficialmente un’autrice. “Non c’è magia più grande di quando vendi il tuo primo pezzo”. In realtà, le motivazioni che la spingono a scrivere all’inizio sono tutt’altro che magiche: Quando vivevamo in Cornovaglia ero felice. Correvamo selvaggiamente sulle spiagge e andavamo in canoa, facevamo picnic e nuotavamoMa i soldi erano sempre pochi e quando da piccola sentii mia madre parlare di un conoscente intraprendente che faceva una bella vita scrivendo per il Ladies’ Home Journal , pensai che sposarsi, scrivere ed essere indipendente fosse la soluzione. E allora ho scritto e ho scritto e ho scritto“.

Il matrimonio

pilcher grahamQuando la seconda guerra mondiale finisce, la ventunenne Rosamunde Scott torna in Cornovaglia e nel settembre del 1946 incontra l’eroe di guerra Graham Pilcher, che cercava di riprendersi grazie alle cure di sua nonna a St. Ives. Pilcher era stato gravemente ferito in battaglia l’anno precedente ed era stato costretto a dare le dimissioni. E’ amore a prima vista: Rosamunde e Graham si sposano tre mesi dopo l’incontro, nel dicembre del 1946. La coppia si trasferisce a Dundee, in Scozia (a nord di Edimburgo) e mentre il marito torna a lavorare nell’impresa di famiglia, la Jute Industries Ltd., Rosamunde rimane a casa. Inizia a scrivere brevi storie d’amore su una macchina da scrivere portatile e pubblica le sue storie in serie su alcune riviste femminili. Nel 1948 nasce la sua prima figlia, Fiona, e il lavoro di scrittura le consente di accudire la bambina pur ritagliandosi uno spazio d’indipendenza. Nel 1949 esce il suo primo romanzo, Half-Way to the Moon, dato alle stampe con lo pseudonimo di Jane Fraser, a cui fanno seguito altri nove romanzi rosa, che più tardi lei stessa ha definito poco lusinghieramente “orribili piccoli libri – roba romantica con rose rosse in copertina.

La carriera

jane fraserNel 1955 comincia a fare sul serio: esce il suo primo lavoro pubblicato con il nome da sposata, A Secret to Tell. Nel frattempo, la famiglia si è allargata. Sono nati i figli Robin nel 1950 e Philippa nel 1953, seguiti nel 1958 dall’ultimo, Mark. Nel frattempo continua a scrivere come Jane Fraser, finché nel 1965 esce On my own. Da questo momento in poi, tutti i suoi lavori saranno firmati Rosamunde Pilcher. I suoi figli imparano presto a rispettare il lavoro della madre, anche se portato avanti con metodi diciamo inconsueti. “Compongo sempre i miei dialoghi ad alta voce“, ha detto lei in un’intervista, dove racconta anche: “Una volta, quando Fiona era piccola, c’era un suo amico in casa mentre io stendevo il bucato sussurrando il mio dialogo. L’amichetto disse a mia figlia – Guarda, le labbra di tua madre si muovono -, e lei gli rispose – Non essere stupido. Sta scrivendo.

Durante gli anni ’70 scrive altri sei romanzi; alcuni dei quali pubblicati a puntate su riviste femminili: The End of Summer (I giorni dell’estate, 1971), Snow in April (Neve d’aprile, 1972), The Empty House (La casa vuota, 1973), The day of the storm (Il giorno della tempesta,1975), Under Gemini (Sotto il segno dei gemelli, 1976), Wild Mountain Thyme (Profumo di timo, 1978).

I cercatori di conchiglie, un libro da spiaggia per donne intelligenti

shell seekersNei primi anni ’80, escono The Carousel (1982) e Voices in summer (Voci d’estate, 1984). All’età di 60 anni, mentre sta pensando seriamente di ritirarsi per riscuotere la pensione di vecchiaia, il suo editore americano Tom Dunn va a trovarla. Dunn le chiede di scrivere una “grande, grandissima saga familiare per le donne“, che possa entrare nei best-seller. Lei, per fortuna nostra, accetta la sfida e nasce così il suo libro di maggior successo, I cercatori di conchiglie (1987). Il ragionamento era semplice: la gente cominciava ad annoiarsi con le storie alla Dynasty, stanca delle vite di ricchi odiosi che imperversavano nella televisione degli anni ’80. Rosamunde, invece, aveva voglia di scrivere il romanzo che avrebbe voluto leggere, cioè Un libro da spiaggia per donne intelligenti che vogliono perdersi in un grande romanzo che racconta le storie di persone vere. Sapevo che c’era spazio nel mercato”.

E non si sbaglia. I cercatori di conchiglie scala le classifiche in tre settimane e rimane ben due anni nella lista dei best seller del New York Times per 2 anni. È stato tradotto in oltre 20 lingue e ha venduto oltre 5 milioni di copie in tutto il mondo. Il romanzo possiede gli ingredienti giusti per piacere al pubblico femminile: la voce narrante è quella di un’anziana donna britannica, Penelope Keeling, che ha prestato servizio nel Royal Naval Service femminile, proprio come Rosamunde da giovane, e che racconta con un flashback la storia della sua famiglia durante la seconda guerra mondiale, con trame che s’intrecciano ambientate nella natia Cornovaglia, a Londra e nel Gloucestershire. Il romanzo è stato trasformato in un film TV del 1993 con Angela Lansbury, e di nuovo nel 2006 in un film TV interpretato da Vanessa Redgrave nei panni di Penelope Keeling. Questo libro di grandissimo successo ha segnato un punto di svolta insperato per Rosamunde Pilcher, che da quel momento in poi è stata costantemente nell’elenco dei best seller con i suoi successivi lavori.

Nonostante sostanzialmente l’operazione di marketing fosse stata condotta a tavolino, l’incredibile risposta delle lettrici la lascia di sasso. “Non l’avrei mai immaginato, forse perché non mi aspetto mai niente da nessuno. In questo sono un po’ scozzese, non mi piace deludere e rimanere delusa. Mi piace prendere la vita con lentezza”.

Settembre, è alle donne scozzesi che pensa quando lo scrive

SeptemberIl libro seguente, Settembre, è un altro incredibile successo e anche il mio preferito in assoluto. E’ il 1990 e Rosamunde ha quasi 70 anni. Lei continua però a tenere un profilo basso “Non sono mostruosamente intelligente, non ho neanche il diploma universitario”. Si definisce una donna che ama trascorrere le giornate facendo giardinaggio, camminando e andando a trovare i vicini con i nipoti. Come una qualsiasi signora di campagna. Solo che questa signora ogni tanto si siede alla macchina da scrivere e dà sfogo alla fantasia. Scrivere è un po’ come ripulire il garage“, dice, “lo rimandi per mesi e mesi e poi un giorno lo fai, e alla fine non ti dispiace. Dopotutto non è poi così male, no?” Anche Settembre è diventato un film TV nel 1996 con Jacqueline Bisset, Edward Fox, Michael York e Mariel Hemingway.

Anche Settembre balza immediatamente al primo posto nella lista dei best sellers del New York Times e riceve questa lusinghiera definizione dal Washington Post: “Esistono due tipi di narrativa. Libri che fanno bene ma che ti lasciano una sensazione di fastidio e un altro tipo, i libri conforto, che ti fanno bene perché rallegrano I libri della Pilcher appartengono a quest’ultima categoria”.

La Pilcher si rende conto che la sensazione di conforto è particolarmente apprezzata dalle lettrici che lei conosce meglio, quelle a cui pensava mentre scriveva Settembre: La vita per le donne nella Scozia rurale non è come in nessun’altra parte del mondo. Viviamo tutti molto distanti e non c’è un vero senso della comunità, non ci sono pub, non ci sono circoli. Quelli del golf sono prerogativa maschile e quindi di fatto le donne vivono isolate e devono sviluppare delle risorse proprie. E’ proprio questo il tipo di vita cui mi sono ispirata”.

Nei successivi dieci anni scrive altri quattro romanzi: Ritorno a casa (1995), The Key (1996), Shadows (1999) e Solstizio d’inverno (2000).

Ritorno a casa, cinque anni per finirlo 

Quando Rosamunde inizia a scrivere Ritorno a casa, è convinta che ci vorrà meno di un anno per finirlo, come i romanzi precedenti. Invece, gliene serviranno ben cinque. Perché il romanzo “non è autobiografico, ma attinge dalle mie esperienze personali”. E’, infatti, la storia di una famiglia inglese negli anni della seconda guerra mondiale.

coming homeCi sono voluti molto più tempo e molta più fatica di quanto pensassi”, confessa lei, che a un certo punto si è trovata a dover riscrivere tutta la prima parte perché si affacciavano troppi personaggi. Per garantire accuratezza storica ha studiato la storia in sei volumi della seconda guerra mondiale di Winston Churchill. Per gli aspetti personali, ha attinto in gran parte dalla sua infanzia in Cornovaglia e dal suo servizio di guerra nello Sri Lanka, dove stava prestando servizio quando la prima bomba atomica è stata sganciata. Judith Dunbar, la protagonista, non è Rosamunde Pilcher, questo ci ha sempre tenuto a specificarlo. Eppure, la storia di Judith ricorda da vicino quella della scrittrice. I genitori di Judith vanno in India e ritornano ogni due anni, il padre di Rosamunde va in Birmania e ritorna ogni quattro. Decidere che taglio dare ai racconti di guerra è stato l’aspetto più complicato del lavoro di scrittura. “All’epoca, eravamo tutti terribilmente consapevoli di questa cosa spaventosa che succedeva in Europa. Tuttavia, volevo che nel libro ci fosse umorismo e trovare un equilibrio per non cadere in farsa, o al contrario risultare troppo drammatica, è stato difficile“.

Come i precedenti, Ritorno a casa diventa subito n ° 1 in Inghilterra e 3 ° nella classifica dei best-seller di New York Times, vincendo il Romantic Novel of the Year Award dalla Romantic Novelists’ Association e diventando un film TV in due parti nel 1998 con Peter O’Toole, Keira Knightley, Joanna Lumley e Paul Bettany.

Solstizio d’inverno

winterNel 2000 scrive il suo ultimo romanzo, Solstizio d’inverno. “Non penso che riuscirò a scriverne un altro”. Rosamunde odia il meccanismo di promozione che stritola gli autori di successo. In più, data l’età sua e del marito ha nuove e diverse preoccupazioni. “Il processo creativo è stimolante, ma non è un passatempo, è un lavoro impegnativo e io sono stanca. Mio marito ha un’anca nuova ed è successo mentre io stavo sto cercando di destreggiarmi tra mille impegni. Non mi era mai successo prima, suppongo che quando ero più giovane avessi più energia e non dovessi prendermi cura di un marito malato. Questa volta penso che sia giunto il momento di appendere il cappello, ma mai dire mai“. Invece, il cappello l’ha appeso davvero e dopo Solstizio d’inverno, titolo non casuale, le sue lettrici non hanno più potuto leggere nessuna delle sue storie.

Gli ultimi anni

Nel 2002 ha ricevuto dalla Regina Elisabetta II il prestigioso riconoscimento O.B.E. (Officer of the Order of British Empire).

Il 2009 è per lei un anno infausto: suo marito Graham muore all’età di 92 anni, dopo ben 63 anni trascorsi insieme. Nel 1996 Graham e Rosamunde avevano infatti festeggiato il 50° anniversario di matrimonio insieme ai quattro figli e a 14 nipoti. Attualmente Rosamunde vive ancora a Dundee, in Scozia. Nonostante il fatto che abbia venduto circa 60 milioni di libri e abbia una fortuna stimata in più di 100 milioni di sterline, continua a vivere la sua vita nella semplicità che da sempre la contraddistingue, circondata da persone che in larga parte non sanno neanche chi sia. Figuriamoci che per gli amici del circolo che frequentava il marito lei è la “moglie di Graham che ha scritto un libro, mi sembra qualcosa tipo Gli scopritori di conchiglie”. L’unico della famiglia che per ora ha seguito le sue orme è il figlio Robin, diventato a sua volta scrittore nel 1999.

Rosamunde Pilcher e la Germania

Rosamunde Pilcher in Germania è popolarissima. Non per i suoi romanzi, ma per le oltre 100 storie per la TV prodotte dalla rete pubblica ZDF. Per più di 20 anni, la prima serata della domenica ha portato milioni di spettatori tedeschi nelle soleggiate scogliere della Cornovaglia. Il primo, Il giorno della tempesta, è stato messo in onda nel 1993 e da allora è stato un successo senza fine. Gli attori sono tutti tedeschi, ma le location sono reali, tanto che le approva anche Mark, l’unico figlio di Rosamunde Pilcher che vive in Cornovaglia e fa l’allevatore. Solo che i tedeschi sono convinti che in Cornovaglia splenda sempre il sole, perché così i film lasciano intendere! Gli inglesi ironizzano, prendono in giro noi poveri turisti illusi: “quando arrivano qui, spieghiamo loro che la Cornovaglia è così bella proprio perché piove sempre”. Rosamunde Pilcher spiega così la sua fortuna: “sono buone storie, che richiamano alla mente un ambiente piccolo e familiare, dove gli uni si prendono cura degli altri. Per non parlare delle splendide immagini, sembrano cataloghi turistici”. E pensare che tutto è nato dall’idea di un produttore della ZDF, innamorato delle luci e dei colori sfavillanti dei grandi paesaggi cornici. Non si può dire che la scrittrice non sia stata aiutata dal destino!

Rosamunde Pilcher non volendo si è trasformata in una macchina da guerra. I pullman che portano in pellegrinaggio i tedeschi hanno contribuito a trasformare decisamente l’industria del turismo della Cornovaglia, che oggi rappresenta oltre il 20% del pil della contea; praticamente un abitante su quattro lavora nel settore. Due terzi di tutti i visitatori stranieri che arrivano in Cornovaglia provengono da Germania, Austria o Svizzera: Sempre più i pellegrini tedeschi arrivano in macchina invece che in pullman, il che è una buona notizia, perché anche se i turisti stranieri in media rimangono il doppio del tempo e spendono il doppio del denaro dei visitatori britannici, l’effetto economico dei gruppi organizzati rimane limitato. Devo dire che sono contenta di aver personalmente contribuito al buon andamento dell’economia cornica.

Le location dei film di Rosamunde Pilcher 

Lamorna Cove

Questa piccola insenatura è apparsa nella sua opera più famosa, I cercatori di conchiglie. Andando a piedi lungo il coastal path che da Mousehole arriva a Lamorna,e ritorno, appare in tutto il suo splendore.

Polperro

polperroQuando vengono inquadrate le case dei pescatori, le scene sono state girate in questo meraviglioso minuscolo villaggio.

 

Penzance, St Michael’s Mount e Land’s End

IMG_6174Il castello di St Michael’s Mount è stato protagonista sia ne I cercatori di conchiglie, sia in Ritorno a casa. Il castello è uno dei luoghi più romantici da visitare, insieme alla dirimpettaia Marazion, da cui si vede il castello e la baia, e Penzance, la cittadina adiacente dove Rosamunde Pilcher studiava.

Il Giorno della Tempesta, invece, è stato girato a Land’s End, adiacente a sua volta a Penzance.

St. Ives

IMG_6283Rosamunde Pilcher viveva qui vicino e molti film inquadrano la baia e il porto.

Newquay

Alcune delle scene di Scogliere dell’amore sono state girate sulla costa del nord della Cornovaglia, celebre per le sue nove bianchissime spiagge e per le sue scogliere che hanno ispirato la storia. Newquay è una cittadina famosa per il surf e per la Fistral Beach.

St Agnes Head

Sulla costa tra Chapel Port e St Agnes sono stati girati molti episodi. I resti delle miniere mostrano il passato industriale della Cornovaglia.

Bedruthan Steps e Gwithian Beach

I primi sono stati utilizzati per le riprese aeree, mentre Gwithian Beach è diventata popolare grazie alle sue splendide viste sul Faro di Godrevy.

Bodmin e Lanhydrock Gardens

Qui sono state girate si sono svolte diverse scene di film, come le Scogliere dell’amore.

Prideaux Place

prideauxPeter Prideaux-Brune è un avvocato in pensione che possiede una dimora signorile del XVI secolo vicino a Padstow, in cui sono stati girati almeno sedici film. In passato, era la casa di un Lord Willoughby, trasformata prima in un hotel di lusso e poi in una distilleria di gin. Una camera da letto ovale, decorata con delicati stucchi e dipinta di verde tenue, è soprannominata Großmutter – perché è lì che nei film la nonna cambia il testamento, dice all’erede che è illegittimo, oppure muore. La casa, che si affaccia su un immenso parco, accoglie circa 25.000 visitatori all’anno, per la maggior parte tedeschi in tour con i pullman, a cui Prideaux-Brune offre il cream tea nella sala da tè. “I tedeschi lo adorano“, dice. Lui stesso, invece, adora apparire con un cameo nei film girati a casa sua. Come dargli torto?

Pencarrow House

James Molesworth-St Aubyn e sua madre, Lady Iona, sono i proprietari di questa magione di 50 stanze a nord di Bodmin che si affaccia su giardini ben curati. Lady Iona racconta di un incidente che occorse quando il soffitto della sala da pranzo scese e coprì tutto di polvere bianca, proprio mentre un gruppo di 160 tedeschi iniziava la visita. In effetti, ai visitatori il fuoriprogramma è piaciuto, perché dimostra che non è tutto perfetto come nei film della Pilcher”.

Lanhydrock House e Giardini

Lanhydrock House è una storica residenza del villaggio di Lanhydrock, vicino Bodmin, eretta nel 1640/1642 ca. e in gran parte ricostruita in stile vittoriano nel 1881. Ora è posto sotto la tutela del National Trust. Circondati da boschi di querce e faggi e da alberi secolari, i sentieri che attraversano la foresta e il paesaggio del parco sono tutti aperti al pubblico e fanno parte della tenuta, che copre un totale di circa 900 ettari.

Trewithen House

E’ una casa di campagna georgiana, si trova vicino Truro ed è apparsa in The Blossom of Life del 1999 e Amazing Grace del 2005. Il ricco proprietario terriero e avvocato Phillip Hawkins acquistò la tenuta nel 1715 e ordinò all’architetto londinese Thomas Edwards di costruire la casa palladiana nel 1723. E’ oggi nella lista del patrimonio nazionale inglese.

Intervista audio a Rosamunde Pilcher

Se volete sapere di più su di lei, ascoltate l’intervista in due parti in cui Rosamunde Pilcher parla della sua vita privata e del suo lavoro e poi, se siete suoi fan come me scrivete sotto nei commenti qual è il vostro romanzo preferito!

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Il seggio vacante – J. K. Rowling non è solo Harry Potter

Questo libro m’incuriosiva molto, fin dalla sua uscita, ma ho aspettato un bel po’ di tempo prima di aprilo. E’ diventato l’ultimo romanzo del mio 2017 e posso dire con sicurezza che non avrebbe potuto esserci finale migliore. D’anno, perché J. K. Rowling piazza nelle battute finali un pugno nello stomaco di quelli che fanno male.

La trama

A Pagford, un ridente villaggio inglese, accade un fatto imprevisto: l’insegnante e consigliere Barry Fairbrother si accascia a terra e muore. La sua dipartita rompe gli equilibri all’interno del Consiglio Locale, lasciando un seggio vacante che diviene la causa di molti dissapori tra l’ala conservatrice dell’amministrazione, che vorrebbe trasformare il centro comunitario cittadino in un albergo di lusso, abbandonando così a se stessi gli emarginati della società, e l’ala “progressista”, di cui Fairbrother era leader. Oltre alle dinamiche politiche, l’evento scatena una serie di reazioni a catena che scoperchiano progressivamente i conflitti sepolti sotto l’apparente tranquillità: i ricchi in lotta con i poveri, i ragazzi in lotta con i genitori, le mogli in lotta con i mariti, e gli insegnanti in lotta con gli studenti, in un crescendo di ripicche e rappresaglie che sfoceranno in tragedia.

Dietro un mondo piccolo e perfetto, si nasconde il male

Premetto che il motivo principale della mia curiosità nei confronti di questo libro era semplicemente capire se il fenomeno Rowling fosse legato esclusivamente alla saga di Harry Potter. Saga che per inciso non ho mai letto, al contrario, per pura mancanza di curiosità. D’altra parte, un successo planetario così enorme di una scrittrice non americana non poteva essere qualificato come marketing e basta.

Questo romanzo me l’ha confermato. Dopo le prime pagine, in cui ho fatto fatica a ricordare tutti i personaggi scesi in campo capitolo dopo capitolo e le connessioni tra loro e nel tessuto sociale della cittadina, finalmente la matassa si è dipanata e pagina dopo pagina ammetto che ho fatto fatica a posare il libro.

Se, al contrario di me, conoscete J. K. Rowling solo per Harry Potter, scordatevelo immediatamente e leggete questo libro. Perché dietro un mondo apparentemente piccolo e perfetto, si nasconde il male e la Rowling lo stana senza pietà. Non c’è bisogno neanche del sole, come diceva Agatha Christie. Perché invece a Pagford piove e piove spesso, il che rende l’atmosfera se possibile ancora più lugubre. Il che rende quasi impossibile pensare che gli irreprensibili cittadini abbiano scelto un villaggio così isolato e umido  per trascorrere un’esistenza tranquilla.

A Pagford c’è tutto, meno che tranquillità

La lotta intestina all’interno del Consiglio è solo uno sfogo per la rabbia repressa che domina gli abitanti, che per un motivo o per l’altro hanno bisogno di affermarsi, se a danno di altri ancora meglio. I ragazzi non sono immuni, sono cresciuti nel veleno e veleno hanno respirato. L’unica cosa che vogliono è buttarlo in faccia a qualcuno, insegnanti o genitori che siano. Chi si salva? Solo lui, il morto, il fantasma Barry, che infatti viene evocato da più parti come un giustiziere divino. Barry era diverso, Barry era un uomo che faceva la differenza. Barry avrebbe potuto salvare le anime. Perché Barry era nato povero e ce l’aveva fatta, senza passare sopra a nessuno, senza dimenticarsi da dove proveniva, spargendo entusiasmo e voglia di fare e di credere in se stessi nelle persone che avevano la fortuna di passare sotto la sua stella.

E’ proprio nella “bellezza” di un uomo comune che vedo il significato del libro: tu, uomo normale, puoi fare la differenza se lotti per il progresso e per una società migliore. A partire dalla scuola, non a caso è un professore, e dalla famiglia.

Echi autobiografici

Sembra che Pagford, villaggio inventato, somigli molto a Tutshill, il villaggio inglese nel quale J. K. Rowling trascorse l’adolescenza. Tanto che gli abitanti hanno sentito la necessità di dissociarsi dai personaggi.

Io credo, invece, che qualunque villaggio e qualunque piccola città, o quartiere di una metropoli, possa riconoscersi nelle maschere universali descritte dalla britannica. Come dice J. K. Rowling stessa: “la classe media è divertente. E’ quella che conosco meglio ed è quella in cui trovi più pretese”. Come non darle ragione? Soprattutto quando queste pretese vengono schiacciate, come sta accadendo oggi praticamente in tutto il mondo, la classe schiacciata non può che emergere in tutto il suo pagfordiano splendore. 

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