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Marito amante – Sylvia Day

Marito amante di Sylvia Day. Ecco uno di quei romanzi che mi ha posto di fronte all’eterno dilemma: lascio o non lascio? Alla fine non ho lasciato e posso raccontarvi qualcosa di un romanzo che la copertina definisce “erotico” e primo della scrittrice a essere inserito nella collana Extra passion di Mondadori.

Trama

Lady Isabel Pelham e il marchese Gerard Faulkner sono la coppia più scandalosa di Londra. Isabel è rimasta vedova da poco, Gerard è perdutamente innamorato di una donna già sposata: per sfuggire alle pressioni imposte dalla società, decidono di sfruttare la loro amicizia di lunga data per combinare un matrimonio di convenienza. Entrambi non hanno alcuna intenzione di rovinare tutto innamorandosi l’uno dell’altra. Del resto, Isabel sa benissimo che un libertino come Gerard non potrebbe mai fare breccia nel suo cuore. Ma un tragico evento allontana improvvisamente Gerard, confinandolo nel silenzio per quattro anni… Quando fa ritorno a casa è una persona completamente diversa. Gerard è ora un marito che desidera il corpo e l’anima della moglie e non si fermerà di fronte a niente pur di vincere la ritrosia di Isabel e conquistarla.

Storico e volgare non si sposano bene

Dico subito che ho fatto una gran fatica a proseguire e vi spiego perché. Non amo il linguaggio volgare, ma volgare sul serio, associato a romanzi storici. Non fatico a credere che anche i nostri avi potessero adottare un linguaggio spinto nell’intimità. Tuttavia, certamente i rapporti tra i sessi non contemplavano frasi sboccate frutto solo del nostro linguaggio. Quindi, non capisco la scelta di Sylvia Day di associare un’ambientazione storica a un modo di esprimersi totalmente inadatto. Forse è una cifra stilistica che la contraddistingue e che piace certamente alle sue lettrici. Quindi, il consiglio che vi do è leggetelo solo se riuscite a passare sopra a termini tipo “stuprevole” per definire una donna bella e desiderabile ed altre amenità di questo tipo, che a un certo punto lo confesso ho cominciato a saltare a piè pari.

Che fine fanno Rhys ed Abby? 

La storia in sé non sarebbe male. Una vedova con una visione romantica della vita di coppia, decide di sposarsi per convenienza, scoprendo però di amare il marito quando questi torna dopo anni di assenza. Lo svolgimento della trama è tranquillo, non ci sono grandi rivali o nemici a parte una suocera ingombrante e dopo la tempesta tutto sembra volgere al bello. Peccato che non venga approfondito abbastanza il percorso di redenzione di Gerard, né la fase di innamoramento di Isabel. Potenzialmente più interessante era all’inizio la storia parallela del fratello di lei, Rhys, con un’ereditiera americana. Nel finale, però, Sylvia Day ci lascia con l’amaro in bocca: cosa sarà successo tra i due? Forse pensava a un sequel con Rhys ed Abby protagonisti? Chissà.

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La bruttina stagionata – Carmen Covito

Un romanzo premio Bancarella e un’altra scrittrice. Stavolta ho letto La bruttina stagionata, di Carmen Covito. Quando una donna non è o non si sente bella, come reagisce alle ingiustizie della vita? Soccombe o trova comunque una sua strada?

Trama

Marilina Labruna vive in una Milano livida, popolata di donne solitarie e di furbi che approfittano dei bisogni d’amore. Perciò lei, quarantenne non brutta ma, peggio, bruttina, deve trovare un modo diverso di trionfare. Professoressa mancata, piccola, grassottella, gambe corte e tozze, occhiali da intellettuale, vive sola e scrive tesi di laurea per conto terzi. Senza alcuna ambizione apparente, ha scelto un lavoro che le permette di fuggire il confronto diretto con gli altri. Convinta di non poter mai anelare a conquistare un certo tipo di uomo, si troverà a respingerne ben due.

Marilina vive nell’ombra

Carmen Covito con questo romanzo ha vinto il premio Bancarella nel 1993. Probabilmente perché propone un modello di donna a cui non siamo abituati, decisamente fuori dagli schemi. Non è bella Marilina, non ha un marito, non ha figli, non ha una professione appagante, non ha amici. E’ una donna che vive e trama nell’ombra, nel sottobosco degli emarginati, quelli che non lo sono per condizioni economiche ma semplicemente perché non hanno le caratteristiche sociali giuste. O, forse, perché scelgono di auto escludersi. Marilina, o Marilyn come a volte chiede di essere chiamata con brutale auto ironia, invece di fare l’insegnante scrive tesi per conto di altri. Così è più facile nascondersi nell’ombra della propria casa o della biblioteca. Perché Marilina non sarà bella, ma non è neanche brutta, condizione che le avrebbe comunque conferito dignità. No, è solo bruttina, anonima, dimenticabile.

Rapporti umani grigi

Un giorno Marilina fa qualcosa che mette in moto gli eventi. Risponde a un annuncio e si compra un amante. Già, la bruttina ha una vita sessuale e non lo nasconde. Anche questo è un aspetto a cui non siamo abituati. In questo sottobosco, si muovono una serie di personaggi, tutti accumunati dalla stessa necessità di usare ed essere usati. L’amante, perché Marilina lo paga. Il figlio di papà perché Marilina scrive per lui. Lo straniero, perché si sente più solo di lei. L’amica, perché le servono continuamente favori. Tutti rapporti umani che si muovono nel grigio della Milano nebbiosa e fredda e che Marilina giudica con occhio ironico e sprezzante, che rivolge prima di tutto a se stessa.

Bridget Jones? Ma anche no

Da più parti, Marilina viene definita la prima Bridget Jones. Io trovo il paragone quantomeno azzardato, per ragioni di età delle protagoniste e anche di contesto sociale in cui si muovono. Marilina a me sembra più il prodotto di una furbizia tutta italica, votata più alla sopravvivenza che al miglioramento, di se stessi e dell’ambiente circostante. Marilina dai più è giudicata simpatica. Io la trovo antipatica come poche, sempre pronta a trovare il peggio nelle persone e in se stessa. Marilina è una sconfitta, ma non dalla vita: da se stessa, perché chi dice che le donne vincenti sono solo le donne belle? Nessuno, e sta proprio alle donne dimostrarlo. Il finale salvifico non toglie nulla a un’atmosfera deprimente e provinciale nel suo significato peggiore. I corsivi che sottolineano le parole straniere scritte così come si pronunciano non fanno altro che accentuare quest’impressione. Ed è forse proprio quello che Carmen Covito voleva (di)mostrarci.

Il nuoto per master e amatori – Fabio Bettazzoni

Facendo ordine nella libreria è saltato fuori un libro che non mi ricordavo neanche più di avere, Il nuoto per master e amatori, di Fabio Bettazzoni con la prefazione di Luca Sacchi. E’ il primo testo uscito in Italia, e credo proprio sia rimasto l’unico, che analizza il fenomeno del nuoto praticato da master e amatori nei suoi aspetti evolutivi, tecnici e gestionali. Chi sono i master? I master sono nuotatori che gareggiano in un circuito riservato a persone di età pari o superiore a 25 anni.

Le sezioni del libro 

Dopo una prima parte in cui analizza gli aspetti storico culturali, passiamo alla parte tecnico -didattica, forse la più interessante per chi si avvicina al nuoto master per la prima volta. L’ultima parte è riservata agli aspetti tecnico-gestionali, che riguardano chi intende lanciarsi nell’avventura dall’altra parte del vetro, come allenatore o società.

Pur essendo ormai sorpassato sotto diversi profili, rimane comunque un testo interessante per chi vuole studiare le origini del movimento in Italia. Di solito, infatti, ancora oggi si parla di nuoto per narrare le gesta sportive e private degli atleti di punta. Così si finisce per sottovalutare l’importanza del movimento di base, che dà linfa economica e di entusiasmo, all’intera disciplina.

L’autore e la prefazione 

L’autore, Fabio Bettazzoni, ex primatista europeo master, è tra i fondatori – nonché responsabili dell’area tecnica – della Nuovo Nuoto di Bologna. La prefazione è curata da Luca Sacchi, ex nuotatore e oggi commentatore televisivo, che con la consueta ironia ci racconta nelle prime pagine la situazione tipo di una qualsiasi squadra di nuoto master.

Massimo fa il fotografo, Monica è segretaria, Roberto fisioterapista, Iaia non lo so ma è bellissima. Poi c’è l’avvocato, quello delle pubbliche relazioni, l’imprenditore, il professore universitario, l’impiegato dell’Algida, Gionni che vende telefonini, P.J. Ombra – sguardo cupo, voce appena sussurrata “se ti serve qualcosa, Luca…magliette, orologi…beh…chiedimi pure” – e Fabio che invece fa il giudice (a lui P. J. non offre nulla). Insomma, una normale squadra master. 

La tua squadra master somiglia a questa? Raccontacela nei commenti! 😉 

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L’ultima bracciata, di Francesco Sarzana

Ne uccide più la gola…- Douglas Clark

Con Ne uccide più la gola…, secondo romanzo dell’anno, chiudo la raccolta della serie Il giallo Mondadori “L’alta cucina del delitto” iniziata con “La ricetta del diavolo” di Ellery Queen e completata dal racconto “Morte in ascensore” di Cornell Woolrich, che avevo già letto in precedenza. Stavolta, una triade di ispettori deve stabilire se una donna, morta dopo aver cenato da un’amica, sia stata assassinata o se si sia trattato solo di una tragica fatalità…

Trama 

“Veleno” dice l’impulsivo ispettore Green. “E’ evidente.” Ma l’astuto sovrintendente Masters non è persuaso. E all’autopsia non risulta la benché minima traccia di veleno. Causa della morte di Daphne Bymeres: emorragia cerebrale e paralisi cardiaca. E’ morta in casa di un’amica, dopo un pranzetto delizioso. Perché, poi, tanti sospetti? Il medico curante si rifiuta di firmare il certificato e guarda caso l’amica è l’amante del marito di Daphne, anch’egli medico… Alt! andiamo piano con le conclusioni affrettate! In ogni modo, come è stata ammazzata? Ma sarà davvero un crimine o si tratta solo di una tragica fatalità?

Un giallo tranquillo, ma non troppo

Il romanzo rischia di essere prevedibile, perché tutti gli elementi porterebbero verso la colpevolezza annunciata del marito e dell’amante di lui. Invece, la trama costruita da Douglas Clark regge. Perché più di una persona avrebbe avuto dei motivi per uccidere, perché fin dall’inizio i lettori vengono messi al corrente dei ragionamenti che fa la polizia. Perché non basta aver capito chi è stato, servono anche le prove. Oppure, vuoi vedere che siamo di fronte a un suicidio attuato per far incolpare i traditori? Perché, infine, c’è anche un filone parallelo rosa che non guasta. Chi è stato è abbastanza chiaro fin dall’inizio anche al lettore. Ma come fare a dimostrarlo? Un giallo leggero e godibile per due o tre serate di evasione.

La ricetta del diavolo – Ellery Queen

Il primo romanzo dell’anno è un giallo e fa parte di una raccolta di due libri e un racconto della serie Il giallo Mondadori, che s’intitola “L’alta cucina del delitto”. Il racconto è “Morte in ascensore”, di cui vi ho già parlato qualche tempo fa e scritto dall’autore americano Cornell Woolrich nel 1938. “La ricetta del diavolo”, invece, è del 1966 e fa parte dei gialli apocrifi di Ellery Queen. Una donna scompare mentre sta preparando “lo stufato dello studente“. Cosa le sarà successo? 

Trama 

Terry Miles, bella e disinibita, è scomparsa un venerdì pomeriggio dopo aver detto a due vicini di casa, Ben e Farley, che doveva uscire per un appuntamento. Cosa le è successo? E’ stata rapita? Uccisa? Entrambe le cose? Le piste possibili non si contano, a partire da un marito per nulla preoccupato. Ma per il capitano della polizia Bartholdi, un posto speciale tra gli indizi spetta a uno stufato con troppa cipolla.

L’inventore del genere noir

Ellery Queen è una firma prestigiosa nell’ambito dei gialli. In realtà dietro lo pseudonimo si nascondevano due penne, come nel caso di Sveva Casati Modignani. I Queen sono due cugini che hanno dato vita a quello che oggi sarebbe chiamato un brand. Quindi, nel tempo hanno concesso l’utilizzo del nome a diversi ghostwriter, che hanno continuato a scrivere libri a loro nome anche quando la produzione originale era ormai esaurita. “La ricetta del diavolo è uno di questi” ed è stato in realtà scritto da Fletcher Flora, uno scrittore americano morto due anni dopo averlo finito. E’ bene tenerlo presente durante la lettura, perché in effetti si capisce quasi subito di non essere di fronte a Ellery Queen nelle sue produzioni migliori. Il romanzo comunque, seppur breve, è appassionante. L’autore è bravo a disseminare indizi e a far capire che lo stufato dello studente ha un ruolo centrale. Ma quale? Alla fine gli elementi del giallo ci sono tutti, compresa la suspense, quindi l’ho letto con piacere. L’unica cosa a non convincermi del tutto è una mossa a sorpresa dell’assassino che poteva avere sì una motivazione, ma secondo me non quella che gli viene attribuita a posteriori! Non posso dire di più per non fare spoiler, ma se dopo averlo letto volete parlarne scriviamoci 🙂 

Per la ricetta dello “stufato dello studente” clicca qui.