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Danza con il diavolo – Kirk Douglas

Kirk Douglas sembrava immortale, eppure quest’anno ci ha lasciato, dopo aver passato 103 anni su questa terra. Avevo questo suo romanzo in libreria già da un po’  e mi è sembrato il momento giusto per iniziarlo, perché con il diavolo ci stiamo ballando. Sperando che lui, invece, ora stia danzando con gli angeli…

Trama

Dietro la facciata smagliante di regista famoso e rispettato, Denny nasconde un segreto che lo tormenta fin dall’infanzia, costringendolo a mentire sempre. Ma l’incontro con la sensuale Luba fa crollare il castello di menzogne in cui si è rifugiato.

Una storia ben congegnata

La storia congegnata da Kirk Douglas non è male. Danny è un uomo che dopo essere sopravvissuto al campo di concentramento, decide di dimenticare il suo passato e le sue origini, trasformandosi d’un tratto in un “gentile”. Luba è una ragazza bella e disinibita, che ha imparato a sopravvivere e sarebbe disposta a tutto pur di rimanere a galla. Danny e Luba hanno tanti segreti che rischiano di dividerli, eppure l’attrazione che provano l’uno per l’altra è innegabile. E ha un comune denominatore: la risiera San Sabba, a Trieste, che venne utilizzata dai nazisti dopo l’8 settembre 1943 come campo di prigionia. Dopo quell’esperienza traumatica, lui si è fatto avanti nella vita sfruttando la sua grande passione per il cinema, lei è ancora in cerca del suo vero talento e nel frattempo usa il suo corpo.

Per fortuna era un attore!

Purtroppo, in più punti ho pensato che per fortuna Kirk Douglas ha scelto il mestiere di attore e non quello di romanziere. Non perché l’intreccio non sia godibile, anzi. E’ solo che inserisce troppi elementi che funzionerebbero alla grande in un film, ma non al 100% in un romanzo. Le scene di sesso, per esempio, sembrano a volte poco funzionali alla storia, come se fossero piazzate lì per suscitare interesse voyeuristico nel lettore, o scandalizzarlo. Nessuno dei due intenti riesce in pieno e secondo me danneggia un po’ la tenuta complessiva della storia. A tutto svantaggio della catarsi finale, sulla quale avrebbe al contrario potuto calcare di più la mano.

Comunque, tanto di cappello a Kirk. Mettersi a scrivere dopo i settant’anni una carriera incredibile non è da tutti. D’altra parte, è evidente che lui non fosse un uomo standard. Siete d’accordo? 🙂

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Piccole donne crescono – Louisa May Alcott

Se siamo sopravvissuti ai romanzi che leggevamo da piccoli, possiamo superare tutto, ve lo dico io. Lutti, guerre, orfanotrofi, miseria, spiriti. Chi più ne ha più ne metta. In confronto, Stephen King è un dilettante dell’horror…eheh. L’ho presa alla lontana, per dire che ho finito la rilettura di Piccole donne crescono, di Louisa May Alcott. E chi si ricordava tutte queste lacrime? Che ovviamente ho versato per la seconda volta, non contenta della prima valle.

Trama 

Sono passati tre anni nella vita della famiglia March, la grande guerra di Secessione è finita e le Piccole Donne sono cresciute: Meg, Jo, Amy e Beth affrontano le alterne vicissitudini di cui è costellata la vita con tenacia e determinazione, non senza qualche cedimento, e vedono realizzarsi i loro sogni facendosi sempre coraggio l’un l’altra. Radicate a saldi principi morali, sostenute da un grande sentimento religioso, da un profondo senso di dignità e dalla fede nel lavoro, le quattro sorelle affrontano le difficoltà e le gioie che la vita mette loro davanti.

La vita fuori dal nido

Il successo di Piccole donne fu così immediato, che a Louisa May Alcott fu chiesto di scrivere subito la seconda parte. E così lei fece. Oggi, Piccole donne e Piccole donne crescono nei Paesi anglosassoni vengono venduti come un unico romanzo, in Italia sono separati. Avendo io una vecchia edizione degli anni ’80 in Italiano, li ho letti separatamente. E forse è meglio, perché il secondo fa uscire lacrime a fiotti…dannata Louisa, smuoveresti anche una pietra. Nella seconda parte, le ragazze sono cresciute e si cominciano a confrontare con la vita fuori dal nido familiare. Non tutto fila liscio, ci sono difficoltà da affrontare, lutti da superare, rifiuti da digerire. C’è tanto amore, però. E impegno. E sacrificio.

Jo-Louisa 

Insomma, tornano i temi del primo libro, che personalmente resta il mio preferito, anche per qualità della scrittura. Mi dispiace anche che la Alcott abbia ceduto alle pressioni dei suoi lettori. Nella sua biografia, infatti, si dice che avrebbe voluto far rimanere Jo una donna nubile, proprio come era lei. Peccato che all’epoca questa libertà fosse concessa solo alle ricche signore, come l’arguta zia March afferma in Piccole donne. Sarebbe stata una rottura dirompente della tradizione, considerando anche il successo che Louisa stava avendo come scrittrice. La formula che ha trovato, tuttavia, non mi dispiace affatto. Avrebbe potuto scegliere un finale scontatissimo, eppure è riuscita a schivarlo. Anche se oggi il team Laurie avrebbe ancora percentuali bulgare, ci scommetto. E a voi piace il destino che attende le sorelle? 

p.s. C’è qui un passaggio che, vi avviso, vi spezzerà il cuore. Per questo forse sposterei un po’ in avanti l’età di lettura di questo romanzo rispetto al primo. Piccole donne è davvero per tutti. Piccole donne crescono richiede un po’ più di maturità. Quindi, il primo dagli 8 anni, il secondo dai dieci in su. Mi raccomando, non me li traumatizzate.

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Una ragazza fuori moda

Piccole donne – Louisa May Alcott

Louisa May Alcott è la sola e unica responsabile di una delle mie prime battaglie scolastiche. Scrivendo Piccole donne, mi ha costretto a difenderla da una professoressa che osò criticare il romanzo in classe, perché secondo lei le sorelle March miravano solo a sposarsi e a diventare ricche. Com’è finita la discussione? Ve lo dico alla fine.

Trama

La famiglia March sta attraversando un momento critico: ha subito rovesci economici e il padre è partito per la guerra di Secessione; così le quattro figlie e la mamma restano sole ad affrontare piccoli e grandi problemi. La signora March fa quello che può per far condurre alle quattro figlie una vita normale, nonostante tutto. La più grande e la seconda, Meg e Jo, già lavorano, mentre le piccole di casa, Amy e Beth, sognano una di fare l’artista e l’altra la concertista. Jo, invece, è il talento di casa per la scrittura. Le quattro stringono amicizia con Laurie, l’adolescente vicino di casa, che insieme a nonno Laurence le affiancherà in questo viaggio che è la vita. 

Una pietra miliare 

Piccole donne è una pietra miliare nella letteratura per ragazzi, ed è giusto così. A parte le aspirazioni economiche e familiari della protagonista, che non sono neanche uguali per tutte e quattro, ci sono elementi che ne fanno un libro assolutamente da leggere anche oggi. Innanzitutto, le convinzioni della Alcott sull’educazione, riprese direttamente da quelle del padre nella realtà, oggi sarebbero definite montessoriane. Poi, le quattro sorelle incarnano delle ragazze che potrebbero benissimo essere quelle di oggi, con i loro pregi e difetti, i gusti e le preferenze, gli attacchi di collera e le riappacificazioni. Maria Louisa Alcott descrive un microcosmo fatto di lavoro, impegno, carità e amore. Soprattutto amore: “non lasciare che tramonti il sole sopra tua ira”. E’ una meravigliosa frase di mamma March, tratta da una citazione biblica, che ho fatto mia e che è una lezione di vita. Fai pace con le tue sorelle e con le persone a cui vuoi bene, perché magari domani sarà troppo tardi.

Come ritrovare vecchi amici

Rileggerlo dopo tanti anni mi ha fatto bene. Non volevo andare a vedere il film appena uscito al cinema senza ricordarmi il romanzo alla perfezione, perché ovviamente devo criticare tutto a ogni fotogramma 🙂 E’ stato come ritrovare dei vecchi amici: Joe, la mia preferita allora e oggi, indipendente e fiera scrittrice in erba, Meg, la posata sorella maggiore, Beth, la piccolina di casa, ed Amy, l’artista, quella che mi piaceva e mi piace di meno. Passano gli anni, ma i gusti sono sempre gli stessi! E poi zia March, arcigna ma simpaticissima, il signor Laurence e il suo solitario nipote Laurie, papà e mamma March, sempre pronti a dare buoni consigli. Se non l’avete letto, cari i miei lettori, vi consiglio di rimediare subito.

Come nasce Piccole donne

L’editore chiese a Louisa, che fino a quel momento aveva scritto libri per bambini, di realizzare un libro per ragazze. Lei, che non era per niente convinta, accettò solo perché in questo modo il padre avrebbe potuto pubblicare un suo lavoro. Il successo fu clamoroso, tanto che la scrittrice dovette mettersi immediatamente all’opera per scrivere il seguito. Piccole donne crescono, infatti, uscì l’anno dopo e le due parti furono successivamente riunite in una. Negli Stati Uniti ancora oggi Piccole donne e Piccole donne crescono vengono venduti come un unico libro. In Italia, invece, è rimasta la distinzione.

Ecco perché di Piccole donne crescono vi parlerò nel prossimo post.

Intanto, ditemi: qual è la vostra esperienza con Piccole donne? E chi preferite tra Meg, Jo, Amy e Beth?

p.s. ci tengo a sottolineare che adoravo la professoressa, anche se su Piccole donne non eravamo d’accordo. La discussione è finita 1-1 palla al centro…

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Piccole donne crescono

Altri romanzi per ragazzi

La famiglia Aubrey – Rebecca West

Il mio 2020 per le letture è partito così così. Dopo il bassotto che mi ha un po’ deluso, anche con la decantata Famiglia Aubrey di Rebecca West non è andata benissimo. In teoria sarebbe una trilogia, ma ora vi racconto perché per me le avventure di Rose e gli altri si fermano qui.

Trama

Gli Aubrey sono una famiglia di artisti. Poveri ma uniti, si spostano in continuazione a seconda dell’impiego del padre, Piers: giornalista e scrittore stimato, vive in un mondo tutto suo, ha un problema con la gestione del denaro e un debole per il gioco. È la madre Clare a tenere le fila: pianista dotatissima, ha rinunciato alla carriera per i figli; logorata, ma mai abbattuta, ha trasmesso la sua passione per la musica anche a loro. Le due gemelle Mary e Rose sono due talenti precoci al pianoforte, sveglie e disincantate. Il fratellino, Richard, è adorato da tutti; e infine c’è Cordelia, la maggiore: molto bella, non è dotata come le sorelle ma è troppo ottusa per accorgersene. In questo primo romanzo, che copre un arco di dieci anni a cavallo tra Ottocento e Novecento, genitori e figli cominciano a prendere la propria strada.

Pagine e pagine di…

Un tomo di quasi seicento pagine che descrive minuziosamente la vita quotidiana di una famiglia sui generis. Artisti e intellettualoidi, faticano a convivere con un mondo che non ama i poveri e le persone che non corrispondono a canoni precisi. Fin qui, la storia avrebbe potuto essere interessante. Peccato che lo sproloquio continui per pagine e pagine di…nulla, senza che si crei la minima empatia con i personaggi e quello che succede. Forse perché la scrittrice privilegia uno stile abbastanza freddo, che sembra quasi una cronostoria più che un romanzo.

Chiudo la busta

Faccio qualche esempio. Fin dall’inizio, tutti si proclamano ottimi musicisti e io prendo per buona questa definizione. Ma come faccio a sapere se è vero? Non ci sono altri elementi oltre alle loro dichiarazioni. Il padre sembra che sia un genio, almeno dalle parole degli altri personaggi. Ma perché? Cosa ha prodotto di così eccezionale? Lo sappiamo solo verso la fine, con una gran furbata di Rebecca West, che scrivendo negli anni cinquanta lo fa passare per un profeta anche se conosce lei stessa molto bene gli accadimenti che lui “prevede”. I bambini, poi, quanti anni hanno? Parlano e ragionano come adulti in miniatura, e anche un po’ antipatici. L’unico personaggio che ha destato in me una certa simpatia è proprio il padre disgraziato, e forse la madre, verso la fine. Non abbastanza, ahimè, per proseguire nella vicenda.

A chi può piacere

Il romanzo ha riscosso un buon successo in libreria, perché se amate le descrizioni inglesi e il ritmo lento potrebbe fare al caso vostro. Sempre che non vi aspettiate chissà quali sconvolgimenti emotivi, vi avviso.

Voi che mi dite? L’avete letto? Vi è piaciuto?

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Una vita – Guy de Maupassant

Jane Eyre – Charlotte Brontë

Canto di Natale – Charles Dickens

Omicidio a capodanno – Christopher Bush

Una festa in maschera di fine anno, due degli ospiti ritrovati assassinati a fine serata, un investigatore dilettante tra gli invitati, una villa isolata e circondata dalla neve. C’erano tutti gli ingredienti per iniziare le letture 2020 col botto. E invece, un botto c’è stato, ma non quello che mi sarei aspettata…entrate che vi racconto.

Trama

A Little Levington Hall, la villa del giovane scienziato Martin Braishe, si è appena concluso un ballo in maschera. Gli ospiti si stanno ritirando nelle loro stanze quando all’improvviso salta l’impianto elettrico. Lì per lì nessuno dà peso alla cosa, ma l’indomani in molti lamentano il furto di denaro e oggetti di valore. Non è però un semplice ladro quello che si aggira per la Hall: nella sua camera, infatti, viene ritrovato il corpo dell’attrice Mirabel Quest. E poco dopo anche quello di suo cognato, lo schivo e cupo romanziere Denis Fewne. Ma perché non ci sono impronte sul manto di neve che circonda la villa? Bisogna chiamare la polizia, e presto, ma la casa è del tutto isolata: il telefono è fuori uso, le strade impraticabili. Toccherà a Ludovic Travers, uno degli ospiti, indagare su questi strani e spaventosi accadimenti per impedire all’assassino di colpire di nuovo.

Un’indagine confusa…

In teoria avevo programmato di far uscire questo commento il 31 dicembre o l’1 gennaio, in tempo per farci gli auguri di buon anno. Invece, confesso di non essere riuscita a finirlo nei tempi previsti. Il perché è presto detto: il giallo parte bene, ma in più occasioni scivola nella noia, su personaggi poco caratterizzati e su un’indagine che definire confusa è un eufemismo. Sappiamo che Travers sta capendo qualcosa, ma fino alla fine non sappiamo cosa. Finché non arriva un poliziotto, che a sua volta capisce tutto senza farci capire niente. Quello che voglio dire è che mancano gli indizi che consentano a chi legge di partecipare ai fatti e di trarre le sue conclusioni.

…e troppo lunga

Alla fine, tuttavia, il giallista esperto avrà capito chi è l’assassino e, probabilmente, anche il motivo per cui ha ucciso. Ed è un vero peccato che l’elemento più interessante, scatenato involontariamente da una delle vittime, venga taciuto quasi fino alla fine. Forse, sono stata traviata dalla fiducia infinita che ripongo nella collana I bassotti, finora mai deludente. Questo romanzo, ahimè, un po’ lo è. Forse perché non conoscevo Ludovic Travers, un personaggio ricorrente nei gialli di Christopher Bush. Magari l’autore dà per scontati tratti del suo carattere e del modo in cui si muove che per me sono rimasti un mistero. O forse perché troppo lungo e senza colpi di scena degni di questo nome.

Ambientazione intrigante

Tutto negativo, quindi? No, certamente. Mi è piaciuto l’affiatamento tra Ludovic Travers, l’investigatore dilettante, e l’investigatore della polizia che viene chiamato a indagare ufficialmente. Per una volta, non c’è il solito schema poliziotto poco furbo – dilettante super intelligente. Anzi, il poliziotto dà quel quid per la risoluzione che all’improvvisato investigatore sarebbe mancato. Sempre godibile, poi, l’ambientazione: una villa inglese di campagna isolata, la neve che nasconde il rosso sangue. Intrigante, non trovate?

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