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La fattoria degli animali di George Orwell è qui

La fattoria degli animali è uno di quei libri che ho letto durante l’adolescenza e che ho riscoperto grazie agli audiolibri, anche stavolta di radioplaysound. Come definire quest’opera di George Orwell? Una favola brutale, che in fondo incarna la condizione umana. Sono passati quasi ottant’anni dalla sua pubblicazione, eppure certi fatti e certi comportamenti sono rintracciabili pure nelle vicende che ci toccano da vicino. Ma venite che vi racconto.

Trama

Il fattore Jones possiede una fattoria, ma non è in grado di governarla: è alcolizzato, incompetente e crudele contro gli animali, che sfrutta senza pietà. Una sera tutti gli animali si riuniscono intorno a Vecchio Maggiore, un anziano e saggio maiale, che narra loro di un sogno che ha fatto, un mondo dove gli animali sono liberi dall’uomo e si autogestiscono, vivendo in armonia. Vecchio Maggiore muore da lì a poco. Un giorno Jones dimenticata di dare da mangiare agli animali e questi, esasperati, lo cacciano via. Il ruolo di guida viene assunto da due maiali: Napoleone e Palla di Neve.

Una favola brutale

L’audio parte e già sai che l’atmosfera generale stride con quella che apparentemente sembra una vicenda destinata a prendere una piega positiva. Che cattivoni gli umani, gli animali sì che sanno far andare avanti una fattoria con criteri di uguaglianza e solidarietà reciproca. Ma via via che la lettura procede, questi animali iniziano a incarnare i difetti e i pregi degli umani, in una sorta di favola brutale, dove sai che qualcosa succederà. Non sai cosa, però l’inquietudine cresce.

I livelli di lettura

La fattoria degli animali si presta a diversi livelli di lettura. Può essere letta come un’allegoria delle vicende storiche in cui George Orwell era immerso. Può essere letta come una denuncia sociale sulle condizioni abbrutite dei lavoratori, in nome di una produzione senza fine. Può essere letta, certamente, anche come una favola classica. Tutti i livelli sono accumunati dal motto: tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri. A cui aggiungerei che non solo, alla fine, non sono tutti uguali neanche nel regno animale, ma che la disuguaglianza è favorita dalla “distrazione” delle masse, che non ricordano, non si oppongono, non combattono per i loro diritti. Si fanno convincere, con le buone o le cattive. Ci vedo molto dei tempi moderni, cambiano forse gli strumenti, ma non i risultati. 

I personaggi

I personaggi sono il perno su cui si muove la storia e George Orwell riesce a renderli indimenticabili. Se fate attenzione alle loro caratteristiche, ritroverete molti personaggi della scena politica e sociale odierna. Il povero Palla di Neve, accusato di essere l’untore di qualsiasi cosa succeda, Napoleone il dittatore, con il suo portavoce Clarinetto, il Vecchio Maggiore, che muore prima di veder compiuta la rivoluzione, il saggio che si esprime con metafore semplici, che tutti possono capire. Godrano e Trifoglio, gli animali semplici, che si sfiancano di lavoro e aiutano gli altri, i cani e le pecore, mai nominati singolarmente ma che si muovono solo in gruppo, i primi per reprimere le sommosse, le seconde per farsi spaventare da qualsiasi slogan. Nella critica classica, a ogni nome troverete associato un personaggio storico. Il vecchio maggiore è Lenin, Napoleone Stalin, Gondrano e Trifoglio i lavoratori, i cani la polizia e le pecore le masse, Palla di Neve è Trotsky. E così via. Ma passati quasi ottant’anni dalla prima pubblicazione, avvenuta nel 1945, possiamo dire che gli animali incarnino dei fenotipi eterni. E’ così che va il mondo, direbbero gli anziani.

La fine è spettacolare

La fine de La fattoria degli animali è spettacolare e dà un senso profondo all’intera vicenda. Che fine faranno gli animali? La fattoria degli animali sopravvivrà o gli umani la riconquisteranno? Questo lo lascio scoprire a voi. Vi posso dire che alcuni degli animali rimangono nel cuore. Forse, perché inconsciamente ci vediamo noi stessi. Se avete voglia, ditemi nei commenti in quali animali vi rispecchiate. 

°°°

Ognuno aveva i suoi seguaci e scoppiavano spesso violente contese. Di solito, grazie ai suoi discorsi brillanti, al consiglio aveva la maggioranza Palla di Neve, ma Napoleone era più abile a ottenere il consenso tra una riunione e l’altra. Aveva successo soprattutto tra le pecore.

Deboli o forti, ingenui o scaltri, siamo tutti fratelli.
Tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri.

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Memorie dal sottosuolo – Fëdor Dostoevskij

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Madeleine Wickham aka Sophie Kinsella per il book club di primavera. Leggi con noi?

E’ Madeleine Wickham, aka Sophie Kinsella, la protagonista del BookcClubPec di primavera. Mi avete chiesto un libro divertente, spensierato, estivo. E cosa c’è di più estivo di una vacanza in Spagna? Ecco perché il romanzo che ci traghetterà verso l’estate è Vacanze in villa, abbastanza “stagionato” per trovarlo facilmente e senza troppo dispendio economico. Pronti a partire per questa nuova lettura di gruppo? Iniziamo da lunedì. Intanto, qualche informazione sull’autrice  e la trama del libro.

Sophie Kinsella 

Sophie Kinsella, pseudonimo di Madeleine Sophie Townley (Londra, 12 dicembre 1969), è una scrittrice e giornalista britannica. Wickham è il nome del marito, con cui è sposata dal 1991 e con cui ha avuto cinque figli. Una laurea in economia, prima di fare la scrittrice a tempo pieno ha lavorato come giornalista finanziaria. Con una passione: lo shopping, “mi perdevo per Covent Garden, era la mia fuga dalla noia“. E proprio lo shopping le ha regalato successo e notorietà. La serie di romanzi «I love shopping» l’ha lanciata nell’olimpo delle autrici di romance ironici e divertenti.  «Parlando di Becky ho parlato di me. Non ho cancellato nulla, ho solo aggiunto». Al momento, ha l’attivo 32 romanzi, con qualche incursione nella letteratura per ragazzi. 

La trama

Metti una splendida villa andalusa, due coppie infelici e un’imprevista vacanza insieme: che cosa succederà? Chloe e Hugh si ritrovano con le rispettive famiglie nello stesso momento e nello stesso posto, scoprendo con grande disappunto che Gerard ha promesso la villa a entrambi. Dopo lo sconcerto iniziale, sono costretti a convivere tra piccoli disagi e, soprattutto, tensioni sotterranee. Perché Chloe e Hugh hanno un passato in comune, un passato che torna prepotentemente a galla durante una vacanza che si rivelerà piena di imprevisti e sorprese.

Che ne dite? Vi piace Madeleine Wickham e il titolo che abbiamo scelto? Per ora iniziamo a leggere, vi do appuntamento alla prossima settimana con la prima analisi, l’ambientazione di Vacanze in villa.

Buona lettura!

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Vorrei partecipare. Ma come funziona il book club? E’ molto impegnativo? A queste domande, ti rispondo qui 

Gli Amabili resti di Alice Seibold

Da tanto volevo leggere questo romanzo di Alice Seibold e ora posso dire di non essermi sbagliata. E’ un romanzo che dà tanto, a chi è predisposto per cogliere il messaggio che lancia. Non aspettatevi un giallo classico. Non lo è. Anzi, non è per niente un “giallo”. Sappiamo tutto della vicenda, perché è Susie che ce lo racconta. Susie, una vita appena sbocciata che viene falciata dalla crudeltà umana, senza che nessuno degli adulti alzi un dito per difenderla. Ora vi racconto la mia personale lettura di Amabili resti e del perché gli amabili resti potrebbero non essere quello che vi aspettate siano.

Trama

Mi chiamavo Salmon, come il pesce. Di nome: Susie. Avevo quattordici anni quando fui uccisa, il 6 dicembre 1973. Ero prima che i bambini scomparsi iniziassero ad apparire sui cartoni del latte o fossero considerati come fatti di cronaca. Erano i tempi in cui la gente non pensava che certe cose non accadessero. La quattordicenne Susie è stata assassinata da un serial killer che abita a due passi da casa. È stata adescata da quest’uomo dall’aria perbene, che la stupra, fa a pezzi il cadavere e nasconde i resti in cantina. Il racconto è affidato alla voce di Susie, che dopo la morte narra dal suo cielo la vicenda. Susie racconta chi l’ha uccisa, cosa fa l’assassino, come avanzano le indagini, come reagisce la famiglia. Suo padre, opponendosi alla svolta che hanno preso le indagini della polizia, capisce chi è il vero assassino e, pur non avendo le prove, cerca d’incastrarlo. 

Un altro mondo in ” bolla”

Fin dall’inizio, Alice Seibold è abile a immergere il lettore in una “bolla”. Quella in cui si trova questa ragazzina, che quasi in maniera spassionata ci racconta di essere morta, come e per mano di chi. Quindi, fornisce al lettore fin dall’inizio tutti gli elementi per seguire la vicenda. Una vicenda che, anche per come è presentata sulle piattaforme e nella sinossi, sembra virare sul giallo. In realtà, questa è la storia di come una famiglia venga distrutta da un evento traumatico e da come, piano piano, riesca (forse) a riemergerne. Profondamente cambiata, profondamente traumatizzata, profondamente spezzata.

Vivere! Nonostante tutto

E’ questo che in realtà Alice Seibold vuole raccontare. La vita che prosegue, nonostante tutto, nonostante le perdite. Una vita che prosegue, in qualche modo, anche per chi non c’è più. Susie, però non può crescere, non sarà mai come i fratelli, sarà sempre la loro adorata Susie, la quattordicenne “fotografa naturalista”. Forse, questo è l’aspetto che mi ha commosso maggiormente: i sogni di questa quattordicenne spezzati dall’ingenuità, da un adulto malato che l’attira nella sua tana di morte. E per il quale, però, Susie non mostra mai astio, rancore. Perché l’orrore è troppo grande per essere compreso alla sua età. Lei rimane una bambina fiduciosa, più interessata alla sua famiglia che a condannare chi ha fatto del male. E la sua famiglia fa tenerezza: si spezza in due, chi persegue l’omicida come unica ragione di vita, chi si allontana per il troppo dolore. Tutti in cerca di un equilibrio ormai perduto. Sostenuti dai pochissimi amici che rimangono dopo un fatto del genere. Ruth e Ray sono capaci di affrontare il dolore e di continuare a far vivere Susie, anche se in vita avevano con lei un rapporto molto diverso. Ruth la conosceva appena, Ray l’amava. Eppure, entrambi la “sentono” e l’amano, a modo loro.

Da leggere perché 

Da leggere, per il messaggio di speranza che lascia, per la commozione che scaturisce, per la malinconia che lo attraversa. Non posso assegnare il tag cinque stelle per due motivi: il primo è il finale.  Alice Seibold costruisce, costruisce, costruisce e alla fine, quando dovremmo raggiungere l’acme per poi ridiscendere, sembra quasi che voglia trovare un pretesto per chiudere con un “e vissero tutti felici e contenti”, che stona con il racconto fin lì portato avanti e che mi ha lasciato insoddisfatta. Secondo: perché in un determinato frangente, che non posso rivelare perché sarebbe spoiler, Susie cambia registro e si comporta e parla come un’adulta? Secondo voi? 

Mi piaceva come una foto riuscisse a catturare l’istante prima che se ne andasse. 

Curiosità: 

Alice Seibold nei ringraziamenti nomina l’amica scrittrice Aimee Bender, autrice di Un segno invisibile e mio, altro consiglio di lettura per chi ama le storie fuori dai canoni.  

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Vivere! Yu Hua e un manifesto di Vita

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David Foster Wallace e Una cosa che si suppone divertente che non farò mai più

David Foster Wallace dice in apertura che per questo reportage la rivista Harper’s Magazine gli ha dato tremila dollari a scatola chiusa. Un sogno, come per tanti è un sogno la crociera. Come mai questo tipo di viaggio si trasforma in un’esperienza da fare una volta nella vita? David Foster Wallace cercherà di scoprirlo durante le sue “sette notti ai Caraibi” sulla Zenith che promettono faville. Ma sarà proprio tutto vero? Scopriamolo insieme. 

Trama

Un reportage su una settimana di crociera ai Caraibi, commissionato a David Foster Wallace dalla rivista Harper’s Magazine e pubblicato nel 1996 col titolo Shipping Out, che diventa un saggio. Il reportage è caratterizzato dalla sua estensione a tutto campo: Wallace spazia liberamente da un’analisi sociologica dei viaggiatori e dell’equipaggio, passando per una ricostruzione dell’industria delle crociere extra-lusso, fino a giungere a un’analisi introspettiva, con una disamina delle multiformi reazioni dello scrittore di fronte al fenomeno crociera.

Un quadro sociologico

Dopo quasi 25 anni, questo reportage ha quasi dell’incredibile. Solo una penna come quella di David Foster Wallace può trasformare un racconto di viaggio in un quadro sociologico così accurato. Toccando temi come emigrazione, disuguaglianza sociale, razzismo, diversità, partendo da commenti apparentemente banali sul cibo, l’architettura della nave, i comportamenti dell’equipaggio e dei turisti in crociera, le attività organizzate. In più occasioni scappa una risata, ma è la risata contrita di chi assiste a uno spettacolo comico intelligente, che ti mette di fronte a vizi e virtù della categoria umana.

Umano, troppo umano

Anche se la categoria osservata, e in qualche modo stigmatizzata, è quella di turisti americani benestanti o facoltosi, il quadro finale riguarda la categoria umana nel suo complesso e, a mio parere, è questo a rendere il reportage una lettura godibile ancora oggi. Vi segnalo a) che consiglio la lettura e b) che potete trovare l’audiolibro gratis sulla piattaforma Raiplaysound. Quindi, niente scuse. 😉 Fatemi sapere nei commenti che ne pensate!

Ognuno tiene ben stretta la sua tessera numerata neanche fossero i suoi documenti al Check point CharlieIn questa ansiosa attesa di massa, c’è un clima da Ellis Island pre Auschwitz, ma è con disagio che faccio questa analogia. Tante delle persone che aspettano, nonostante la tenuta caraibica, mi sembrano ebree e mi vergogno di sorprendermi a pensare di poter stabilire se uno è ebreo dall’aspetto. Secondo me i luoghi pubblici della East coast sono pieni di questi brevi momenti malvagi di osservazioni razziste e rinculi interiori politicamente corretti.

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I vacanzieri – Emma Straub

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La crociera imprevista – Marie-Anne Desmarest

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(Non) ci vogliono le palle, Caitlin Moran

Caitlin Moran e le sue dissertazioni sul diventare donna. Ammantato di femminismo, forse per renderlo più appetibile all’universo femminile. In realtà, ti ritrovi a leggere una serie di riflessioni semiserie su vicende e fatti che potrebbero appartenere a ognuna di noi. E che appartengono sicuramente a una donna nata per prima in una famiglia di 8 figli e genitori hippie. Non poteva non uscirne fuori un pamphlet filo-femminista.

Trama

A tredici anni, Caitlin Moran è una ragazzina cicciottella, senza amici, perennemente presa in giro dai maschi. E il giorno del suo compleanno, tra una torta/baguette con il Philadelphia e una “lista delle cose da fare prima dei diciotto anni”, ecco che la assale il dubbio da un milione di sterline: ma come si fa a diventare una donna? Oltre vent’anni dopo, ripercorrendo le esperienze che l’hanno aiutata a crescere, Caitlin prova a rispondere a quell’interrogativo.

Una biografia romanzata

Caitlin Moran è molto conosciuta in Gran Bretagna, nasce come giornalista musicale e poi diventa una tuttologa, appassionata di tematiche femminili. In questa biografia romanzata racconta un pezzo della sua vita e delle sue difficoltà nel crescere e diventare donna. Mentre racconta di sé e delle sue vicende tragicomiche, non fa altro che dipingere i fatti salienti che tutte le bambine prima, ragazze poi e donne alla fine, prima o poi si trovano ad affrontare. Non su tutto si può essere d’accordo, ovviamente, e a tratti sembra di sentir parlare le protagoniste di Sex and the City, che non a caso viene citato a più riprese, ma se viene letto ignorando la parola “femminismo”, allora può strappare qualche risata e anche qualche “è proprio così, finalmente qualcuno lo confessa!”

Di femminismo neanche l’ombra

Di femminismo, infatti, neanche l’ombra. Cosa che la stessa autrice conferma quasi subito, tra l’altro. Chissà, forse l’accostamento serviva a rendere più appetibile il marketing del libro. Vengono toccati, però, alcuni temi sensibili: la famiglia di origine, la scuola, il lavoro, il matrimonio, la scelta di avere figli, la scelta di non avere figli, la scelta di abortire. Tutti temi importanti per la vita di tutti noi, affrontati secondo il suo punto di vista, secondo il suo modo di essere donna. Lo ripeto, perché alcuni argomenti potrebbero essere urticanti. Tipo le critiche agli Wham, per quanto mi riguarda! Ma voi leggetelo come leggereste un saggio e fatevi una vostra opinione. La mia è che Caitlin Moran abbia aggiunto alcuni avvenimenti per incrementare il pathos e che forse un inglese lo troverà sicuramente più gustoso di quanto possiamo fare noi. L’unica cosa importante da ricordare è: non ci vogliono le palle per essere donne. Anzi, ci mancano pure quelle!

Tutti i matrimoni si condensano nel…pretendere di essere un VIP per un solo giorno pazzescamente costoso…Eppure le donne pensano sia un “premio” trascorrere un giorno follemente costoso comportandosi come questi cretini, prima di sopportare le asperità del futuro, accasarsi e non avere mai più giorni speciali. Naturalmente il motivo principale per cui non si avranno più giorni speciali dipende dall’aver appena speso 21.000 sterline in sedicimila vol-au-vent e una jazz band; ma il simbolismo è incredibilmente potente. In questi casi guardate gli uomini. Loro hanno un giorno speciale in cui si sentono re del mondo e poi tornano a vivere una vita da pecore? No, loro si divertono quando vogliono…Le donne invece è come se si fossero ammansite dopo aver vissuto “il giorno più bello della loro vita”. Donne, siete sicure di non essere felicemente disposte a scambiare quel giorno “speciale” per una vita ricca di piaceri più modesti? 

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