Tutti gli articoli di Liza M. Jones

Brema, L’ultima bracciata – Francesco Zarzana

Un documentario su RaiStoria mi ha fatto riprendere in mano questo libro sulla tragedia di Brema.  Libro che ogni tanto riapro per guardare le loro foto. E piangere.

Brema 28/01/1966. L’Italia sta cantando le canzoni del Festival di Sanremo, quando arriva una notizia spaventosa. E’ caduto un aereo della Lufthansa a Brema. Brema? I nostri nuotatori stavano andando lì, insieme all’allenatore e a un cronista Rai. Non è il loro aereo, vero?

Nessun sopravvissuto

Un’intera generazione di giovani atleti spazzata via in un attimo.

Francesco Zarzana ne L’ultima bracciata ripercorre quei terribili momenti, ci racconta chi erano quei ragazzi, quali sogni avevano, cosa avevano già vinto e quali traguardi avrebbero potuto raggiungere se all’ultimo minuto la Federazione non avesse deciso di prendere l’aereo per farli arrivare riposati alla gara internazionale che si sarebbe tenuta a in Germania, a Brema appunto, una tappa importante della stagione.

Amedeo, Bruno, Carmen, Chiaffredo, Daniela, Luciana, Sergio, hanno i volti sorridenti e gli occhi luminosi della loro età. Li vedremo sempre così, in eterno, perché non hanno potuto diventare vecchi e guardare in tv gli atleti arrivati dopo di loro. E Nico, Paolo, il giornalista e l’allenatore che li accompagnava, gente che credeva nel nuoto e che li aveva visti crescere e diventare forti, fortissimi, tanto da poter competere coi grandi a livello europeo.

Atleti veri

Un libro e una vicenda che assumono per me un significato particolare. Noi giovani nuotatori siamo tutti cresciuti nel loro ricordo e ho avuto la fortuna di conoscere personalmente la mamma di uno di loro, Bruno Bianchi. Un’anziana signora, o almeno a me così sembrava all’epoca, che partecipava alle nostre gare di bambini e che ci incitava a fare del nostro meglio. Perché il nuoto, e lo sport in generale, è proprio questo: una disciplina che insegna a sacrificarsi, a lottare ad armi pari, facendo del proprio meglio per mettere la mano davanti, e a stringere la mano di quello che l’ha messa davanti in caso di sconfitta. Come aveva fatto il figlio Bruno, che lavorava come operaio alla Fiat e che oltre agli allenamenti trovava anche il tempo per frequentare l’università. Uno scenario un po’ di diverso da quello delle stelle dello spettacolo che vediamo oggi in tv, no?

Una lettura triste, commovente e intensa allo stesso tempo, da affrontare col fazzoletto in mano. Il sottotitolo recita: “Brema, 1966: la tragedia dimenticata della Nazionale di nuoto”.

Io cambierei il sottotitolo in “La tragedia Indimenticata (e indimenticabile)“.

***

Dal libro “L’ultima bracciata”

Dino Buzzati “I puri”

“…quando a Superga si fracassò l’aereo che portava la squadra del Torino, l’impressione fu enorme. Erano i più forti calciatori d’Italia.
Questi qui di Brema fanno più pena e più pietà.
De Gregorio, Bianchi, Rora, Chimisso, la Massenzi, la Longo e la Samuele non erano famosi, anche se erano i più bravi. Chi in Italia si interessa di nuoto? Abbiamo il mare da tutte le parti, ma semplicemente tenersi a galla è una specie di rarità. Non erano famosi e neanche ricchi. Anche se avessero vinto tutte le gare non avrebbero guadagnato un soldo. Erano i puri, gli asceti dello sport, i candidi e generosi, con la faccia ancora da bambini. Niente divertimenti e baldorie come tutti gli altri ragazzi. Ma disciplina, dieta, esercizi, fatica. Con in fondo il miraggio di una gloria minuscola che sarebbe durata ventiquattrore nella migliore delle ipotesi…”

Francesco Zarzana – L’ultima bracciata

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Il nuoto per master e amatori, di Fabio Bettazzoni

“Grossoni” con esubero e spezie

Di una semplicità disarmante. Finora, non ho trovato ricetta migliore per smaltire gli esuberi mostruosi che mi ritrovo ogni volta che salto una panificazione con mother. Lei si offende, blobba e a me dispiace sprecare cibo. E’ mio dovere avvisarvi: questi “grossoni” vanno via in un nanosecondo.

Ingredienti (per circa 15 grossoni):

  • pasta madre, 350 gr
  • acqua, 35 gr
  • olio evo, 30 gr
  • farina di semola di grano duro rimacinata, 175 gr
  • spezie e aromi vari (curcuma, origano, timo, rosmarino, …)
  • sale, 1 pizzico

Procedimento: 

In img_5284una ciotola sciogliete la pasta madre con l’acqua e l’olio finché è tutta liquida. Aggiungere le spezie e la farina e mescolare. Alla fine, aggiungete un pizzico di sale. Passate sulla spianatoia e lavorate l’impasto brevemente, finché lo vedete diventare liscio e omogeneo. Formate una palla e lasciatela riposare per 5 minuti. Riprendete l’impasto e con una spatola o un coltello tagliatelo a fette spesse.

 

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Dividete ogni fetta in due e arrotolatela con entrambe le mani. Deve diventare molto lunga e fina.

Poi utilizzate il punto mediano del filoncino come capo della treccia e intrecciate i due fili fino all’estremità. Accendete il forno a 210°.
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Adagiate i grossoni su una teglia e infornate per 15 minuti, se volete che restino morbidi. In cottura tenderanno a gonfiarsi e diventeranno giganti, da qui il nome che ho dato loro. Se il grado di cottura non vi soddisfa, rimettete in forno per qualche altro minuto.

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Note: 

  • suggerimento di presentazione. Prendete una tazza grande, rivestitela con un tovagliolo di carta colorato e adagiateli in piedi, perché gli ospiti possano sfilarli dal mucchio. Più ne fate e più sembreranno tante spighe di grano;
  • potete utilizzare le spezie e gli aromi che volete, provando diversi abbinamenti;
  • essendoci olio e spezie, mi sono limitata a un pizzico di sale. Se vi piacciono più salati, ma io vi consiglio di limitarne l’uso il più possibile, aggiungetene qualche grammo;
  • se non usate la pasta madre, usate i convertitori online per bilanciare gli ingredienti con il lievito che usate.

Altre ricette:

Ricette di lievitati

 

1Q84 – Haruki Murakami

Haruki Murakami, lo scrittore che spacca a metà i lettori: o lo amano, o lo odiano. Io sono decisamente nella prima categoria, i suoi viaggi onirici mi piacciono moltissimo. Sulla riuscita di 1Q84, però, ho qualche perplessità. E ora vi spiego perché. 

Trama

1984, Tokyo. Aomame è bloccata in un taxi nel traffico. L’autista le suggerisce, come unica soluzione per non mancare all’appuntamento che l’aspetta, di uscire dalla tangenziale utilizzando una scala di emergenza, nascosta e poco frequentata. Negli stessi giorni Tengo, un giovane aspirante scrittore dotato di buona tecnica ma povero d’ispirazione, riceve uno strano incarico: un editor senza scrupoli gli chiede di riscrivere il romanzo di un’enigmatica diciassettenne così da candidarlo a un premio letterario. Intanto Aomame osserva perplessa il mondo che la circonda: sembra quello di sempre, eppure piccoli, sinistri particolari divergono da quello a cui era abituata. Finché un giorno non vede comparire in cielo una seconda luna e sospetta di essere l’unica persona in grado di attraversare la sottile barriera che divide il 1984 dal 1Q84.

Opera riuscita a metà

Amo così tanto Haruki Murakami da averli letti quasi tutti. Tuttavia, credo che questa trilogia sia un’opera riuscita a metà. Sicuramente il tentativo di alzare ulteriormente lo standing dello scrittore, forse per raggiungere il tanto sospirato Nobel?

Un romanzo unico, anziché una trilogia, sarebbe stato più idoneo a centrare l’obiettivo, perché troppo spesso la storia sembra allungata ad arte, senza reale sostanza. I personaggi, poi, troppo spesso ripetono esattamente la frase detta dal loro interlocutore, dando quasi la sensazione di essere un po’ lenti. Oppure, è giudicato lento il lettore, dipende dai punti di vista. Peccato, perché come sempre sono tratteggiati con occhio fine (Fukaeri su tutti).

Tre stelle, ovviamente, per la maestria di Haruki Murakami. Fosse stato uno “normale” ne avrebbe prese quattro.

Curiosità da bibliofili

Il titolo è un omaggio a 1984 di George Orwell. La lettera Q del titolo ha la stessa pronuncia del numero 9 in giapponese e vuole simboleggiare il ?, question mark in inglese.

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A sud del confine, a ovest del sole – Haruki Murakami

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La lista di Charlotte – Brenda Cullerton

Un’assassina seriale nella New York dei ricchi mi ha intrigato subito. Soprattutto se l’assassina in questione è un’insegnante di yoga, che dovrebbe insegnare tutt’altro. Tra un om e un namasté, mi viene il sospetto fondato che ogni insegnante prima o poi debba aver immaginato di far fuori i suoi allievi. Soprattutto quando hanno l’arroganza del potere. Chissà, forse Brenda Cullerton è una di loro…

Trama

New York. Upper East Side. Charlotte Wolfe è una talentuosa interior designer al servizio di una clientela ricca sfondata. Sa bene che il suo successo le è costato caro. Lavorare per clienti spaventosamente magre, venali e insensibili la sta facendo letteralmente “uscire pazza”. Così, si auto investe della missione di “sfoltire” le fila di queste mostruose creature, armata di tappetino yoga e attizzatoio. A ogni nuovo omicidio, la tensione s’ispessisce e aumentano le probabilità di essere colta in flagrante… Ma chi potrà dubitare dell’insospettabile Charlotte?

Siamo tutti vittime e carnefici

Come rovinare una buona idea con un finale troppo semplicistico. Charlotte è una trentasettenne in guerra con le ricchissime bionde patinate dell’upper east side, descritte come “inutili soggetti di cui il mondo farebbe meglio a liberarsi”. Charlotte interpreta alla perfezione il ruolo di angelo vendicatore, l’unica ad avere il coraggio di mettere in pratica quello che “personal trainer, arredatori, stilisti e fisioterapisti di Manhattan sognano ogni giorno della loro vita”. Cioè uccidere le loro dispotiche, viziate e superficiali clienti.
La personalità della protagonista è complessa, disturbata, ossessiva. Eppure, in qualche modo, non sono riuscita a prendere le sue parti, né quelle delle vittime. Forse perché, in qualche modo, siamo tutti vittime e carnefici allo stesso tempo?
Poi, nel finale, Brenda Cullerton inciampa vistosamente su una conclusione improbabile. Come inverosimili sono anche gli stereotipi tipicamente americani sugli stranieri: russi di cui non fidarsi, italiani truffaldini, eccetera. Peccato, perché gli elementi per un ottimo thriller c’erano tutti.

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Tua – Claudia Piñeiro

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Non dirmi che hai paura – Giuseppe Catozzella

“Ci siamo ritrovati, sperduti e affamati.
No, ci siamo ritrovati.
Ero libera.
Come l’aria, libera come le onde del mare”.

Trama

Giuseppe Catozzella ci racconta la storia, che per certi versi ha dell’incredibile, di Saamiya Yusuf Omar. Samia è una ragazzina somala che vive a Mogadiscio e ama correre. Il suo sogno, e quello di Alì il suo amico del cuore e primo allenatore, è vincere le olimpiadi. Mentre la Somalia è sconvolta dall’irrigidimento politico e religioso, Samia si allena di notte e, a soli diciassette anni, il suo sogno si avvera: Pechino 2008. Arriva ultima, ma diventa un simbolo per le donne musulmane in tutto il mondo. Lei, però, vuole vincere. Decide di intraprende il Viaggio di ottomila chilometri, l’odissea dei migranti dall’Etiopia al Sudan e, attraverso il Sahara, alla Libia, per arrivare via mare in Italia. Chi riesce a sopravvivere ha già vinto la sua Olimpiade.

Una donna non può correre

Samia è nata per correre, ed è quello che fa, con la foto di Mo Farah appesa in camera. Corre allenata da Alì, il suo Aboowe “fratello”. Sedici anni in due, lui la cronometra, le fa scudo quando qualcuno la importuna perché “una donna non può correre”, l’accompagna alle gare. Samia ha un solo obiettivo: rappresentare la Somalia alle Olimpiadi. Ed ecco che il sogno si avvera: Pechino 2008, Samia è sul blocco di partenza, senza una divisa, senza quasi aver mangiato, senza allenatore. Arriva ultima Samia, non può essere altrimenti, ma tutti vogliono intervistarla e lei una dichiarazione la rilascia: “Avrei preferito essere intervistata per essere arrivata prima, invece che ultima. La prossima volta farò del mio meglio per non arrivare ultima.” Sembrano i sogni di una bambina, però lei ci crede. Andrò a Londra, sarò accanto al mio idolo, Mo Farah. Lui ce l’ha fatta, ce la farò anch’io. Solo che per farcela deve affrontare Il Viaggio. Deve attraversare il Mediterraneo e arrivare a Lampedusa. Deve affidarsi ai trafficanti di esseri umani. Deve pensare solo a rimanere viva. Deve imparare a nuotare, Samia.

Una lettura emozionante, triste, crudele.

La televisione ci offre l‘immagine sfavillante dello sport, le masse muscolari, i record, le polemiche, gli sponsor, i gettoni per ogni vittoria.
Samia ci ricorda che c’è anche un altro sport, fatto di bambini in guerra che non hanno nulla da mangiare e che possono contare solo sulle loro gambe per salvarsi, e che quasi sempre non ci riescono.
Grazie Samia, mi hai regalato una lezione di vita.

Sempre sull’emigrazione: Scontro di civiltà per un ascensore a piazza Vittorio – Amara Lakhous