Tutti gli articoli di Liza M. Jones

Ti amo, ti odio, mi manchi, Niamh Greene

Niamh Greene e una favola leggera leggera per chiudere la stagione dei libri da ombrellone. Anche se siamo in autunno inoltrato e ancora sembra estate, forse un altro scampolo di mare riusciremo a farlo. Maggie perde lavoro, fidanzato e migliore amica in un colpo solo. Almeno quest’ultima le lascia un cottage in campagna dove rifugiarsi! Magari, dentro una stalla Maggie troverà l’amore…venite che vi racconto.

Trama

Vivere una vita felice non è complicato. Basta seguire delle regole precise. Per esempio: mai mollare un uomo solo perché ha mangiato l’ultimo orsetto gommoso della confezione. Mai trasferirsi in un rudere fatiscente per “ritrovare se stessi”: si rischia solo di diventare lo zimbello altrui e di coprirsi di ridicolo davanti a tutti. E soprattutto, non innamorarsi di un uomo che ha due figlie. Maggie passa da una disavventura all’altra, perde il lavoro a Dublino, rinuncia alle sue Jimmy Choo per calzare orribili stivali da lavoro e si rifugia nella sonnolenta cittadina di Glacken. Ma è una donna testarda, non si arrende ed è anzi pronta a tutto pur di conquistare la gioia e la serenità che merita. Una vita perfetta e un amore da sogno sono lì ad aspettarla.

Le regole per una vita perfetta

Il titolo, come sempre, è fuorviante. Quello originale di Niamh Greene è “Le regole per una vita perfetta”. E chi non la vorrebbe, una vita perfetta? Le regole scandiscono i capitoli, ce n’è per tutti i gusti. Queste regole, alla fine, sembrano essere un po’ troppe. Tanto che pure Maggie alla fine se ne accorge e molla tutto per seguire il suo cuore. Tutto inizia quando lei perde il lavoro, la tigre Irlanda a un certo punto ha frenato clamorosamente e in tanti si sono ritrovati per strada, e si trasferisce in campagna a badare a un cottage per conto della sua migliore amica, andata in India per ritrovare se stessa. Maggie incontra quasi subito un vedovo più che consolabile, ma il contesto non è che sia proprio quello che sognava nella vita. In più ci sono due figlie, una suocera e una pretendente al trono da domare, oltre ai cavalli di Edward (un nome, un programma). Niamh Greene mette in piedi una favola moderna, in aperta campagna. Ci sono tutti gli elementi per piacere. 

La sindrome del second lead

Anche se ve lo dico, l’approfondimento psicologico scarseggia. Le due figlie e la suocera avrebbero potuto graffiare molto, molto di più. Anche Edward, non si mostra più di tanto, rimane tutto sottaciuto, anche se immaginiamo che la tragedia vissuta debba essere stata grandissima per tutti loro. Insospettabilmente, nelle mie grazie si è fatto strada il second lead. Arieccola, la sindrome che mi attanaglia quando guardo i kdrama! Anche qui, questo povero ex fidanzato qualcuna lo vuole? L’unica pecca che ha è che mangia orsetti gommosi a sbafo: lo possiamo anche perdonare, no? Come perdoniamo l’ennesima protagonista che si presenta su un campo aperto con le Jimmy Choo di ordinanza. Ma a noi piacciono le favole e le Maggie un po’ sbadate: chi di noi, sull’orlo della disoccupazione, non comprerebbe un paio di scarpe da 400 dollari?

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Il quaderno dell’amore perduto di Valérie Perrin

Un’altra sopresa in questa estate di sorprese, il mio incontro con Valérie Perrin. Non amo i libri o gli scrittori che vanno di moda, perché spesso le mode sono influenzate da fattori molto poco oggettivi. Ma ho trovato a un buon prezzo il primo libro della scrittrice francese, tradotto dopo il grande successo dei suoi lavori successivi. Bè, mi sono ricreduta: successo meritato. Venite che vi racconto.

Trama

Segnata dalla morte dei genitori, la giovane Justine ha scelto di vivere a Milly – un paesino di cinquecento anime nel cuore della Francia – e di lavorare come assistente in una casa di riposo. Ed è proprio lì, alle Ortensie, che Justine conosce Hélène. Arrivata al capitolo conclusivo di un’esistenza affrontata con passione e coraggio, Hélène racconta a Justine la storia del suo grande amore, un amore spezzato dalla furia della guerra e nutrito dalla forza della speranza. Per Justine, salvare quei ricordi – quell’amore – dalle nebbie del tempo diventa quasi una missione. Così compra un quaderno azzurro in cui riporta ogni parola di Hélène e, mentre le pagine si riempiono del passato, Justine inizia a guardare al presente con occhi diversi. Forse il tempo di ascoltare i racconti degli altri è finito, ed è ora di sperimentare l’amore sulla propria pelle. Ma troverà il coraggio d’impugnare la penna per scrivere il proprio destino?

Il quaderno azzurro

Il romanzo di Valérie Perrin mi è piaciuto moltissimo, soprattutto il finale. I fatti sono narrati da una giovanissima che, chissà perché, ha una sola passione: gli anziani. Accudirli e ascoltarli è un lavoro che le piace, soprattutto perché non lo fa più nessuno, parenti su tutti. Quindi, questi anziani finiscono nelle case di riposo, spesso senza nessuno che li vada a trovare. E, soprattutto, senza nessuno che voglia ascoltare la loro storia. Infatti, non a caso il titolo originale è “I dimenticati della domenica”. Justine lo fa, li ascolta, e compra anche un quaderno azzurro, per non perdersi neanche una parola di quello che le viene detto. E così, veniamo anche noi a conoscenza del grand amore di Hélène e della vita che è passata e sta per lasciarla andare. Ma Hélène ha un compagno fedele, che non l’abbandona e la sorveglia costantemente. Sarà solo lei a decidere quando andare e lui lo segnalerà. 

Justine

Nonostante il focus su Hélène e l’amore della sua vita, è stata proprio Justine a incuriosirmi di più. E a farmi versare una lacrimuccia, o forse più di una, al termine della lettura. Perché nonostante le sue vicende familiari non semplici, è una ragazza trasparente, gentile, generosa, molto salda nei suoi valori. Se tutti gli operatori sanitari fossero come lei, vivremmo in modo più sereno anche l’inevitabile tristezza degli ultimi momenti, ne sono sicura. Al netto di alcuni passaggi non proprio convincenti, soprattutto nella fase in cui il terribile segreto della sua famiglia verrà rivelato, Un romanzo che vi consiglio se avete voglia di nostalgia, riflessione e romanticismo sottobosco. 

A questo punto, non mi rimane che leggere anche gli altri. Voi siete appassionati di Valérie Perrin? Qual è il vostro romanzo preferito? Fatemi sapere nei commenti! 

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Chiara Moscardelli, Teresa Papavero e la maledizione di Strangolagalli

Di Chiara Moscardelli non avevo letto mai nulla e ho iniziato dalla sua serie più famosa, quella di Teresa Papavero, Pap per gli amici. Una quarantenne irrisolta, o almeno così appare agli occhi della società e del padre. Talmente sfiduciata, che decide di tornare da dove è venuta, nel ridente paesino di Strangolagalli. Ridente, fino a un certo punto…

Trama

Superati i 40 anni Teresa Papavero, dopo avere perso l’ennesimo lavoro, decide di tornare a Strangolagalli, borghetto a sud di Roma nonché suo paese natio, per ricominciare in tranquillità. E invece la tanto attesa serata romantica con Paolo, conosciuto su Tinder, finisce nel peggiore dei modi: mentre Teresa è in bagno, il ragazzo si butta dal terrazzo. Suicidio? O piuttosto, omicidio? Il maresciallo Nicola Lamonica è assai confuso. Non lo è invece Teresa che capisce subito che qualcosa non va. 

Teresa incarna una generazione

La maledizione di Strangolagalli è il primo romanzo della serie, di cui l’11 ottobre 2023 uscirà il terzo libro. Ormai è tardi per consigliarvi libri da ombrellone, ma la serie di Chiara Moscardelli entra  a pieno diritto nei consigli per la spiaggia. Il romanzo è leggero, divertito, ha un buon ritmo. Teresa Papavero è una donna che incarna la generazione dei quarantenni che, se non corrispondono a uno standard predefinito, vengono trattati male dalla comunità e pure dai genitori. In questo caso, il padre. Solo che ognuno di noi ha il proprio modo di essere e sentire e, anche se la butti sul ridere, non è detto che le critiche non facciano male. E soprattutto, oltre al proprio sentire, tutti noi abbiamo delle qualità. Quella di Teresa? Ricordarsi nei minimi dettagli tutto, anche aspetti apparentemente insignificanti.

Da Strangolagalli con furore

Ed ecco che questa direttrice di b&b improvvisata, improvvisamente diventa centrale per la risoluzione dell’omicidio. In mezzo, ed è questo l’aspetto più riuscito del romanzo di Chiara Moscardelli, il microuniverso in cui Teresa Papavero si trova catapultata dopo aver lasciato Roma. In fondo, alle motivazioni del suicidio/omicidio (per non fare spoiler vi lascio il dubbio), un lettore appassionato di gialli arriverà presto. Il romance c’è, ma lasciato a metà, forse in vista di puntate future già pianificate (e sapete quanto non mi piaccia la cosa), ma in fondo è coerente con il personaggio della protagonista. Rimane la scelta di fondo, andarsene dalla città e trovare una propria strada, anche quando tutti pensano che ormai tu sia una causa persa. Chi di noi non farebbe il tifo per Teresa?

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Le Sette sorelle: quarto libro, CeCe

CeCe è una delle sorprese di questa mia estate di vacanze in città. Ne ho avute più di una, piano piano ve le sto raccontando. Questo è il quarto libro della saga di Lucinda Riley che leggo e non è che mi aspettassi grandi variazioni sul tema. Infatti non ce ne sono, ma la scrittrice inglese qui, secondo me, inizia a prendere confidenza con questa narrazione monumentale che ha ideato. Venite che vi racconto.

Trama

Da quando Star non vive più con lei, CeCe si sente sola, vulnerabile e inadeguata. Ha ormai perso tutto: il rapporto speciale che aveva con la sorella, e anche l’ispirazione per i suoi quadri. In fuga da una vita in cui non si riconosce più, si ritrova in volo per l’Australia, sulle tracce che il padre le ha lasciato prima di morire: una foto in bianco e nero e il nome di una donna sconosciuta. Ma quello che doveva essere lo scalo di una notte a Bangkok si trasforma nella prima tappa di un viaggio eccitante e avventuroso. Sulle meravigliose spiagge di Krabi, CeCe incontra Ace, un giovane affascinante, solitario e alquanto misterioso. Tra un bagno nelle acque cristalline e una cena romantica, Ace l’aiuta a scoprire la storia della sua antenata Kitty McBride, donna forte e coraggiosa, emigrata in Australia agli inizi del Novecento: sulla scia fatale di una rarissima perla rosata, Kitty si ritrova divisa tra l’amore di due fratelli rivali, e al centro delle trame di una famiglia che possiede un vero e proprio impero… Quando infine CeCe arriva nel caldo feroce del deserto australiano, la sua creatività si risveglia all’improvviso: forse questo continente immenso e selvaggio è davvero la sua casa?

Prima sorpresa: CeCe

Il personaggio di CeCe è sorprendente. Nel terzo libro, La ragazza nell’ombra, ci eravamo fatti un’idea di questa ragazza che non corrisponde alla realtà. Elemento che preoccupava, e non poco, anche la scrittrice. “ Temevo che i lettori si fossero già fatti un’idea sbagliata su di lei, leggendo i libri precedenti, perché l’avevo dipinta come dispotica e brusca“. In pratica, siamo caduti nel tranello di Lucinda Riley, la quale, giustamente, ci ricorda che “ci sono sempre due versioni della medesima storia“. Infatti, CeCe è una ragazza in cerca di se stessa, delle sue radici, ma anche delle sue capacità. La dislessia che l’attanaglia, è stata sempre un freno alla sua evoluzione, come artista e come donna. E anche quel guardarsi allo specchio e non sentirsi come le sorelle…perché? Un motivo c’è, e lo capiremo alla fine di questo romanzo.

Seconda sorpresa: gli aborigeni

Lucinda Riley ha compiuto un lungo lavoro di ricerca per questa saga, andando nei posti che ha poi descritto nei volumi. In questo caso, CeCe arriva alla Missione di Hermannsburg, vicino ad Alice Springs, in cerca delle sue radici. E lì conosce Albert Namatjira, il più famoso artista aborigeno australiano del Ventesimo secolo. Sul suo blog, Lucinda ci racconta che Hermannsburg era una missione luterana fondata nel 1877 da pastori della Germania del nord, ma diventò presto un villaggio interculturale. Uno dei primi pastori, Carl Strehlow, che tradusse la Bibbia nella lingua arrernte, ebbe un figlio, Theodor (Ted) che nella Ragazza delle perle è amico di Charlie. Divenne un famoso antropologo, e contribuì a diffondere nella società australiana la cultura arrernte. Il pastore Albrecht rilevò la Missione di Hermannsburg nel 1922 e insieme a Ted Strehlow, sostenne Albert Namatjira e i suoi compagni artisti aborigeni, adoperandosi affinché venissero costruiti più insediamenti aborigeni. Albert fu di ispirazione per altri giovani pittori aborigeni e successivamente fondò la scuola di Hermannsburg. Nel 1957, Albert e sua moglie Rubina furono i primi aborigeni a cui furono riconosciuti pieni diritti di cittadinanza.

Terza sopresa: le perle

Non credevo che la storia delle perle mi avrebbe appassionato. Invece, è andata proprio così. Mi sembra, e voi espertissimi di questa scrittrice mi confermerete o meno, che la saga libro dopo libro stia salendo di livello. La storia delle perle, e della perla maledetta, è vera, e mi ha ricordato la storia dei corallari di Sveva Casati Modignani in Palazzo Sogliano. Il fatto che a raccogliere le perle a mani nude mandassero le donne aborigene, attività molto pericolosa, non poteva non farmi pensare alle haenhyeo, le donne pescatrici coreane.
CeCe
E la storia in sé di CeCe, o come preferisco chiamarla io Celaeno? E’ interessante, ma a volte sembra che Lucinda Riley preferisca il passato al presente. Alcune scoperte che la quarta sorella fa su di sé avrebbero meritato, a mio parere, più spazio. Come i genitori di queste sorelle, quando va bene la storia si ferma ai nonni. Perché? Mi sarebbe piaciuto poterlo chiedere a Lucinda Riley direttamente, ma purtroppo non sarà possibile. L’unica cosa sicura, è che andrò avanti con la serie. Anche perché, in questo romanzo ha nascosto talmente tanti indizi, alcuni li ho colti e alcuni no, che non posso fare altrimenti!
E voi? A che punto siete? In ritardo come me, o avete già finito?

“Ci sono tantissime leggende sulle Sorelle, ma questa è solo nostra”.
Come fanno a essere simili in tutto il mondo?
Quando furono raccontate la prima volta, oltre duemila anni fa, non è che i Greci potessero mandare una mail agli Aborigeni, o i Maya parlare al telefono coi giapponesi. Che tra terra e cielo ci fosse un legame più grande di quanto avessi mai considerato?

La saga delle sette sorelle: tutti i titoli

  1. Le sette sorelle. La storia di Maia, 2015
  2. Ally nella tempesta, 2016
  3. La ragazza nell’ombra, 2017
  4. La ragazza delle perle, 2018
  5. La ragazza della Luna, 2019
  6. La ragazza del Sole, 2020
  7. La sorella perduta, 2021
  8. Atlas: la storia di Pa’ Salt, 2023

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Trieste, una città che scrive è una città libera

Trieste. Sì, James Joyce. Ok, Umberto Saba. D’accordo, Italo Svevo. Certo, tutto giusto. Ma anche una città poliglotta, culturalmente vivace, che scrive. Sui muri, soprattutto. Si dice che l’anima di una città sia custodita dalle sue pareti.Nel caso di Trieste, è indubbiamente vero. Grazie al musical Il fantasma dell’Opera, per la prima volta in Italia, finalmente sono riuscita a visitarla. Venite che vi racconto.

Molo Audace

Se abitassi a Trieste, penso che starei qui tutte le sere, estate e inverno. Si chiama così, o meglio, è stato ribattezzato così, in onore  del cacciatorpediniere Audace, la prima nave della Marina Militare Italiana arrivata a Trieste il 3 novembre 1918. Anche oggi, devi essere audace per dichiararti dinnanzi a un tramonto così spettacolare. Credo, infatti, che sia uno dei posti più romantici che abbia mai visto. Se non sei in coppia, sembra che porti comunque fortuna percorrere i 2oo metri della passerella, bora o non bora, e arrivare a toccare la rosa dei venti posta alla fine del molo nel 1925 e costruita con il bronzo dei cannoni austro-ungarici. Fate l’amore non fate la guerra, sembra dirci. Come non essere d’accordo?

Piazza Unità d’Italia 

E’ la piazza principale di Trieste, quella che è stata testimone di tutti gli avvenimenti storici che hanno forgiato la città e l’hanno resa quella che vediamo ora. Circondata e difesa ai tre lati dal palazzo del governo in stile liberty, quello delle Assicurazioni Generali e del Lloyd Triestino e, l’ultimo arrivato, il palazzo del Municipio. L’ultimo lato è libero, ma non è sempre stato così, per guardare il mare. O essere guardati, dipende dai punti di vista. Il mare una volta invadeva la piazza e oggi vediamo delle luci blu sul pavimento dove prima c’era lo spazio per ormeggiare la barca. E’ una piazza maestosa, da attraversare giorno e notte per andare verso il mare o in uno dei mille locali che affollano il centro storico. E’ anche sede di concerti e qui ci sono alcuni dei caffè letterari più famosi e frequentati della città, di cui vi parlerò nel dettaglio più avanti. 

Castello di Miramare

Una gita che vi consiglio di fare, se avete abbastanza tempo. Non tanto e non solo per il castello, ma per l’ambiente circostante e il viaggio in traghetto per arrivarci. La visita può trasformarsi in una fantastica gita. Il Castello di Miramare è un elegante edificio realizzato in pietra d’Istria bianca che sorge sulla punta del promontorio carsico di Grignano, a pochi km dal centro città di Trieste.
L’edificio fu costruito tra il 1856 e il 1860 come dimora dell’arciduca Massimiliano d’ Asburgo e della sua consorte, la principessa Carlotta del Belgio. E anche oggi, dà proprio l’impressione di una casa abitata, non tanto di un museo. Solo che nessuno la abita più da decenni. E sapete perché? Sul Castello di Miramare pare che circoli una leggenda secondo la quale dormirci porterebbe sfortuna: i primi due proprietari ebbero una fine tragica e anche ai successivi non andò meglio, furono tutti infelici o danneggiati in qualche modo. Tanto che uno degli ultimi occupanti preferì dormire in tenda nel giardino! Sembra incredibile che un luogo così ipnotico possa portare sfortuna, eppure…sarà la natura a ribellarsi? Le scogliere sono selvagge e non vogliono essere domate. Allora non ci resta che girare per il parco, dove si potrebbe tranquillamente stazionare tutto il giorno. Certo, che strana la vita: Massimiliano e Carlotta qui avrebbero potuto trascorrere un’eterna luna di miele e invece…lui assassinato e lei tornata in Belgio dopo essere rimasta vedova.

Lungomare di Barcola e Faro della Vittoria

Purtroppo non ho avuto abbastanza tempo per visitare con calma questa parte di Trieste, ma se voi avete più giorni, fatelo. Il lungomare l’ho visto e fotografato dal traghetto che mi portava al Castello di Miramare (vedi sopra). Dal faro, si gode una vista spettacolare sul golfo ed è aperto al pubblico, con entrate contingentate. Spero di potervene parlare più approfonditamente la prossima volta!

Stabilimento La Lanterna

Anche detto El Pedocin, questo bagno ha una particolarità: è l’unico stabilimento in Italia in cui uomini e donne fanno il bagno e prendono il sole separati…da un muro. In acqua, però, c’è solo un cordolo a separarci, quindi chi vuole darsi un bacetto frettoloso e di nascosto può farlo ❤️
Nelle due ore di relax che mi sono concessa per staccare dal caldo cittadino, c’era una donna che ha fatto il bagno vestita, altre che vivevano il mare in assoluta naturalezza. Non vi dico come ho fatto io il bagno, non avevo previsto questa pausa e non ho portato con me il costume da bagno! 🙂
Insomma, assoluta anarchia per tutte, come è giusto.
L’ingresso costa 1 euro per tutta la giornata e all’interno troverete docce, bagni e bar. Gli animali non sono ammessi.

lanterna pedicin logo

Teatro Romano

Splendido, come tutti i teatri romani, in pieno centro, un po’ buttato lì. Pare che all’epoca della costruzione nel sito ci arrivasse il mare. E che sia stato piano piano sepolto dalle costruzioni intorno, per essere poi riscoperto nel 1938. Anche oggi, secondo me non è valorizzato abbastanza, solo gli amanti della storia romana si fermeranno a guardarlo ammirati. Peccato, l’ennesima bellezza seminascosta dall’incuria dei tempi moderni. Pensate come doveva essere scenografico in tempi antichi, con il mare ai suoi piedi.

Cattedrale di San Giusto

Sorge sulla sommità dell’omonimo colle che domina la città e solo per questo vale una visita, soprattutto se arrivate a piedi dalle scalette. Se avete abbastanza tempo, anche l’interno merita una visita. Altrimenti, giratele intorno e scoprirete una parchetto con resti romani, dove passare una mezz’ora di pace e tranquillità, e il castello di San Giusto. E’ un’area dove rilassarsi dalle fatiche della giornata. 

Castello di San Giusto

E’ una fortezza-museo dove sicuramente vale la pena di entrare, anche perché è considerato uno dei simboli della città. Io, purtroppo, sono arrivata all’ora di chiusura, anticipata per un concerto serale. C’era la cantante Alice quella sera e mi sono fermata a sentire le prove. Come me, anche tutte le persone che si stavano rilassando nel parco adiacente (vedi sopra).

Risiera di San Sabba

Volevo visitare la risiera di San Sabba da quando ho letto il romanzo di Kirk Douglas, Danza con il diavolo, che in parte è ambientato proprio qui. Come dice il nome, la risiera nacque tra fine Ottocento e inizio Novecento come stabilimento industriale per la lavorazione del riso. Cessata la produzione, a partire dal 1930 fu utilizzato dall’esercito come magazzino, fino a diventare una caserma nel 1940. In seguito all’occupazione del territorio da parte delle forze tedesche, l’ex opificio fu utilizzato come campo di prigionia provvisorio per i militari italiani catturati dopo l’8 settembre 1943 e successivamente trasformato in campo di detenzione. Dopo la liberazione e fino ai primi anni Sessanta, divenne poi campo di raccolta per profughi in fuga durante la “cortina di ferro”. Oggi, è un memoriale come quelli dei campi che si trovano in Germania. Inutile dire che la visita è dovuta, triste e anche commovente, per alcuni reperti, lettere soprattutto, che sono state raccolte ed esposte. Fa meno impressione, forse, perché conserva la struttura di uno stabilimento industriale abbandonato, nonché il nome di quella fabbrica. Ma le anime di chi qui ha lasciato la vita, si respirano lo stesso. Ci sono arrivata con una lunga passeggiata dal centro città fino in periferia, tornando poi indietro con un autobus. Se avete abbastanza tempo, vi consiglio di fare lo stesso, la distanza non è eccessiva e vedrete una Trieste diversa. Come vi consiglio di non perdere questa visita. 

celle san saba logo

san sabba edificio principale logo

risiera san sabba particolare logo

risiera san sabba cella della morte logo

risiera san sabba lettera sloveno logo

risiera san sabba particolare muro entrata logo

Canal Grande

Mentre camminate per fatti vostri nel centro città, finirete per imbattervi nel Canal Grande di Trieste, e improvvisamente sarà Venezia. E’ stato infatti realizzato da un veneziano a metà del 1700 perché le navi in arrivo potessero scaricare le merci in centro città,  è navigabile e si trova nel cuore del Borgo Teresiano. Per chi ama la fotografia e la letteratura, è una tappa imprescindile. E’ circondato di Palazzi, uno più bello dell’altro, ed è attraversato da due ponti pedonali, Rosso e Verde, e una passerella. Sul Ponte Rosso mi aspetta una vecchia conoscenza, vado a presentarmi.

Ponte Rosso e la statua di James Joyce

Proprio lui, il mio amato James Joyce. Sì, lo so, la cara Virginia Woolf non sarebbe d’accordo, ma che posso farci? Gente di Dublino ancora oggi è uno dei miei libri preferiti, prima o poi dovrò rileggerlo e parlarvene. Tornando alla statua di Joyce: si presta a mille foto curiose. L’avrei preferita rivolta verso il mare, ma chissà: Joyce lo guardava il mare quando passava di lì? Nel Museo di Joyce non ne parlano.

Museo Joyce

Il museo che Trieste ha dedicato a Joyce si trova a due passi dal b&b che ho scelto per soggiornare, quindi non potevo non farci una capatina. Nato nel 2004 grazie a una donazione privata, sancisce il lungo rapporto che lega lo scrittore irlandese alla città e si trova al secondo piano della Biblioteca Civica Hortis. All’interno, c’è anche il museo sveviano dedicato a Italo Svevo, proprio a sottolineare il rapporto profondo tra i due.  Il museo raccoglie e conserva materiali e documenti originali sul periodo trascorso da Joyce a Trieste, contiene una biblioteca con le edizioni delle sue opere, strumenti critici in varie lingue e una collezione completa delle maggiori riviste di argomento joyciano in lingua inglese. Considerato anche il costo esiguo, se siete joiciani come me, non potete non rendere omaggio con una visita. 

Cosa mangiare

A Trieste si mangia non beve, benissimo, e c’è un’usanza divertente. Vai in un’osteria tipica e lasci fare all’oste. Io ne ho scelto uno che  mi ha suggerito il proprietario del b&b in cui ho alloggiato. E’ antipatico, però cucina bene. E allora, nessun problema. Alla fine non era neanche antipatico, solo umorale. Da lui ho assaggiato per la prima volta in vita mia i sardoni in Savòr , cioè alici con le cipolle, marinate nell’aceto bianco. A casa, invece, mi sono riportata il Presnitz,  un arrotolato di pasta sfoglia ripieno di un trito di frutta secca, cacao e rum, e la Putizza, un lievitato tipico pasquale che però si trova nelle pasticcerie tutto l’anno. A Trieste ha anche aperto una sede dell’Hotel Sacher di Vienna e io non potevo non assaggiare il famoso dolce austriaco dai detentori (?) della ricetta originale. Sono uscita pienamente soddisfatta. Non parliamo poi dei caffè letterari, una vera benedizione per ogni lettore e scrittore che si rispetti. Ma ve li immaginate mentre stazionano in questi ritrovi per intellettuali e discutono, pensano, scambiano informazioni e pareri, per poi tornare a casa nella solitudine della propria carta e penna? Io sì, come se fossero qui, ora, al mio fianco.

Dove alloggiare

Ho soggiornato nella centrale ma non troppo via di San Michele, e ve la consiglio perché mi sono trovata molto bene. La via è abbastanza trafficata, ma il quartiere è tranquillo e vicinissimo a tutti i punti storici e ai servizi.  Il b&b che ho scelto è vecchio stampo, con una cucina in comune e la colazione preparata dal proprietario, con la possibilità di chiacchierare al tavolo con gli altri ospiti. Attenzione solo alla scelta dell’alloggio, perché le case sono antiche e molte non hanno l’ascensore, quindi non accessibili a chi ha problemi di deambulazione o un’età avanzata. Chiedete prima di prenotare.

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