Romanzo d’esordio di Juhea Kim, autrice coreana naturalizzata americana. La penso come Song Seung-Heon. Se dovessi dare un titolo a questa lettura, direi che potrebbe essere Chi l’ha visto l’editor? Ora vi racconto.
Trama
Corea, 1917. È la disperazione a spingere il cacciatore. Da giorni segue le tracce sulla neve, nella speranza di trovare una preda con cui poter sfamare i suoi figli. Ma la ricerca viene interrotta dall’incontro con un gruppo di ufficiali giapponesi, persi tra quelle montagne. E dall’apparizione di una tigre. D’istinto il cacciatore interviene facendo fuggire la tigre, per poi guidare i giapponesi verso la salvezza. Jade ha solo dieci anni quando la madre la vende a una casa di cortigiane. Un sacrificio dettato dalla povertà, che però Jade ben presto capisce essere un’occasione per comprare la libertà. Alla morte del padre, Jung-ho lascia il suo villaggio di cacciatori e tenta la sorte nella capitale, ingrossando le fila dei giovani randagi che sopravvivono grazie a sotterfugi e piccoli furti. Eppure, gli basta posare una volta lo sguardo su Jade, per capire di voler diventare un uomo degno di lei…
Occidente chiama Oriente
Mi sto convincendo di una cosa: credo che i coreani naturalizzati qualcosa abbiano una grossa pecca, non riescono a scavare nel profondo come i loro colleghi nati e vissuti nel mondo asiatico. Quindi finiscono inevitabilmente per deludere i lettori occidentali che cercano proprio questa profondità quando aprono un romanzo orientale. Anche Come tigri nella neve di Juhea Kim finisce nel calderone de La moglie coreana e Figlie del mare. Non sono romanzi pessimi, intendiamoci, però a tutti manca quel quid.
Kisaeng, non cortigiane
In questo caso, c’è un’aggravante. L’editing sembra quasi assente, o poco accurato. Oppure è la traduzione a esserlo? Comunque, il risultato è quasi fastidioso. I personaggi hanno nomi che oggettivamente non potrebbero aver avuto, all’epoca in cui è stato ambientato il romanzo. Silver? Jade? Perché non lasciare i nomi originali con una nota a margine? Ma la cosa più grave, è chiamare “cortigiane” le protagoniste per quasi tutto il libro. A parte il fatto che c’è un termine preciso per definire la loro professione, kisaeng, chiamarle cortigiane è concettualmente sbagliato, perché le cortigiane e le kisaeng avevano ruoli e caratteristiche completamente diverse. Anche qui, perché non inserire delle note? Per non parlare della traduzione mancata di termini coreani in italiano: le Nonne non sempre sono nonne come le intendiamo noi, bisogna distinguere. Siccome sono quasi sicura che l’autrice lo sappia bene, penso che nella traduzione ci sia qualcosa che non quadra.
La storia in sé, invece?
Anche la storia in sé, purtroppo è tronca. Il tentativo di Juhea Kim è ambizioso, per essere un’opera prima. Tanti personaggi, di alcuni non sappiamo più niente, se non dopo anni. Altri ancora, finiscono sullo sfondo. I personaggi principali, non hanno evoluzione, o quasi. Peccato perché le premesse c’erano, penso che in futuro Juhea Kim potrà offrirci altre belle storie. Per ora, ahimè, ci tocca aspettare.
Voi che mi dite? Avete letto Come tigri nella neve, di Juhea Kim? Vi è piaciuto?
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