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Laura Dean continua a lasciarmi, di Mariko Tamaki e Rosemary Valero-O’Connell

Mariko Tamaki ci fa immergere in un mondo adolescenziale dove i personaggi sono sicuri della propria sessualità e delle loro preferenze. Peccato, ahimè, che ci sia una cosa che non cambia mai, da adolescenti come da adulti. La necessità di sentirsi amati, anche da chi purtroppo non ricambia. Insistere o lasciar perdere? E’ quello che Freddy tenta di capire in questo fumetto. Ora vi racconto cosa ne penso.

Trama 

«Come faccio a rompere con qualcuno che ha già rotto con me?». Freddy ha 17 anni, frequenta il liceo a Berkeley, lavora part-time in una caffetteria ed è perdutamente innamorata della sua ragazza, Laura Dean. Ma è la terza volta consecutiva in un anno che viene mollata da lei e ha davvero bisogno di prendere una decisione definitiva: deve troncare questa relazione. Per riuscirci, affida le sue confidenze a una rubrica sentimentale. Riuscirà nel suo intento?

Ragazzi risolti

 Vi dico subito cosa mi è piaciuto di questo nuovo lavoro di Mariko Tamaki. Il fatto che questi ragazzi siano consapevoli della propria identità e la vivano tranquillamente alla luce del sole. Tranne uno screzio appena accennato, tutti sanno tutto, i genitori in primis. Mi sembra un bel passo avanti rispetto alle solite storie di disagio, menzogne e discriminazioni. Il secondo aspetto che ha reso valevole la lettura è la capacità delle illustrazioni di seguire la storia narrata, sottolineando i momenti topici con il colore rosa e richiamando nei tratti il periodo selvaggio in cui tutti stiamo più o meno vivendo. E i sentimenti assoluti, che nel periodo dell’adolescenza dominano, a qualsiasi latitudine e in qualsiasi periodo storico.

E però

Premetto che è il primo lavoro di Mariko Tamaki che leggo e che la copertina mi aveva ingannato, pensavo che Laura Dean fosse la ragazza che ci guarda (volutamente ingannevole? Mi tengo il dubbio). Quello che proprio non mi convince, in ogni caso, è la storia in sé. Di queste due ragazze, e dei loro amici, alla fine sappiamo poco, ma proprio poco. Temo che anche questo corrisponda ai tempi veloci in cui siamo immersi. Cosa sappiamo del loro rapporto? Solo quelle due cose che Freddy ci racconta. E in tutti i commenti e note pubblicitarie che ho letto online, si parla di “amore tossico”. Ma è veramente così? Laura Dean è veramente la persona frivola,  carismatica e volubile di cui Freddy ci parla? Eppure, i genitori di Freddy l’accolgono con favore in casa. Non si sono accorti dei tormenti della figlia? Che ci sia questo tira e molla che va avanti da un po’? Non sarà proprio Freddy a volere qualcosa che non era nei patti iniziali? A volte, l'”amore tossico” dipende da entrambi gli interessati, non solo dal partner. E’ solo che non è quello giusto, se non c’è abuso.

C’è abuso?

Qui c’è abuso? A tratti sembrerebbe di sì, ma ci sono pochi elementi per capire. Penso che sia dovuto anche al target di lettura, un teenager forse potrebbe trovarlo interessante, un adulto vede un qualcosa di già visto e poco approfondito. Il faro puntato su Doodle mi lascia anche più perplessa: troppi elementi sensazionali e poca veridicità. Un padre potrebbe mai comportarsi in quel modo? Spero proprio di no.

E vorrei chiudere con una frase di George Michael, dedicata all’adolescente che è in noi. E all’adolescente che dovesse trovarsi per caso a navigare in queste pagine: sii buono con te stesso, perché nessun altro ha il potere di renderti felice. Ricordiamocelo, sempre.

Voi che mi dite? Laura Dean continua a lasciarmi vi è piaciuto?

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Jessica Au, Tempo di neve e quel rapporto madre-figlia

Jessica Au fa il suo esordio nella narrativa con questa novella, Tempo di neve, il racconto di quel filo sottile che unisce madri e figlie. O meglio, di quei nodi che lo piegano e sfilacciano. Il risultato è una serena riflessione su ciò che siamo, su chi ci ha fatto diventare ciò che siamo e su chi saremmo potuti essere, se solo non fossimo il prodotto delle nostre esperienze e dell’ambiente in cui siamo cresciuti. Vi ho detto diverse volte che i libri spesso ti vengono a cercare. Ecco: questo è decisamente un libro che mi è venuto a cercare. Di cui avevo bisogno in questo momento, in un certo senso.

Trama 

Una figlia e sua madre, che vivono da tempo lontane, si danno appuntamento nella capitale giapponese. Non è un viaggio come gli altri: questo ha l’aspetto di un addio. Così come la giovane regola il diaframma della sua Nikon per fissare l’immagine dell’anziana donna per sempre, allo stesso modo è costretta a scegliere quali dettagli del loro rapporto mettere a fuoco e quali invece lasciar galleggiare in superficie e poi disperdere, come sull’acqua increspata dei canali della città. Le due condividono ciotole di noodles fumanti in minuscoli ristoranti, visitano mostre e fanno del loro meglio per evitare che la pioggia di ottobre rovini i loro programmi. Ma rifugiarsi nei ricordi non è sufficiente quando ci si trova in un corpo a corpo privato di ogni traccia di intimità e possibilità di avvicinamento. Qual è allora il significato di questo errare fianco a fianco?

Il viaggio comincia

Era mattina presto e la strada era piena di gente, la maggior parte lasciava la stazione anziché entrarci, come facevamo noi. Per tutto il tempo mia madre restò al mio fianco, quasi temesse che se ci fossimo separate il flusso della folla, come una corrente, ci avrebbe impedito di tornare l’una dall’altra, mandandoci sempre più alla deriva e allontanandoci ancora e ancora. 

E’ la narratrice, la figlia, a raccontarci perché madre e figlia prendono due voli diversi per ritrovarsi in Giappone. All’inizio dell’anno le avevo chiesto di venire con me in Giappone. Ormai non vivevamo più nella stessa città, e non eravamo mai state via insieme da quando ero adulta, ma iniziavo a rendermi conto che era una cosa importante, per ragioni a cui non ero ancora in grado di dare un nome. Avevo scelto il Giappone perché…forse sentivo che che ci avrebbe messo in una situazione di parità, che saremmo state entrambe straniere. 

Per ragioni a cui non si sa dare un nome

Essere figli non è facile. O meglio, non è sempre facile. C’è un passato con cui fare i conti, un passato che non è il tuo, ma che è presente anche quando non vorresti. Jessica Au spiega in questo passaggio quali sono le ragioni cui non sa dare nome. Una volta io e Laurie (il compagno) avevamo scherzato sulla mia frugalità, sul fatto che finivo sempre gli avanzi di ogni pasto, anche se non avevo più fame, perché non potevo sopportare di vedere il cibo andare sprecato. All’epoca avevo scherzato anch’io, ma non avevo replicato che era la frugalità di mia madre che imitavo, non la mia.

Tempo di neve

In questo loro pellegrinaggio per il Giappone, le due donne cercano una sintonia che probabilmente non hanno mai avuto. Figlie di epoche diverse, di tradizioni diverse, di mentalità distanti. Una donna moderna una, un’emigrata mai perfettamente integrata l’altra. Eppure, durante questo viaggio, di fronte ai quadri o davanti a un tè, senza quasi parlare, madre e figlia imparano a sintonizzarsi sull’altra. O meglio, è la figlia che forse lascia andare la figura materna. Il tutto è pervaso da un senso attutito di perdita, di ultimo incontro, di pensiero su quello che verrà dopo. Il senso attutito della neve, che è nell’aria, ma non cade. E che la madre vorrebbe tanto vedere per la prima volta, anche se sappiamo, chissà come e chissà perché, che non la vedrà mai.

Camminando nella neve

Una novella che mi ha preso, pagina dopo pagina. Che mi ha trasmesso un senso di pace, di tranquillità, come se davvero stessi camminando nella neve e, intorno, silenzio. Avrei voluto che Jessica Au continuasse. Che quella madre così silente trovasse una sua voce. Che non si sentisse troppo l’ineluttabilità della fine. Ma ho adorato il finale, anche se temo che nella traduzione italiana si sia perso il simbolismo delle scarpe (SPOILER in fondo al post). Voglio adottare il punto di vista della narratrice: Esausta e confusa, pensai che forse era giusto non capire tutto, ma limitarsi a vedere le cose e a trattenerne le impressioni. Anche perché Forse è un bene fermarsi di tanto in tanto a riflettere sulle cose che sono successe, pensare alla tristezza potrebbe anche finire per renderti felice.

***

Mentre procedevamo mi chiese del mio lavoro. All’inizio non risposi, poi le spiegai che in molti dipinti antichi si poteva scoprire quello che veniva chiamato un pentimento, uno strato precedente di qualcosa sopra cui l’artista aveva scelto di dipingere altro. Dissi che in questo senso la scrittura era molto simile alla pittura. Solo in quel modo si poteva tornare indietro e cambiare il passato, rendere le cose non com’erano, ma come avremmo voluto che fossero o, piuttosto, come le percepivamo. Aggiunsi che, per quel motivo, era meglio non si fidasse di ciò che leggeva. 

Attenzione, SPOILER: nella versione italiana, si perde il simbolismo delle scarpe. La figlia aiuta la mamma a infilarle, non ad alzarle. In Cina, infilare le scarpe significa intesa reciproca. Quello che la figlia aveva bisogno di trovare.

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Roger Ackroyd ha fatto la storia del giallo

La storia del giallo. Continua la nostra lettura condivisa de L’assassinio di Roger Ackroyd di Agatha Christie per il primo BookClubPeC del 2023. Ormai siamo quasi in dirittura d’arrivo. Dopo aver commentato il villaggio in cui Agatha Christie ha ambientato la sua storia ed esserci focalizzati sulle persone, adesso è il momento di parlare della storia. E di prenderci il tempo giusto per analizzarla, perché come abbiamo già detto l’idea della scrittrice inglese è molto, molto originale. E molto, molto dibattuta. Anche quasi cento anni dopo averla scritta!

Vediamo qualche commento dell’epoca (1926) 

Al contrario di altri suoi lavori, come Poirot a Styles Court per esempio, L’assassinio di Roger Ackroyd ha avuto fin dall’inizio un’ottima accoglienza. E questa sensazione positiva dura ancora oggi, tanto che nel 2013 la British Crime Writers’ Association lo ha votato miglior romanzo poliziesco di sempre. Come vi ho già detto sopra, uno dei motivi del successo, in un certo senso, è la controversia che lo accompagna da sempre. Ha un finale così particolare da aver segnato la storia del giallo. Ma lo scopriremo presto. Intanto, posso dirvi che da molti è considerato il suo capolavoro. 

E voi? Cosa ne pensate?  

La storia vi sembra credibile? La costruzione di Agatha Christie regge? Come vi ho già detto tante volte, sentitevi liberi di commentare sotto il post le vostre sensazioni, perplessità, emozioni, e tutto ciò che L’assassinio di Roger Ackroyd vi sta dando, in positivo o negativo. Non fatevi bloccare dalla timidezza, più riusciamo a esprimerci liberamente e più una lettura condivisa acquista valore, non credete?

Aspetto i vostri commenti qui sotto! 🙂 

Se volete recuperare o aggiungere qualcosa sull’ambientazione o sui personaggi, fate sempre in tempo. Cliccate qui e lasciate i vostri pareri:

King’s Abbot, la tranquilla ? campagna inglese

Roger Ackroyd è stato assassinato. Da chi?

Roger Ackroyd è stato assassinato. Da chi?

L’assassinio di Roger Ackroyd di Agatha Christie è il romanzo che stiamo leggendo per il primo BookClubPeC del 2023. Siamo a metà dell’opera e ormai i personaggi hanno preso vita. Dopo aver commentato il villaggio in cui Agatha Christie ha ambientato la sua storia, ora ci focalizziamo sulle persone.

Un investigatore sotto mentite spoglie 

Un intero villaggio sotto l’occhio scrutatore dell’infallibile investigatore privato Hercule Poirot, qui apparentemente in pensione e dedito alla coltivazione di zucche. Quando viene ingaggiato da Flora Ackroyd, nipote di Roger e figlia di Cecil, non esita un istante a rimettersi in pista. Roger e Cecil Ackroyd sono, rispettivamente, l’assassinato imprenditore di una fabbrica di King’s Abbot e proprietario di Fernly Park, e la cognata di questi. Intorno a loro, ruotano una serie di personaggi: 

 

  • James Sheppard: medico del villaggio e nominato suo assistente da Poirot. In questo romanzo, infatti, non compare Hastings;
  • Caroline Sheppard, sorella di James e pettegola del villaggio;
  • Ralph Paton, il figliastro di Roger Ackroyd, a cui voleva bene come se fosse figlio suo;
  • Maggiore Hector Blunt, amico della vittima;
  • Geoffrey Raymond, segretario della vitima;
  • Parker, maggiordomo in casa Ackroyd;
  • Elizabeth Russell, governante di casa Ackroyd;
  • Ursula Bourne, cameriera in casa Ackroyd, da poco licenziata;
  • Elsie Dale, domestica in casa Ackroyd;
  • Charles Kent, figlio della governante Elizabeth Russell;
  • Raglan: ispettore di polizia di Cranchester;
  • Davis: ispettore di polizia di King’s Abbot;
  • Hammond: avvocato della vittima.

E voi? Cosa pensate di Roger Ackroyd, Poirot e gli altri?  

Chi di loro potrebbe essere l’assassino? Chi aveva movente e mezzi per farlo? Come vi ho già detto tante volte, sentitevi liberi di commentare sotto il post le vostre sensazioni, perplessità, emozioni, e tutto ciò che L’assassinio di Roger Ackroyd vi sta dando, in positivo o negativo. Non fatevi bloccare dalla timidezza, più riusciamo a esprimerci liberamente e più una lettura condivisa acquista valore.

Aspetto i vostri commenti qui sotto! 🙂 

Se volete recuperare o aggiungere qualcosa sull’ambientazione, cliccate qui:

King’s Abbot, la tranquilla ? campagna inglese

Lee Jung-Myung: Buio in sala, la messinscena ha inizio

Lee Jung-Myung. E’ il primo romanzo che leggo di questo autore coreano. Anni ’80, Seoul, scontri davanti all’università contro la dittatura e il teatro, dove la lotta politica finisce per spostarsi e assumere un aspetto apparentemente più tranquillo. Con molti personaggi ambigui che si muovono nell’ombra della sala…

Trama

Davanti all’università di Seoul si affrontano gli studenti e le forze di polizia. Una squadra speciale sorveglia la scena cercando un uomo in particolare, considerato il leader delle rivolte che si oppongono alla dittatura militare, il cervello che organizza la strategia della ribellione. Nessuno sa che volto abbia, ma sul suo ruolo e le sue capacità non ci sono dubbi.
Il conflitto ideologico che frantuma la società giunge fino alla repressione dell’avversario, attraverso la manipolazione, la reclusione, la tortura. Al tempo stesso le arti, e soprattutto il teatro, diventano luogo privilegiato delle idee nuove, del sogno e dei desideri di una generazione di giovani che invoca il cambiamento. Tra di loro, un drammaturgo che debutta con una rivisitazione del Giulio Cesare di Shakespeare e un’attrice che, dopo un lungo apprendistato, arriva a recitare in commedie erotiche che sembrano di puro intrattenimento ma che lei interpreta con singolare autenticità. I due si incontrano e mettono in scena ancora un classico, l’Elettra di Euripide, da cui scaturiranno conseguenze inattese e drammatiche. In controcampo c’è l’antagonista, un uomo dei servizi segreti che non smette di cercare colui che tutti ritengono il capo della rivoluzione.

Buio in Corea

Le vicende narrate da Lee Jung-Myung si svolgono tra gli anni Ottanta e i giorni nostri e il ritmo si fa sempre più incalzante via via che gli anni passano e il mistero di questo personaggio elusivo, ma centrale negli anni della rivolta, si infittisce sempre di più. Più che la storia dei protagonisti in sé, Lee Jung-Myung vuole raccontare il buio (da qui il titolo) di questo periodo storico per la Corea del Sud. Come in ogni lotta per l’indipendenza e contro le dittature, tutto è ammantato di luci e ombre. I cattivi e i prestigiatori sono in entrambi gli schieramenti e solo dopo molti, molti, anni, le verità emergono. Forse. 

Una scatola cinese

Lee Jung-Myung costruisce un castello di bugie e verità che fa sentire il lettore come se fosse seduto sulla poltrona di un teatro, a cercare di capire chi sia veramente questo fantomatico terrorista. Come direbbe Shakespeare, vero nume tutelare di questo romanzo di Lee Jung-Myung, Il pazzo, l’amante e il poeta non sono composti che di fantasia. Ed è la fantasia, e l’analisi psicologica ossessiva dei personaggi, che fa di questo libro una scatola cinese che via via si apre davanti agli spettatori. 

Autocensura

ll finale è inaspettato, non consolatorio. Sui protagonisti cala il sipario e gli spettatori vanno via. Forse, non proprio soddisfatti. La piece soffre secondo me di autocensura, il coltello affonda ma non dà il colpo di grazia. Se non siete avvezzi alla lettura asiatica, vi consiglierei di partire da altri titoli e autori. Penso, comunque, che di Lee Jung-Myung sentiremo parlare ancora.

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