Tutti gli articoli di Liza M. Jones

I gatti di Shinjuku, ancora Durian Sukegawa

I gatti di Shinjuku. Ancora Durian Sukegawa, ancora il filone giapponese moderno. Dopo aver amato Le ricette della signora Tokue, nutrivo grandi aspettative su questo romanzo. Venite che vi racconto se sono state soddisfatte o no.

Trama 

Nel cuore di Shinjuku, a Tokyo, c’è Goldengai, un piccolo quartiere che resiste a grattacieli e speculazione edilizia. E nel cuore di Goldengai c’è un localino stretto e lungo dove si raccolgono i randagi del posto, siano essi gatti o esseri umani. A cominciare da un aspirante sceneggiatore daltonico e una cameriera strabica, misteriosa conoscitrice dei felini della zona. Tra i bagliori delle notti di Shinjuku, una storia di incontri umani e felini, di vite sghembe e di palpiti di poesia, in un luogo e in un’epoca – i primi anni Novanta – che riportano a galla una Tokyo ammaliante e ormai scomparsa.

Nostalgia

E’ il sentimento che prevale girando ogni pagina di questo libro. Nostalgia per i locali tradizionali e poco fashion, per la gente comune, con la sua storia e i suoi traumi, che puoi trovare seduta ai tavoli di un bar. Nostalgia per i vecchi edifici che tentano di resistere all’edilizia selvaggia e ultramoderna. Mi ha ricordato, per atmosfera, Estranei di Taichi Yamada, anche se poi la storia narrata è completamente diversa. 

Tornando alle aspettative

Sono state rispettate? Ni. Forse perché mi era piaciuto molto il precedente, forse perché mi aspettavo qualcosa di più, forse perché probabilmente l’autore sta parlando di qualcosa di molto personale, non sono riuscita a entrare con tutti i sentimenti nella storia. Diciamo che non sono entrata con tutte le scarpe nel racconto, per cui il mio giudizio è sostanzialmente intermedio. Penso che piacerà molto a chi ama i gatti, perché qui c’è una carrellata niente male, e a chi ama le atmosfere agrodolci.

Curiosità

Il quartiere che dà l’ambientazione al libro esiste veramente ed è uno dei pochi esempi ancora estitenti della Tokyo prima del “miracolo economico” giapponese della seconda metà del 1900. E’ ancora oggi punto d’incontro di artisti e intellettuali, un posto dove ascoltare buona musica e rifugiarsi quando la megalopoli rischia di schiacciarti.

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Biscotti e sospetti indiani di Stefania Bertola

Biscotti e sospetti è uno dei romanzi di Stefania Bertola più conosciuti e apprezzati. Neanche questo riesce nell’improba impresa di scalzare dal primo posto il mio preferito, che è sempre Romanzo rosa. Tra opere d’aria e improbabili vendite, venite che vi racconto com’è andata la lettura, casualmente proprio mentre ero in viaggo per Torino.

Trama

Violetta Chiarelli, commessa, e sua sorella Caterina, sarta e minuscola imprenditrice in proprio, vivono in affitto in un’elegante villa in collina, dividendo le giornate con gli altri inquilini: Rebecca Demagistris, una madre separata alle prese con tre bambine, Mattia Novalis, un architetto di interni ricercatissimo per il suo pessimo gusto e il fisico prestante,  Emanuele Valfrè, romantico e affascinante proprietario delle omonime vetrerie, tornato da Calcutta con una moglie che sembra intenzionata a rovinargli la vita. 

Ci mette un po’ a partire

Tanti personaggi e innumerevoli situazioni, non sempre correlate alla storia, né portate fino in fondo. Superato lo scoglio della sistemazione di tutti i pezzi, vi confesso con qualche passaggio un po’ noioso in mezzo, alla fine tutto va val posto giusto e, finalmente, possiamo tifare per il lieto fine e per Violetta. Trovo comunque sempre spassoso lo stile di Bertola, non a caso la traduttrice di Sophie Kinsella, e la sua carrellata di personaggi improbabili e riusciti proprio per questo. La storia, invece, avrebbe forse dovuto avere il suo fulcro nella ricerca di Parvati, che avrebbe potuto, e forse dovuto, coinvolgere tutto il condominio. Peccato perché Stefania Bertola avrebbe potuto farne due romanzi, Biscotti e sospetti e Dov’è finita Parvati. Magari le do un’idea per il prossimo romanzo.

Libro da ombrellone

Anche Biscotti e sospetti rientra nel novero del libro da ombrellone di Rosamunde Pilcher, perciò lo consiglio per qualche ora di lettura leggera e senza pensieri.

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Barbara Cartland e una Battaglia di cuori

Barbara  Cartland è conosciuta come scrittrice romance molto prolifica e anche, incidentalmente, come nonnastra di Lady Diana Spencer d’Inghilterra. Regina del romance classico e virginale, mi è capitata sottomano con questo titolo, Battaglia di cuori, uno storico d’annata. Venite che vi racconto cosa ne penso.

Trama

A seguito dell’omicidio accidentale di un noto membro della società inglese, Sir Denzil Caversham viene costretto all’esilio in America. Per affrontare le spese, la figlia Thalia inizia lavorare sotto falso nome in una sartoria alla moda, dove cattura l’attenzione dell’affascinante conte di Hellingham. Dapprima contraria alle avances del conte, Thalia è presto irresistibilmente attratta dal suo strano magnetismo e dalla sua tenerezza. L’amara certezza che la loro storia non potrà mai diventare ufficiale, però, soffoca questo sentimento che nasce.

Lettura di una sera 

Battaglia di cuori è un romanzo semplice e rilassante, che si legge in una serata o poco più. D’altra parte, Barbara Cartland ha pubblicato talmente tanto, che è difficile aspettarsi trame più complesse. Sto scrivendo questo commento qualche giorno dopo averlo finito e stavo per dimenticare anche i nomi dei protagonisti, quindi non posso dire che rimanga impresso a lungo. E’ scritto bene, però, e i due protagonisti sono carini ed entrambi personaggi positivi, quindi non posso dire che mi sia dispiaciuto. Avrei solo voluto che lei gli resistesse un po’ di più, in fondo dovremmo essere in un’epoca in cui (spoiler) non si cena a casa di uno scapolo senza servitù presente! Gli altri personaggi sono solo di contorno, non c’è nessuno che spicchi in modo particolare, tutta la narrazione è concentrata su Thalia e Caversham. Alla fine è più un racconto lungo che un romanzo e lo consiglio se volete una lettura molto rilassante e senza colpi di scena.

Curiosità

 Barbara Carland diceva di essersi ispirata a una delle sue scrittrici preferite, Elinor Glyn, che poi è diventata sua amica. Curiosamente, era attratta da una scrittrice molto “spinta” per l’epoca, mentre lei era fautrice del sesso dopo il matrimonio.
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Nove settimane e mezzo di pazza passione

Di Nove settimane e mezzo film, che ho visto ormai molto tempo fa, mi rimane solo il ricordo della scena finale, oltre chiaramente all’interpretazione dei due protagonisti, Kim Basinger e Mickey Rourke, all’apice della loro fama quando l’hanno girato. Avrei sempre voluto leggere il romanzo da cui era tratto e quando l’ho visto in un mercatino, l’ho fatto mio. Venite che vi racconto cosa ne penso.

Trama

Elizabeth è una giovane gallerista, che in un mercatino incontra casualmente un broker di Wall Street. Inizia tra i due una passione fulminante, che annulla improvvisamente tutto il resto. Lui la domina, in tutti i sensi, e tiene accesa questa fiamma violenta. Quanto durerà? 

Possono nove settimane e mezzo sconvolgerti la vita? 

Inizio dicendo che il film si discosta parecchio dal libro, probabilmente anche per non incappare in problemi di censura. Il romanzo l’ho trovato interessante, perché aggiunge delle riflessioni della  protagonista che nel film sono assenti. Possono nove settimane e mezzo sconvolgerti la vita? Sì, decisamente. E’ quello che succede a questa donna nel fiore degli anni, newyorchese indipendente, che attraversa una fase di cambiamento. Sembra che alcuni uomini sappiano scegliere con oculatezza le proprie prede ed Elizabeth è lì, pronta per scoprire qualcosa di se stessa che neanche sapeva. 

Il resto scompare

Cosa? Che le piace, oh sì che le piace, farsi comandare in tutto e per tutto da lui. Il resto scompare: il lavoro, che prima l’assorbiva completamente, la famiglia, gli amici. Che rimane di tutto questo? Un uomo, l’attesa degli appuntamenti e di quello che le chiederà di fare. Quanto può durare tutto questo?

Il soffio di una candela

Questa parentesi un giorno finirà, Elizabeth ne è consapevole, anche perché lui, il broker, vive di emozioni forti e sempre crescenti. Probabilmente è un maniaco del controllo, non sa fare altrimenti, o relazionarsi in senso paritario. Quello che rimane al lettore, però, è quello che Elizabeth McNeill non dice. A un certo punto del romanzo, la protagonista afferma di non riportare alcune cose nel suo diario,  perché è bene non dirle, neanche a se stessa. Cos’è che Elizabeth non (sì) ci dice? Perché interrompe bruscamente la narrazione non un non detto? Purtroppo è troppo tardi per chiederglielo, non lo sapremo mai.

Curiosità

Nove settimane e mezzo, infatti, pare sia stato scritto da Ingebor Day, in arte Elizabeth McNeill, e che sia tratto dalla sua storia vera, di cui avrebbe cambiato solo alcuni particolari. Pare, perché la scrittrice non ha mai dichiarato pubblicamente di essere lei Elizabeth. Chissà se alla sua famiglia, invece, l’ha mai detto. 

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Bacalao pil pil da Bilbao, patrimonio dell’umanità

A Bilbao ho fatto in tempo ad assaggiare questo patrimonio dell’umanità subito prima di saltare sull’aereo, il bacalao pil pil. Che si basa su un principio squisitamente naturale: la pelle del merluzzo, a contatto con l’olio a una certa temperatura, rilascia una sostanza gelatinosa, che crea una salsa meravigliosa con tre soli ingredienti e un movimento roteatorio che fa legare la salsa. Ora vi spiego tutto, pure che significa pil pil.

Ingredienti per 2 

  • quattro pezzi di baccalà (dissalato)
  • 1 peperoncino
  • 3 spicchi d’aglio
  • olio extra vergine di oliva, q.b.

Procedimento

Tagliate a fettine il peperoncino e gli spicchi d’aglio, eliminando il germe interno. In una padella scaldate abbondante olio extravergine di oliva. Aggiungete gli spicchi d’aglio e il peperoncino e fateli cuocere a bassa temperatura finché l’aglio non diventa dorato.  E resistete all’impulso di buttare la pasta e farvi gli spaghetti di mezzanotte. Quando gli spicchi d’aglio sono pronti, togliete aglio e peperoncino e tenerli da parte. Asciugate bene il bacalao con carta da cucina e  inseritelo delicatamente nella padella, con la pelle rivolta verso l’alto. Cuocete per circa tre minuti da un lato, e tre minuti dall’altro.   A questo punto, inizia la parte divertente. Tenendo la temperatura dell’olio sempre medio-bassa, la padella va roteata di tanto in tanto, in modo che il merluzzo inizi a rilasciare la gelatina che lo caratterizza.  Sembreranno formarsi delle impurità, in realtà è il pesce che rilascia la gelatina. Togliete il pesce, tamponatelo, e continuate a roteare l’olio con un colino, sempre tenendo bassa la temperatura. Andando avanti così per una ventina di minuti, a un certo punto vedrete che si creerà l’agognata salsa. Sarà pronta quando cambierà colore, assumendo una tonalità giallognola, e si sarà addensata. 

A questo punto, è fatta. Rimettete dentro il bacalao pil pil e scaldatelo dentro la salsa. Servite su un piatto, ricoprendolo di salsa e aggiungendo l’aglio e il peperoncino messi da parte all’inizio.

Note

  • la cosa più importante è tenere bassa la temperatura dell’olio, altrimenti il baccalà si frigge o si spappola;
  • se la temperatura sale troppo, togliete la pentola dal fuoco continuando a mescolare;
  • dicono che la prima volta sia difficile far venire la salsa. Seguendo i passaggi non avrete problemi, vedrete che sarà tutto molto semplice;
  • nella fase in cui il pesce è nella pentola, la creazione della salsa deve avvenire prendendo i manici della pentola e facendola roteare. Una volta tolti i pezzi di pesce, roteate usando un colino;
  • a Bilbao il bacalao pil pil viene servito con questi piccoli pescetti che vedete in foto in Italia chiamati cee, o cieche, e che è proibito pescare. Quindi, ne ho fatto a meno. A Bilbao c’erano e, vi dirò, non ne ho sentito la mancanza. bacalao2

Ma che significa pil pil? 

Ed eccoci alla domanda cruciale: che significa pil pil? L’origine è incerta. Qualcuno dice che il nome sia onomatopeico e che derivi dal rumore che fa l’olio quando bolle a bassa temperatura. Secondo altri, dovrebbe essere una spagnolizzazione del bacalao al piri-piri, il nome del peperoncino africano che viene usato e che arrivava dal Portogallo. 

 Comunque sia, vi va di provarlo? Fatemi sapere nei commenti!

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