In realtà quando arrivo al Jane Austen Centre, al 40 di Gay Street, è ancora un po’ presto per prendere il tè e infatti lei mi aspetta all’entrata con un’espressione da sfinge. Da queste parti il galateo è una cosa seria J
Comunque Jane è una ragazza gentile e infatti mi fa entrare subito. Subito dopo aver acquistato il biglietto, che costa 11 £, veniamo fatti accomodare di fronte a uno schermo da cui parte un video introduttivo, che ci spiega tra l’altro che Jane Austen visse davvero in Gay Street, ma al numero 25. Subito dopo, un ragazzo in costume ci porta in un’altra sala, dove di nuovo ci sediamo mentre lui ci introduce alle vicende della famiglia d’origine di Jane Austen, di cui illustra l’albero genealogico e i principali avvenimenti della vita di ognuno, corredandoli da informazioni base sulla società di allora e la posizione della famiglia al suo interno (tutte informazioni che approfondirò nel focus dedicato alla scrittrice, n.d.r.). In realtà, sta riassumendo quello che vedremo subito dopo nelle vere e proprie sale del museo. La visita guidata è finita, da qui in avanti la mostra prosegue con foto e oggetti d’epoca, le lettere fitte fitte che scriveva alla sorella, pannelli espositivi che ripercorrono le tappe principali della sua vita, arazzi fatti a mano e statue a grandezza naturale. La prima che incontro è quella del secondo fratello, che visse quasi sempre all’estero perché aveva abbracciato la carriera militare. Ci viene consentito di toccare quasi tutto e anche di annusare dei flaconi di profumo per capire “di cosa sapevano le donne al tempo di Jane”. Ehm…ecco…penso di immaginarlo e non doveva essere piacevole. Lavavano tutti i giorni solo il viso e quindi avevano bisogno di mascherare l’odore del corpo con essenze. Nel diciannovesimo secolo cominciò a svilupparsi un gusto per i profumi che anticipava il moderno sviluppo del settore. Grazie a una spugna inumidita, le signore bagnavano l’interno dei vestiti per assicurarsi che il profumo persistesse tutto il giorno. Le fragranze che andavano di moda allora erano tre: lavanda, fiori d’arancio e acqua di rose, che spesso mescolavano tra loro per personalizzare il profumo. Tra i tre il mio preferito, scontato direi, è la lavanda. Oppure ci hanno fatto assaggiare gli Oliver biscuits di Bath, inventati da un medico del 1700 per i suoi pazienti delle cure termali e diventati nel tempo un prodotto tipico della città. L’ultima sezione è la più divertente. Ci aspettano un tavolo con teiera e tazza di tè (senza tè), un armadio zeppo di vestiti, cappelli, scialli e ventagli e una statua a grandezza naturale di Mr. Darcy. Naturalmente, tutti impazziti con i travestimenti e le foto con lui nelle pose più bizzarre. Prima di uscire, un’altra sorpresa in cima alle scale: due scrivanie e la possibilità di scrivere messaggi con pennino, calamaio con inchiostro viola o rosso e carta intestata. Ultima tappa il negozio di souvenir, purtroppo ahimè un po’ sguarnito e che mi ha lasciato a mani vuote. Il Jane Austen Centre merita una visita? Ni. Sicuramente sono uscita sapendone di più sulla scrittrice, ma il prezzo alto rispetto ai materiali e la mancanza di giocosità delle assistenti di sala, vestite in costume ma più attente a rimettere tutto in ordine che a intrattenere le persone, hanno sedato in parte l’entusiasmo iniziale. Ho la sensazione che anche altri la pensassero come me, perché sono stata l’ultima a uscire e ho notato la fretta con cui alcuni hanno attraversato il museo.
Pazienza, il pomeriggio è appena iniziato e c’è ancora tempo per girare la città. Il ponte Pulteney è da non perdere. Costruito nel 1773, è uno degli unici quattro ponti al mondo che ospita negozi su entrambi i lati. Sembra quasi di stare su Ponte Vecchio a Firenze, che infatti è uno dei quattro, anche se il progetto sembra si sia ispirato al ponte di Rialto a Venezia. Scendendo sulle rive del fiume Avon, a breve distanza s’incontra il Recreation Ground (The rec), un complesso sportivo utilizzato dal Bath Rugby Football Club, uno dei più antichi ancora esistenti, per le partite casalinghe.
La giornata ormai volge al termine, anche perché è quasi ora di fare i bagagli e ripartire, ma c’è spazio per un ultimissimo pigro giro senza meta (a proposito di rugby…) e per una pausa dolce nella panetteria di una catena cornica. Mi sembra un delitto assaggiare piatti tipici prima del tempo, perciò mi accontento di un pezzo di torta, la cornish heavy cake, una cioccolata calda e una panchina. Passa un tizio, versione rutto libero. Mi scappa da ridere, ma vi giuro, non per lui, per l’ironia della situazione. “Sorry”, mi dice. Benvenuti nella real England.
Alla prossima puntata con Torquay e la seconda scrittrice, sua Maestà del brivido Agatha Christie.