Le Sette sorelle: primo libro, Maia

Le Sette sorelle e un Pa’. L’idea di base mi ha attirato fin da subito: sette sorelle adottate dai quattro angoli del pianeta, ognuna con una storia complessa alle spalle, ognuna con un nome astrale. Cosa si cela dietro queste adozioni di un uomo, Pa’ Salt, così venerato dalle figlie e che morendo ha lasciato degli indizi? Mistero, avventura, amore. Gli ingredienti per piacermi ci sono tutti. Quindi, visto che manca solo un romanzo alla fine, mi sono decisa a iniziare. E sono partita da Maia, l’unica delle sorelle ad abitare ancora con il padre.

Trama 

Bellissima, timida e solitaria, Maia è l’unica delle sue sorelle ad abitare ancora con il padre ad Atlantis, lo splendido castello sul lago di Ginevra. Ma proprio mentre si trova a Londra da un’amica, giunge improvvisa una telefonata: Pa’ Salt è morto. Quel padre generoso e carismatico, che le ha adottate da bambine raccogliendole da ogni angolo del mondo e dando a ciascuna il nome di una stella, era un uomo di cui nessuno, nemmeno il suo avvocato e amico di sempre, conosceva il passato. Rientrate precipitosamente nella villa, le sorelle scoprono il singolare testamento: una sfera armillare, i cui anelli recano incise alcune coordinate misteriose. Maia sarà la prima a volerle decifrare e a trovare il coraggio di partire alla ricerca delle sue origini. Un viaggio che la porterà nel cuore pulsante di Rio de Janeiro. Con l’aiuto dell’affascinante scrittore Floriano, Maia riporterà alla luce il segreto di un amore sbocciato nella Parigi bohémienne degli Anni ’20, inestricabilmente legato alla costruzione della statua del Cristo che torreggia maestosa su Rio. Una vicenda destinata a stravolgere la vita di Maia. 

Un mix che funziona

La storia di Maia mi è piaciuta, è stato coinvolgente seguire le ricerche sul suo passato, incontrare personaggi realmente vissuti, con un mix tra fantasia e verità che funziona. Solo che ho trovato Le sette sorelle un po’ sbilanciato sul passato. D’accordo che Maia sia alla ricerca del suo passato, però ha anche un presente da vivere. La storia d’amore che stravolge la sua vita, si svolge molto in fretta. Troppo, secondo me.  Perché dare tutto quello spazio a Izabela, quasi niente alla figlia e pochissimo alla bisnipote? Soprattutto, perché liquidare una rivelazione sulla vita passata di Maia in un nanosecondo? Ma come! Sembra piazzata lì in modo quasi strumentale, avrebbe meritato più di spazio. Come forse più spazio avrebbe meritato il filo conduttore, di cui alla fine del primo libro sappiamo molto poco. Perché, in fondo, l’amore della vita e il mistero delle origini sono proprio quello che ci interessa sapere. Comunque, andiamo avanti col secondo libro, la storia di Ally. Vi farò sapere se Lucinda Riley scopre più carte o no.

E voi amanti di Lucinda Riley? Qual è finora il libro del vostro cuore? Le Sette sorelle o un altro? Scrivetemi nei commenti! 

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La Fame senza fine di Knut Hamsun

Su Knut Hamsun, premio Nobel 1920, si è detto di tutto e di più. Che fosse un simpatizzante nazista, e per questo fu rinchiuso in un ospedale psichiatrico, che aderisse al panteismo, che i suoi libri meritavano di essere bruciati in piazza, cosa che effettivamente accadde. Fame è il suo primo, grande successo. Ci sono voluti quasi due anni per finirlo: l’ho preso, lasciato, ripreso, lasciato di nuovo. A un certo punto, questa Fame si è placata e sono arrivata alla parola Fine. Ora vi racconto cosa penso di questo romanzo così controverso.

Trama

Un giovane scrittore passa un periodo di solitari deliri e tortuose riflessioni nella città di Christiania. Vari personaggi lo sfiorano e scompaiono, ma unica vera e costante compagna, inesorabile antagonista, è la fame. Visionario della fame, il giovane scrittore scopre il carattere fantomatico e oppressivo della vita urbana, si inoltra negli infiniti sottosuoli della mente, lascia infine che esploda la sua rabbia fisiologica contro una società che sembra affinare sempre più, col tempo, le sue torture.

Fame di vivere

Se penso che è stato scritto nel 1890, il primo aggettivo che mi viene in mente è “moderno”. Narrazione veloce, vita di città, una Oslo che all’epoca si chiamava Christiania. Un giovane scrittore che ha Fame, in tutti i sensi. Ha fame di vivere, ha fame di scrivere, ha fame di amare. Ha fame vera e propria, soprattutto. Il ritmo è ansiogeno, sembra per 3/4 il delirio di un pazzo. Uno squilibrato che cerca in tutti i modi di sopravvivere, escogitando le strategie più strampalate per riuscirci, raccontando storie, a sé e agli altri, abbordando donne per strada, facendosi rinchiudere in prigione. Dice di se stesso di essere un giornalista con ambizioni di scrittore, ma tutte le grandi idee che gli vengono, finiscono inevitabilmente in un nulla di fatto, perché gliene viene una ancora più grandiosa.

Eppure

Eppure, ogni tanto qualcuno che gli dà credito lo trova. E allora, riesce a sopravvivere per un altro po’, ma a un certo punto anche io ho perso le speranze di vederlo risorgere. A questo punto, quando la sconfitta sembra ormai certa e di questo accanimento uno non ne può più, improvvisamente il ritmo accelera, invece di decelerare. Questa città,  Christiania, non è ospitale. O, forse, è il protagonista a non essere tagliato per questa vita. Perché le risorse le avrebbe, ma le dissipa. Non sono i contatti umani che vuole, perché cinismo e ironia si mescolano a ogni nuovo incontro. Non sono i soldi che gli interessano, non è il tenore di vita che cerca, non è il grande romanzo che sogna. Cerca, cerca…ma cosa cerca? Forse un mondo diverso, forse un’utopia, forse qualcuno a cui volere bene. O forse no, forse assistiamo semplicemente al delirio di onnipotenza di un artista disperato e affamato. Che alla fine una via d’uscita la trova. O forse no…

In cerca di Utopia

Quello di Knut Hamsun è un romanzo a cui ho pensato e ripensato sia quando l’ho lasciato in sospeso, sia quando sono riuscita a finirlo. Alla fine, il protagonista avrà trovato la sua strada? Sarà riuscito a risalire dall’abisso di quell’osso di carne macilenta vomitato per strada? Chissà. L’autore ha avuto una lunga vita e ha superato tutte le contestazioni. Si è opposto all’imperialismo britannico e dell’Unione Sovietica, ma simpatizzava per Hitler. Considerando le note biografiche e come finisce il romanzo, purtroppo per fare spoiler non posso dire di più, sospetto che il giovane e poi non più giovane, abbia continuato a girovagare in preda alla Fame. In cerca di Utopia, probabilmente. Knut Hamsun e la seconda moglie comprarono una fattoria, con l’idea “di vivere del lavoro della fattoria, con la scrittura per sbarcare il lunario“. Alla fine, Knut Hamsun avrà trovato la sua pace? 

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Andrea Frediani e gli Orsini, i lupi di Roma

Andrea Frediani è un autore prolifico,  laureato in Storia medievale. E proprio nella Roma medievale ci porta con I lupi di Roma, storia romanzata presentata al premio Strega 2021. Lavoro con cui lancia una sfida al lettore: convincere la gente che la storia è appassionante, puntando a mediare tra la ricostruzione accurata e il ritmo incalzante. Come dice lui stesso: “spero di aver realizzato un’opera avvincente e, allo stesso tempo, istruttiva, un binomio che dovrebbe essere l’essenza della divulgazione storica“. Io come lettrice ho raccolto la sfida. Lui, come autore, sarà riuscito nel suo obiettivo? Ora vi racconto. 

Trama

Nel 1277, una feroce lotta per il po­tere si scatena in occasione del con­clave. Dopo sei mesi di sede vacante, la famiglia Orsini riesce a far eleg­gere un proprio esponente. Il nuovo pontefice, Niccolò III, si propone di arginare lo strapotere di Carlo D’An­giò, re francese di Napoli e senatore di Roma, ma mira anche a consoli­dare le fortune della famiglia. In bre­ve gli Orsini assumono il controllo di Roma, di Viterbo e del collegio cardinalizio. Tuttavia le ambizioni del papa e di suo cugino, il cardina­le Matteo Rubeo, obbligano alcuni membri della famiglia, come Orso, podestà di Viterbo, e Perna, spinta da un amore proibito, a sacrificare i loro stessi sentimenti. Ma l’ascesa della dinastia viene interrotta da un evento imprevedibile, che esporrà gli Orsini alla vendetta dei loro tanti nemici. In cerca di riscatto, gli Orsini scopriran­no che farsi campioni degli ideali di libertà può essere un obiettivo più gratificante del dominio. Da Bolo­gna a Palermo, passando per Firenze, Viterbo e Roma, si faranno quindi protagonisti delle lotte tra guelfi e ghibellini, per le autonomie comunali e dei Vespri siciliani, imprimendo la loro mano sul ricco affresco dell’Italia tardomedievale. Questa è una storia di potere, di fede, di amore e di san­gue. Questa è la storia della famiglia Orsini, i Lupi di Roma.

I lupi…

L’ autore di questo romanzo, Andrea Frediani, ci porta in una Roma che per lunghi periodi è stata soggetta a lotte intestine per la conquista del potere. Avvenimenti di cui il popolo avrebbe fatto volentieri a meno, visto le sofferenze che ha dovuto subire, ma questo è un altro discorso. La storia non si cambia, anche se qui viene un po’ romanzata, per ammissione dello stesso autore. In ogni caso, Andrea Frediani ben descrive le faide tra le famiglie patrizie romane, nonché le alleanze con il clero e le potenze straniere. Quando veniva acquisita una posizione dominante da una fazione, per le altre erano dolori! Questo aspetto, il romanzo lo spiega perfettamente. L’autore confeziona una buona storia, senza lasciare pause inutili.

…e le iene. 

Al contrario, lancia messaggi su cui riflettere. Soprattutto sui trascorsi della chiesa, che perdendo il potere temporale, è fortunatamente tornata ai dettami cristiani. Devo dire, però, che forse il titolo di questo libro non è quello giusto. Probabilmente, sarebbe stato meglio “Le iene di Roma“, perché in effetti i lupi uccidono la preda e la divorano.

Le iene, invece, la divorano quando è ancora viva.

Quindi, per rispondere alla domanda, Andrea Frediani è riuscito nel suo intento? Direi proprio di sì.

E a voi? Piacciono i libri romanzati sull’antica Roma? Quali mi consigliate di leggere?

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