Vera, di Elizabeth von Armin, tra modernità e ironia la condizione della donna

Vera è il primo romanzo di Elizabeth von Armin che leggo, a detta della stessa autrice quello che meglio la rappresenta. Perché in questa storia di rapporto coniugale c’è molto della sua vita “vera”, anche se la sua scrittura brillante fa emergere fin dall’inizio l’archetipo dell’amore malato. Mi piacerebbe aggiungere “che affliggeva le donne nel passato”, ma in realtà è una condizione ancora ben presente nella società attuale. Di Vera, e delle donne come lei, possiamo leggere tutti i giorni sul quotidiano, il più delle volte per commentare con un rip, aspettando la prossima.

Trama

Lucy Entwhistle, ventiduenne ancora un po’ bambina, e Everard Wemyss, bell’uomo maturo, sono entrambi in lutto quando si incontrano per la prima volta: lei ha appena perso l’adorato padre, lui la moglie Vera. Consolandosi a vicenda, finiscono per innamorarsi e si sposano in fretta. Dopo le nozze vanno a vivere nella casa di lui, un luogo intriso di rituali dove aleggia lo spettro della prima moglie Vera, scomparsa in circostanze misteriose. Ed è fra queste mura che Lucy comincia a chiedersi: cos’è successo davvero a Vera?

Un uomo semplice 

La morte di Vera è stata accidentale, questo Everard racconta a Lucy. E perché lei non dovrebbe crederci? E’ sempre vissuta protetta dal padre, il suo scudo, il suo filtro per capire il mondo. Certo, il padre e i suoi amici facevano discorsi che Lucy non riusciva a comprendere del tutto, se non dopo le spiegazioni dell’adorato papà. Invece, Everard è un uomo semplice, che parla in modo semplice, che è deciso a vivere la vita secondo le sue granitiche convinzioni. Everard è un’ottima spalla cui appoggiarsi, ora che suo padre non c’è più. Perché, però, l’adorata zia, la sorella del padre, arguta come lui, non lo considera un buon partito per la sua preziosa nipote? Anche la zia non saprebbe dire perché, ma c’è qualcosa in quell’uomo che lei proprio non riesce a digerire.

 Semplice e indigeribile

Segnatevi queste parole, se deciderete di leggere il romanzo: semplice e digerire, perché solo la chiave per interpretare lo svolgimento dei fatti. Everard è un uomo tutt’altro che semplice; piuttosto, è “uno scolaro bisbetico, che si comportava da maleducato; ma sfortunatamente, uno scolaro dotato di potere“. E anche se “Lucy scoprì che il matrimonio era diverso da come l’aveva immaginato. Anche Everard era diverso. Tutto era diverso”, c’è ben poco che il/la partner con la posizione più debole possa fare. Soprattutto una ragazza immatura come Lucy, abituata alla gentilezza e alla protezione del suo piccolo mondo familiare. Per una ragazza come Lucy, è facile convincersi di essere nel torto: “Lizzie era via da neanche cinque minuti che Lucy era già passata dall’infelicità e dallo smarrimento al giustificare il comportamento di Everard; nel giro di dieci minuti ebbe ben chiare le buone ragioni per cui si era comportato in quel modo; in capo a un quarto d’ora si era addossata tutta la colpa per gran parte di ciò che era successo.”

I salici (piangenti)

Ora, saremmo tutti portati a dire che la soluzione sia in fondo semplice. Il marito si rivela per quello che è, manipolare, egocentrico, uno che fonda i suoi rapporti sul terrore e la sottomissione, mascherando la dittatura con un linguaggio lezioso e improponibile passati i quindici anni di età (e forse anche prima), esprimendosi a più riprese con cuoricino, gattina, sciocca scemottina, e amenità di questo genere. La residenza di campagna in cui Lucy si ritrova, The willows, I salici piangenti non a caso, è a sua immagine e somiglianza, ci sono delle belle pagine in cui Elizabeth von Armin induce nel parallelismo tra casa e padrone. Padrone, sì, perché ovviamente il proprietario incontrastato è solo lui. Anche i domestici, sono testimoni silenziosi, molto silenziosi, dei suoi atteggiamenti. Perché lui ha il potere, il potere di pagare profumatamente il loro silenzio. Tanto che l’unica alleata per Lucy diventa proprio…Vera, la prima moglie di Everard, che pervade tutta la casa con il suo spirito. Però siamo sinceri, quante donne ancora oggi sopportano in silenzio senza reagire? Oppure reagiscono, e finiscono per essere maltrattare proprio da chi dovrebbe proteggerle? E cosa dovremmo aspettarci da una fanciulla di inizio novecento? Che coraggiosamente divorzi?

Modernità e ironia

Come finirà? Non ve lo dico, gustatevi la lettura. Dico solo che forse il finale non è poi così importante. O forse sì, dipende dai punti di vista. Quello che conta, a mio avviso, è la modernità con cui Elizabeth von Armin affronta un tema da lei probabilmente vissuto in prima persona. Con il coraggio e la forza di uscirne, vivendo una vita piena e indipendente dopo due matrimoni disastrosi. E l’ironia con cui lo affronta, spezzando i toni cupi della tortuosa vicenda matrimoniale. Tipicamente inglese è il suo gusto per i particolari, apparentemente insignificanti, che tratteggiano un’epoca. In alcuni punti, quando a parlare sono i domestici, ho sentito l’eco di Quel che resta del giorno, di Kazuo Hishiguro, scritto decenni dopo. Nell’atmosfera generale, nell’ambientazione e nella figura femminile che dà il nome al romanzo, indubbiamente Rebecca, di Daphne Du Maurier. La quale certamente conosceva questo romanzo, sono sicura, giungendo a conclusioni diametralmente opposte, però. Come sapete, Daphne Du Maurier è stata accusata a più riprese di plagio per Rebecca, ma da Elizabeth von Armin posso dire che ha preso solo spunto, nient’altro. Mentre Elizabeth von Armin conosceva e apprezzava Cime tempestose di Emily Brontë, che fa comparire in braccio a Lucy nel momento più opportuno. Ed era la cugina di Katherine Mansfield: poco ma sicuro che le due cugine sugli uomini la pensassero nello stesso modo!

***
Intanto, chiedo a voi: avete letto qualcosa di Elizabeth von Armin? Quale titolo vi è piaciuto di più?

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Romancè, puntata 5: Il caffè della Peppina

Romancè, il 14 luglio 2021: il caffè della Peppina

La perpetua, una canonica, un prete ammazzato. Gli elementi per il giallo classico all’inglese. c’erano proprio tutti. Se non fosse stato per quel caldo bestia insopportabile, che era incompatibile con un’ambientazione anglosassone.

“Sarà come dice Agatha Christie, che il male si nasconde sotto il sole, ma almeno lì possono investigare senza ascelle pezzate”. Solo la belloccia era sempre profumosa, con qualsiasi temperatura. Come diavolo facesse, per lui era un mistero.

“Ecco qui, un bel caffè caldo caldo per i nostri ispettori”, cinguettò la perpetua, poggiando sul tavolino basso davanti a loro un vassoio. Sembrava essersi ripresa in un nanosecondo dallo choc. E siccome la perpetua è il maggiordomo dei parroci, questo la faceva entrare dritta dritta nell’elenco dei sospettati. Che per ora comprendeva solo lei. Ma era un dettaglio. Se non altro, aveva abbandonato l’idea del tè fumante.

“Zucchero?”. La belloccia si limitò a fermarla con la mano, lo zucchero era bandito dalla sua dieta. E dalla sua vita, ci avrebbe scommesso.

“Sì, grazie, un cucchiaino”. Si sforzò di sorriderle mentre gli porgeva la tazzina, indeciso tra un frollino e un canestrello. Frollino, decise alla fine, fa più colazione.

“Dicevamo, ieri sera ha sentito il parroco che si muoveva per la canonica intorno alle 23. Non l’ha visto, ma l’ha riconosciuto da una camminata particolare, è corretto?” Belloccia era partita a razzo, dopo aver trangugiato il liquido, sicuramente senza neanche sentire il sapore.

“Sì”, annuì la perpetua con convinzione. Era anziana, ma sembrava sicura del fatto suo. Più o meno come lui col frollino, ben attento a non inzupparlo nel caffè per evitare che si sbriciolasse sulla camicia.

“Come fa a essere sicura dell’orario?”

“Ho una radiosveglia accanto al letto. Stavo leggendo per farmi venire sonno, quando ho sentito il don che camminava nel corridoio e la porta che si chiudeva. Lei è ancora giovane, ma sa, a una certa età farsi venire sonno è sempre più difficile. Comunque, stavo quasi per appisolarmi, quando il rumore dei passi mi ha ridestato”. Belloccia annuì, comprensiva. Incredibile, lui dubitava che dormisse, le funzioni primarie a lei non servivano.

“Ha sentito la porta che si chiudeva? E’ sicura? Non è possibile che si aprisse?”

“Assolutamente. Si chiudeva. Ho sentito distintamente i passi avvicinarsi, poi allontanarsi e la porta che si richiudeva”.

“Com’è precisa”, commentò Belloccia, parlando sempre col taccuino. “Bene, testimoni come lei sono sempre preziosi”, aggiunse regalando uno dei suoi rari sorrisi. Quando Belloccia rideva, il mondo s’illuminava. E il testimone si rilassava immediatamente. L’aveva vista usare quella tecnica mille volte. Che iena, poveraccio il fidanzato, se ne aveva uno. La vita privata di belloccia era top secret.

La perpetua non fece eccezione, come ampiamente previsto.

“Sa”, si era avvicinata leggermente col busto con fare cospiratorio, “sono un’amante della serie di Padre Brown, la conosce? Oh, quanto mi piace, guardo anche i film alla tv.” Perfetto, l’amante di Padre Brown, cento euro che si sarebbe messa a indagare per conto suo.

“Speriamo che Padre Brown non faccia una brutta fine, hahaha!”, se ne uscì alla cazzum, tanto per far notare la sua presenza. Belloccia e la perpetua non la presero benissimo.

“Non ha sentito la porta che si apriva?”

“Come dice, mi scusi?”. La perpetua sembrava disorientata dal modo in cui Belloccia pungolava. Pensava che tra detective ci fosse più complicità.

“Come mai non ha sentito la porta che si apriva? Sarebbe potuta uscire e chiedere subito al don se gli servisse qualcosa. Perché non l’ha fatto? Eppure, dice di aver sentito distintamente i passi in corridoio e la porta che si richiudeva”.

“Oh, be’, non era certo la prima volta che il don usciva dalla sua stanza senza avvisarmi. In fondo, anch’io ho un orario di lavoro e lui l’ha sempre rispettato, per mia fortuna. Non tutti sono così, c’è chi pretende che siamo sempre a disposizione, notte e giorno. Senza sottintesi, è chiaro. L’altra sera non so, ho sentito il bisogno di chiedergli se avesse bisogno di qualcosa. Povera me, ora che mi ci fa pensare, forse ho avuto un presentimento…”. La puerpera si nascose dietro un fazzoletto per lacrimare. O per nascondere il tremito delle mani.

“Dopo tanti anni di servizio, si diventa ipersensibili”. La Belloccia si riferiva al finto presagio o alle finte lacrime?

“Comunque, per ora abbiamo finito. Si tenga a disposizione. E grazie per il caffè”.

“Certo, certo, vi accompagno”. La perpetua sembrava fin troppo contenta di accompagnarli all’uscita.

Fuori dalla chiesa, si era radunata una piccola folla. Lui aggrottò la fronte in un disperato tentativo di sembrare cattivo a vantaggio dei fotografi. Belloccia, fotogenica di suo, si guardò intorno con apparente disinteresse, dietro gli occhiali da sole non si capiva esattamente se volesse mostrare profilo destro e sinistro per gli scatti o se semplicemente non sapesse da che parte guardare.

“La perpetua ha mentito”, fece lui, tanto per darsi un tono.

“Ma certo. Non era nella sua stanza quando il prete è uscito. Le va un caffè come si deve? Offro io”.

In momenti come quello, Belloccia era quasi una buona compagnia. Soprattutto perché, dietro gli oblò neri che li nascondevano, due occhi freddi avevano registrato i presenti. E notato, lì in mezzo, qualcosa che ancora doveva depositarsi nella mente. Sapeva che, a tempo debito, quel particolare sarebbe riemerso da chissà dove…

Hai perso le puntate precedenti? Recuperale qui: 

Romancè, puntata 1: In religioso silenzio

Romancè, puntata 2: La verità non ti piace abbastanza

Romancè, puntata 3: Sangue in canonica

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http://www.pennaecalamaro.com/2021/08/04/romance-puntata-4-dalla-perpetua/

Chi sono i traditori di tutti di Scerbanenco?

Giorgio Scerbanenco è uno di quegli autori in lista da un po’, se non altro perché considerato il padre del noir all’italiana. Ho trovato Traditori di tutti in un mercatino ed è da questo libro che inizio la mia conoscenza dell’autore. Ma chi sono i traditori di tutti?

Trama

Notte di nebbia a Milano. Una macchina ferma sull’orlo del Naviglio: all’interno un uomo e una donna, di una certa età, hanno mangiato e bevuto troppo, lui specialmente. Una ragazza spinge la macchina piano…un tonfo, qualche spruzzo, neanche una bollicina. Per Duca Lamberti, ex medico e investigatore a mezzo tempo, tutto comincia una mattina di primavera: sulla porta, un giovanotto, lo manda l’avvocato Sompani… Ma Sompani non è quello annegato due giorni fa nel Naviglio?

Duca Lamberti

Traditori di tutti è il secondo numero della serie che vede come protagonista Duca Lamberti, un collaboratore della polizia a dir poco inusuale. Purtroppo non ho letto i libri in ordine, avrei dovuto iniziare dal primo, Venere privata. Solo che ho trovato prima questo ed ero troppo curiosa di leggere questo autore, di cui avevo tanto sentito parlare. La lettura non è stata per niente deludente, anzi. Diciamo che scelgo raramente questo genere di poliziesco duro e crudo, però ogni tanto passare dall’altro lato del fiume, rispetto ai romance, fa bene.

Buoni e cattivi

A proposito di fiume, il fiume e la campagna , eppure quello che rimane è la descrizione di Milano, una città tanto indaffarata quanto tortuosa nel suo sottobosco e con la quale Scerbanenco era dovuto scendere a patti quando si era trasferito da Roma con la madre. Duca Lamberti incarna, probabilmente, lo spirito di giustizia dell’autore stesso, che chissà quante volte avrà anelato la possibilità di farsi giustizia da solo. Cosa che non è possibile, su questo la morale del romanzo è chiara, come è altrettanto netto il sentimento che a Duca fa dividere le persone in buoni e cattivi: il rispetto, o una persona riesce a guadagnarselo, o finisce nella lista nera. Ma non è che basti il rispetto per far chiudere un occhio alla polizia, sia chiaro. Qui siamo di fronte a uomini tutti d’un pezzo.

Gli anni settanta sono già qui

Mi è piaciuto. Mi hanno convinto i personaggi, le atmosfere, una Milano che anticipa gli anni settanta (il libro è stato scritto nel 1966), il finale. Forse, un po’ troppi dialoghi da gangster anni trenta e quello che io considero sempre un errore, dare per scontati alcuni particolari, rimandando ad altre uscite delle serie la soddisfazione della curiosità. Se per Duca, e Scerbanenco, due personaggi sono importanti, e lo sono, ci deve raccontare di più, a costo di ripetere tra un volume e l’altro. Ma a parte queste piccole note di contorno, un romanzo che sicuramente consiglio ai nostalgici dell’hard boiled alla Chandler.

Ma chi sono i traditori di tutti? 

“…non si può, non si può, la legge proibisce di ammazzare le canaglie, i traditori di tutti, anzi specialmente questi che devono avere sempre un avvocato difensore, un processo regolare, una regolare giuria e un verdetto ispirato alla redenzione del disadattato, mentre invece si può, senza alcun permesso, innaffiare di proiettili due carabinieri di pattuglia, o sparare in bocca a un impiegato di banca che non si sbriga a consegnare le mazzette di biglietti da diecimila, o mitragliare in mezzo alla folla, per scappare, dopo una rapina, questo si può, ma dare un buffetto sulla rosea gota al figlio di baldracca che vive di canagliate, questo no, la legge lo proibisce, è male, non avete capito niente di Beccaria, no, lui, Duca Lamberti, non aveva capito niente Dei delitti e delle pene, era un grossolano e non aveva speranza di raffinarsi, ma gli sarebbe piaciuto incontrare quelle canaglie, lui glieli avrebbe dati, i buffetti sul viso.”

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Aprile è il più crudele dei mesi – Derek Raymond

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Basket, iI match decisivo di Nelly Taggart

Un romance ambientato nel mondo del basket, con l’amore che va a canestro tra un allenatore e una giornalista. Ormai da classificare come vintage, è uscito nel 2007, e non proprio soddisfacente.

Trama

Antonia Phillips odia il basket e tutti quelli che hanno a che fare con questo sport. È una sentenza definitiva e senza appello, fino al giorno in cui deve intervistare il misterioso e affascinante allenatore di una famosa squadra di pallacanestro. Giovane e indipendente, Antònia, detta Nia, deve fare i conti con un matrimonio fallito e con l’amarezza lasciatale dai continui tradimenti del suo ex marito, giornalista sportivo. Ovvio che lei non voglia più avere a che fare con quel mondo, ma il suo capo è intenzionato a farle fare un servizio su Daniel Strahan: bello, scapolo, vive per lo sport e detesta i giornalisti. Le difese di entrambi vengono messe a dura prova, ma forse l’amore e la fiducia sono solo…questione di allenamento! 

Aspettative disattese 

Un romanzo breve, che si legge in poche ore e che non offre nessuna sorpresa. Ho cercato di rintracciare notizie su quest’autrice, ma non ho trovato nulla. Come non ho trovato niente cercando con il titolo originale in inglese. Strano, credo che sia una di quelle uscite in serie scritte probabilmente da un pool di persone. Comunque, a parte questa nota di curiosità personale, la trama prometteva quello che la realizzazione ha poi disatteso. Lui, un allenatore di basket un po’ filosofo, lei, scottata da un matrimonio in cui il marito preferiva il basket, e le altre donne, a lei. Tutti e due indipendenti e orgogliosi, le premesse per piacermi c’erano tutte. Poi, lei si trasforma nella solita donna dimessa, che per amore deve fare rinunce e, ovviamente, l’articolo non passa in secondo, passa in penultimo piano. Tanto che la soluzione finale è abbastanza assurda. Lui, uomo tutto d’un pezzo, che studia per crearsi un futuro, non riesce a trovare una soluzione di mezzo che accontenti entrambi. E poi, il vicino anziano che lei ama tanto e che neanche accompagna in ospedale quando ne ha bisogno…Insomma, senza svelare altri particolari, la scintilla stavolta non è scoccata.

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Altri romanzi vintage su Penna e Calamaro

Romancè, puntata 4: Dalla perpetua

Romancè, il 14 luglio 2021: dalla perpetua

La perpetua, una canonica, un prete ammazzato. Gli elementi per il giallo classico all’inglese. c’erano proprio tutti. Se non fosse stato per quel caldo bestia insopportabile, che era incompatibile con un’ambientazione anglosassone.

“Sarà come dice Agatha Christie, che il male si nasconde sotto il sole, ma almeno lì possono investigare senza ascelle pezzate”. Solo la belloccia era sempre profumosa, con qualsiasi temperatura. Come diavolo facesse, per lui era un mistero.

“Ecco qui, un bel caffè caldo caldo per i nostri ispettori”, cinguettò la perpetua, poggiando sul tavolino basso davanti a loro un vassoio. Sembrava essersi ripresa in un nanosecondo dallo choc. E siccome la perpetua è il maggiordomo dei parroci, questo la faceva entrare dritta dritta nell’elenco dei sospettati. Che per ora comprendeva solo lei. Ma era un dettaglio. Se non altro, aveva abbandonato l’idea del tè fumante.

“Zucchero?”. La belloccia si limitò a fermarla con la mano, lo zucchero era bandito dalla sua dieta. E dalla sua vita, ci avrebbe scommesso.

“Sì, grazie, un cucchiaino”. Si sforzò di sorriderle mentre gli porgeva la tazzina, indeciso tra un frollino e un canestrello. Frollino, decise alla fine, fa più colazione.

“Dicevamo, ieri sera ha sentito il parroco che si muoveva per la canonica intorno alle 23. Non l’ha visto, ma l’ha riconosciuto da una camminata particolare, è corretto?” Belloccia era partita a razzo, dopo aver trangugiato il liquido, sicuramente senza neanche sentire il sapore.

“Sì”, annuì la perpetua con convinzione. Era anziana, ma sembrava sicura del fatto suo. Più o meno come lui col frollino, ben attento a non inzupparlo nel caffè per evitare che si sbriciolasse sulla camicia.

“Come fa a essere sicura dell’orario?”

“Ho una radiosveglia accanto al letto. Stavo leggendo per farmi venire sonno, quando ho sentito il don che camminava nel corridoio e la porta che si chiudeva. Lei è ancora giovane, ma sa, a una certa età farsi venire sonno è sempre più difficile. Comunque, stavo quasi per appisolarmi, quando il rumore dei passi mi ha ridestato”. Belloccia annuì, comprensiva. Incredibile, lui dubitava che dormisse, le funzioni primarie a lei non servivano.

“Ha sentito la porta che si chiudeva? E’ sicura? Non è possibile che si aprisse?”

“Assolutamente. Si chiudeva. Ho sentito distintamente i passi avvicinarsi, poi allontanarsi e la porta che si richiudeva”.

“Com’è precisa”, commentò Belloccia, parlando sempre col taccuino. “Bene, testimoni come lei sono sempre preziosi”, aggiunse regalando uno dei suoi rari sorrisi. Quando Belloccia rideva, il mondo s’illuminava. E il testimone si rilassava immediatamente. L’aveva vista usare quella tecnica mille volte. Che iena, poveraccio il fidanzato, se ne aveva uno. La vita privata di belloccia era top secret.

La perpetua non fece eccezione, come ampiamente previsto.

“Sa”, si era avvicinata leggermente col busto con fare cospiratorio, “sono un’amante della serie di Padre Brown, la conosce? Oh, quanto mi piace, guardo anche i film alla tv.” Perfetto, l’amante di Padre Brown, cento euro che si sarebbe messa a indagare per conto suo.

“Speriamo che Padre Brown non faccia una brutta fine, hahaha!”, se ne uscì alla cazzum, tanto per far notare la sua presenza. Belloccia e la perpetua non la presero benissimo.

“Non ha sentito la porta che si apriva?”

“Come dice, mi scusi?”. La perpetua sembrava disorientata dal modo in cui Belloccia pungolava. Pensava che tra detective ci fosse più complicità.

“Come mai non ha sentito la porta che si apriva? Sarebbe potuta uscire e chiedere subito al don se gli servisse qualcosa. Perché non l’ha fatto? Eppure, dice di aver sentito distintamente i passi in corridoio e la porta che si richiudeva”.

“Oh, be’, non era certo la prima volta che il don usciva dalla sua stanza senza avvisarmi. In fondo, anch’io ho un orario di lavoro e lui l’ha sempre rispettato, per mia fortuna. Non tutti sono così, c’è chi pretende che siamo sempre a disposizione, notte e giorno. Senza sottintesi, è chiaro. L’altra sera non so, ho sentito il bisogno di chiedergli se avesse bisogno di qualcosa. Povera me, ora che mi ci fa pensare, forse ho avuto un presentimento…”. La puerpera si nascose dietro un fazzoletto per lacrimare. O per nascondere il tremito delle mani.

“Dopo tanti anni di servizio, si diventa ipersensibili”. La Belloccia si riferiva al finto presagio o alle finte lacrime?

“Comunque, per ora abbiamo finito. Si tenga a disposizione. E grazie per il caffè”.

“Certo, certo, vi accompagno”. La perpetua sembrava fin troppo contenta di accompagnarli all’uscita.

Fuori dalla chiesa, si era radunata una piccola folla. Lui aggrottò la fronte in un disperato tentativo di sembrare cattivo a vantaggio dei fotografi. Belloccia, fotogenica di suo, si guardò intorno con apparente disinteresse, dietro gli occhiali da sole non si capiva esattamente se volesse mostrare profilo destro e sinistro per gli scatti o se semplicemente non sapesse da che parte guardare.

“La perpetua ha mentito”, fece lui, tanto per darsi un tono.

“Ma certo. Non era nella sua stanza quando il prete è uscito. Le va un caffè come si deve? Offro io”.

In momenti come quello, Belloccia era quasi una buona compagnia. Soprattutto perché, dietro gli oblò neri che li nascondevano, due occhi freddi avevano registrato i presenti. E notato, lì in mezzo, qualcosa che ancora doveva depositarsi nella mente. Sapeva che, a tempo debito, quel particolare sarebbe riemerso da chissà dove…

Hai perso le puntate precedenti? Recuperale qui: 

Romancè, puntata 1: In religioso silenzio

Romancè, puntata 2: La verità non ti piace abbastanza

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