Una deliziosa pasticceria a Parigi – Laura Madeleine

Laura Madeleine è un’ottima cuoca e una scrittrice che ha messo a frutto i suoi studi di letteratura inglese a Cambridge per creare una ricercatrice alla ricerca della verità sul passato della sua famiglia. Troverà l’amore e, forse, una verità scomoda. 

Trama

Parigi, 1909. In una stradina appartata c’è un luogo dove, a ogni ora, il profumo che si sente nell’aria è quello di zucchero a velo e crema pasticcera. La Pâtisserie Clermont è la più elegante della città, famosa per le vetrine colorate di macarons. Jeanne, la figlia del proprietario, dietro le apparenze di ragazza tranquilla e sorridente, ha un segreto. Un amore proibito per Guillaume du Frère, un ragazzo di Bordeaux arrivato in città per guadagnarsi da vivere come ferroviere. Ai giorni nostri, Petra è una studentessa di storia a Cambridge che si imbatte in una strana lettera. Datata 1910, la lettera è indirizzata a un certo G. Du Frère, e chiede una cosa sola: perdono. Petra scoprirà così la storia di Jeanne e Guillaume, gettando luce su quello che avvenne davvero.

Si legge con piacere

Il romanzo si muove tra passato e presente in una buona combinazione tra fatti accaduti nel 1910 a Parigi e quello che sta accadendo nel 1988 a Cambridge. Rispetto ad altri scrittori che raccontano storie in parallelo, Laura Madeleine riesce nella difficile impresa di renderle interessanti entrambe, senza creare confusione tra personaggi ed epoche. La storia è semplice: il nonno di Petra da giovane ha fatto qualcosa di cui si pente e un biografo ne approfitta per farsi pubblicità e vendere di più. Petra, la nipote, vuole smascherarlo e anche difendere il nonno. Pur non avendo grandi sussulti, è un romanzo che ho letto con piacere e che regge bene fino al finale. Peccato per il titolo, quello originale – La storia del pasticcere -,  mi piace di più ed è più calzante. Se proprio devo trovargli un difetto, a parte il titolo tradotto, è la mancanza di un vero e proprio sussulto. Il romanzo scorre tranquillo dall’inizio alla fine. Consigliato per due o tre pacifiche sere di lettura.

Momondo

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Fa’ tutto senza piangere – Aurora Pelucchi

Un argomento di cui parlare, un argomento scomodo, una malattia vera e propria. Essere una persona obesa. Questa è la storia di un percorso difficile, costellato da episodi che potranno stupirvi, farvi adirare, piangere e ridere insieme alla protagonista e alla sua “speciale” interlocutrice. Aurora e Chiara, due facce della stessa medaglia. Un’intervista improbabile che si trasforma nella scoperta di un mondo ben visibile eppure sottovalutato. Una rinascita a nuova vita attraverso simpatici aneddoti, brutte ricadute, episodi dolorosi e un desiderio immenso di libertà e riscatto. Un nuovo modo di vedere l’obesità attraverso le parole di chi l’ha vissuta sulla propria pelle per anni e l’ha affrontata quasi sempre con il sorriso e con una cosa che a molti manca: il coraggio.

Aurora ci mette la faccia

Aurora Pelucchi fa una cosa coraggiosa, anzi, molto più che coraggiosa. Ci mette la faccia e il nome. Ci racconta una storia che più o meno conosciamo tutti perché nelle premesse ricalca quella di un programma televisivo che va molto di moda, Vite al limite. A chi non piacciono le storie di riscatto e redenzione? Solo che Aurora questa storia di riscatto e redenzione non l’ha inventata. Ha messo su carta la storia della sua vita, una vita al limite in carne e ossa. E siccome è una donna spiritosa, mi perdonerà questo pessimo gioco di parole.

Quell’immagine nello specchio

Aurora ripercorre, attraverso una fantomatica intervista, le dolorose tappe che l’hanno portata a un certo punto a guardarsi in uno specchio senza riconoscersi. Chi è quella persona? Come ho fatto a mettere su così tanti chili in poco tempo? I perché sono diversi e tutti validi: il bullismo, i lutti, il dolore, la solitudine. Tutte cause che si sono stratificate fino a diventare alibi, scuse, per non ammettere che serve un cambio di rotta. Quell’immagine nello specchio fa scattare un click: Aurora toglie il piede dal freno e fa inversione. Si sottopone ad accertamenti infiniti, frequenta regolarmente una psicologa e si sottopone a un intervento di bypass gastrico. Fin qui tutto bene, il percorso procede a gonfie vele e tutto sembra prefigurare un successo (il che, come sappiamo, non è scontato). Cosa la spinge allora a rendere pubblica la sua storia?

“Scrivere un libro non è mai facile, se poi va a toccare un argomento così personale, lo è ancora di più. Ho voluto mettere nero su bianco la mia vita avendo in mente uno scopo ben preciso… aiutare le persone obese ad aiutarsi e aiutare le persone non obese a capire e rispettare chi invece lo è”.

L’obesità non è una malattia…o sì?

Se questo era lo scopo, è perfettamente riuscito. Come sapete, affronto spesso il tema dell’alimentazione, argomento che mi appassiona. Leggendo il libro di Aurora Pelucchi, però, qualcosa ho imparato. Innanzitutto, l’obesità non è riconosciuta dalla sanità come malattia, al contrario di anoressia e bulimia. Perciò, tutte le spese sono a carico del paziente. Questa è una distorsione da correggere, perché l’obesità, non sfugge a nessuno, è una malattia. Non è pigrizia, non è golosità. E’ una patologia potenzialmente mortale. Ho scoperto anche che dopo l’operazione alcuni cibi diventano proibiti e che la capacità dello stomaco e dell’intestino di elaborare quello che viene introdotto non tornerà mai più la stessa. Quindi, non solo è una malattia, ma anche invalidante. Aurora sostiene che la colpa sia solo dell’obeso e di nessun altro. Io la penso diversamente, credo che siamo il prodotto delle nostre scelte, ma anche dei condizionamenti che subiamo.

Vale la pena leggere questo libro?

Sì, anche se pensate che il problema non vi tocchi. Primo, perché non è vero, tutti abbiamo o abbiamo avuto un amico o un’amica ghettizzato dagli esseri perfetti. Almeno fuori. Secondo, perché è una storia che fa riflettere su quanti gesti della vita quotidiana diamo scontati, mentre per il nostro prossimo possono diventare un ostacolo insormontabile. Me lo ricorderò, la prossima volta che uscirò per una passeggiata.

Per un obeso è utile?

Sì, utilissimo, perché nessun generale ha mai vinto una battaglia da solo. Il potere del gruppo, e del racconto di chi ce l’ha fatta, possono trasformarsi in un’arma potente contro un nemico comune. Per usare le parole di Aurora, “Dovete usare il vostro cervello, dovete seguire il vostro cuore, dovete metterci l’anima, ma dovete vivere per voi stessi e non per il cibo. Voi siete speciali e non lasciate che nessuno vi dica MAI il contrario!”

E per Aurora?

E per Aurora? E’ utile la nostra lettura? Sì. Vorrei darle qualche umile consiglio da lettrice sportiva. Buttati. Lanciati nella sperimentazione di nuovi sapori, di pietanze diverse, di ricette stravaganti. Coltiva il gusto e il piacere della buona tavola, anche se leggera. Dimentica l’ascensore, scopri il piacere/dolore di muoverti, torna in piscina e inizia a frequentare una palestra. Non domani, ora. E fidati, non ne potrai più fare a meno. Perché io, quel vestito bordeaux lo voglio vedere indossato!

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Le francesi non ingrassano, di Mireille GuilianoLe francesi sono eleganti, si godono la vita, non fanno sport, fumano, condiscono con il burro e non metterebbero piede in palestra neanche morte. Eppure, non ingrassano. Perché? Come fanno? Mireille Guiliano lo spiega a noi comuni mortali. Sarà vero che non ingrassano? Ho provato per voi il metodo Guiliano e vi racconto com’è andata.

Domani mi sposo, di Alison SherlockCorpo nuovo, vita nuova! è un programma di dimagrimento che promette miracoli. Gli iscritti, Violet Kathy, Maggie, Lucy ed Edward, però, non fanno che ingrassare, terrorizzati da Trudie, che segretamente li disprezza. Violet forma un nuovo club, The Desperate Bride’s Diet Club, all’insaputa di Trudie. 

La vegetariana, di Han Kang«Ho fatto un sogno» dice Yeong-hye, e da quel sogno di sangue e di boschi scuri nasce il suo rifiuto radicale di mangiare, cucinare e servire carne, che la famiglia accoglie dapprima con costernazione e poi con fastidio e rabbia crescenti. È il primo stadio di un distacco in tre atti, un percorso di trascendenza distruttiva che infetta anche coloro che sono vicini alla protagonista, e dalle convenzioni si allarga al desiderio, per abbracciare infine l’ideale di un’estatica dissoluzione nell’indifferenza vegetale. 

La vegetariana – Han Kang

Han Kang è la prima scrittrice coreana che leggo e ho scelto di partire da La vegetariana, un romanzo di cui si è parlato molto un paio di anni fa. Mi sono trovata davanti a una storia completamente diversa da quella che immaginavo e che mi ha rapito completamente. Tanto che a un certo punto ho iniziato a centellinare le pagine. È meraviglioso quando accade, vero?

Trama

«Ho fatto un sogno» dice Yeong-hye, e da quel sogno di sangue e di boschi scuri nasce il suo rifiuto radicale di mangiare, cucinare e servire carne, che la famiglia accoglie dapprima con costernazione e poi con fastidio e rabbia crescenti. È il primo stadio di un distacco in tre atti, un percorso di trascendenza distruttiva che infetta anche coloro che sono vicini alla protagonista, e dalle convenzioni si allarga al desiderio, per abbracciare infine l’ideale di un’estatica dissoluzione nell’indifferenza vegetale. 

Tre atti per un dramma

Il romanzo è composto in realtà di tre racconti, autonomi ma collegati alla vicenda principale. Il primo, La vegetariana, dà il titolo al romanzo. L’inizio mi ha proiettato subito in un’atmosfera rarefatta e inquietante, che ha accompagnato tutta la lettura. Il marito di Yeong-hye racconta di averla sposata perché insignificante e che proprio per questo la trovava adatta al tipo di vita monotona e tranquilla che voleva fare. Peccato che la moglie così ubbidiente a un certo punto del loro matrimonio si faccia trovare da lui davanti al frigorifero, intenta a buttare nell’immondizia tutta la carne surgelata. Considerate che in Corea la carne rappresenta il pasto tipico e che quella di manzo costa moltissimo, quindi immaginatevi lo sconcerto di questo coniuge così distaccato dalla povera Yeong-hye. Ben presto lo scandalo si allarga alla famiglia e ai conoscenti. Yeong-hye non solo è diventata vegetariana, ma non porta neanche il reggiseno.

Il viaggio

Questi sono i primi sintomi di un disagio ben più profondo che investe progressivamente la donna. Nel secondo tempo, La macchia mongolica, il cognato di Yeong-hye, il marito della sorella In-Yie, ritrova improvvisamente la vena artistica perduta proponendo a Yeong-hye un servizio fotografico che la fa precipitare ancora di più nell’abisso in cui sta sprofondando. Nel terzo atto, quello conclusivo, la via imboccata da Yeong-hye è senza ritorno e solo la sorella In-Yie sembra in grado di accompagnarla in questo viaggio. 

Il vegetarianismo non c’entra 

Non vi dico di più per non togliervi il gusto della lettura e consiglio caldamente di evitare il più possibile commenti e recensioni, se avete intenzione di leggerlo. Alcuni perché troppo dettagliati, altri perché vi porterebbero fuori strada. Come lontano dal tema principale ci vuole condurre l’autrice Han Kang, dando al suo lavoro un nonsenso come titolo. Il vegetarianismo non c’entra niente. O meglio, non c’entra secondo l’uso che diamo comunemente alla parola. Qui c’è una donna che rompe i tabù della società, che sembra pazza, ma forse non lo è. Una donna che semplicemente ha trovato la sua strada per la libertà. Da tutto, dai legami familiari, dalle convenzioni, dal cibo perfino.

(Ri)nascere in una forma sbagliata

Possiamo chiederci se l’autodeterminazione sia vera libertà o se, in fondo, non sia la nuova frontiera dello schiavismo. Oppure se qualcuno di noi riesce a sentire un contatto con le forze della natura che a noi sfugge. O ancora, per chi crede nella reincarnazione, se il problema di Yeong-hye non sia solo essere (ri)nata in una forma e un corpo sbagliati. 

Un gran libro

Tanti, tanti spunti di riflessione e meditazione mi ha offerto Han Kang. E anche se in patria non è considerata (almeno sembra) una scrittrice di punta, e anche se le critiche feroci non sono mancate, se riuscirete a entrare nello spirito profondamente darwiniano che invade la storia, bé, penserete come me di trovarvi di fronte a un gran libro. Di quelli che vorresti non finissero mai.  Di quelli che rimani giorni e giorni a pensarci e a rimuginarci, una volta arrivata alla parola fine. Era dai tempi di Michel Faber e della sua Isserley che non mi succedeva.

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